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Autore: Marlene Ludovikovna    29/07/2014    4 recensioni
È il 1936 quando il giornalista inglese Thomas Bartley, durante un viaggio in Marocco, s'infatua della giovane Kitty Pfenning, una sognante ragazza austriaca sempre immersa nelle sue letture, in viaggio con i genitori.
Quando Kitty deve ripartire per l'Austria i due iniziano a scriversi condividendo tutto e continuando le loro vite. Thomas diventa un giornalista piuttosto acclamato mentre nel frattempo Kitty cresce e, con l'avvento del nazismo, è sempre più decisa a scappare per l'Inghilterra e a raggiungere Thomas.
Un legame intenso, insofferente, sincero e un po' egoistico unisce Kitty e Thomas, decisi a ritrovarsi e ad amarsi senza ritegno.
- La vide e si sentì pieno d'una gioia stridente; essa nacque spontanea dentro di lui, nel momento in cui potè risentire il corpo Kitty tra le sue braccia: ora poteva davvero sentire che era vera. Poteva toccarla, stringerla a sé e sentire il profumo dei suoi capelli.
Non erano più a Tangeri, erano a Londra. Il profumo speziato era sostituito da quello umido della stazione. Tantissimi avvenimenti si erano successi per arrivare alla loro unione e ora erano lì ed erano insieme.
“Chi tu non abbandoni, né tempesta né pioggia lo faranno tremare...” Sussurrò Kitty. -
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Parte prima



Capitolo quarto

 

Kitty Pfenning si sentì incredibilmente inquieta, una volta tornata nella sua stanza.

Aveva la sensazione di essere una di quelle fanciulle nei romanzi dell'Ottocento, costantemente in apprensione per chissà che cosa.

Aveva ragione il cinico signor Bennett a dire che gli affari amorosi rendono più movimentata la vita di una giovane donna e d'altronde ai tempi non c'era poi così tanto da fare per occuparsi le giornate.

Eppure Kitty non si sentiva di considerarlo un fatto d'amore.

Come le era improvvisamente estranea quella parola di cui aveva così tanto letto fino a pensare di conoscerne il vero significato lei stessa, che mai l'amore l'aveva provato.

Vedeva le sue coetanee innamorate di ragazzi che a lei non facevano né caldo né freddo, mentre continuava a perdersi in sogni che sembravano irrealizzabili e fantasticava che il suo Werther prendesse carne e ossa mantenendo il suo fulgido cuore d'inchiostro e che si trovassero. Voleva essere la sua Carlotta.

Sua madre continuava a ricordarle che non era normale non interessarsi all'altro sesso e forse aveva capito il motivo per cui aveva accettato l'invito del signore inglese.

Kitty era però a conoscenza di un suo fantastico potere. Tra i suoi spasimanti c'erano infatti uomini adulti o ragazzi maturi.

Ed era coloro quelli a cui Kitty era interessata ma, nonostante la madre la esortasse a fare conoscenze, Kitty riusciva a trovare un difetto in ognuno di essi.

Le piacevano però i dolci regalati, i fiori, gli inviti.... E nonostante ciò non le importava assolutamente nulla del loro destinatario.

Con Thomas però era diverso: lui era davvero un adulto. Non faceva il ragazzino, per niente. Lui era splendidamente maturo e sembrava il tipo di persona da cui chiunque avrebbe potuto imparare.

E Kitty voleva imparare tantissimo.

Le piacevano i modi aggraziati di lui senza essere effeminati, le piaceva la sua scioltezza, il fatto che probabilmente sarebbe sembrato a suo agio in qualsiasi situazione.

Avrebbe voluto essere così anche lei. Poter padroneggiare la situazione.

Eppure Kitty, senza volerlo, era sempre al centro dell'attenzione di chi la guardava: o per amore, o per disprezzo.

E, volente o nolente, la sua innocenza la spinse a pensare a lui, nel suo letto a baldacchino, con una zanzariera che la preservava dalle punture e il caldo non così tanto soffocante come se l'era immaginato.

Cadde addormentata quando Tom si era appena coricato, ma ci fu un istante in cui le loro linee di pensiero trovarono una congiunzione.

 

Quando Kitty incontro Tom e i Fane a colazione, il giorno dopo, si sentiva intimorita a parlargli e allo stesso tempo era costretta da una forza di magnetica curiosità ad alzare lo sguardo e facendolo notava quanta energia contenesse quell'uomo che, persino a colazione, riusciva a portare l'attenzione di tutti su di lui senza nemmeno prodigarsi troppo. Anzi, lui non faceva niente, eppure irradiava una luce che era pari a quel sole di primo mattino.

Kitty e sua madre erano diventate golose di crepes marocchine, che non erano sottili come crepes normali ma erano dalla forma più consistente e ristretta con una consistenza un po' spugnosa, ma senza risultare stucchevole.

Kitty ci metteva sopra marmellata di mirtilli, con cui di tanto in tanto si sporcava le dita per poi portarle alla bocca, ignorando le lamentele della madre.

Suo padre non prestava minimamente attenzione alla madre e alla figlia, troppo occupato dal suo giornale francese – di cui si era anche lamentato: “possibile che in questo posto, frequentato da gente proveniente da paesi diversi, non ci sia un giornale in tedesco?.

Ecco, queste erano le grandi domande della vita per il dottor Richard Pfenning.

Kitty gli lanciava di tanto in tanto qualche sguardo disinteressato per poi tornare al suo cibo.

“Kitty, tesoro, ingrasserai se continuerai a mangiare così tanto” provò a parlarle la madre.

“La colazione è un pasto importante, mamma” disse.

Deglutì un'altro boccone di crepe.

L'arrivo di Tom era completamente inaspettato quando se lo ritrovò alle spalle.

“Buongiorno” disse con un sorriso che tendeva più dal lato destro del viso.

Baciò la mano a sua madre, strinse quella di suo padre. Con vigore, ma senza risultare fastidioso.

Si appoggiò con entrambe le braccia allo schienale della sedia di Kitty, che s'inclinò leggermente alzando la testa, per vederlo in faccia.

Quel giorno lei aveva due bellissime treccine arrotolate fino a diventare due chignon fermati sulla testa da molte forcine; i suoi capelli ramati sembravano riflettere la luce.

“Signori Pfenning, io e i miei due compagni di viaggio, pensavamo di fare una gita qui intorno. Abbiamo una macchina e un autista francese che ci accompagnerà. Mi chiedevo se Marie Katharina potesse avere piacere nell'aggiungersi a noi.”

Marie Katharina. L'aveva nominata per esteso: suonava buffo, ma al tempo stesso il tono con cui aveva incantato i suoi genitori con un tedesco perfetto, non le sembrava affatto buffo.

Un sorriso affiorò dalle sue labbra spontaneo, quando sentì l'invito provenire alle sue orecchie.

Vide sua madre un po' perplessa e sentì nascere in lei un sentimento di lotta per la conquista della sua felicità giornaliera.

“Ti prego, mamma!” Sorrise lei, già piena d'eccitazione, mentre nelle sue guance si delineavano le sue fossette.

I signori Pfenning concordarono.

Kitty sarebbe andata con Tom.



 

Si ritrovarono nell'atrio dell'albergo verso metà mattina: Kitty aveva una camicetta bianca che finiva in vita con degli intarsi ricamati e culminando con una gonna anch'essa candida e piuttosto ampia, dai tanti strati di pizzo e ai piedi, le calze alla caviglia, e un paio di Oxford bianche e blu.

In testa aveva un cappello con un che di maschile, intrecciato in paglia e con un nastro blu, le restava ampio davanti al viso e alcuni ciuffi rossicci le incorniciavano il viso cereo con le gote rosse di un'impeto di vivacità.

Al collo la sua collanina preferita: un cuore d'argento, di quelli che si aprivano e che al loro interno contenevano una foto dei propri cari, del proprio caro.

Quello di Kitty era vuoto.

Dott era piuttosto affettuosa con Kitty, per quanto fosse troppo impegnata a fare l'organizzatrice della situazione. Maxwell era rimasto in albergo.

Kitty si ritrovò a pensare quanto Dorothy potesse in realtà essere triste nell'essere sposata ad un uomo che non ama. Nonostante ci scherzasse sopra, Kitty era sicura che fosse sempre presente in lei quel velo di tristezza.

La ragazza osservava i bei lineamenti di Tom; gli occhi di quell'azzurro un po' ghiacciato, come quelli di Kitty, solamente che quelli di quest'ultima erano ancora più chiari. Erano frammenti di ghiaccio puro.

E i capelli biondi di Tom, pettinati con la riga di lato, gli davano ciò che per Kitty era e sarebbe sempre stato solo... Thomas Bartley.

I tre salirono su un auto decappottabile bianca e si avviarono verso il deserto.

Tom era seduto davanti, alla destra del guidatore, la guida francese, mentre Kitty e Dorothy stavano dietro.

Tom traduceva qualche nozione datagli dal francese.

L'aria calda accarezzava il viso di Kitty; stava bene.

La lunga strada di terra aranciata si estendeva davanti a loro per chilometri, aspettando solo di essere percorsa.

Stavano andando verso Tarifa e iniziavano ad intravedere il mare, dopo un percorso nell'entroterra.

“Potremmo farne altre di gite simili, non trovate? In fondo voi fanciulle siete di ottima compagnia!” Si affacciò Thomas verso di loro.

Dorey rise, accompagnata dal sorriso di Kitty.

Tom notò come Dott avesse assimilato quei modi di fare: le veniva spontaneo accentuare elegantemente la risata, mentre Kitty si limitava ad un sorriso, senza enfatizzare niente, a meno che non stesse veramente ridendo. E ciò significava che il suo interlocutore doveva aver fatto una battuta molto divertente.

Quando scesero dalla macchina, arrivati a Tarifa, Kitty era tutta contenta e un po' stordita. Durante il viaggio in macchina aveva parlato pochissimo: non in modo indifferente o sgarbato: era il tipo di persona che non attendeva altro che godersi i viaggi in macchina per veder scorrere il paesaggio davanti a sé, che cercava disperatamente i finestrini in treno, che voleva vedere tutto e non scordarsi niente.

Tarifa era una città molto bianca; davanti a loro si susseguivano una moltitudine di case dall'aria di essere fresche e accoglienti. Da un giardino interno scorsero un albero di fico e Tom ne rubò uno – ne prese solo uno scoprendo che ad entrambe le sue accompagnatrici i fichi non piacevano affatto.

“Tom, caro, non è che stai cadendo in disgrazia e non l'hai detto a nessuno? Ora deve pure rubare la frutta, povero bambino! Povero piccolo fiammiferaio!” Lo sfotteva Dorothy, abbracciandolo e baciandolo.

Kitty trovò adorabile questa forma di affetto. Le sembrava che si amassero talmente tanto e in un modo così forte... Non aveva mai assistito ad un legame d'amore così solido e al tempo stesso così impensabile.

Era abituata a pensare agli amanti quando pensava all'amore e invece era amore anche quello: quella forte, persistente amicizia.

Tom finì per camminare all'indietro per guardare entrambe le ragazze, tra un giro e l'altro.

“Ma che belle, siete tutte e due vestite di bianco!” Esclamò sorridente, per poi spostarsi al fianco di Kitty.

The white ladies...” continuò, accompagnato dagli sguardi di scherno di Dorothy.

Sounds quite nazi” commentò per poi essere accolta da una leggera insicurezza, guardando Kitty.

“Oh, mi dispiace” disse Dott, leggermente a disagio: condizione rara da trovare nella sua persona.

Tom era più che altro incuriosito.

“E perché?” disse Kitty, la voce limpida, languida.

“Be', mi pare che tua mamma sia tedesca...”

Kitty si mantenne distesa per poi portarsi un ciuffo di capelli dietro all'orecchio; le dava fastidio trovarsi in queste situazioni a causa della sua nazionalità, mentre gli altri le sembravano tutti così lungimiranti e moderni.

“Lo è, ma ciò non significa che sia nazista, cioè diciamo che gli ebrei non le piacciono tanto, ma non è questo il punto... Insomma, non tutti i tedeschi lo sono. E poi la Germania era in una situazione di grande povertà prima di Hitler, lo dicono anche i giornali britannici, no?”
Kitty si ricordava della sua visita a Stoccarda, nel Ventinove. Le era rimasta impressa e in quel momento non aveva detto niente, vedendo sua madre irata contro gli ebrei e che dava piena fiducia in un uomo chiamato Adolf Hitler, considerandolo un Cristo.

Il marito la lasciava fare, non gli importava gran che della politica.

Però Kitty si era convinta fosse meglio che qualcuno risollevasse l'economia di quel paese che aveva visto così ridotto in ginocchio, nonostante proprio non riuscisse a capire cosa questo centrasse con lo sterminio degli ebrei.

“Sì, be', è vero” concordò Tom, “forse qualcosa per la Germania stanno facendo.”

“Però non riesco proprio a capire come questo possa c'entrare qualcosa con gli ebrei: insomma, Hitler dice durante le campagne elettorali che la soluzione per l'economia tedesca è spendere soldi per uccidere gli ebrei che sono distruttivi per la razza ariana – aveva un tono di sbeffeggiamento quando lo diceva.”

“Cioè”, continuò, “promette di risollevare l'economia spendendo soldi per uccidere persone perché queste persone secondo lui impedisco al paese di essere ricco. Spendere soldi per avere più soldi. Cosa sperano di trovare dopo averlo fatto? Un folletto magico? That's uttlerly ridiculous!”

Tom la guardava interessato e Dott annuì soddisfatta entrambi non mancarono però la vena ironica di Kitty, che li fece sorridere.

“Però ne sai molto di politica, Kitty” commentò Dott.

“Ci credo, mia madre mi fa sentire ogni singolo discorso!” Rise la ragazza.

La guida nel frattempo li stava accompagnando verso un posto dove avrebbero mangiato e si sarebbero rinfrescati.

Vollero mangiare il cous cous marocchino con verdure.

Kitty aggiunse anche la carne al suo piatto perché, era super-hungry, come usava dire, con la sua voce lirica e un'impressione accigliata e un po' infantile.

La sua pelle splendeva viva, chiarissima, ma senza essere cerea: una bambola di porcellana dalle guance arrossate.

Mentre Thomas la osservava si rendeva conto di quanto fosse così in bilico tra l'essere una ragazza e l'essere una bambina, così, veniva osservata e apprezzata senza che se ne rendesse conto, in quel meraviglioso limbo dalla più viziosa sensualità.

Dott già programmava di andare alla spiaggia e Kitty era super-excited.

Il modo in cui aggiungeva quei superlativi continuamente era... Super-adorable!

Durante il pranzo Dott raccontò di come Tom si fece lasciare dalla sua fidanzata all'università.

“Si chiamava America, ti rendi conto! Ame-ri-ca! Un nome assai strano da portare in Inghilterra” commentò Tom.

“Be', infatti tutti la chiamavano Amy” rispose Dorothy.

“Amy è un nome carino... Come Amy di Piccole Donne”.

E qui veniamo ad un altro dei fantastici pregi di Kitty: l'abilità nel conversare.

Per quanto non eguagliasse Tom, lui ammetteva che sarebbe potuta diventare molto brava: le riconosceva che se la cavava in discorsi adulti, come l'egoismo di Catherine di Cime Tempestose e quello di Heatcliff che si differenziavano in capriccio e brutalità.

Aveva usato proprio queste due espressioni.

Inoltre era parecchio informata della situazione politica, nonostante ammettesse che non le interessasse granché.

“La politica mi annoia un po'” diceva.

“Be', io scrivo editoriali, di tanto in tanto” disse Tom.

“Ah” fece Kitty, abbassando lo sguardo con aria mortificata e portando alla bocca una forchettata di cous cous, che poi riappoggiò sul piatto.

Alla loro destra, dei musicisti avevano iniziato a suonare.

“Be', dev'essere interessante!” si ravvivò la ragazza con un sorriso.

“Sentire un'opinione personale rende più interessanti i fatti oggettivi”.

Tom annuì impressionato, con un'espressione... Impressionata.

My dear, la politica annoia anche me, spesso. Ma ci sono questioni più interessanti di altre.”

“Come per esempio la situazione con il proibizionismo negli Stati Uniti, la politica in Germania, la censura in Russia, le varie opinioni su Mussolini, la situazione politica in Cina.... Sfortunatamente non capita granché di interessante in Inghilterra” continuò.

Quando parlava e spiegava qualcosa non lo faceva con un'aria da saputello, ma con l'aria di una guida: Kitty trovò entusiasmante il modo in cui parlava.

Dott fingeva di essere annoiata, ma era impossibile non subire l'ascendente di Thomas Bartley.

Dopo mangiato visitarono il paesino che era un susseguirsi di candide case, di strade calde sotto il sole delle due. L'aria pesante li guidava nel loro percorso e il cielo coprente vegliava sui tre viaggiatori.

Non c'era tantissima gente in giro, il che rendeva tutto molto più piacevole.

Tom, Kitty e Dott parlarono del più e del meno finché tutto non si fermò per il momento del moezin.

Kitty trovò bello pensare che, in quel preciso momento, tutto il Marocco si riuniva in preghiera, fermando ogni attività.

Il canto riempiva Tarifa, arrivando ovunque. Il canto riempiva il Marocco, riempiva il mondo.

Se all'inizio Kitty aveva trovato un po' fastidioso svegliarsi nel bel mezzo della notte e sentirlo, ora era certa che le sarebbe mancato.




Si fermarono in spiaggia: il loro accompagnatore fu aiutato da Tom a sistemare dei teli e poi andò via, con l'accordo di tornare qualche ora dopo.

Il mare pieno d'azzurro si estendeva davanti al loro sguardo.

Kitty si tolse le scarpe e infilò dentro i calzini, per avvicinarsi alla riva, seguita da Dorothy.

L'acqua non diventava subito profonda, ma rimaneva bassa a lungo: il mare non era affatto calmo: le onde nascevano per poi morire all'impatto con la sabbia.

Kitty si allontanò un po', tenendo alto il vestito e l'acqua le arrivava quasi al ginocchio.

Guardò indietro, verso Tom che era rimasto seduto sulla spiaggia e, appoggiato su un fianco, teneva in mano un taccuino.

Poco dopo lui si alzò, guidato da un desiderio profondo e inestimabile e raggiunse Dott e Tom.

Thomas sapeva che non era amore e infatti non era niente di tutto questo. Non ancora.

Era solo che era impossibile restare indifferenti davanti a tanta spietata bellezza e lui, Dorothy e Katharina erano uniti da quella comune commozione che aveva attanagliato le viscere di molti prima di loro e non avrebbe mai smesso di farlo.

“Non è bellissimo qui?” Urlò Tom mentre un'onda inaspettata gli bagnò di troppo i pantaloni.

Dott e Kitty concordarono.

Quella donna infinitamente triste e così tanto ironica guardava Kitty con benevolenza.

“Cara, posso chiamarti Katharine? Katharina è veramente difficile e i soprannomi mi disgustano” disse lei, alludendo a Tom che sorrise.

“Oh, povera Dott” disse Tom, scherzosamente malinconico, “condannata ad essere chiamata con soprannomi e soprannomi! E lei li odia!”

Risero.

Nonostante i due fossero molto più adulti di lei, Kitty non si sentiva un pesce fuor d'acqua.

Usava considerarsi un essere umano ed era contenta che ci fossero persone che facessero altrettanto, essendo esseri umani e non numeri o banconote.

“Comunque”, iniziò Tom con impeto e tono proverbiale, “voglio inaugurare il tuo nome, Katherine... Con dello champagne!”

Detto questo corse a prenderlo dov'erano accampati.

Kitty era felice.

Quando Tom tornò con una bottiglia e tre bicchieri li alzarono “a Katherine, Dorothy e Thomas! E... All'umanità!”

Brindarono, risero.

Kitty pensò che non avrebbe potuto essere più felice di così.

Avrebbe voluto abbandonarsi alla limpida acqua, lasciarsi cadere, trasportata dal corso celeste.

In quel momento non provava quella fame spasmodica di eventi, novità.

Le sembrava che tutto fosse meravigliosamente bello così. Tutto lento e poi troppo veloce.

Tom le prese la mano e la baciò.

Non disse nient'altro. Si portò solamente la mano alla bocca e mentre lo faceva la guardava con affetto.

Fu allora che quello che Kitty sentiva, quell'attrazione, cominciò a trasformarsi in sentimento. Ancora non era amore e neanche per Tom, ma la premessa – che per Kitty era certezza – che lo sarebbe diventato le dava un trasporto che non aveva mai provato per niente e per nessuno.

E Tom che l'aveva già provato si limitò a guidare lei e la prese per mano, sapendo che probabilmente nulla avrebbe potuto continuare, ma con sincera speranza e ardente desiderio.

Katharine, Thomas e Dorothy camminarono lungo la riva per ancora un po', il cielo che s'ingrigiva sempre di più.

Poi venne l'ora di tornare a Tangeri. 

 


 

Angolo Autrice.

Ed eccomi ad aggiornare! Sto tipo ballando il charleston dalla felicità per essere riuscita ad aggiornare in tempo. :')
Volevo fare una precisazione riguardo alla madre di Kitty: nella maggior parte di libri/film ambientati in quell'epoca i cittadini tedeschi vengono raffigurati o come dei fanatici impazziti o come dei nascondi-ebrei-nello-scantinato. Ecco, ai tempi c'era anche gente che si faceva i fatti suoi pur vivendo in una dittatura giusto per rovinare l'infanzia ai fan degli stereotipi - senza nulla togliere agli eroi che hanno messo in pericolo la loro vita per salvare quella di altri.
Quindi, sì, la famiglia materna di Kitty non è nazista per stereotipo, ma i motivi si capiranno nei capitoli successivi.
 Di nuovo mi scuso per la lunghezza immensa del capitolo e ho una tremenda paura di avervi annoiato. :-*
Spero che questo quarto capitolo vi sia piaciuto!
Continuerò ad aggiornare ogni martedì.
Un bacio e alla prossima.

 

Marlene Ludovikovna

 
   
 
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