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Autore: Sapientona    29/07/2014    10 recensioni
“Che ci fai per terra?”
“Mi ci hanno spinto.”
“Su, ti aiuto a rialzarti.”
“Ce la faccio.”
“Non fare il prezioso, rischi di morire dissanguato. Ti porto in infermeria.”
Quello fu il primo straccio di conversazione tra Percy Jackson e Nico di Angelo, in un corridoio affollato della Goode.
[Percy/Nico]
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Salve miei cari!
Sono davvero contenta che la storia sia piaciuta, davvero non lo immaginavo! Mi scuso per il ritardo (per i nuovi lettori: sono solita aggiornare piuttosto velocemente anche se non in modo regolare, già…), ma non riuscivo proprio a trovare l’ispirazione per questo capitolo. Anzi, mentre scrivo ho ancora la pagina Word immacolata…ma non temete! Con Frame of Mind – Tristam & Barken e Demons – Imagine Dragons di sottofondo, mi metto sotto e cerco di buttare giù qualcosa di leggibile;
Avrei intanto una domanda per voi: avevo pensato di aprire un blog su Tumblr, o un qualsiasi altro spazio se conoscete altri siti, dove vi aggiorno sulle FF, chiedo consigli, cosa ne pensate, e dove potrete scrivermi…:). Fatemi sapere cosa ne pensate, così provvederò poi a passarvi il link!  

P.S.: per questa ff sto usando uno stile un po’ diverso da quello che adotto solitamente…eppure non lo faccio di proposito, mi viene quasi spontaneo! Voglio dire, i capitoli sono organizzati a ‘spezzoni’, cioè piccole scene che raccontano un po’ di Nico e Percy e pensò che più o meno dal prossimo capitolo  la cosa cambierà, probabilmente mi sto facendo problemi solamente io, ma è una cosa nuova per me, perciò potreste dirmi se va bene così oppure fa schifo e dovrei cambiare? Grazie in anticipo a chi risponderà. <3


 
“Mi scusi per l’interruzione, prof. Dodds” la voce di Percy giunse chiara e forte nell’aula “Nico di Angelo deve venire fuori con me, è richiesto in presidenza.”
La professoressa alzò un sopracciglio, scettica “E perché avrebbero mandato te a prenderlo, Jackson? Non hai una lezione a cui andare?”
“Ora buca” sorrise strafottente l’altro imitandola ed inarcando il sopracciglio, “se non la conoscessi bene direi che me la vuole far pagare per gli anni d’inferno che lo ho fatto passare.”
“Va bene, va bene!” la professoressa congedò entrambi gli alunni con un gesto stizzito della mano, ed i due uscirono fuori dall’aula con gli occhi di tutti i presenti puntati addosso. Nico continuò a fissare la schiena di Percy mentre uscivano, preparandosi alla sfuriata che gli avrebbe fatto – insomma, non farsi sentire per tutte le vacanze natalizie e tornare con un livido violaceo proprio sotto l’occhio non era decisamente un buon bentornato, no? –, ma quello proseguì diritto per gli intricati corridoi della Goode con passo talmente deciso che Nico cominciò a pensare d’essere veramente finito nei guai. Ma per cosa? Era come un’ombra, ormai, in quel liceo: nessuno lo vedeva, nessuno lo sentiva e lui non accennava a voler cambiare quella situazione, gli stava bene a quel modo. Fu solo in un secondo momento, quando si ritrovò schiacciato contro un muro in uno sgabuzzino buio e puzzolente, che si accorse di essersi perso nei suoi pensieri e di non aver minimamente prestato attenzione a dove i piedi lo conducevano. O meglio, a dove Percy stesse andando.
Quest’ultimo aveva il viso pericolosamente vicino al suo, e sibilò “Nico, che accidenti ti prende?!”
Sulle prime il ragazzino non seppe che rispondere; “tranquillo Percy, tuo padre si è appostato vicino casa mia ed ha aspettato che uscissi per darmele di santa ragione!”. Non se ne parlava nemmeno, sapeva che l’avrebbe presa malissimo, e non voleva che facesse cose stupide per colpa sua.
“Non volevo che mi vedessi in queste condizioni…sono caduto dalle scale, a casa” mentì spudoratamente e si sentì un po’ in colpa per averlo fatto, ma decise di ignorare quella sensazione che gli attanagliava lo stomaco in una morsa strettissima. Allora il più grande lo guardò come se lo stesse prendendo in giro e sembrò sul punto di controbattere, ma probabilmente ci ripensò annegando in quello sguardo scuro che era diventato così familiare per lui, eppure così indecifrabile alle volte. Come in quel momento. Sembrava aver azzerato il cervello, le emozioni, ed in momenti come quello Percy desiderava poter in qualche modo salvare Nico di Angelo;
“Va bene…” sospirò infine, cedendo “però avresti potuto farti sentire, sai. Sono stato in pensiero, Neeks” lo attirò a sé e lo strinse forte, affondando il viso nella masso abnorme di capelli neri che si ritrovava in testa. Anche Nico si sciolse in quell’abbraccio, lasciò tutto il resto delle preoccupazioni fuori da quello sgabuzzino, lì erano solo lui, Percy, e gli attrezzi dei bidelli…beh, non era proprio il massimo, ma non gli importava.
E non immaginava che si sarebbe ritrovato lì più volte del previsto.
 
La situazione, da quel giorno, non migliorò.
I lividi aumentarono – Poseidone aveva imparato in fretta come agire, ora le macchie violacee si limitavano alle zone coperte dai vestiti – e le cose fra i due peggiorarono. Proprio quando sembravano avvicinarsi sempre di più, quando erano ad un passo da superare la sottile linea che separa amici da ‘qualcosa di più’ un nuovo livido faceva cambiare repentinamente idea al più piccolo.
Successe un pomeriggio di metà gennaio.
Percy invitò Nico a casa sua – “sono solo, vieni a farmi compagnia, Neeks?” –, e dopo averlo pregato in tre lingue diverse il ragazzino aveva accettato. Come poteva giustificarsi, se avesse rifiutato? “Ho paura che torni tuo padre, scusa.” Assolutamente no. Le cose sembravano andare piuttosto bene fin quando non si ritrovarono entrambi in ginocchio e con il fiatone sul letto del più grande. Si scambiavano baci appassionati, i movimenti dettati dall’euforia del momento e dal desiderio covato per fin troppo tempo, e fu proprio un movimento azzardato che rovinò tutto. Percy acchiappò i lembi del maglione nero di Nico e li tirò su.
Si bloccò, ancora col fiatone e gli occhi scuriti per via dell’eccitazione, e rimase sbigottito a fissare il torso del ragazzo davanti a lui ricoperto di lividi violacei, alcuni più scuri ed altri più vecchi che andavano sbiadendo. Nico si tirò giù il maglione con una mossa repentina e corse via. Percy era fin troppo scioccato per seguirlo, e quando si decise ad alzarsi si ritrovò sul porticato ad osservare la figura ormai troppo lontana del ragazzo che amava correre via. Via da lui.
 
“Non possiamo stare insieme.”
Quelle parole risuonarono nelle orecchie di Percy e fecero più male di quanto avrebbe potuto immaginare. Ripeté quella frase nella sua mente più volte, poi trattenne Nico per un polso “Perché?”
La voce ferita e lo sguardo deluso colpirono il più piccolo come un pugnale al cuore, ma non rispose. Non sapeva cosa rispondere, semplicemente.
“Io posso aiutarti, Neeks. Lo sai.” Percy allungò una mano per carezzargli una guancia, ma l’altro si ritrasse e cercò di non far crollare la maschera di impassibilità che aveva imparato ad indossare quando non voleva parlare con suo padre dei suoi ‘problemi’, quando non voleva far scoprire a sua nonna Demetra di non aver mangiato i cereali – ma quello era diverso. In quel momento, davanti a quegli occhi verdi e quelle labbra che chiamavano le sue sentiva che quella maschera si sarebbe rotta di lì a poco, ed avrebbe ceduto al sapore invitante della bocca morbida di quel ragazzo, entrato nella sua vita per caso.
“E’ troppo complicato, Percy” si limitò a dire, scuotendo appena il capo “è meglio per entrambi.”
Con uno strattone abbastanza forte da liberarsi della presa si voltò ed uscì da quello stesso sgabuzzino in cui si era ritrovato appena due settimane prima. Quando pensava ancora che le cose con Percy sarebbero potute migliorare. Lì nacquero le sue speranze e lì morirono.
 
Nico fu bravissimo ad evitare Percy nei sette giorni seguenti.
Non si fece vedere da nessuna parte, sembrava essersi volatilizzato, eppure alla fine delle lezioni era sempre nel cortile e gli rivolgeva un piccolo sorriso.
E Percy moriva ogni volta.
Un giorno, alla fine delle lezioni, quest’ultimo mandò un messaggio a Nico: ti aspetto a casa mia, voglio parlarti.
Ovviamente il più piccolo, indispettito da quell’ordine – io non prendo ordini da nessuno, si era detto con convinzione durante il tragitto per tornare a casa – non si presentò a casa dell’amico, così fu proprio Percy ad andare a casa di Nico. Si precipitò in camera sua dopo essere stato trattenuto per venti minuti buoni da suo padre, Ade, urlando “Nico!”
Il più piccolo si mise subito a sedere sul letto, guardandolo sbigottito “Che ci fai a casa mia?!”
Percy sorrise e chiuse la porta, poi si mise a sedere vicino a lui e prese le mani più piccole e chiare nelle sue “Ci ho pensato…preferisco averti come amico, che non averti per niente.”
Nico sentì gli occhi pungere e notò l’espressione di Percy cambiare da speranzosa a mortificata “No…non volevo farti piangere, ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No, no” scosse la testa l’altro, cacciando indietro le lacrime “allora, hai conosciuto i miei, suppongo.”
“Solo tuo padre” Percy rabbrividì appena, facendo sorridere il quattordicenne “mi ha tenuto ben venti minuti lì sotto. Mi ha fatto domande sulla mia famiglia, cosa vorrò fare da grande. Solo alla fine il mio nome. Quando gliel’ho detto ha alzato un sopracciglio ed ha detto ‘oh, allora sei tu il famoso Percy. Sali pure.’” Nico ignorò la pessima imitazione della voce di suo padre ed arrossì fino alla punta dei capelli, chiedendosi come diamine avesse fatto a sapere dei suoi sentimenti per – Bianca. Brutta impicciona. Gliene avrebbe dette quattro, o forse anche cinque, poteva metterci la mano sul fuoco;
“Io non ho dimenticato.”
La voce improvvisamente seria del più grande lo riscosse dai suoi pensieri e lo guardò interrogativo.
“Non ho dimenticato i tuoi lividi…ti va di parlarne?”
“Non ora, ti prego” la voce supplicante di Nico fu abbastanza da far arrendere il più grande. Almeno per il momento.
 
“Percy, ne abbiamo già parlato ieri–” le proteste di Nico vennero soffocate dalle labbra del più grande premute con insistenza sulle sue. Si trovavano di nuovo in quello sgabuzzino buio, nel bel mezzo delle lezioni, col rischio di essere beccati e di essere sospesi. Percy si limitò a grugnire e posare le mani sui fianchi di Nico, premendo il suo corpo contro quello più piccolo e godendosi ogni secondi di quel contatto che, lo sapeva, sarebbe stato interrotto di lì a poco. Nico si morse il labbro e poi lo spinse via bruscamente “No, no, no,” scosse la testa con veemenza “non va bene, non succederà più.”
“Giusto,” ripeté poi Percy “non succederà più.”
Eppure sapevano entrambi che l’avrebbero fatto di nuovo.


 
 
  
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