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Autore: sheisaflame    30/07/2014    4 recensioni
Alcune persone sono terrorizzate dall’idea di essere felici, per il semplice fatto che aspettano costantemente che qualcosa di catastrofico si abbatta sulle loro vite.
Cherophobia, la paura della felicità.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nota dell’autrice: l’ambientazione ed i personaggi si ispirano a luoghi e a persone reali. Le vicende sono in parte ispirate a vicende realmente accadute, con diverse eccezioni. Alcuni termini tipici dello slang americano non sono tradotti in italiano.

Tina


Tina apre gli occhi e sorride, come sempre.
Tutti i suoi amici si chiedono come cazzo faccia una persona a sorridere nel sonno. Tina scrolla le spalle e piega la testa di lato, risponde “saranno gli antidepressivi”. Nessuno sa che in realtà Tina ha smesso di prenderli, quegli antidepressivi. Nessuno tranne James. Tina gliene ha venduti una mezza dozzina la settimana scorsa. E Linda, ovviamente. Linda che, guarda caso, è già uscita a comprare la colazione. Chai Tea Latte e bagel con formaggio per se stessa, caffè allo zenzero e muffin ai mirtilli per l’amica.
Tina stiracchia il corpo nudo e pallido e decide che è il momento di alzarsi. Attacca il cavo dell’iPhone allo stereo di Linda e sblocca lo schermo con le sue dita minuscole. Sempre la stessa canzone, ogni fottutissima mattina. Find Your Cloud, di Papadosio. Il volume è altissimo, assordante, ma a Tina non interessa. Sono abituate, le altre ragazze del dormitorio A ala Ovest. Sono abituate a quella musica del cazzo che risuona alle sette e venti ogni giorno, quella musica che non ha senso, quella musica che solo quella stramba di Tina potrebbe mai ascoltare.
Il getto bollente della doccia e l’odore familiare di shampoo al miele la svegliano del tutto. Canta, Tina, e c’ha pure una gran bella voce, glielo dicono sempre tutti. Al liceo aveva preso parte a tutti i musical, dal suo freshman al suo senior year, ed era brava, bravissima.
“Perché non ti scrivi alla facoltà di musica?” domanda che la bionda riceve costantemente. E lei, con un sorriso sulle labbra, risponde sempre allo stesso modo “perché voglio fare la psicologa”.
Tina vuole fare la psicologa perché gli psicologi di oggi le stanno sui coglioni. Tina vuole fare la psicologa perché è stata ed è ancora un’adolescente disastrata e potrebbe aiutare altri adolescenti disastrati ad essere meno disastrati. Tina vuole fare la psicologa perché vuole capire cosa c’è che non va in lei.
Si veste in fretta, indossa una gonna lunga e grigia di cotone ed una canottiera che lei stessa ha dipinto nel garage della sua vecchia casa. Niente reggiseno, come al solito, Toms bianche ai piedi. Non si asciuga mai i capelli, Tina, e neppure perde tempo a truccarsi.
La porta della stanza 309 si apre e Linda fa il suo ingresso imprecando. Nulla di strano.
“Hanno aumentato ancora il prezzo dei bagel! Un dollaro e novantanove centesimi per un pezzo di pane con del formaggio spalmabile in mezzo, ti sembra plausibile? Però, ovviamente, i docenti ne pagano uno, di dollaro!”
Tina alza gli occhi al cielo. Linda ed il suo senso di giustizia del cazzo.
“E perché li compri, allora?” chiede alla sua migliore amica. La sua migliore amica dai capelli lunghi e ricci e dagli occhi scuri e caldi, la sua migliore amica aspirante scrittrice, con una major in giornalismo ed una minor in lingue occidentali, la sua migliore amica che ora le ha rivolto un’alzata di dito medio.
“Perché sono un’ipocrita, okay?” Linda sbuffa, sorseggiando il suo Chai.
“Okay.” Tina ride, addentando il suo muffin ai mirtilli.
Si osservano, si studiano, come se già non si conoscessero abbastanza. La bionda e la mora, le inseparabili due. La bionda con la sua insonnia, la mora coi suoi incubi. La bionda ed il suo narghilè alla doppia mela, la mora e le sue American Spirit. La bionda con la sua depressione, la mora coi suoi mal di testa cronici. La bionda e la sua passione per i mori, la mora e la sua ossessione per i biondi.
Tutto regolare, tutto combacia, tutto è al proprio posto, in quel sistema del cazzo che conoscono solo loro due.
“Vado a lezione”. Linda indossa la maglia dei Grouplove, quella che ha comprato all’ultimo concerto, grigia e verde.
Tina annuisce e non risponde. È una di poche parole, Tina. Tutti le chiedono come cazzo riesca a mantenere la calma in qualsiasi situazione, lei resta quasi sempre in silenzio e la maggior parte delle volte si accende anche una canna. Le piace, l’erba. Le è sempre piaciuta, sin da quando era una freshman al liceo. Quando nasci e cresci in una comunità di ottomila abitanti, la tua vita può facilmente trasformarsi in un inferno. Soprattutto se sei strana, e Tina lo è. Strana.
La mora le rivolge un ultimo saluto ed esce dalla stanza, e la bionda si chiede quando sarà l’ultima volta che la vedrà. Perché lei lo sa, e lo sanno anche gli altri, che Linda combinerà qualcosa nella sua vita. “Qualcosa, sì, ma cosa?” chiede lei ogni volta che qualcuno le fa notare quanto sia intelligente, quanto sia brava, quanto sia indipendente. E Tina non può fare a meno di sorridere pensando che lei, invece, Cincinnati non la lascerà mai. Perché questa città sporca è la sua, perché i graffiti rovinati dalla pioggia, i vicoli poco illuminati, i bar che puzzano di vomito, i divani abbandonati per strada, l’Ohio River che sembra melma, perché tutte queste cose sono casa sua. Lei lo sa, e le va bene così. Come tutto il resto d’altronde.
Non ha voglia di uscire, oggi. Non ha voglia di Storia, di Religione, di Scienze Sociali. Non ne ha voglia eppure deve, perché chi lo sente suo padre, poi.
Il campus della UC, University Of Cincinnati, fa proprio cagare. Eppure, per qualche strano motivo, a Tina piace. Le piacciono gli edifici grigi e marroni, i prati secchi, i campi da tennis sempre vuoti. Cammina e si guarda intorno, fino a che non raggiunge l’edificio della MED School. Aula con pareti scrostate, banchi troppo piccoli, sedie unte. Tina prende posto in una delle file centrali e chiude gli occhi, riaprendoli solamente quando si accorge che qualcuno si è seduto al suo fianco. Insolito, di solito gli altri studenti la evitano come la peste.
“Hey.” È un ragazzo magro, non troppo alto, con la pelle olivastra ed una barba leggera a ricoprirgli il viso spigoloso.
Tina lo osserva senza proferire parola. Lui fa lo stesso, sfoderando uno sguardo stranito.
Socchiude le labbra come per dire qualcosa, ma l’entrata del professore in classe gli impedisce di continuare.
Tina è sollevata. Non le piacciono, le persone. O meglio, le piacciono solo determinate persone. Quelle che frequenta tutti i fottutissimi giorni della sua vita, per dirci, quelle che non la tradiranno mai, quelle che la conoscono, che sanno come prenderla. Perché devi sapere come prenderla, questa bionda minuta e dagli occhi grandi. Devi sapere che non le piace essere toccata, che non le piace il contatto visivo, che non le piacciono le mani grandi, che non le piacciono i profumi forti, che non le piace la birra. Devi sapere che non devi chiedere mai perché, a Tina, perché i perché fanno male, perché i perché conducono a troppi ricordi.
La lezione finisce in un baleno, e Tina si alza in fretta, negando al ragazzo dagli occhi neri l’occasione di presentarsi. O anche solo di sorriderle.
La giornata sembra volare, e lei è felice. È venerdì.
“Hey!” una voce alle sue spalle. Non ha neanche bisogno di voltarsi, Tina, sa già di chi si tratta. Lo attende fermandosi nel bel mezzo del corridoio.
“Hey,” ripete lui, per la terza volta in poco più di un’ora.
“Hey,” risponde Tina. La reazione del ragazzo la sorprende, facendola ridere. Ha gli occhi sgranati, occhi gentili, occhi di una brava persona, occhi di chi non si aspetta nulla. Tutto ciò che lei non è e che vorrebbe essere.
“Ehm…scusa, non sono riuscito a presentarmi prima…”
“Non devi giustificare il mio essere una stronza, non preoccuparti.”
“Oh,” il ragazzo sorride timidamente. “Beh, io sono Aidan.”
“Tina,” continua a guardarlo, ignorando la mano tesa di fronte a lei.
Apre la sua borsa di tela e ne tira fuori un pacchetto di sigarette rubato a qualcuno dei suoi amici. Inizia ad incamminarsi verso l’uscita, la bionda.
“Che fai, vieni?” dice ad alta voce. Passi veloci al suo fianco. Sorride.
Si accende una Spirit mentre si dirige verso il Gettler Stadium. Ha fretta, Tina, fretta di sedersi in cerchio circondata dalle persone che ama di più al mondo, fretta di ridere, fretta di ignorare il tremore alle mani che caratterizza ogni ora della sua giornata, fretta di sentire i polmoni aprirsi, fretta di poter smettere di fingere.
Li vede, e quasi vuole correre. Si dimentica del moro di Statistica ed accelera il passo, col viso che finalmente si distende in modo familiare.
Scorge Linda, per prima. Seduta a terra e con una sigaretta già accesa tra le labbra, diversi mozziconi sotto la suola delle Converse bianche.
“È arrivata Psycho!” esclama la mora appena si accorge dell’arrivo della sua migliore amica, usando l’appellativo che le è stato affibbiato da James.
Tina alza gli occhi al cielo e si accomoda al fianco di quest’ultimo, portandosi le ginocchia al petto com’è solita fare. Lui si volta nella sua direzione e le rivolge un sorriso.
Ci sono tutti, ma proprio tutti.
Molly è stesa, lo sguardo perso, la testa tra le nuvole. Chissà cosa cazzo si è sciolta sotto la lingua stamattina.
Stuart sta parlando con qualcuno al telefono, i suoi mille anelli che risplendono grazie alla luce del sole, riflettendo la sua ricchezza sfacciata.
Caleb ride per qualcosa che ha detto Linda. Come sempre, d’altronde. Ride e basta, per lui la vita è esattamente come uno dei suoi videogiochi di merda. Uno scherzo.
Emma morde una pellicina ormai staccatasi dal pollice della sua mano magra, scheletrica. È più pallida del solito.
Samuel ha un libro sulle ginocchia e legge, probabilmente preparandosi ad un esame che dovrà sostenere nel prossimo secolo.
E poi c’è il ragazzo di Statistica che si schiarisce la gola, visibilmente a disagio.
“E lui sarebbe…?” Linda lo scruta con quei suoi occhi furbi e con quella sua faccia da stronza che si ritrova.
Tina alza gli occhi al cielo. “Albert,” pronuncia il primo nome che le viene in mente che inizia con la lettera A.
“Veramente…” prova a correggerla lui. Il tentativo è vano.
“Albert! Qual buon vento!” Caleb si alza in piedi, stringendo la mano al moro.
Emma gli sorride in modo pacato, Stuart neanche si spreca a rivolgergli la parola, James continua a fissare Tina, Samuel si accende una sigaretta, da Molly nessun segno di vita.
“Siediti pure!”
Rimangono così per un po’, ognuno perso nei propri pensieri, nei propri problemi.
Fino a che “Albert, ti piacciono le scommesse?”
Tina si morde l’interno della guancia. La giornata sta per prendere una piega interessante.

  
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