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Autore: Some kind of sociopath    30/07/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Capitolo eliminato per essere riveduto e corretto a tempo di record. Scusatemi, ehw.

"Dow il Nero diceva sempre che l'unica cosa migliore di una battaglia era una battaglia e poi una scopata, e Brivido non poteva dire di dissentire."
– Joe Abercrombie, Il sapore della vendetta.
 
Appena usciti, Thomas si accasciò sul muretto che circondava lo spiazzo di Fort Hill, la testa tra le mani. – Gesù – grugnì tra le dita. – Non va bene così. Non va bene. – Si ravviò i capelli, sputando a terra con frustrazione. – Non abbiamo ottenuto niente, porca puttana! – Scattò in piedi e colpì la terra brulla con un calcio, sollevando una nuvola di polvere. – Niente di niente.
Sospirai mentre prendevo il posto che aveva appena liberato e reclinai il capo. Aveva ragione, alla fin fine, ma non sono mai stato uno che si arrende così facilmente. – A parte Charles.
– Charles! – Thomas allargò le braccia, gli occhi sbarrati iniettati di sangue. – Per grazia di Dio, capo, che diavolo ce ne facciamo di Charles? È merce di scambio! Non otterremo niente da lui, e lo sai benissimo!
Non risposi. Lo sapevo, diavolo. Certo che lo sapevo. – Ma tu… – Si passò una manica sulla bocca, come se volesse liberarsi delle parole. – Tu vuoi andarci lo stesso, dico bene? A New York.
Mi conosce proprio bene. – Un mio informatore vive lì. Potrebbe avere qualcosa da dirci. E poi…
– Dio santissimo, allora proprio non vuoi capire! – Thomas mi si parò davanti e fece per afferrare la redingote. Pareva volesse tirarmi in piedi come una delle sue puttanelle. Gli puntai contro la pistola, gli occhi freddi nei suoi.
Immediatamente sbuffò, rispondendo con un gesto frustrato. – Capisco che tu voglia andare da lui, va bene? Dico solo che è inutile. Perché esporci a un pericolo simile? Arrivare lì solo per… perché tu vuoi scambiare due amichevoli chiacchiere con Charles? No. Io non ci sto.
Roteai gli occhi e gli mollai una spinta a palmo aperto. D'istinto. Lo vidi indietreggiare per la sorpresa, agitando le braccia come pale di un mulino. – Qual è il problema, maledizione? – Mi alzai con la pistola stretta nel pugno, la voce resa un sibilo iracondo. – Preferisci restare qui in panciolle? Ragiona, testa di cazzo che non sei altro. – Non mi ero rivolto spesso a lui in quel modo, e forse non l’avrei mai fatto, ma che diavolo aveva contro Charles? Mi nascondeva qualcosa? Complotti ovunque. Gesù, ho bisogno di dormire. – Se Charles è stato preso dai soldati significa che era in servizio. Mi segui, giovane genio? E se Charles era in servizio, di grazia, dimmi un po’ tu che cosa potrebbe mai significare! – Girai su me stesso con un movimento un po’ melodrammatico, ma, diavolo, quel ragazzetto spocchioso cominciava a innervosirmi.
Thomas, dal canto suo, prese un altro sospiro, sollevando l’ampio petto. – Che Reginald voleva fosse lì – mugugnò senza voglia.
– Esatto! – esclamai di rimando. – Reginald voleva fosse lì. Voleva fosse catturato. Quindi, Thomas Hickey, non mi importa niente di quello che dici o pensi in quella tua testolina da sciupafemmine – esclamai mollandogli una stecca sulla fronte, – ma io andrò in quel forte a parlare con Lee. E tu verrai con me. Intesi?
Tom sollevò gli occhi al cielo, esasperato. – Intesi. - Finalmente. - Ma non subito.
– Perché? – chiesi con mezzo sorriso. – Che cos’hai da fare?
– Niente – biascicò, le mani affondate nelle tasche. – Però mi avevi promesso un’uscita. Sai da quanto non frequento una puttana di Boston, capo?
Sollevai le mani in segno di resa, scrollando il capo mentre un sorriso si allargava sulla sua faccia. – D’accordo – bofonchiai. – D’accordo. Stasera. – Mi passai le mani tra i capelli. – Credo di averne bisogno anche io.
 
Di tutti gli uomini che ho conosciuto nella mia vita, ho sempre considerato Thomas Hickey il più grande degli esperti in bordelli e puttane. Be’, sarà anche un grande intenditore di prostitute, ma certamente non lo era di bordelli: mi trascinò nei peggiori tuguri di Boston, attraverso vicoli sudici, affiancati da canalette straripanti letame, catapecchie fatiscenti senza vetri alle finestre e piani superiori di taverne sull’orlo del fallimento. Forse dietro quei separé zozzi si nascondevano le donne più sensuali delle Colonie, ma tendo a essere un po’ conformista quando si tratta di sesso a pagamento. – Thomas – lagnai quando m’indicò con un cenno del capo un vecchio edificio in legno che pareva sul punto di crollare, con un paio di gatti in calore piantati davanti alla porta e una fila di topi in fuga da chissà quale pericolo imminente. E se scappano anche i topi... – Non sapevo fossi diventato così tirchio. – Dovetti stringere i pugni per rimanere calmo. Non mi restavano molti uomini, e se persino Thomas si rivoltava contro le mie scelte ero seriamente messo male. Per quanto fosse scomodo, dovevo tenermelo stretto, e urlargli contro per ogni cretinata non credo fosse il modo giusto per farlo. In più, Tom non era tipo da farsi sottomettere tanto facilmente. A meno che non indossassi una giarrettiera, e anche così doveva essere difficile. Non sarei stato molto convincente con tutti quei peli sul petto, là dove avrebbero dovuto esserci i seni. – Davvero non conosci niente che sia un po’ più di classe? Non che voglia sminuire questo posto, eh. – Soppesai il borsellino in mano, lasciando che il tintinnio arrivasse come musica alle sue orecchie. – Andiamo, per una volta che offro io. Non ti sprecare, Hickey.
Lanciò un’occhiata sconsolata alla struttura decadente, quindi scrollò le spalle con noncuranza. – E sia – esclamò, prendendo a costeggiarla con la mano tesa verso di me. – Forza. Se vuoi un posticino un po’ più sofisticato dovrai sborsare. Sei diventato schizzinoso, dopo l’indiana.
Una morsa mi serrò la bocca dello stomaco mentre tutti il sangue defluiva dal mio viso. Sapendo ciò che aveva fatto aveva persino il coraggio di nominarla? Di parlarne come se non fosse mai successo niente? Dio. La voglia di stringere le mani sul suo collo era fortissima, impossibile da ignorare. – Almeno t’è piaciuto? – ringhiai senza riuscire a trattenermi. Avevo le mani poggiate contro la parete in legno marcio del bordello nel tentativo di rimanere eretto.
Thomas si voltò con un sorrisetto sfrontato e menefreghista. – Altroché – gli scappò. Pregai con tutto me stesso che fosse così, che gli fosse scappato.
Improvvisamente l’espressione gli si gelò sul volto. – Volevo dire… capo, io…
– Va’ avanti – grugnii scaricando il peso contro l’edificio mezzo crollato. – Ti raggiungo. – Respiravo a fatica, il petto come pieno d'olio di pietra. Mi lasciai cadere a terra seduto, la testa stretta tra le mani e le palpebre tremanti sugli occhi umidi. Che cosa faceva più male, le immagini di ciò che un nemico aveva fatto a me o gli atti di un sanguinario che mi sforzavo di chiamare fratello nei confronti della donna cui tenevo di più? Il petto s’alzava e s’abbassava al ritmo del mio respiro ansimante e i particolari di quella scena – di come doveva essere andata – correvano davanti ai miei occhi, dolorosi, pungenti, sicuramente più cruenti che nella realtà. Doveva essere andata meglio di come immaginavo.
Ma perché? Perché mai la vita avrebbe dovuto farmi un favore, eh? – Capo… per favore.
Ancora la sua voce. Era ancora lì, per portarmi  in un bordello. Un bordello dove avrei potuto – dovuto – sfogarmi. Forza. Devi essere forte. – Thomas – sussurrai – dammi qualcosa da bere. – In cosa trova la forza chi non crede in Dio, se non nel familiare calore alle viscere dell’alcool? Tesi una mano, la testa ancora bassa e i polpastrelli premuti sulle palpebre, finché Tom non chiuse le mie dita attorno al metallo gelido della fiaschetta. – Grazie. – Ingollai un paio di sorsi brucianti – Che razza di liquore di merda beve? – e scrollai il capo per scacciare quelle immagini terrificanti. Nel tendere la fiaschetta al mio socio, lui mi strinse l’avambraccio e mi aiutò a tirarmi su nonostante non gliel’avessi chiesto. Le mie nobili intenzioni erano quelle di restare lì seduto finché il cuore non avesse rallentato il proprio battito. – Andiamo. Mi dispiace ancora, capo. Scusa. – Thomas mi diede una pacca sulle spalle che somigliava più a una spinta gentile.
Non voleva che mi calmassi, anzi, voleva che il mio cuore scuotesse le costole con più forza, ma non per la rabbia o il dolore. Per l’eccitazione. La libidine.
Mi passai le mani in faccia, spintonato come un bambino restio dal vecchio Tom. Ne avevo proprio bisogno. Proprio bisogno.
 
– E per il compagno d’arme Haytham Kenway, che mi ha offerto una serata con le migliori puttane della vostra magnifica città… hip, hip… urrà! – Thomas Hickey levò a fatica il boccale verso il soffitto, affondando immediatamente la faccia tra i seni di una prostituta.
Sorrisi, tracannando un sorso di birra. Ci eravamo faticosamente trascinati fino alla taverna solo perché Thomas pensava di aver bisogno di un bagno. Nella mezz’ora che aveva passato immerso nell’acqua bollente con un sigaro tra le labbra, io mi ero seduto sul letto con la testa tra le mani, osservando di sbieco i miei nuovi carcerieri, incazzati più che mai. Non dico che non avessero i loro motivi, solo che non avevamo fatto niente di male. Eravamo ancora lì a sopportarli per quella causa del cazzo, solo perché la scelta – almeno per me – era tra loro e Birch. E sapevo perfettamente quale fosse il male minore.
Oltre a London, che mi squadrava rigido come se avesse una mazza di scopa infilata nel culo, c’era un ragazzino tremante poggiato allo stipite della porta, tutto impettito nel tentativo di incuterci timore. Non l’avevo mai visto prima, doveva essere una recluta fresca d’indottrinamento da parte di Achille, Connor e compagnia cantante. – Andate a puttane, eh? – aveva chiesto, nel banale tentativo di dare inizio a una conversazione virile. Avevo aggrottato la fronte. Magari ha anche una sirena con le tette al vento tatuata sul petto. Idiota.
– L’idea era quella – era stata la mia risposta.
A quel punto London si era piazzato con le gambe divaricate davanti alla porta, come il guardiano imperscrutabile di un santuario. – E cosa vi fa pensare che vi permetteremo di andarci?
Perché non mi lasciate tutti in pace, cazzo? Non ne comprendevo proprio il motivo. Avevo bisogno di mettere piede in un bordello. Bisogna essere realista, certe volte, e l’unico modo per togliermi dalla testa una donna – almeno temporaneamente – era far sesso con un’altra. Anche se non era la mia donna, non quella che amavo. Poteva esserlo nella mia fantasia.
Però, si sa, gli Assassini sono noti per la loro insistenza e l’idiozia, non credo avrebbero compreso questa spiegazione psicologica. Oh, sì. Ha una certa psicologia. Maschilista, d’accordo, e parecchio anche, ma pur sempre una psicologia. – Il fatto che pago io – avevo biascicato passandomi una mano in faccia. Non riuscivo a immaginare Thomas con un’espressione sul viso che non fosse di soddisfazione post-scopata. Maledizione. – Ci seguirete passo passo pensando di scroccare un servizietto? – London, in risposta, mi aveva grugnito contro, per poi voltarsi e andare a sbattere il pugno chiuso contro la porta del bagno. Avevo reclinato il capo contro il muro mentre il ragazzino poggiato alla porta si umettava le labbra, pronto a mostrare tutta la propria mascolinità.
Mi ero lasciato sfuggire uno sbuffo. Perché non potevo essere come Thomas Hickey, senza – o quasi – limiti dettati dalla moralità? Aveva stabilito il suo limite – impiccare un dannato bambino –, ma non sembrava mai davvero pentito delle sue azioni passate, non fino in fondo. Aveva un proposito ottimo, ma impossibile da mettere in atto. Non uccidere più nessuno? Sì, e io ero un venditore di Bibbie.
– Esci di lì, coglione! – aveva urlato London, spingendo un caracollante Thomas all’interno della nostra stanza; rideva come se avesse fatto il bagno nel whiskey, una camicia lavata di fresco poggiata sulla spalla e i calzoni sfibbiati.
Sembrava proprio pronto per una serata di sesso, non c’è che dire. – Coglione lo dici a qualc-… – Prima che Thomas avesse avuto il tempo di finire la frase London aveva chiuso la porta con un fragoroso schianto. – ‘Fanculo! – Il grido di Tom, seguito dall’impatto del suo petto contro il legno, aveva reso l’intera scenetta piuttosto patetica.
–Dio santissimo – avevo grugnito afferrandolo per il braccio, – si può sapere che cazzo hai bevuto?
– Acquavite, capo. E che te ne fotte, comunque? – aveva risposto Thomas, scrollandomi di dosso e infilandosi la camicia. – Mi diventa duro più facilmente quando bevo. Qualche problema? – Stava ringhiando proprio a pochi pollici dalla mia faccia. Eh, già. Acquavite.
In risposta avevo scrollato le spalle. – Sai, Thomas, non ero esattamente ansioso di saperlo. Vestiti e andiamo, d’accordo? – Il grugnito che aveva emesso mi era sembrato una risposta sufficiente, così ero tornato a sprofondare nel materasso. Non riuscivo a togliermi dalla testa gli occhi di Tiio. Il suo sguardo triste e determinato mentre trascinavano lei e gli altri membri della sua tribù, suoi amici, magari anche suoi familiari, dritti verso la schiavitù. Avevo adorato quello sguardo. Sembrava che avesse sempre avuto un piano e, anche se io non fossi stato lì, sarebbe riuscita perfettamente a trarre in salvo tutti gli schiavi. Anzi, mi guardava come se potessi creare un ostacolo.
E non ero stato altro, in un certo senso. Uno stupido ostacolo. Non fosse stato per me sarebbe stata viva. Forse schiava, forse senza figli, forse stuprata da qualcun altro, ma viva. Me lo sarei fatto bastare. Ma i rimpianti non sono esattamente l’ideale prima di una serata a puttane. – Thomas – avevo esclamato con le mani sulle ginocchia, deciso a uscire da quella mezza depressione, – hai ancora un po’ di quell’acquavite?
Così avevo mandato giù un paio di grandi sorsi e, con i due Assassini a guardarci le spalle con la stessa pressante pesantezza di due schiavisti che si assicurano che il lavoro sia svolto alla perfezione, ci eravamo avviati verso uno dei bordelli più famosi e cari di Boston. Certo, tanto paga Haytham.
Eppure ne valeva la pena. Forse era stato merito del liquore, della scollatura che continuava a danzare davanti ai miei occhi o della penombra che occupava la stanza in cui io e Thomas stavamo stravaccati come dei re sui divani più comodi su cui avessi mai poggiato il fondoschiena, ma non potevo fare a meno di essere felice. Soddisfatto, con la camicia sbottonata e un dolore piacevole in mezzo alle gambe. London e il ragazzino erano poggiati contro la cornice della porta, come alla locanda, ma non m’interessava. Non c’era niente che potesse interessarmi più di una prostituta, in quel momento.
A questo proposito, la ragazza con una matassa di riccioli neri, sistemata quasi a cavalcioni sulle mie ginocchia, si leccò le labbra e slacciò la fibbia con un movimento rapido ed esperto. Non c’era musica, l’atmosfera era già creata dagli ansiti di Thomas. Si può ben dire che fosse un tipo diretto.
Vidi London sgattaiolare fuori dalla sala, richiamato da chissà quale impegno imminente, e annuì con un cenno verso la ragazza. Mentre quest’ultima scivolava verso il basso, pensai che sarebbe stato il momento perfetto per scappare, per sfuggire al loro controllo ed essere di nuovo liberi, senza che gli Assassini ci trattenessero per la collottola, impedendoci quasi tutte le azioni. L’unico ostacolo – ostacolo, Dio, mi viene da ridere a chiamarlo così – era la recluta. Difficile da aggirare, eh.
Da mesi – anni – avevo il loro maledetto fiato sul collo con il desiderio di liberarmene, davvero, e avevo la mia occasione. Scappare. Agire senza che loro sapessero tutto ciò che avevo in mente. Arrivare al forte, liberare Charles, magari. Fuggire per sempre e avere una vita pacifica, fuori dalle Colonie, a ovest.
Strinsi le palpebre. Era davvero realizzabile? E, soprattutto, aveva poi tutta quest’importanza? Ero braccato su due fronti, da Reginald, che mi cercava per il Grande Tempio, e dagli Assassini, che a loro volta non potevano lasciarmi cadere nelle mani sbagliate. La mia libertà di agire si sarebbe tramutata poi in una nuova prigionia, perché mi avrebbero preso, se non fossi morto prima. Quest’illusione – non era altro, in fondo – valeva davvero più di qualche minuto, qualche ora di dannatissimo piacere? Valeva più di una ragazza che mi si strusciava contro, di un paio di mani desiderate tra le gambe, di quell’alcolico e piacevole calore alle viscere, della sensazione di calma che mi riempiva il petto mentre fingevo per una notte, una sola notte, di essere un uomo normale, con l’unica preoccupazione di farsi sbattere da una giovane disinibita, sapendo di avere magari una moglie vecchia e stanca a casa, con cinque pargoli da sfamare e un lavoro sottopagato di merda? Valeva davvero più di tutto questo?
Mentre spingevo con delicatezza il capo della ragazza, aiutandola nei movimenti – come se ce ne fosse bisogno – decisi di no.
 
Thomas barcollò nel vicolo fuori dal bordello, dando spallate alle pareti e ridacchiando come se avesse appena sentito la battuta più divertente del mondo. Era soddisfatto, ubriaco e a stento si reggeva in piedi, ma ne era valsa la pena. Non mi sentivo tanto bene da secoli, e penso che a volte Hickey abbia ragione. Un po’ di sesso non ha mai ucciso nessuno. Certo, avevo la scarsella mezza vuota, ma niente a cui non potessi rimediare in breve tempo. I soldi non erano mai stati una mia preoccupazione. La fortuna dell’essere l’unico rimasto, pensai con un sorrisetto. Una battuta che da sobrio non avrei mai fatto, nemmeno tra me e me.
– Mi aspetto delle spiegazioni da te, Kenway – disse brusco London. Indicò Thomas con un cenno della testa e subito il suo fedele cagnolino si fiondò ad afferrarlo per un braccio, impedendogli di cascare dritto in una canaletta.
Risi. Hickey aveva appena colpito il giovane Assassino con una gomitata sullo zigomo. – Spiegazioni? – chiesi dopo un fragoroso sbadiglio. La notte era quasi passata, a est il cielo cominciava a tingersi di grigio mentre la città era ancora addormentata. Un soldato sonnecchiava, comodamente sbracato su una vecchia seggiola davanti a una locanda. Persino il lerciume a lato delle strade pareva brillare. Avrò anche bevuto troppo, ma, cazzo, quant’è bello. – Che vuoi, di preciso?
– Sapere perché avete avuto bisogno di accoltellare alla gola un mio confratello e che cosa avete ottenuto. – Mi prese per una spalla, puntandomi l’indice contro come un carceriere che tenta di spaventare il più pericoloso dei suoi prigionieri. Senza riuscirci. – Non succederà mai più. Ci siamo capiti? Vi seguiremo in ogni vostro movimento, e se solo ci provate un’altra volta giuro su Dio che…
– Mi spiace – lo interruppi scrollando le spalle con noncuranza. Il ragazzino non demordeva e aveva provato un nuovo approccio con Thomas, serrando la presa intorno alla sua vita e trascinandoselo dietro mentre scalciava come un mulo. – Ci serve che restiate buoni alla locanda un’altra… Gesù, come si chiama quel povero idiota?
London guardò la patetica scenetta e lanciò un sospiro sconsolato. – Tyler. L’abbiamo trovato dalle parti di Augusta. Brutta zona. Quell’idiota di Brown e i suoi l’hanno quasi ammazzato, dobbiamo ritenerci fortunati. Da un po’ troppa aria alla bocca, ma sta dalla nostra parte. – Deglutì faticosamente, continuando ostinatamente a non spostare lo sguardo. – Casa sua era stata data alle fiamme. Genitori, un paio di sorelle e forse anche dei bambini piccoli. Una maledetta strage. – London sputò un grumo di saliva a terra in un gesto frustrato, quindi tornò a pensare alle cose davvero importanti. – Torniamo al nostro discorso, eh, Kenway? Che cosa stavi dicendo?
Sbuffai con le mani nelle tasche della redingote. Tyler era proprio un caso disperato. – Siamo andati da Cornwallis, a Fort Hill. Non vi avrebbero mai fatti entrare. Le giubbe rosse hanno occhi e orecchie ovunque, e la vostra patetica Confraternita è stata così indiscreta che persino un cieco avrebbe capito che voi c’entrate con tutta la protezione messa attorno a Washington. – Sanno persino di me, che non sono sprovveduto fino a questo punto. Vuoi che non abbiano notato voi idioti? – Il generale ci ha offerto… – Mi morsi le labbra, fermandomi sul più bello e simulando un colpo di tosse per far funzionare il cervello.
Ero a un bivio, come sempre, e come sempre non potevo rischiare. Mi restavano troppi pochi fedeli per poterne sacrificare anche solo uno. E non so nemmeno se Lee mi sia davvero fedele. Dannazione. Sapevo esattamente cosa sarebbe successo se gli Assassini avessero saputo di Charles. Avrebbero chiesto a Washington il permesso esplicito di ucciderlo, e quel bastardo l’avrebbe concesso. Reginald sarebbe rimasto solo, ma non a lungo. A quel punto sarebbe venuto a cercare me e Connor, sapendo di non avere più tempo, per ottenere la Mela e andare al Grande Tempio.
Se l’avessi ucciso sarei stato il Gran Maestro dell’uomo che barcollava, mollava calci al nulla con un rivolo di bava schiumosa lungo la faccia e bestemmiava in gaelico contro quel deficiente di Tyler. Un re con un solo suddito, per di più instabile e difficile da controllare. No. Nessun re è mai andato avanti con l’appoggio di uno. Dico bene, Giorgio? Già. Se sei ancora in piedi è solo merito dei dannati seguaci dispersi per tutte le Colonie, sempre pronti a fare casino e a dichiarare la forza della patria. Benjamin Church in prima linea. Mi passai le mani sugli occhi. Maledetti lealisti.
– Che cosa vi ha offerto? – insistette London.
Inventati qualcosa, cretino! – Ha offerto… Church. – Oh, complimenti! – Cioè, no, non esattamente. Ha detto che quando Church sarà libero potremmo parlarci, ma è una questione di tempo e prigionieri. Dovranno… – Deglutii a vuoto per trovale le parole giuste. Dalla mia bocca usciva la verità, ma in fin dei conti non stavo dicendo niente. Ed è così che deve andare. – Dovranno mettersi d’accordo, suppongo. E se cominciate a intromettervi voi non ne usciamo più. Abbiamo un incontro con qualcuno dei suoi a New York. Partiamo domani.
London mi fulminò con lo sguardo. – Stai scherzando, spero! – Si avvicinò a me, le labbra pericolosamente ritratte sui denti sbarrati. – Andare fino a New York e ritorno da soli. Certo. Finché si trattava di arrivare al forte era un conto, ma te lo puoi scordare, Kenway. Tu e quel coglione non andrete da nessuna parte.
Scrollai le spalle. – Be’, potreste accompagnarci senza partecipare all’incontro. – Gli scoccai un’occhiata speranzosa. – Se proprio dovete. Siamo così inaffidabili?
– E lasciare la città alla mercé dell’Esercito Britannico per quanto tempo?
– C’è pur sempre Stephane. – Non riuscii a trattenere un sorriso. Quell’affermazione suonava ridicola persino alle mie stesse orecchie. – Non credo abbiate scelta, London. Lascia qui Chapman, il francese e magari anche quel peso morto di ragazzino e vieni con noi.
Emise un grugnito frustrato, sollevando lo sguardo al cielo. Non doveva essere piacevole ricevere dei mezzi ordini da quelli che sarebbero dovuti essere i prigionieri. Svoltò bruscamente a sinistra e davanti a noi si parò la struttura instabile e in rovina della French. Quella taverna rispecchiava in tutto e per tutto la Confraternita degli Assassini a Boston, nient’altro che l’ombra di ciò che era stata un tempo. Le cose stavano precipitando per tutti. – Ne riparliamo domattina – brontolò estraendo una chiave d’ottone dalla tasca e infilandola a forza nella serratura coperta di ruggine.
Spalancò la porta in legno con una leggera spinta, lasciandomi entrare per primo. Vidi con la coda dell’occhio Tyler in fondo alla strada, Thomas caricato sulla schiena come un mercante sul proprio cavallo da soma, intento a canticchiare chissà quale vecchia canzone irlandese, e sorrisi.
La prima cosa che percepii all’interno della taverna fu il sentore dell’alcool, ma all’inizio credetti di essere io stesso a emanarlo. – Stephane! – tuonò London al mio fianco, socchiudendo la porta con una certa violenza. L’intero stanzone era immerso nell’oscurità, eccezion fatta per una chiazza di luce che tremolava sul bancone, così piccola e debole da poter essere facilmente scambiata per una lucciola. Era un vecchio mozzicone di candela, e la fiammella gettava luci sottili e ombre spaventose sul volto scavato di Stephane Chapheau, quasi sdraiato sul bancone con una bottiglia alle labbra. Ubriaco fradicio, forse più di Thomas.
Almeno Hickey non era in preda alla sbornia triste più deprimente del secolo. – Stephane! – sbraitò di nuovo London, mollando una pacca sulla schiena del vecchio e strappandogli di mano la bottiglia. – Ti avevo detto di stare lontano da quella roba. Se avessimo avuto bisogno di aiuto…
– Nessuno! – Il vecchio parve riprendere vita per un attimo, levando con vivacità la braccia al cielo, le labbra distorte per la disperazione, forse, e quel grido invase l’intera locanda. – Nessuno ha più bisogno del mio aiuto! Gli Assassini non possono più fare niente per me! Mi hanno succhiato il sangue! – Puntò un dito tremante nella mia direzione proprio mentre Tyler si trascinava faticosamente all’interno della taverna, ignorando l’anziano locandiere e salendo direttamente al piano di sopra, Thomas ancora sul groppone. – Tu lo sai! Li conosci – sibilò, la voce rotta. – Pensavo mi avrebbero ridato una casa, una vita! Rivoglio la mia vita. Rivoglio la mia vita.
S’abbandonò sul bancone piangendo, e immagino che se la luce fosse stata appena più intensa avrei visto London avvampare per l’imbarazzo. Gli Assassini lo hanno salvato da morte certa. Gli hanno dato un ideale, qualcosa in cui credere, ma non è uno sciocco. Li sente gli strilloni, sa che la guerra sta andando male. Vede che non ci sono più tanti Assassini come prima, ha visto come nessuno ha fatto nulla quando gli hanno chiuso la baracca. Il mio sguardo vagò sulla travatura mezza marcia del soffitto. Se gli fosse crollato tutto sopra la testa forse sarebbe stato contento. Seppellito dall’unico posto in cui fosse mai stato felice. Perché l’alcool mi rendeva così sentimentale? Scrollai il capo per scacciare la nebbia e tornare a essere il cinico bastardo di sempre. – Tu non hai nessuno! – raschiò nella mia direzione, tendendo le dita verso la bottiglia. – Eppure sei fortunato, cazzo! Se sei uno stronzo nessuno può ferirti. – Sotto lo sguardo torvo di London, Stephane mandò giù due lunghi sorsi. Magari avessi ragione, vecchio mio. Magari. – Il mio unico amico è morto. Mi hanno lasciato qui, a marcire come un cadavere lasciato al sole. Je suis dejà mort. Un povero disperato sull’orlo del baratro, ecco cosa sono. Andate tutti a farvi fottere!
Stephane continuò a sbraitare, bestemmiando in francese mentre tracannava chissà quale bevanda alcolica da quella bottiglia. – Haytham, vattene. – London mi si parò davanti, facendo un cenno verso le scale. – Lascialo in pace.
Aggrottai la fronte. – Va’ a dormire tu, London. Ne hai più bisogno di me. – Lo spinsi gentilmente via, lo sguardo fisso su Stephane. – Un po’ di compagnia gli farà solo bene.
La fiamma della candela illuminò lo strano ghigno formatosi sul suo volto. – Quando sei diventato altruista?
Risposi sollevando le spalle. – Sarà l’alcool. Non ti ci abituare. – L’Assassino andò comunque alla porta e la chiuse a chiave, facendo rumorosamente scattare la serratura prima di salire al piano superiore.
– Sali entro mezz’ora, Kenway, o ti trascino su per i capelli. – Il suo tono minaccioso era scemato un po’, forse per l’imbarazzo di avermi mostrato Stephane in un momento tanto delicato. Doveva essere una cosa consueta.
Gli risposi con un gestaccio alle spalle e m’avviai con calma verso il bancone, sedendo sullo sgabello davanti a Chapheau. Stava singhiozzando piano, spingendo la bottiglia sul legno, probabilmente disgustato perfino da se stesso. – È vino? – chiesi afferrandola e rigirandomela tra le mani. Annuì, e immediatamente buttai giù un paio di sorsi. Un rosso dolce e fresco. Niente male. – Pensi che sia uno stronzo? – Non m’aspettavo una risposta, infatti non arrivò. Proseguii mentre il mondo continuava a brillare sotto le luci dell’ebbrezza. – Non ti biasimo, anzi. Probabilmente hai ragione. Eppure, sai, non è vero che nessuno può ferire quelli come me. A mio parere facciamo solo finta di nulla. – Sollevai la bottiglia, osservando i depositi sul fondo alla luce della candela. – Cerchiamo di non far notare quanto siamo male in realtà. Non ci piace essere considerati deboli, e il più delle volte gli altri uomini ci detestano e ci temono. Per il nostro ego è come nettare. – Sorrisi tristemente e abbassai lo sguardo su di lui. Aveva la testa mollemente poggiata sul palmo, gli occhi spenti e lucidi. – Comunque, hai ragione sugli Assassini. Le grandi avventure sono finite. Questa è la guerra. – Sospirai. – Tutto ciò che hai sempre conosciuto come portatore di fama, gloria e denaro diventa solo fonte di morte e solitudine. Distruzione. E capisci quanto gli uomini siano stupidi.
Il vecchio locandiere continuò a mugolare. Il suo labbro inferiore tremava come quello di un poppante staccato dalla tetta della madre. – Così… niente più grandi scontri a suon di mannaia, eh? – lo pungolai mandando giù un altro sorso di vino.
Il suo viso scivolò giù dalla mano. – Niente più – biascicò, le dita tese verso di me e la guancia irsuta accasciata sul bancone. Gli allungai la bottiglia, ma la sua mano si abbassò mollemente, abbandonata lungo il fianco. – Niente più… – Svenne.
Mi morsi le labbra e gli diedi una pacca sulla schiena, lasciandomi scivolare in corpo le ultime gocce di vino. Guardai Stephane di sbieco, rendendomi conto di quanto fosse diventato solo l’ombra dell’uomo attivo, entusiasta e iracondo che avevo incontrato anni fa. Non solo non aveva più niente da perdere, ma non aveva più niente per cui combattere.
Girai sui tacchi, salendo le scale e tenendolo d’occhio finché non arrivai davanti alla porta della mia stanza, sorvegliata da London, sempre dritto come un fuso, e Tyler, accasciato su una misera seggiola. Forse avrei dovuto almeno mettergli una coperta addosso, ma avevo di meglio da fare. Stephane non si sarebbe certo fatto troppi problemi a dormire su un bancone, no?
Mi tolsi lentamente di dosso la redingote e gli stivali, affondando nel materasso mentre il sonno mi pervadeva con veemenza. Thomas russava come un cinghiale.
Strinsi gli occhi. Avrei voluto vivere un’intera esistenza di notti brave, scopate e ubriacature, ma non potevo. L’indomani stesso – di lì a poche ore, a dire il vero – mi sarei dovuto mettere in viaggio verso New York per incontrare un’altra fetta di passato. Maledizione.
Caddi addormentato nonostante digrignassi i denti così forte da poterli frantumare. 

 
  
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