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Autore: dreamlikeview    30/07/2014    4 recensioni
Castiel è un angelo, ama e ammira la razza umana, e desidera profondamente essere uno di loro, un umano. Nonostante agli angeli sia vietato interagire con gli uomini, viola le leggi del Paradiso, salvando una famiglia di cacciatori da un nido di vampiri, e da quel momento il suo desiderio aumenta a dismisura, spingendolo a fare una pazzia.
Un accordo gli permetterà di vivere sulla terra, e di comportarsi come un umano. Ma quale sarà il prezzo da pagare?
[Angel/Human!Cas, Hunters!Winchester Brothers, Destiel, semiAU, long-fic]
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Avviso: Prima di farvi perdere nel mirabolante penultimo capitolo, vi devo delle infinite scuse per l'attesa incredibile per questo capitolo. Quindi *si inginocchia* scusate, scusate, scusate, scusate! Sono imperdonabile e non biasimo chi smetterà di seguire questa storiella sui nostri amati Dean e Cas. Spero che nessuno abbia perso le speranze nel leggerne  il finale, comunque. La cosa molto funny è che io l'avevo finita prima di iniziare a postarla, ma... ho avuto un enorme problema di linea e sono rimasta tagliata fuori, niente wifi, e nemmeno linea telefonica. Zero, caput, nada, nisba çç quindi nessuna possibilità di aggiornare, (nè di guardare serie tv, la noia più totale) in compenso ho avuto tempo per rileggere la storia corrente e un paio di OS. Stay tuned, sono tornata e non vi libererete mai più di me! 
Questa è una minaccia, e ora...
Buona lettura! 


Desclaimer: Ingiustamente i personaggi non mi appartengono (si appartengono tra di loro, awaw) e io da tutto ciò non guadagno assolutamente nulla, se ricevessi un euro per ogni visualizzazione di un capitolo, sarei milionaria LOL 


Crediti: Al solito, a Lu per il banner! 


Castiel si risvegliò di soprassalto, come se si fosse appena ridestato da un terribile incubo, proprio come dopo un incubo sentiva sul proprio corpo l’inquietudine e il sudore freddo. Contrariamente a ciò che sentiva dentro, intorno a sé regnavano la pace e la serenità, sentiva gli uccellini cinguettare, e iniziava con sollievo ad avvertire un senso di pace interiore; quello che non avvertiva da tanto tempo, e che credeva di non risentire mai più. Aprì gli occhi, ancora affannando per l’incubo vissuto, e si guardò intorno, cercando di mettere a fuoco ciò che trovava davanti ai suoi occhi, e, con una mano, eliminò il sudore residuo dalla propria fronte.
Alberi rigogliosi crescevano tutt’attorno a lui, c’erano fiori e piante ovunque, la vita sembrava scorrere fluida e pulsante attraverso la natura che lo circondava, un uccellino si posò sul suo naso, e un sorriso spontaneo spuntò sulle sue labbra, era immerso nella pace più totale. Si sentiva diverso, strano. Cos’era cambiato in lui? Era morto di nuovo?
Si tirò a sedere, ed avvertì un piacevole peso sulle proprie spalle, una sensazione che da tempo gli mancava: il perfetto equilibrio. Stupefatto, si voltò all’indietro, riconoscendo le sue ali maestose, candide ed imponenti. Aveva di nuovo le ali? Da quando? Non era all’inferno?
Si guardò ancora intorno, cercando di identificare il luogo dov’era, lo scandagliò con lo sguardo, e finalmente lo riconobbe: il giardino dell’Eden. Era ritornato in paradiso, a casa sua, ma come? Cos’era successo?
Aveva un blocco mentale, non ricordava cosa fosse accaduto in quel frangente di tempo passato dall’inferno al paradiso, un attimo prima era alla mercé di un demone, l’attimo dopo si risvegliava in paradiso. Cosa diavolo era successo? Cosa aveva perso? Cosa non ricordava?
Si alzò in piedi, sentendosi avvolgere di nuovo dal calore delle sue ali e il potere della sua grazia esplose dentro di lui, facendolo sentire potente come non si sentiva da tanto, troppo tempo.
Quanto gli era mancato essere un angelo? La sua vera natura? Non sapeva spiegarlo, ma si sentiva come rinato.
Non ne capiva il perché, avrebbe dovuto marcire all’inferno, restare lì per tutta l’eternità, invece era vivo, era nell’Eden, ed era di nuovo un angelo. Avvertiva una pessima sensazione, c’era qualcosa che non quadrava in tutto quello, doveva parlarne con qualcuno, farsi spiegare cosa fosse successo, prima che facesse un respiro all’inferno e quello dopo in paradiso. Era tutto troppo strano, e quella sensazione spiacevole, contraria a tutto ciò che stava provando in quel momento, era la prova che non tutto fosse al proprio posto.
Gabriel, doveva trovare Gabriel, e parlare con lui.
Non poteva, però, trattenersi dal sorridere e dal godere del calore delle ali, del quale si era privato per lungo tempo, del calore della propria grazia, e della sensazione di potenza che non avvertiva da quelli che erano sembrati anni; si sollevò in volo, sperando di ricordare come si facesse, e planò per un paio di metri, prima di ritoccare terra, e guardarsi ancora intorno.
Mi è decisamente mancato essere un angelo – pensò, quando i suoi piedi toccarono il suolo.  
Il paradiso era esattamente come lo ricordava, nulla era cambiato. Chiunque fosse stato a tirarlo fuori dall’inferno, e a ridargli i suoi poteri meritava quanto meno i suoi ringraziamenti, si era dato per spacciato tante volte, e invece tutto si era risolto nel migliore dei modi. Era sicuro si trattasse di Gabriel, nessun altro avrebbe mai rischiato tanto per lui, ma voleva esserne certo. Vagò per qualche metro, osservò ogni essere vivente presente lì e salutò cordialmente le anime e gli angeli che incontrava lungo il proprio cammino, si sentiva a casa, dopo tanto tempo.
Doveva trovare Gabriel, scusarsi con lui per aver disobbedito, e lasciare che anche gli arcangeli prendessero decisioni in merito alla sua disobbedienza. Dopo un po’, si rese conto che cercarlo in tutto il paradiso sarebbe stato impossibile, poiché esso era infinito ed immenso, quindi chiuse gli occhi, riducendoli a due fessure, pronunciando delle parole in enochiano, invocando l’arcangelo suo amico. Non lo vedeva da parecchio tempo, e un po’ gli era mancato anche lui, come tutto il resto della sua precedente vita.
«Cassie!» esclamò l’arcangelo giungendo di fronte all’angelo minore con un battito d’ali, sorridendogli calorosamente «sono felice di vedere che ti sei ripreso e che stai bene».
«Gabriel» disse semplicemente il moro chinando il capo in avanti, in segno di rispetto; per quanto fosse profondo il loro legame d’amicizia, Gabriel restava comunque un suo superiore, un arcangelo, e lui doveva avere rispetto nei suoi confronti.
«Ah, quante volte dovrò dirti che tutta questa formalità con me non serve?» chiese retoricamente, avvicinandosi a lui, battendogli una mano sulla spalla, constatando il suo stato di salute con una fugace occhiata «comunque, come stai?»
«Un po’… scombussolato, ma cosa è successo? Perché sono qui?» chiese immediatamente, cercando di capire la situazione.
«Diciamo che un uomo buono e giusto ha deciso così» disse rapido, senza scendere troppo nei dettagli «Michael e Raphael hanno preso Metatron, io ho recuperato la tua grazia e sono venuto giù ai piani bassi per portarti via» spiegò brevemente l’arcangelo.
Castiel non prestò ascolto a tutto il discorso, si soffermò su quell’ “uomo buono e giusto”, chi era? Perché aveva fatto questo per lui? Perché un umano si era sacrificato per lui? A meno che… la brutta sensazione tornò a fare capolino dentro di lui, e come un flash rapido, davanti ai suoi occhi, si materializzarono uno sguardo smeraldino, dei capelli biondastri e un sorriso mozzafiato.
No, no, non poteva… Castiel spalancò gli occhi, rendendosi conto di chi era, e guardò il fratello con la fronte corrugata, e gli occhi spalancati all’inverosimile. Non poteva, non era accaduto davvero, non a lui. Non poteva essere davvero stato lui, non era… 
«Ti prego, dimmi che non è Dean Winchester» lo supplicò con lo sguardo, cercando di scacciare via dalla sua mente quel pensiero orribile, perché Dean non poteva essersi davvero sacrificato per lui, non era lui ad odiarlo? Perché l’aveva fatto?
«Non sarebbe nella mia natura mentirti» l’arcangelo scosse la testa, rispondendo al minore «si è sacrificato perché tu stessi bene e al sicuro. E io ho intenzione di mantenere la parola. Non avvicinarti a Raphael per ora» si raccomandò.
«Gabriel, io… non posso lasciarlo lì» disse, sperando che l’arcangelo capisse. Amava Dean, non avrebbe mai permesso che restasse lì, piuttosto sarebbe tornato a scontare tutte le pene immaginabili, le torture infernali, tutto pur di salvare Dean da quel luogo pieno di dolore, urla e violenza. Lo aveva vissuto sulla sua pelle, e per quanto Dean fosse coraggioso, non avrebbe mai retto, e Castiel non avrebbe permesso che lo spezzassero. Lui non poteva essere spezzato, lui odiava far del male alle persone. Sebbene con Castiel non si fosse fatto molti scrupoli a lasciarlo morire, il cacciatore non avrebbe mai fatto del male a qualcuno volontariamente, ma nel caso dell’angelo, era stata una giusta reazione, Dean era deluso e aveva agito secondo il suo istinto.
Smetterò mai di giustificarlo? Perché penso ancora come un umano? – si chiese mentalmente mentre quei pensieri frullavano nella sua mente, sebbene fosse tornato angelo, la sua mente e anche il suo cuore ragionavano ancora come un umano. Era in attesa di una risposta dall’arcangelo, che si voltò verso di lui, guardandolo con uno sguardo carico di serietà e… rimprovero? Perché?
Gabriel si lasciò andare in una risata cristallina, scuotendo la testa. Non poteva sentirlo parlare in quel modo, non dopo che lui aveva dato la sua parola in merito alla protezione dell’angelo minore e del fratello del cacciatore. Era una situazione ridicola ed assurda.
«Tu e quel Winchester mi farete impazzire» si lamentò massaggiandosi le tempie, fingendo un – molto umano – mal di testa. «lui mi chiede aiuto per salvare te, tu chiedi aiuto per lui… un po’ di pietà per un povero arcangelo!» esclamò Gabriel ironicamente per spezzare la tensione presente tra di loro e la preoccupazione visibile negli occhi dell’amico, quanta determinazione solo per un umano – si ritrovò a pensare l’arcangelo. Non avrebbe mai immaginato che un suo simile, si interessasse tanto ad un umano.
«Gabriel, sono disposto a tutto pur di salvarlo, tutto, lo giuro» disse Castiel, senza l’ombra di emozioni nella voce, solo decisione.
«Rinunceresti nuovamente ai tuoi poteri?»
Castiel restò un secondo in silenzio. Essere di un nuovo un angelo era la sensazione migliore che provava da tempo, era completo, si sentiva energico come non si sentiva da una vita, ma non poteva averlo, sapendo che Dean avrebbe sofferto, che avrebbe vissuto l’inferno, vivendo un destino che non era il suo, il cacciatore era, e sempre sarebbe stato un tassello fondamentale della sua vita.
Non aveva alcun dubbio, la risposta era semplice, la sua decisione quasi ovvia.
«Per Dean, sì».
Gabriel alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Doveva trovare in fretta una soluzione, perché se Castiel avesse ripreso il posto di Dean, quest’ultimo avrebbe fatto di tutto pur di tirare fuori l’angelo dall’inferno, creando un circolo vizioso senza fine. Come poteva conciliare le due cose? Come poteva…? Doveva ragionare perché quello sguardo carico di determinazione non lo aveva mai visto nel minore e sapeva che voleva solo dire che fosse disposto a tutto, davvero tutto, pur di salvare il cacciatore che gli aveva rapito il cuore.
Forse aveva un’idea, ma sarebbe stato complicato metterla in atto. Complicato, ma non impossibile, si disse, era pur sempre un arcangelo, doveva pur prendere decisioni importanti come quella, no? La parte complicata sarebbe stata convincere gli altri due arcangeli, soprattutto Raphael, il quale non provava simpatia né per Castiel né per Gabriel stesso.
«E va bene, allora tu preleverai Dean dall’inferno, e noi toglieremo definitivamente la grazia a Metatron, mandandolo al suo posto, Dean vivrà, ma tu perderai i poteri, e dovrai restare qui in paradiso per scontare la tua pena da angelo ribelle: non potrai mai più tornare sulla terra, vivrai qui come sospeso in un limbo, tra la vita e la morte» spiegò l’arcangelo, senza tradire una singola emozione nella propria voce. Erano condizioni dure da rispettare, ma erano le uniche con cui avrebbe potuto contrattare con gli altri due.
Castiel si accigliò, aggrottando le sopracciglia, piacevolmente sorpreso. Gabriel aveva trovato una soluzione in un modo così rapido? Come aveva fatto? Certo, era un arcangelo, e risolvere le situazioni sconvenienti era il suo lavoro, ma Castiel davvero non riusciva a credere che avesse risolto così velocemente una situazione complicata come quella.
«E si può fare?» chiese titubante, non gli importava della sua punizione, non gli importava di restare in un limbo, gli importava solo di Dean, che stava scontando quella pena al suo posto. Pensava a Sam, che avrebbe vissuto senza il fratello, e a Bobby, che aveva perso un figlio. Non si sarebbe mai perdonato l’avere un’intera famiglia sulla coscienza. Non si aspettava una decisione simile da parte di Dean, che lo aveva lasciato da solo a morire, ma poco importava. Avrebbe vissuto un’eternità in un limbo, con la grande consolazione di aver salvato Dean da un destino che non meritava.
«Tecnicamente no, ma sono un arcangelo, posso prendere certe decisioni e garantire io per te. Devo solo convincere gli altri due… con Michael non avrò problemi. Raphael è… beh, è Raphael, saremo comunque due contro uno».
«Grazie Gabriel, sei davvero il migliore» sorrise l’angelo dagli occhi blu, carico di riconoscenza verso l’arcangelo che stava facendo di tutto per lui, per Dean, per salvare entrambi e restituire un po’ d’ordine al paradiso, che a causa della breve e subito sedata rivolta di Metatron era scombussolato. Prima che Michael e Raphael lo catturassero e rinchiudessero nelle celle paradisiache aveva già contattato una guarnigione di angeli, i quali avevano accettato di collaborare con lui. Quegli angeli erano stati catturati, insieme all’artefice della rivolta, e rinchiusi con lui nelle celle del paradiso.
Ora il paradiso andava ricostruito, e gli arcangeli avrebbero dovuto collaborare con gli altri angeli per ottenere la stabilità e la tranquillità possedute prima di quell’immenso disastro, causato da Castiel, che ignaro aveva ceduto la propria grazia all’angelo malfattore.
Fortunatamente tutto si era risolto nel migliore dei modi, e la pace, prima o poi, sarebbe tornata incontrastata.
«Lo so».
 
 
Dean per tutta la sua vita era stato convinto di essere una persona forte, una persona resistente. Non avrebbe mai pensato di sentirsi così tanto debole, così tanto vulnerabile. Il dolore era terribile e si chiedeva come Castiel avesse resistito tutti quei giorni, come avesse fatto a non cedere. Lui, pur non riuscendo a rendersi conto di quanto tempo fosse passato, sentiva che se non fosse già morto, sarebbe potuto morire da un momento all’altro, sicuramente avrebbe fatto meno male di tutto quel dolore. Le torture erano continue e repentine, e i demoni con lui erano più crudeli di quanto non lo fossero con altre anime perché «tu hai portato via un angelo, potevamo avere un demone potentissimo dalla nostra parte, e tu l’hai portato via» dicevano ogni giorno, ma lui non si sarebbe mai pentito di ciò che aveva fatto.
Aveva assicurato a Cas la vita, aveva garantito sicurezza a Sammy, e aveva messo fine ai loro mali: lui stesso.
A lui non serviva vivere l’inferno vero, perché lo sentiva dentro di sé, ogni giorno quando era vivo era tormentato dal senso continuo di essere uno sbaglio, lo era stato quando aveva lasciato da solo Sam da bambino, e il minore era stato quasi attaccato da un mostro, e se non fosse arrivato Bobby in tempo, sarebbe morto; lo era stato quando aveva lasciato il liceo per cacciare con tranquillità; lo era stato quando aveva messo nei guai Bobby a causa di un piccolo furto; lo era stato quando una donna era morta, uccisa da un fantasma, perché lui non aveva abbastanza munizioni di sale; lo era stato quando aveva lasciato Castiel solo, e lo era stato in così tante altre occasioni da non ricordarsi più quante effettivamente fossero.
Sapeva solo che avrebbe dato di tutto per rimediare ai suoi errori, e forse trascorrendo un’eternità all’inferno, avrebbe avuto qualche possibilità di espiare quelle colpe, perché era davvero stanco di sbagliare, e non riuscire mai a rimediare, era stanco di se stesso, si odiava al punto tale da decidere di prendere il posto di Castiel all’inferno – oltre all’odio verso se stesso, lo avevano spinto a prendere quella decisione il suo innaturale senso di protezione e l’amore provati per l’angelo – nonostante le torture fossero indescrivibili, violente e dure, Dean non provava pentimento né risentimento in ciò che faceva, lui meritava di essere torturato per tutto il male che aveva disseminato lungo la sua strada, sapeva che un giorno il suo voler salvare gli altri, sbagliando, avrebbe portato ad un punto di non ritorno, e ci era arrivato. Se lui fosse stato fuori dai giochi, lontano dalle persone che amava, allora loro sarebbero state salve, e lui non più la causa del loro male, non più il veleno. Non avrebbe mai più avvelenato la loro esistenza con la sua presenza, poco importava il trovarsi nei bassifondi, non sarebbe mai potuto cadere più in basso, letteralmente.
Non riusciva a trattenere le urla di dolore, ma la sua forza di volontà, gli imponeva di rispondere sempre no, a quella fatidica domanda sul liberarsi dalla sofferenza, e torturare.
No, no, no – continuava a ripetersi – salvo la mia famiglia da creature così, da me, non posso diventare io stesso un demone, o un torturatore di anime, se lì ci fossero Sam, Bobby o Cas? No, no. – pensava ogni volta, prima di rispondere agli interlocutori con un secco «No» dopo il quale, questi divenivano più violenti, più crudeli.
Dean sapeva di meritarlo, sapeva che avrebbe meritato anche qualcosa di peggiore, tuttavia non riusciva a non pensare che quegli esseri fossero immondi ad infliggere certe sofferenze alle persone, alle anime. Sapeva di risultare incoerente, con i suoi pensieri contrastanti, ma quando si era vittime di quelle sofferenze, come si poteva risultare coerenti?
Dean ci provava a non supplicare pietà, stringeva i denti, combatteva, ma sapeva che avrebbero sempre imposto la fine delle torture solo alla condizione in cui lui torturasse altre anime, e allora le immagini di Sammy e Cas torturati da lui facevano capolino nella sua mente distrutta, e prendevano il sopravvento. La loro sicurezza veniva prima di tutto, e allora stringeva ancora i denti, e diceva no.
Era ironico pensare che proprio lui, un cacciatore, si piegasse alle torture di non uno, non due, bensì una decina di demoni, che si alternavano tra di loro, giusto per il gusto di fare del male ad uno che ha ucciso molti di noi come sostenevano sempre, ma Dean sapeva, che tutto quell’altruismo mostrato dagli uni verso gli altri fosse finzione, infatti erano i primi a disertare in situazioni non favorevoli per loro, ed erano disposti ad uccidere i loro simili per salvare la propria vita. Quello che veniva adoperato da loro era una semplice e banale scusa ad un atto crudele, non che ne avessero bisogno, ma a volte – quasi discolpandosi – dovevano dare motivazione di ciò che facevano. Dean inizialmente sospettava che essi erano delle anime spezzate, le quali avevano preferito torturare piuttosto che essere torturate, ma il maggiore dei Winchester non si sarebbe mai spezzato, avrebbe onorato il suo nome, in quanto membro di una delle più famose famiglie di cacciatori del paranormale.
Lui era un Winchester e i Winchester non si spezzavano, mai.
Tutto intorno a sé, c’era dolore, c’era violenza, c’era sofferenza, non c’era niente che non richiamasse quelle tre cose, o era anche peggiore di quelle, era insopportabile, ma a Dean non importava granché. Nella sua mente vigeva l’ordine di proteggere la famiglia, di proteggere tutti, perché doveva eliminare il male che egli stesso aveva fatto.
Non urlava se la sua pelle veniva graffiata, aveva smesso di farlo.
Non implorava se il suo corpo veniva trafitto.
Non si spezzava quando veniva torturato.
Lui resisteva, perché doveva farlo, perché in fondo con quel sacrificio aveva salvato la vita di Cas, e aveva messo al sicuro quella di Sammy, allora quel dolore diveniva meno intenso, nonostante fosse all’inferno, cercava di non pensare al dolore, di riempire la mente con le cose positive fatte con quel suo sacrificio, e a volte funzionava. Perché non si era ancora spezzato. Non sapeva da quanto tempo fosse lì, aveva perso la cognizione del tempo, ma sapeva niente lo avrebbe mai spezzato, perché sapeva che tutto quel dolore era meritato da un lato, e dall’altro l’aveva ricercato da solo, quando aveva deciso di sacrificarsi per Castiel.
Nessun ripensamento, tranne forse il fatto di non aver mai dichiarato all’angelo i suoi sentimenti, ed evitare tutto quello; ma lui sbagliava sempre, lui era un errore ambulante, le persone soffrivano a causa sua, ed era giusto che si trovasse in quella situazione.
Gli attimi di pace erano pochissimi, e duravano nemmeno un secondo, nonostante ciò Dean era forte, lo era sempre stato, e non si sarebbe mai piegato al male che per tutta la vita aveva cercato di sconfiggere. Il male era tutto ciò che lui e suo fratello combattevano, e ad esso non si sarebbe mai piegato, non avrebbe mai torturato altre anime per salvare la propria, non era così egoista, e mai lo sarebbe stato, non al costo di rifare gli stessi errori di tutta la vita. Nemmeno le torture dei demoni avrebbero potuto fargli perdere i suoi sani principi, sapeva di avere una scelta, ma non avrebbe preso quella sbagliata, non in quella situazione, aveva sempre preso le scelte sbagliate, e aveva sempre messo in pericolo gli altri, tuttavia, non lo avrebbe fatto all’inferno.
Quella era già una punizione per i suoi errori, giusto? Non poteva farne altri, alla luce dei fatti. Avrebbe subito per l’eternità quelle torture? La sua anima poteva resistere, o sarebbe svanita nel nulla? Riusciva a non urlare o a non supplicare, ma le urla delle altre anime lo facevano soffrire più delle torture che gli venivano inflitte, non poteva non pensare che al loro posto potessero esserci suo fratello, o Bobby, e non riusciva a non immaginare Castiel al suo posto, al posto di quelle anime, che poco – o molto? – tempo prima occupava quel posto, che soffriva in quel modo.
Ormai sembrava essere passata una vita, non c’era mai nessuna variante in quella situazione, ogni giorno era uguale all’altro, ogni tortura più dura di quella precedente, ogni urlo più straziante di quello precedente, ma i giorni non esistevano così come le notti, perché tutto aveva lo stesso colore lì, all’inferno. Non c’era mai nulla di nuovo, nessuna variante, i colori erano sempre gli stessi, sempre uguali, nessuna variazione, niente di niente, tutto uguale, niente di diverso. Tutto esattamente come quando era arrivato, a parte la sofferenza che aumentava sempre, quella nessuno sembrava volergliela far mancare, tutto sembrava essersi fermato in una sorta di stasi, una pessima quotidianità che non aveva luogo né tempo, mirata solo a confondergli maggiormente la mente. Non sapeva da quanto tempo fosse lì, ma sapeva che era abbastanza da avergli permesso di razionalizzare una quotidianità sempre uguale.
Niente giorno, niente notte, torture dopo torture, rosso, grigio e nero, urla strazianti, demoni ovunque e una sola richiesta per mettere fine a tutto quello, sempre la stessa risposta negativa. Era tutto uguale, nulla variava, fino a che una luce abbagliante non travolse ogni cosa, era bianca e azzurra, era calda, era pace. Dean non aveva mai conosciuto la pace prima di quel momento, o meglio, credeva di averla conosciuta davvero solo in quel momento, perché quel calore, e quella sensazione di immobilità che sentiva dentro di sé, lo avevano lasciato immerso nella pace e nella tranquillità più totali, senza sofferenza, senza torture, senza tormenti interiori. Sembrava che tutto fosse finito, magari era solo una sensazione temporanea, voluta proprio dai demoni, per illuderlo o per mostrargli cosa avrebbe ottenuto dicendo «sì», ma nonostante tutto, in quell’attimo era la cosa migliore che avesse avuto in tutto quel tempo, forse interi anni, ma non avrebbe mai detto sì, anche se quella sensazione era dannatamente piacevole. No, piuttosto la tortura, ma mai avrebbe detto sì. Per quel momento, anche se era una tortura si godeva ad occhi chiusi quella sensazione che da parecchio tempo gli mancava. Era una delle cose più belle che avesse mai provato in tanti anni di vita e in tanto tempo d’inferno. Non sapeva descriverla, ma avrebbe osato dire che fosse angelica, sebbene non conoscesse così bene gli angeli. Aveva gli occhi chiusi, ma udiva i rumori di una battaglia tutt’intorno a lui, e tanto bastava affinché capisse cosa stesse succedendo, non era una tortura, qualcuno era entrato nell’inferno e stava lottano contro i demoni. Che qualcuno avesse attaccato l’inferno? O era solo una lite tra più demoni?  
Dean non capì nulla, fino a che una mano non si posò sulla sua spalla, e quella sì che fu una sensazione di calore, un calore più vivo della luce abbagliante che aveva avuto intorno, un calore intenso che si propagava dentro di lui, bruciava quasi, ma non era doloroso, niente era doloroso in quel momento. Improvvisamente si sentì trascinato via, e perse i sensi non appena avvertì la sensazione di sentirsi risucchiato lontano dalla sua postazione, lontano dai demoni. Che qualcuno avesse deciso di salvarlo?
Sam?
Bobby?
Quando riaprì gli occhi non aveva idea di dove si trovasse. Era immerso nella natura, c’erano alberi e fiori, udiva il canto degli uccelli, indossava gli abiti di quando si era visto con gli angeli ed era di nuovo sulla terra… cosa?
Quanto tempo era passato? Come mai era di nuovo sulla terra?
«Ciao Dean».
Quella voce lo fece trasalire, era una voce bassa, monocorde, ma familiare, la melodia più bella che avesse mai sentito in vita sua, e che credeva non avrebbe mai più risentito. Si voltò immediatamente nella direzione da cui aveva sentito quel suono angelico, e si ritrovò immerso nella luce di nuovo, ma non era come guardare il sole e sentirsi abbagliati, no, era piacevole guardare quella luce, faceva bene, e lo riscaldava dall’interno. Castiel era di fronte a lui, capelli neri, occhi blu, niente trench – quello era sotto il cuscino di Dean, a casa, piegato con cura – e due immense ali candide alle sue spalle.
«C-Cas? Sono in paradiso? Ho appena visto un angelo…» chiese stupefatto, prima di sentire la risata del moro di fronte a lui, una risata bassa, ma che come tutto il resto riusciva a riscaldare il suo cuore, e la sua anima, ormai troppo tormentata.
«Questa è la prima cosa che mi hai detto, Dean» disse l’angelo, con l’ombra di un sorriso sul volto.
«No, non…» Dean aggrottò le sopracciglia mentre rispondeva, ricordava la prima volta che aveva visto Castiel, ma non ricordava di aver detto una cosa del genere durante quell’episodio, quando aveva detto una frase così banale, ma veritiera? Non sarebbe stato da lui, a meno che non si fosse trovato davanti una bella ragazza – o Castiel.
«Sì, quando… insomma, ti ho salvato dai vampiri, eri confuso e ferito, ma mi hai detto queste esatte parole» ricordò l’angelo, mentre lo fissava per accertarsi che tutte le sue ferite fossero guarite. Non poteva far nulla per le ferite inferte alla sua anima, aveva tentato di rimediare anche a quelle, ma aveva avuto solo scarsi risultati, era impossibile.
«Puoi darmi torto? Sei un angelo, con o senza ali» gli disse con un mezzo sorriso sulle labbra, cercando di non mostrare troppo ciò che provava, perché Cas ricordava la prima cosa che gli aveva detto ed era una cosa fin troppo… romantica e dolce per uno come Dean, abituato a persone – eccetto la sua famiglia – che non ricordavano nemmeno il suo nome «e quindi… tu sei così? Hai di nuovo i tuoi poteri…?» si morse il labbro inferiore per non mostrare troppo ciò che iniziava a sentire. Castiel angelico era semplicemente bellissimo, era imponente, non sembrava per nulla il timido e goffo ragazzo che aveva conosciuto. Era meraviglioso.
«Grazie a te, Dean, quando… insomma, ti sei sacrificato per me, Gabriel mi ha ridato la grazia» spiegò, cercando di mostrarsi quanto più distaccato possibile, aveva portato Dean fuori dall’inferno, e non sapeva come dirgli che poi sarebbe dovuto tornare in paradiso per sempre, perdendo di nuovo i suoi poteri, continuando a vivere tra la vita e la morte, in un limbo, senza di lui.
Come poteva dirgli addio? Era troppo difficile da fare, c’era poco tempo e troppo da dire.
«E tu hai portato me fuori? Lo hai fatto per me?» chiese il cacciatore, ancora più confuso di prima. Aveva appena realizzato di essere stato tirato fuori dall’inferno, nel quale era finito per salvare Castiel, e ora… «Cas, no, non ti permetterò di ritornarci!»
«No, no!» esclamò l’angelo, scuotendo la testa, guardando il suo cacciatore così disposto a sacrificarsi per lui. Non avrebbe mai immaginato che dopo la scenata fattagli, Dean avesse fatto un gesto del genere, non dopo che gli aveva detto quelle cose, non dopo che l’aveva picchiato, odiato «al posto mio e al tuo c’è Metatron, ho fatto… un accordo con Gabriel, sai, siamo amici» quasi gli scappò una risatina vedendo l’espressione contrariata di Dean, le sopracciglia aggrottate, la mascella contratta. Era geloso per caso?  «io ho portato te fuori e Gabriel ha portato Metatron dentro, perché andava punito per aver cospirato contro il paradiso, quindi io ne esco quasi pulito» spiegò l’angelo, mentendo mentre guardava il cacciatore, che ancora restava perplesso.
«In che senso?» chiese preoccupato da quel “quasi” che non gli piaceva per nulla. Il quasi non era mai segno di buon auspicio, e non poteva essere rimasto tutto quel tempo in quel posto orribile per poi metterlo nei guai «ucciderò quei figli di puttana se ti faranno del male, Cas, non sono finito all’inferno per nulla, capito?!» chiese nervoso e irritato, avvicinandosi a lui e guardandolo negli occhi.
Ah, quanto mi era mancato questo blu intenso, e innaturale. – pensò, mordendosi la lingua per non continuare, perché lo sguardo di Castiel era fisso su di lui, serio. Non avrebbe ammesso obiezioni alla sua decisione.
«Ti basti sapere che devo restare in paradiso» la sua voce era innaturalmente monocorde, e Dean non capiva perché «e che non devi uccidere nessuno, Dean, ti prego, prometti che non ucciderai gli angeli» lo supplicò cercando con i suoi occhi blu, quelli verdi di Dean, che ora cercava di non guardarlo tenendo gli occhi chiusi, per non potersi perdere e lasciare uscire le parole come fiumi, ma doveva farlo, era necessario, Cas non poteva andare via senza saperlo, non di nuovo.
Il cacciatore inspirò ed espirò profondamente, prima di aprire gli occhi e guardarlo di nuovo in essi, annegando in quel blu così profondo e intenso, troppo fuori natura per essere reale, troppo irreale, ma comunque meraviglioso.
«E tu prometti che starai bene».
«Lo prometto, ora prometti tu».
«Lo prometto».
Castiel abbassò lo sguardo, colpevole, aveva mentito nuovamente, solo per proteggerlo, stavolta, mentre Dean non staccava lo sguardo dalla sua figura, non ci riusciva. Era così tanto che non lo vedeva, così tanto che non lo baciava, e aveva così tante cose di cui farsi perdonare, che non sarebbe bastato tutto il tempo del mondo, e il loro era troppo poco. Quell’incontro sembrava tanto essere l’anticamera di un addio, e no, Dean non era pronto a dirgli addio, non di nuovo, non subito dopo essere uscito dall’inferno. Aveva bisogno di lui, più in quel momento, che in altri. Non poteva andare via, non in quel momento, era ingiusto. Non avrebbe mai voluto dire addio a Castiel, sarebbe voluto restare con lui in quella radura lontana per sempre, solo loro nascosti dal mondo.
Gli afferrò la mano, stringendo le labbra tra di loro, mentre l’angelo alzava gli occhi verso di lui, regalandogli di nuovo quel blu immensamente bello e caldo, posando il suo sguardo sovrumano, angelico, immortale su di lui, un povero e comune mortale. Dean si sentiva così piccolo di fronte a quelle ali, di fronte a quell’angelo che aveva creduto potesse appartenergli nella sua vita, per sempre, e invece gli stava dicendo addio. Lo sapeva, quella frase aleggiava tra di loro, ed incombeva minacciosa sulle loro teste, come una bomba in attesa di detonazione, o un  masso prima di schiantarsi al suolo. Tutto era fermo, mentre loro si guardavano, scrutandosi l’anima a vicenda, scoprendole l’una più tormentata dell’altra, paure e timori, inquietudini e ansie. Perché no, non potevano dirsi addio, Dean non lo avrebbe mai accettato, perché era di nuovo colpa sua, perché Castiel lo aveva tirato fuori dall’inferno, e rischiava di nuovo di fare una cazzata, e se gli angeli gli avessero fatto del male? Se avesse rischiato la vita, in paradiso?
Come poteva lasciarlo lì? Come poteva lasciarlo di nuovo da solo?
«E’ un addio, Cas?» chiese Dean, con la speranza che la risposta fosse un no, perché non poteva pensare che fosse l’ultima volta in cui vedeva Castiel, non poteva pensare di non rivederlo mai più, non poteva dirgli addio.
Castiel non riuscì più a reggere il contatto visivo, non sarebbe tornato, quello era un addio, era vero. Avrebbe potuto mentire, certo, ma non voleva illudere Dean con una bugia, anche se la tentazione era forte, ma il cacciatore non meritava altre bugie, meritava solo la pura e semplice sincerità. Meritava un addio sincero, meritava amore, meritava di essere felice, ma non con lui.
Si avvicinò a lui, incorniciò il volto del cacciatore con le sue mani, e circondò con le proprie ali il suo corpo, per proteggerlo dal mondo circostante, e Dean giurò di non essersi mai sentito tanto bene come in quel momento.  
C’era la pura pace intorno a loro, ma insieme alla pace tutto ciò che di brutto esisteva, li circondava: l’addio imminente.
Erano soli, in quel momento, in quel luogo lontano dal mondo, avvolti in un bozzolo d’amore, pace e serenità, solo per quell’attimo, ed entrambi speravano che quell’attimo di tempo durasse tutta l’eternità, perché si appartenevano, erano l’uno il destino dell’altro, erano anime gemelle, tuttavia le loro fantasie erano state cancellate dagli avvenimenti, e le paure inevitabili dovevano essere affrontate, tutto quello era da affrontare.
Erano chiusi in un bozzolo dove esistevano solo loro, niente era importante. Unicamente loro, le loro paure e i loro sentimenti.
Castiel si avvicinò al volto di Dean, e gli sfiorò le labbra con le proprie, mentre il cacciatore univa la fronte a quella dell’angelo, e portava le mani dietro al suo collo, avvicinandosi maggiormente a lui, i loro respiri si fusero nell’esatto momento in cui i loro corpi collisero, e la pace esplose intorno a loro, come un lampo durante una tempesta. Dio, è tutto così perfetto, ora.
«Cas, io…» doveva dirglielo, prima dell’addio, perché doveva, Castiel non poteva andare via, senza saperlo «mi dispiace, per tutto quello che ti ho fatto, non dovevo… io non dovevo scappare, non dovevo dirti che ti odio, io non ti odio, non posso odiarti, non ti odierò mai, e mi dispiace, mi dispiace essere arrivato tardi, ho guidato tutta la notte quella notte, volevo arrivare da te, ma ho fatto tardi, non sono arrivato in tempo, e mi dispiace, mi dispiace… mi sono reso conto dopo, non volevo trattarti male, non volevo picchiarti…» Dean parlava veloce, parlava senza fermarsi, senza respirare, quasi d’un solo fiato, perché sapeva di avere poco tempo per scusarsi, poco tempo per restare lì, tra le braccia di Castiel, il quale però sorrise, e scosse la testa, appoggiando un dito sulle labbra di Dean, zittendolo, togliendogli il fiato. Sapeva ogni cosa, non importavano le scuse ora, importavano solo loro, e il presente, niente passato. Ciò che era stato, era nel passato e non sarebbe tornato mai più.
«Lo so, Dean, lo so. Non importa, basta» sorrise, spostando il dito, mentre il cacciatore spalancava gli occhi a quel contatto improvviso «non mi importa, eri deluso, e avevi ragione. Abbiamo sbagliato entrambi, ma ora siamo qui, insieme, e siamo salvi».
«E ci stiamo dicendo addio» lo corresse Dean, con una nota di malinconia nella voce. Non voleva dirgli addio, non poteva, non ora che si erano ritrovati, non ora che stavano bene entrambi, non ora che erano fuori dall’inferno, non ora…semplicemente non ora.
E fu allora che, portata di nuovo la mano sulla guancia di Dean, Castiel si alzò leggermente sulle punte e baciò il cacciatore, congiungendo le loro labbra, così come non facevano da parecchio tempo, sentendo di nuovo l’uno il sapore dell’altro, mentre il più alto stringeva maggiormente le braccia attorno al suo collo, stringendosi contro il suo angelo, senza più fiato nei polmoni, perché Castiel gli toglieva totalmente il fiato, ogni volta. Si baciarono avidamente, nostalgici e quasi irruenti, dopo tanto tempo che si erano privati di tale privilegio. I loro cuori battevano all’unisono, le loro menti erano spente, e le loro bocche impegnate. Si sentivano solo i loro respiri fusi insieme, il cinguettio degli uccelli e il frusciare del vento tra gli alberi facevano loro da sottofondo, mentre le ali di Castiel li avvolgevano in un bozzolo protetto e sicuro, lontano da sguardi indiscreti – sebbene fossero in una landa desolata – e da pericoli incombenti.
Castiel era lì, Dean era lì, erano l’uno nelle braccia dell’altro, e niente andava male, come poteva andare male, quando erano insieme?
Il bacio divenne da irruento, dolce. Adesso la voglia che avevano l’uno dell’altro si era placata, e i sentimenti dolci fluivano in loro, dando spazio ad un bacio lungo e dolce, pieno d’amore e dolcezza, piccoli morsi e sorrisi contro sorrisi. Una mano di Dean era finita nei capelli dell’angelo, e una mano di quest’ultimo si era fatta largo sul fianco del cacciatore, sotto la sottile maglietta di cotone indossata da lui, carezze delicate e dolci venivano fatte, durante quell’illimitato bacio, più lungo del dovuto.
Si staccarono solo un attimo, solo per respirare, senza nemmeno aprire gli occhi, ma nel momento in cui le loro labbra si incontrarono nuovamente, il bacio divenne disperato, senza ombra di dolcezza, come quello di prima.
Disperazione e tristezza si fusero tra di loro contro le loro labbra, perché finalmente si erano incontrati ed entrambi avevano appena realizzato che quello fosse realmente un addio, che quello fosse il loro ultimo bacio, che non avrebbero avuto altre occasioni per dichiararsi, e Dean allora lo fece, separò per un attimo le sue labbra da quelle dell’angelo, restando però a distanza di sicurezza da lui, stringendogli le braccia attorno al collo, stringendosi contro di lui, stringendolo contro di sé, perché non voleva che il suo angelo svanisse improvvisamente davanti a lui, nel nulla, prima di sapere ciò che provava per lui. Si avvicinò allora al suo orecchio per sussurrargli un dolcissimo e sentito: «Ti amo», prima di baciargli il lobo e tornare a baciarlo sulle labbra con, forse, più disperazione di prima.
Nessuno dei due aveva mai provato niente di più straziante di ciò che stavano provando in quel momento, e in quel bacio esprimevano tutto il dolore, tutta la malinconia e tutto ciò che provavano: così tanti sentimenti contrastanti da renderli avidi di continuare quel bacio all’infinito, per allungare il tempo insieme, per non dirsi addio, non ancora, non in quel momento bellissimo.
Era un addio, e dopo di quello non ci sarebbero più stati Dean e Castiel, non ci sarebbero più stati i tre cacciatori quasi fratelli, Sam, Dean e Castiel, non ci sarebbe stato più nulla, perché sapevano entrambi che quello fosse un addio, un addio vero.
Non si sarebbero rivisti mai più, e avrebbero sofferto per questo, Dean avrebbe sofferto di sicuro. La disperazione regnava sovrana, era come una minaccia per entrambi, perché sapevano a cosa andassero incontro, sapevano che dopo quel giorno niente sarebbe stato lo stesso, sapevano che una volta separate le labbra, non si sarebbero mai più rivisti, sapevano che quello fosse l’ultimo bacio, e come tale, lo resero indimenticabile.
Quando le loro labbra si separarono nuovamente, Castiel non ebbe il coraggio di aprire gli occhi e guardare Dean che gli stava per prendere la mano con l’intenzione di intrecciare le loro dita, in una stretta dolce e sicura. Improvvisamente l’angelo scosse la testa, lasciando bruscamente il fianco di Dean, che teneva ancora stretto in una solida stretta protettiva, e, mormorando a bassa voce un tristissimo «Addio», svanì nel nulla con un battito d’ali, lasciando Dean solo con la mano porta in avanti nell’intento di prendergli la mano. L’espressione che si dipinse sul volto del cacciatore era stravolta, confusa e spaesata, la mano ancora protesa in avanti nell’atto di prendere quella di Cas, ma non l’aveva mai raggiunta, perché era svanito prima, privandolo di quella sensazione di pace eterna, lasciandolo solo in mezzo al nulla, dove non avrebbe nemmeno potuto contattare Sam, per dirgli che stesse bene.
Aveva rivelato i suoi sentimenti a Castiel, a quale fine? Si era di nuovo lasciato ingannare, adesso aveva il cuore spezzato, perché gli aveva detto addio, proprio quando lo aveva appena ritrovato e gli aveva rivelato i suoi sentimenti. Ammetterli era molto peggio di celarli, soprattutto dopo la perdita. Se non li avesse ammessi ad alta voce, li avrebbe rinchiusi in un angolo dimenticato dl cervello e li avrebbe celati, nascosti, senza mai dare troppa importanza a quello, ma ora detti ad alta voce avevano tutto un altro significato. Sono fottuto.
Dean si disse che quella sarebbe stata davvero l’ultima.
Mai più amore, per amore. Niente donne, niente uomini. Solo caccia e Sammy.
Con il morale a terra, nessuna voglia di fare nulla e sconvolto più che mai, Dean si incamminò in quel bosco, aumentando di tanto in tanto il passo perché era il tramonto e – si sa – tutti i mostri che lui aveva affrontato uscivano allo scoperto di notte, raramente di giorno, lui era senza armi e senza protezioni, quindi avrebbe fatto la cosa migliore correndo via da quel luogo, e cercando un centro abitato, da cui avrebbe potuto contattare Sam.
Si sentiva un completo idiota, oltre a sentirsi del tutto svuotato di qualunque cosa positiva, dal momento in cui Cas era andato via, nella sua mente le immagini dell’inferno avevano fatto capolino, imponendosi violentemente: tutte quelle torture, tutte quelle cattiverie, le urla delle altre anime, le sue urla, il dolore, i demoni, ogni cosa bussava alla porta della sua mente e entrava, tutto ciò che aveva vissuto era impresso come a fuoco nella sua mente e nella sua anima. Non doveva pensare, doveva chiudere la mente, e forse poteva riuscirci, concentrandosi su qualcos’altro, come la sua famiglia. Era chiaro, doveva tornare da Sam, ma non gli avrebbe mai raccontato nulla, sarebbe stato fin troppo da sopportare per il minore, e di certo Dean non era il tipo da abbattersi per dei brutti ricordi. Lui era forte, lo era sempre stato, e lo sarebbe stato ancora.
Ignorando le immagini e le urla nella sua mente, continuò la sua traversata di quella valle disabitata, e giunse sul ciglio di una strada, sulla quale poche persone passavano. Il cacciatore sperava solo di incontrare qualche persona buona e scroccare un passaggio nel primo centro abitato. Prima si ricongiungeva a suo fratello, prima avrebbe smesso di pensare a cose spiacevoli, all’inferno e a Castiel che lo aveva mollato in mezzo al nulla.
Non appena dei fari abbaglianti furono sulla sua visuale, Dean iniziò ad agitare il braccio dinanzi a sé, con la speranza che l’auto lo notasse e si fermasse, ma quella passò davanti a lui, ignorandolo. Il cacciatore sbuffò e attese, sedendosi sulla ringhiera che lo separava dal bosco dal quale era uscito. Attese forse per ore, a giudicare dalla luce lunare e le stelle apparse in cielo, che Dean stava scrutando con attenzione, perché ingenuamente pensava che Castiel potesse essere su una di quelle, pur sapendo che le stelle non fossero altro che palle di gas e polveri fluttuanti nello spazio. Perché sei andato, Cas?
Non riusciva a non farsene una colpa.
Tutto era colpa sua, perché non era tornato indietro, non aveva capito, era tornato tardi. Aveva mandato lui Castiel all’inferno, e tirandolo fuori l’aveva reso di nuovo un angelo, che a sua volta lo aveva tirato fuori da quel luogo terribile e ora… era da qualche parte in paradiso. Sperava solo che stesse bene, e che gli angeli non lo torturassero. Sapeva che il suo posto dovesse essere l’inferno, perché un errore come lui, poteva andare a finire solo lì, perché Cas lo aveva tirato fuori? Perché aveva rischiato in quel modo per uno come lui? Perché non lo aveva semplicemente lasciato a marcire sotto quelle torture?
Oltre ai sensi di colpa e all’odio verso se stesso, ora si aggiungevano anche le immagini, i flashback, i ricordi di tutto ciò che era stato l’inferno, e tutto quel peso era troppo per una sola persona, persino per un uomo coraggioso come Dean Winchester.
Ormai era notte inoltrata, quando un furgoncino si fermò di fronte a lui. Da lì uscì qualcuno, producendo un rumore quasi sinistro, muovendo i piedi sull’asfalto. Dean sonnecchiava, stanco e provato mentalmente da tutto quello che gli ritornava nella mente ogni volta che chiudeva gli occhi, seduto su quella ringhiera, sempre all’erta. Non appena percepì il rumore, Dean aprì un occhio per studiare la situazione, era sempre attento a tutto ciò che lo circondava, come gli aveva insegnato Bobby.
Non avendo armi con sé, avrebbe dovuto lottare a mani nude, ma poco importava, ne era capace e doveva farlo per salvarsi.
«Dean?» chiese una voce fin troppo familiare per le sue orecchie, e allora il cacciatore alzò lo sguardo e si ritrovò di fronte il fratello minore in carne ed ossa. Con un balzò fu giù dalla ringhiera e gli si avvicinò rapidamente, quasi in trance, quasi come se avesse visto un miraggio. Non appena si rese conto che fosse realmente suo fratello, che fosse vero e reale, gli saltò al collo, abbracciandolo subito, avvolgendogli le braccia attorno alle spalle, stringendo gli occhi, per cercare di fermare l’imminente arrivo di qualcosa che lui proprio non avrebbe sopportato fare davanti agli altri, soppresse le brutte sensazioni e tirò un sospiro di sollievo, era di nuovo con suo fratello, finalmente. Nulla poteva andare male, con lui.
«Finalmente ti abbiamo trovato» disse ricambiando l’abbraccio del fratello, con una stretta solida e stretta «Castiel ci ha avvertiti, so tutto, tranquillo, non devi spiegarmi niente, va tutto bene, Dean» lo rassicurò accarezzandogli la spalla. L’angelo aveva fatto visita loro nel pomeriggio, sommariamente aveva raccontato sia a Sam che a Bobby ciò che aveva fatto Dean, e che lui l’avesse tirato fuori dall’inferno, li rassicurò sulla sua salute, e gli indicò il posto dove trovare il maggiore dei Winchester, e poi dopo un lungo abbraccio con Sam, era volato via, sparendo dalla loro vista. I due cacciatori avevano cercato Dean per ore, prima di riuscire a trovarlo sul ciglio della strada, infreddolito e mezzo addormentato sul limitare del bosco. Ma ora che Sam stringeva il fratello tra le braccia poteva dire di essere tranquillo. Erano stati i giorni più lunghi quelli passati senza sapere dove fosse finito.
Il maggiore senza accorgersene aveva iniziato a piangere, per la prima volta davanti a qualcuno, davanti a suo fratello, o meglio sulla spalla di suo fratello. Si sentiva una ragazzina, ma non poteva farne a meno, non dopo tutto quello che gli era capitato in quel periodo laggiù. Nessuno era così forte da restare impassibile di fronte a quelle torture infernali, nemmeno il prode e coraggioso Dean Winchester, certe esperienze segnavano dentro, e Dean ne era la prova tangibile.
Stava mostrando la parte di più debole di se stesso alla persona che avrebbe dovuto proteggere, ma non poteva farne a meno, era fin troppo provato, e l’assenza dell’angelo non faceva che aumentare quella sensazione, perché il cacciatore sapeva che fosse colpa sua. Sam non si lasciò scoraggiare, non sapeva come avrebbe reagito Dean, dopo quell’inferno, ma era pronto a tutte le evenienze, anche alla meno probabile, come un pianto liberatorio da parte del più grande.
«Dean, calmati…» gli sussurrò mentre la sua mano non smetteva di accarezzargli la schiena, cercando di calmarlo «va tutto bene, sei con noi, sei con la tua famiglia, ora».
E mentre Sam lo trascinava verso il furgoncino grigio di Bobby, Dean stringeva la maglietta del fratello tra le mani, piangendo quasi a singhiozzi. Tutto ciò che provava era tutto fin troppo distruttivo, fin troppo duro da affrontare, almeno non poteva farlo subito, nonostante si sentisse indegno di tale supporto, lasciò che il fratello accogliesse il suo pianto liberatorio, e che cercasse di consolarlo, per quel giorno. Da quello successivo sarebbe tornato il solito Dean, chiuso a tutti i sentimenti e alle emozioni.
Non si sarebbe lasciato scalfire da nulla, non dopo essere riuscito a sopravvivere all’inferno, ma in quel momento, si godeva l’affetto familiare che Sammy riusciva a trasmettergli in ogni occasione, anche in quella più disastrosa come quella corrente.
Riuscì a calmarsi solo dopo duecento metri di viaggio, Sam, seduto con lui nel retro del furgoncino, non lo aveva mai lasciato, gli era stato accanto durante tutto il suo sfogo e aveva tentato di rassicurarlo come meglio poteva, riuscendoci solo circa venti minuti dopo. Dean aveva gli occhi arrossati, il volto sconvolto, ma un po’ si sentiva meglio. Non bene, ma leggermente meglio. Gran parte del suo dissidio lo aveva scaricato con le lacrime, il resto pian piano lo avrebbe accantonato come suo solito, e depositato negli angoli più reconditi del suo subconscio, e mai più avrebbe ripensato a tutta quella merda che era stato costretto a vivere, tuttavia non avrebbe mai potuto dimenticare l’inferno, quello sarebbe stato un ricordo indelebile nella sua mente, impresso a fuoco in essa e nella sua anima; non avrebbe mai dimenticato le torture e le urla, il dolore e la disperazione.
Quell’esperienza lo aveva davvero segnato per l’eternità, ma non l’avrebbe fatto pesare a Sam, lo sfogo di quella notte era bastato a mostrarsi debole una volta, ma non sarebbe accaduto mai più. Lui non era uno debole, non si lasciava vincere e spezzare, né piangeva tra le braccia di Sam, era stato un caso e la sua emotività era stata dettata anche dall’addio dell’angelo, che lo aveva abbandonato.
Aveva conosciuto Castiel, se ne era innamorato, e aveva fatto una cazzata andando via, perché non lo aveva ascoltato, aveva tratto conclusioni subito, senza prestare attenzione, ma poi aveva tentato di rimediare, finendo all’inferno per quelli che erano sembrati anni, quando in realtà non erano passati che pochi giorni terrestri, e dall’angelo era stato tirato fuori da quel luogo, lui però alla fine era volato via, lasciandolo solo, dopo un bacio mozzafiato, e da questo ne era uscito distrutto. Poi aveva ritrovato suo fratello, e allora tutto era andato per il verso giusto, si era sfogato e ora stava meglio.
Sì, stava meglio, ed era tutto grazie al più piccolo.
Basta relazioni, se me ne tengo alla larga, starò bene.
Solo caccia e mio fratello. Solo caccia e Sam.
Starò bene, grazie a lui.
Sto bene, grazie a lui.
Sam lo guardò preoccupato, e volle accertarsi che stesse bene, si era preoccupato a vederlo in quelle condizioni, si era preoccupato vedendolo annullarsi dopo la morte di Castiel, si era preoccupato vedendolo piangere, ma avrebbero superato tutto, insieme.
«Stai bene, Dean?»
«Ora sì, Sam».

 
To be continued...

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Eccoci qua, again! 
Allora, cosa dire. Rinnovo per la milionesima volta le mie scuse e ringrazio chi continuerà a seguirmi.
Anyway. Allora, Dean si è sacrificato per Cas (per chi sente puzza di fine seconda/inizio terza stagione, ha ragione) ma Cas non può lasciarlo marcire all'inferno per colpa sua, anche se Dean stronzo com'è stato con Cas, lo meriterebbe (no, Dean non è assolutamente il mio personaggio preferito pft... no!) comunque, Cas va a recuperarlo (season 4 is here!) e poi si dicono addio. Vi dirò, amo la parte in cui Dean ritrovato Sammy si sfoga, anche è mooolto OOC, per fortuna che c'è l'avvertimento LOL volevo sottolineare il rapporto tra Sam e Dean, spero di esserci riuscita; comunque questo è quanto. Ah no. Facciamo una hola per Gabriel che aiuta Cas a salvare Dean. Ed esultiamo per aver spedito quel brutto bastardo assassino di Metatron all'inferno. I demoni saranno contenti di coccolarlo
Il prossimo sarà l'ultimo, I'm so sad. 
Confesso che era questo l'ultimo capitolo, qualche mese fa, ma poi ho deciso di aggiungerne uno. E il motivo lo spiegherò nel prossimo capitolo, perchè voglio tenervi un po' sulle spine. 
E ci rivediamo tra un paio di giorni, non di più, promesso! 
A presto, gente! 
 
   
 
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