Welcome to my
life
Era passata una
settimana da quando eravamo arrivati a casa
Hood. Una settimana da quando, grazie alla nostra mente geniale e alle
moltissime precauzioni che prendevamo sempre, Luke si era ammalato. Una
settimana in cui ero rimasta di fianco a lui ad accudirlo, mentre fuori
sentivo
il rumore del mare. Luke si era pure arrabbiato, più con se
stesso che con me.
Mi diceva che per colpa sua mi stavo perdendo le vacanze e che non era
giusto. Quindi,
aveva corrotto Manuela e Ashton per portarmi fuori di casa e non farmi
entrare
se non dopo un bagno.
“Con
cosa vi ha comprato, si può sapere?!” chiesi io,
stesa a
terra, i piedi ancorati saldamente agli stipiti della porta di camera
nostra e
le braccia tenute da Ashton e Manuela. Luke, sul letto, rideva come un
matto.
“Con un barattolo di Nutella, con che altro poteva comprarmi,
secondo te?” fece
Manuela. Io cercai ancora di liberarmi dalla morsa di quei due pazzi.
“Posso
offrirvene due se mi lasciate!” esclamai. Loro mi mollarono
subito ed io caddi
a terra, come se prima non lo fossi già. “Eh no,
non ci provare. Tre barattoli
a testa!” ribatté Luke. Io sgranai gli occhi,
sapendo già cosa mi aspettava.
Infatti, in poco mi presero di nuovo per i polsi, tirando ancora
più forte di
prima. Manuela iniziò a farmi il solletico ed io mollai la
presa sugli stipiti
urlando. I due esultarono, trascinandomi via lungo il corridoio.
“Divertiti,
amore!” sentii Luke urlare ridendo. “Questa me la
paghi!” gridai invece io. Poi
mi guardai avanti e sbarrai gli occhi. “No, no, no, ragazzi,
mi alzo, ma non
trascinatemi giù dalle scale, che mi ammazzo!”
esclamai terrorizzata. Loro
fecero spallucce e mi issarono, scendendo le scale senza lasciarmi modo
di
scappare. “Dai, vi prego, perché lo
fate?!” chiesi disperata. “Perché tu sei
l’unica cosa fra noi e tre barattoli di Nutella, molto
semplice” rispose
Ashton. Io alzai gli occhi al cielo, mentre mi portavano fuori di casa.
“Non ho
il costume!” tentai. Manuela mi consegnò ad
Ashton, che mi bloccò
abbracciandomi, e tornò in casa a prendere il mio costume.
“Visto? Ci vuole
poco.”
“Se mi
lasciavate, andavo io!”
“Certo,
così poi ancora tre quarti d’ora a tirarti per
farti
scollare da quella stanza!”
“Non
è colpa mia se Luke ha la febbre e voglio
aiutarlo!”
“Luke
sta bene! Ha trentasei, provata stamattina! È solo per
sicurezza che oggi sta in casa!”
Io mi bloccai.
“E me lo dici ora?!” esclamai. Manuela fece un
sorriso imbarazzato. “Potrei essermene dimenticata, sai
com’è, la mia mente era
sintonizzata solo su: avrete un pagamento in Nutella”
confessò. “Anzi, ti
ringraziamo per aver alzato la posta in gioco” disse Ashton
con un sorriso da
Stregatto. Io scossi la testa. “Siete impossibili.
Andiamo” dissi, rassegnata.
“E dai, via il dente, via il dolore” fece Ashton
gongolante. “Non capisco!
Prima adoravi il mare!” esclamò invece Manuela.
“Sì, ma c’è Luke a casa da
solo
e mi dispiace!”
“Ricordati
che è stato lui a pagarci”
“Sono
solo futili dettagli!” Manuela, a quelle parole, mi si
parò davanti sbalordita. “Cioè, fermi
tutti. Se l’avessi fatto io, ti saresti
trasformata in Nadir, ma se lo fa Luke dici che sono solo futili
dettagli?!”
fece, sconvolta. “Chi è Nadir?” chiese
Ashton. “È un suo personaggio.
Praticamente, per farti un riassunto: è la figlia di Satana,
Demone, vampira,
perennemente affamata di sangue, perfida, cattiva, e tutti gli
aggettivi
negativi che ti vengono in mente” spiegò Manuela.
“Ehi, non è colpa sua se è
così!” la difesi io. Mi ero affezionata troppo a
quel personaggio, quasi fosse
una figlia, e per me era difficile scrivere le scene in cui doveva far
la parte
della cattiva, perché si sarebbe tirata addosso solo altro
male… invece,
adoravo scrivere delle scene d’amore fra lei e il suo
“nemico”. Avevo in mente
tutta la storia, tranne quelle dannatissime parti in cui lei doveva
respingere tutti
col suo carattere orribile, che alla fine era solo la sua maschera.
Ashton mi
guardò storto. “Dopo fammi leggere qualcosa, che
mi
incuriosisce e ora non ho capito nulla” disse solo. Io
ridacchiai e annuii,
mentre andavamo in spiaggia a raggiungere gli altri.
Certo,
l’intenzione di divertirmi c’era. Poi avevo visto
gli
scogli e mi ero arrampicata, arrivando fino in punta saltellando
allegramente. E
lì, il rumore del mare, il non sentire gli schiamazzi degli
altri, il cielo
occupato da una coltre di nubi spaventosamente scure, il mare blu,
l’essere da
sola, diedero spazio alla malinconia. Mi sedetti sullo scoglio, con le
gambe
raccolte contro il petto e gli auricolari nelle orecchie. Welcome to my life, dei Simple Plan. Non
c’era canzone migliore, in
quel momento.
Do you every feel like breaking down?
Do you ever feel out of space?
Like somehow you just stop belong and no one
understands you
Certo, il testo
non c’entrava molto, ma la melodia era
bellissima, perfetta per quella situazione.
Do you ever wanna run away?
Do you lock yourself in your room?
With the radio on turned up so loud
So that no one hears you screaming
Quella parte mi
faceva tremare.
Quelle parole così giuste, non so spiegarlo, andavano dritte
al cuore, alla mia
parte più sensibile e, diciamolo, talvolta più
depressa.
No, you don't know what it’s like
When nothing feels alright
No, you don't know what it’s like to
be like me
To be hurt
to
feel lost
to be left out in the dark
To be kicked
when you're down
you feel like you've been pushed
around
To be on the edge of breaking down
and no one's there to save you
No you don't know what it’s like
Welcome
to my life.
A volte mi
chiedevo perché mi
facevo male da sola, ad ascoltare quelle parole. Per quanto cercassi di
ignorarle, erano loro ad aprire uno spazio in me per lasciare le note
entrare
in circolo, come fossero una droga. Perché la musica era
proprio quello per me:
una bellissima droga.
Do you wanna be somebody else?
Are you sick of feeling so left out?
Are you desperate to find something more
before your life is over?
Are you stuck inside a world you
hate?
Are you sick of everyone around?
With the big fake smiles and stupid
lies
while
deep inside you're bleeding
Senza
accorgermene, iniziai a
cantare. Piano, prima impercettibilmente, con voce flebile, quasi
avessi paura
di poter essere sentita, poi sempre più forte. Il mio era un
amore non
corrisposto: per quanto io fossi pazza del canto, non ottenevo nulla
dalla mia
voce. Solo note orribilmente stonate. Non so con che forza continuavo a
cantare. Battevo il tempo con le unghie sugli scogli.
No,
you don't know what it’s like
when nothing feels alright
No, you don't know what it’s like to
be like me
To be hurt
to
feel lost
to be left out in the dark
To be kicked
when you're down
you feel like you've been pushed
around
To be on the edge of breaking down
and no one's there to save you
No you don't know what it’s like
Welcome
to my life.
Avevo iniziato a
muovere la testa a
tempo, sempre più presa dalle note di quella canzone. Era
bellissima. L’avevo
scoperta a dieci anni e me l’ero segnata sul computer,
insieme a My happy ending di Avril.
Poi, a
quindici, avevo ritrovato il file, finito nel dimenticatoio, e prima di
cancellarlo
ci avevo dato un’occhiata. Dato che My
happy ending era bellissima, mi dissi che forse anche Welcome to my life mi sarebbe piaciuta, e
l’avevo scaricata. Ero
felice di averlo fatto.
No one ever lies straight to your
face
And no one stabbed you in the back
You might think I’m happy
But I’m not gonna be ok
Everybody always gave you what you
wanted
You never had to work, it was always
there
You don’t know what it’s
like
What it’s like
To be hurt
to
feel lost
to be left out in the dark
To be kicked
when you're down
you feel like you've been pushed
around
To be on the edge of breaking down
and no one's there to save you
No you don't know what it’s like
What it’s like
To be hurt
to
feel lost
to be left out in the dark
To be kicked
when you're down
you feel like you've been pushed
around
To be on the edge of breaking down
and no one's there to save you
No you don't know what it’s like
Welcome to
my life.
Welcome to
my life.
Ero pronta
a cantare l’ultimo verso, quello che mi piaceva di
più, quando qualcuno, dietro
di me, mi precedette:
Welcome
to my life.
Mi voltai,
incrociando lo sguardo color cielo di Luke, che mi guardava sorridente.
“E tu
che ci fai qui?! Torna in casa, subito!” esclamai allarmata.
“Stai tranquilla,
non ho niente da ieri mattina, e ho corrotto Manuela per non dirtelo e
quindi
farti una sorpresa. Ma tu hai una testa dura come il cemento e io ora
dovrò
procurarmi sei vasetti di Nutella” disse lui, sedendosi di
fianco a me. Lo
guardai a bocca aperta. “Sei un idiota, lo sai?”
chiesi. “Lo so. E tu sai che
ti amo?” rispose lui. Io sorrisi e abbassai lo sguardo,
appoggiando la mia
testa alla sua spalla. Lui, però, mi prese il mento fra le
dita e fece
incontrare le nostre labbra, in un bacio che desideravo da troppo
tempo. Chiusi
gli occhi, mentre lui chiedeva un accesso che non tardai a consentire.
Mi
trattenne fra i denti il labbro superiore, cosa che sapeva farmi
impazzire. Ci
baciammo per un po’, poi lui mi stampò un bacio
umido sul naso. “Mi piace
troppo quando mi dai dell’idiota.”
“Perché?”
“Non
lo so,
se devo essere sincero. Forse sono masochista, o forse sei tu che lo
dici con
un tono adorabile” commentò lui.
Un’ora
dopo, ero con i capelli bagnati sulle ginocchia di Luke, a gocciolargli
sul
corpo bollente per il sole. Lui rabbrividiva ad ogni gocciolina gelida:
nonostante fossi asciutta, i miei capelli erano una spugna e
continuavano a
perdere acqua nonostante li tamponassi ogni due secondi.
“Attacchiamo
tre contro uno dall’Ucraina all’Europa
meridionale” disse Luke, muovendo il
carro armato giallo sulla mappa di Risiko. Dato che c’era
spazio per quattro
giocatori, giocavamo a coppie. Io e lui dovevamo distruggere le armate
rosse,
ovvero Ashton e Carol. Loro l’avevano capito subito, non
avevamo fatto nulla per
nasconderlo, quindi fuggivano e intanto distruggevano Madison e Calum,
che
casualmente erano sempre sulla loro strada.
Io tirai i
dadi blu, mentre Carol mi guardava truce e ribatteva con
l’unico dado rosso.
Cinque, tre e uno contro cinque. I due esultarono, mentre Luke ed io
attaccavamo di nuovo e stavolta vincevamo, due e sei contro quattro.
Passammo
il turno e pescammo una carta. Mi stavo appassionando a Risiko, gioco
cui mi
aveva iniziato Michael.
Continuammo
a giocare, sempre più agguerritamente. Io stavo attenta agli
spostamenti del
team Cashton, Luke a quelli del team Madilum. Nomi orribili ma fa
niente, noi
eravamo i Corake. Gli unici ad avere un nome umano erano i Manuel.
Fermi
tutti.
Erano
passati diversi turni, e la guerra aperta era fra i Corake, Madilum e
Cashton.
E chi curava i Manuel?!
Infatti, in
quel turno, vinsero, conquistando l’Oceania e il Nord
America. Accidenti alla
nostra disattenzione. “Così imparate a non
considerarci” esclamò Michael
ridacchiando malefico. Manuela gli fece eco, risentita e divertita. Non
dicemmo
niente, troppo impegnati a roderci il fegato per essere stati
così stupidi.
“Che
cosa
facciamo stasera?” chiese Carol. “Io pretendo di
uscire, siamo rimasti una
settimana in casa per colpa di un biondino che ancora mi deve tre
barattoli di
Nutella” fece Manuela. Luke fece un sorriso talmente angelico
che non mi sarei
sorpresa se gli fosse spuntata l’aureola. Io mi alzai da
Luke, che si asciugò
il petto per l’ennesima volta, e mi diressi a passo lento
verso gli scogli.
“No, Coco, ti sei appena…”
tentò di fermarmi Madison. io non l’ascoltai e mi
misi a correre, tuffandomi dove sapevo non esserci pietre. Quando uscii
dall’acqua, mi dovetti sistemare il costume, che si era
sfilato mentre mi
tuffavo di testa. “…Asciugata”
completò Madison. Io ridacchiai. “Scappa, che se
ti prendo ti affogo!” esclamò lei, iniziando a
prendere la rincorsa. Io mi misi
a nuotare più che potevo, mentre gli altri partivano
all’inseguimento,
abbandonando i carri armati colorati al loro destino.
Iniziammo a
giocare a rincorrerci in acqua, tutti contro uno. Quell’uno,
ovviamente, ero
io, chi altro? Scivolai dalla presa di Ashton, passai sotto Carol,
evitai anche
Calum. Poi, mi si parò davanti Luke. “Ok, mi
arrendo” dissi subito, col
fiatone, mentre gli altri stavano per raggiungerci. Lui mi
guardò sorridente.
“Sul più bello?!” chiese. Io lo guardai
di traverso, aveva in mente qualcosa.
“Nuota, nuota, dai!” esclamò,
prendendomi un polso e portandomi verso riva.
Cos’aveva in mente? Io obbedii e iniziammo a scappare dagli
altri, che si
fermarono un attimo, confusi, per poi inseguirci di nuovo. Avevamo un
distacco
di una decina di metri se non di più. Arrivammo sulla
spiaggia e Luke prese al
volo i nostri vestiti e la mia borsa, iniziando a correre verso casa.
Forse
avevo capito il suo gioco.
“Dai,
corri, in fretta!” esclamò, mentre correvamo verso
casa. Io annuii col fiatone,
mentre lui cercava nella mia borsa la chiavi di casa. Me le porse.
“Apri la
porta di casa, io li rallento!” esclamò ridendo.
Io annuii e presi tutti i
nostri bagagli, correndo verso casa Hood, che dava proprio sul mare.
Luke
chiuse il cancello del vialetto e lo sprangò con la vanga
per non farlo aprire
per poi venire da me, che avevo appena aperto la porta di casa. Gli
altri,
dietro di noi, ci gridavano insulti a tutto spiano, avendo capito il
nostro
progetto. Riuscii a chiudere a chiave giusto in tempo: Michael era
già contro
la porta. Ci sdraiammo sul divano, per riprendere fiato. “Che
non ti venga più
in mente, chiaro?” feci. Lui si mise a ridere.
“Dillo, che ti sei divertita.”
“Certo.
È
stato uno spasso.” Scoppiammo a ridere e ci alzammo giusto
per sentire dei
pugni contro il vetro della sala. Era Manuela, col naso schiacciato
contro la
porta-finestra. Io e Luke ci guardammo. “Bastardi fino in
fondo?” chiese. Io
annuii e tirai la tenda, ridacchiando e mimando uno:
“Scusa” alla mia migliore
amica. “Controlla le altre finestre, non sia mai che entrino
da lì” dissi poi.
Facemmo il giro di ricognizione, chiudendo ogni accesso alla casa.
Improvvisamente, qualcuno si attaccò al campanello di casa,
perforandoci i
timpani con il suo triiiiin
impazzito. Io mi coprii le orecchie, mentre Luke metteva un cd.
Partirono le
note di Welcome to my life.
Accidenti
a lui, già non riuscivo a togliermela dalla testa!
Luke
alzò
il volume al massimo e ci mettemmo a cantare a squarciagola per coprire
il
rumore del campanello.
Mi sentivo
malvagia, anzi di più. Sapevo che, una volta aperta la
porta, gli altri ci
avrebbero ammazzati, quindi tanto valeva godersi lo scherzo, no?
Continuammo
a fare i pazzi, fino a che Luke, di fronte a me, non
sbiancò. Cercò di
avvertirmi di qualcosa, ma mi era già arrivato un cuscino in
testa. Mi voltai,
sorpresa, vedendo Manuela di fronte a me, imbufalita, che reggeva un
cuscino.
Gli altri erano dietro di lei, armati di qualsiasi cosa potesse essere
utile.
Calum aveva addirittura una spada laser giocattolo, che si illuminava e
faceva bip in continuazione. Tutti
grondavano acqua
salata, come noi. Madison tolse la musica, con aria truce.
“Come avete fatto ad
entrare?!” chiesi. “Il lucernario in mansarda,
brutto pezzo di…”
“È
troppo
tardi per chiedere scusa e dire che vi vogliamo bene?” Luke
interruppe così
Manuela, che stava iniziando con i suoi insulti. Gli altri annuirono.
Noi
eravamo con le spalle al muro, ci eravamo tolti ogni via di fuga da
soli. “Si
apre la stagione di caccia” esclamò Carol, mentre
mi arrivava una cuscinata.
Iniziò una rissa impari, con me e Luke che non potevamo far
altro che stare
rannicchiati sul pavimento a subire la furia motivata dei nostri amici.
Intanto, ridevamo. “Questo è perché ci
avete chiuso fuori – mi arrivò una
cuscinata in faccia –, questo è per la corsa
assurda – cuscinata in pancia –, questo
perché siamo fradici – cuscinata sulla schiena
– e questo perché avete cantato
malissimo Welcome to my life!” esclamò
Manuela, furibonda e divertita,
mentre i capelli bagnati le si appiccicavano al viso e fendevano
l’aria come
fruste.
Ho
già
detto che amavo avere diciassette anni e degli amici come loro?
*Angolo autrice*
scusate i continui ritardi ma non ho mai un minuto libero... e poi sono in un posto che ha il wifi solo al bar, quindi non riesco mai ad aggiornare. Scusatemi :( a presto!
Ranya