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Autore: hiromi_chan    31/07/2014    3 recensioni
Arthur Pendragon, demotivato e con la tendenza a ignorare i suoi problemi, viene spedito per conto della Pendragon Immobiliare a Castel Camelot in Scozia. Gli abitanti della città di Ealdor sono convinti che il castello sia in balia di strane presenze, ma Arthur non è dello stesso avviso. L'occasione lo porterà a unire le forze con la sorellastra Morgana, una veggente che gestisce un'agenzia di investigatori psichici, e con Merlin, l'eccentrico socio sensitivo di Morgana.
Inaspettatamente, Arthur si ritroverà a dover farei i conti con i suoi fantasmi personali... e anche con un altro tipo di fantasmi.
(Storia conclusa in tre capitoli)
[Questa fanfiction partecipa al contest “Il romanticismo del 666” indetto da _Stardust e _LoveStory_ sul forum di EFP.]
[Revisionata]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'King and Lionheart'
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~Prima stesa delle carte~

 

 

 

 

Castel Camelot era davvero impressionante, Arthur doveva ammetterlo. Si ergeva maestoso, con il suo mastio protetto da quattro torri minori ai lati. Sebbene il mattone fosse di un grigio chiaro slavato dagli anni e dalle intemperie, bisognava fare poca fatica per immaginarsi la luminosità che doveva aver trasudato ai tempi d'oro. C'era solo una cosa che non andava: il lago che lo circondava tutt'intorno, a fare da ulteriore cornice ai rilievi verdeggianti.

Un ponte di pietra collegava la strada al lembo di terra sottratto al lago; da lì il castello dominava tutto il paesaggio. Arthur cercò di concentrarsi sulla bellezza di quel complesso, mandando giù silenziosamente grosse boccate d'aria.

Dopo quello che gli sembrò un tempo infinito, le ruote del motorino toccarono il suolo del ponte.

“Va tutto bene?” vociò Merlin sopra la pioggia. “È che ti sento un po' irrigidito e... non per fartelo notare, ma mi stai stritolando la spalla.”

Arthur allentò automaticamente la presa sulla sua giacca di pelle, sforzandosi di non vergognarsi. “Tutta colpa di questo rottame azzurro,” gridò nell'orecchio di Merlin. “Non ci tengo a scoprire quanto possa resistere su un terreno accidentato prima di perdere qualche pezzo.”

Si accorse che Merlin ridacchiava dal movimento singhiozzante della sua schiena. “Non è che invece ti fa paura il lago? Da quando è stato possibile vederlo hai iniziato a lasciarmi addosso dei lividi... be', se devo essere proprio onesto, non mi dispiace l'idea che tu mi stringa forte. Magari mettimi le braccia intorno alla vita, però. Penso che piacerà di più a entrambi – almeno, a me di sicuro.”

Arthur ignorò il torrente di chiacchiere flirtose di Merlin e si morse il labbro, lo sguardo che automaticamente sfuggiva al suo controllo per posarsi sull'acqua. La superficie grigia del lago era agitata dalla pioggia e dal vento. Si stendeva per una circonferenza notevole e sembrava sul punto di ingoiare il castello da un momento all'altro.

“Si chiama Loch Avalon,” disse Merlin, sempre a voce alta. “Si dice che sia stato scelto da molti fin dall'antichità come ultima sponda.”

Arthur represse i brividi che sicuramente dovevano provocargli gli abiti fradici. “Vuoi dire che...”

Aye,” disse Merlin, quasi cinguettando, “ci sono affogate tantissime persone, qui. La maggior parte suicidi, si dice. C'è anche un fatto curioso che appartiene alla storia contemporanea di Castel Camelot: pare che la strage più recente risalga a una trentina d'anni fa, quando il castello bruciò per l'ultima volta. Diverse persone che si trovavano lì a lavorare, colte alla sprovvista dall'incendio, cercarono scampo dalle fiamme gettandosi in acqua dalle torri, ma...” e fece un fischio. “Ti puoi immaginare il resto.”

“Come puoi parlare di certe cose con quel tono?” gli gridò nel timpano Arthur, scandalizzato. Era davvero pazzo, questo Merlin?

Per tutta risposta l'altro rise, facendo sbandare appena il motorino.

“Guarda dove vai, cazzo, sta' attento!”

Aye, sì-sì,” riprese fiato Merlin. “Tranquillo. Ti stavo solo prendendo in giro per la storia del lago, comunque.”

Arthur abbassò le palpebre, non riuscendo a trattenere un sospiro di sollievo. “Almeno il sangue che cola dai torrioni non c'è,” soffiò. Non si aspettava una risposta e, del resto, non pensava che Merlin avrebbe potuto sentirlo, se parlava così piano.

Invece Merlin Malone doveva essere dotato di un udito eccellente, perché disse: “Il sangue non c'è... per ora.”

Arthur prese quel commento come un tentativo di battuta mal riuscito.

Appena furono abbastanza vicini da poter distinguere vagamente il portone d'ingresso del castello, una macchia viola e gialla baluginò nella sua coda dell'occhio.

“Malone,” disse forte, dandogli dei colpetti sul casco. “Hai visto anche tu?”

Lui rispose con un verso interrogativo. Arthur fece schioccare la lingua e tornò a fissare la facciata di Castel Camelot, ormai sempre più vicina.

Tuttavia, solo dopo qualche attimo Merlin annunciò: “Hai ragione. Non siamo soli.”

Doveva aver classificato come una missione personale il mettergli addosso i brividi, perché la sua voce era suonata stranamente vibrante. Era davvero riuscito a individuare qualcun altro con la visuale così ridotta dal temporale?

Solo una volta arrivati a una decina di metri dal portone, Arthur si accorse della Volvo scura parcheggiata a lato dello spiazzo d'ingresso.

“Ecco cosa avevi visto,” continuò Merlin, appena udibile sotto la pioggia incessante.

Non appena ebbe pronunciato l'ultima sillaba, una sagoma sbucò dal fianco nascosto dell'auto. Era una donna, seminascosta sotto un grosso ombrello viola; aveva addosso un impermeabile color senape.

Merlin parcheggiò accanto alla macchina, e lo fece puntando i piedi a terra per frenare (Arthur sobbalzò).

Intanto la donna era venuta loro incontro. “Signor Pendragon?” disse, il tono armonioso e calante. Arthur fece in tempo a notare che aveva gli occhi un po' sporgenti e una piccola fessura tra i denti davanti, prima che lei si nascondesse ancora di più sotto l'ombrello.

“Sono io,” ripose lui. Per scendere dal motorino premette sulla schiena di Merlin, che si lamentò con un verso patetico.

“Io sono Helen Burn,” disse la donna. Poi, con un movimento fluido e lento, procedette ad estrarre dalla tasca un mazzetto di chiavi.

Arthur restò a guardare rapito le sue dita affusolate che si stringevano attorno all'acciaio in una morsa, e che poi lasciavano la presa quanto bastò per far ciondolare le chiavi... a destra... e a sinistra... a destra... e a...

“Buona sera, signora,” schiamazzò Merlin, mandando la spalla addosso a quella di Arthur.

Lui sbatté più volte le palpebre, ritornando in sé. Dio, era proprio goffo, questo Malone.

“Ehm – spero davvero che non abbia perso troppo tempo a causa nostra,” disse Arthur alla donna, ricordandosi al volo del briciolo di decenza che si supponeva possedesse. Tentò di sistemarsi i capelli bagnati di lato, anche, ma senza molto successo. “È da tanto che aspetta?” aggiunse.

Le pupille di Helen Burn si dilatarono e, nello stesso istante, un lampo accese i nuvoloni alle sue spalle, rendendo per contrasto il suo volto pallidissimo. “Oh sì. Aspettavo questo momento da tanto, tanto tempo,” disse, porgendo ad Arthur le chiavi di Camelot.

Un tuono seguì il lampo squarciando col suo rombo il cielo, Arthur si allungò, ma – con una mano Merlin gli afferrò il braccio, mentre con l'altra prese al posto suo le chiavi che Helen Burn offriva. Nel farlo le sfiorò le dita, e Arthur notò che arricciò il naso come aveva fatto prima con lui. Che maleducato.

“Ci scusi tanto,” intervenne allora Arthur. “È colpa di quest'idiota,” e colpì con il palmo aperto il casco di Merlin.

“Non importa di chi sia la colpa. Non è mai questo ciò che conta,” disse Helen Burn. Subito dopo si voltò per tornare alla sua auto, veleggiando. Senza più guardarli aggiunse, sottilmente: “Le auguro una buona permanenza a Camelot, signor Pendragon.”

Arthur, le sopracciglia corrucciate, stette a fissare la Volvo che si allontanava lungo il ponte. Certe persone venivano al mondo con caratteristiche naturalmente esagerate in loro, e lui era solito ridere di soggetti simili, come aveva fatto anche con Morgana. Adesso, però, si sentiva lo stomaco stretto da una strana tensione e, se non poteva attribuirla alla fame, allora la causa doveva essere il comportamento eccentrico di Helen Burn.

“Inquietante,” commentò Merlin, dando voce anche ai suoi pensieri. Il suo naso, ancora puntato verso il ponte, si stava di nuovo muovendo come quello di un cane da tartufo. “Stava mentendo, quando ti ha augurato una buona permanenza.”

Arthur sghignazzò, incredulo; questo Malone, a quanto pareva, non era solo strano, ma era uno di quei casi massimamente ridicoli che avevano il potere di lasciarlo allibito. Doveva esserci qualcosa nell'aria della Scozia che faceva diventare tutti un po' matti.

“Non mi credi?” disse Merlin, chiaramente offeso. “Io lo so quando qualcuno mente.”

“Certo, come no,” disse Arthur, dirigendosi verso il portone del castello.

Sentendo che Merlin gli veniva dietro come fosse strattonato da lui, si accorse che non aveva ancora lasciato andare la presa sul suo avambraccio.

“Hai paura di una donna, Malone?” lo prese in giro, inserendo la chiave più lunga nella bocca del drago intagliato nel chiavistello.

“Faresti meglio a temere una donna più che un lago, Arthur,” rispose lui piattamente.

Il portone di legno cigolò sui suoi cardini e Castel Camelot si aprì per loro. Nel buio si poteva distinguere un tappeto scuro che accompagnava i visitatori fino a una scalinata; l'aria era permeata da un leggero odore stantio. Arthur chiuse il portone e il suono che venne fuori quando inserì di nuovo la chiave nella toppa siglò qualcosa di definitivo. In quello stesso istante le luci si accesero, facendo voltare di scatto Arthur.

“Ho trovato l'interruttore,” disse Merlin, tutto contento. Finalmente si era tolto il casco, rivelando una nuvola arruffata di capelli neri. Si allungò per appoggiarlo sull'appendiabiti vicino a lui, come fosse stato un cappello.

Arthur lo fulminò con un'occhiataccia, scaricò a terra il bagaglio a mano e si portò i palmi sui fianchi.

Ora che si guardava intorno, poteva capire perché quel posto fosse stato scelto come location cinematografica. Ogni cosa era disposta in modo da creare un'atmosfera studiatamente suggestiva.

I pezzi di mobilia d'antiquariato erano pochi, ma di pregevole fattura. Dei vasi di finte rose blu poggiavano su due tavolini gemelli di mogano, disposti ai lati della scala. A destra del portone c'era un portaombrelli con intagliata nel legno una creatura mostruosa e alata. Un grosso orologio a pendolo faceva bella mostra di sé in uno degli angoli, ma era fermo. Il tempo era scandito dal ticchettare della pioggia battente contro le finestre strette e allungate.

Sembrava un posto pieno di storie, Castel Camelot, tuttavia era allo stesso tempo asettico, freddo. Forse erano gli ampi spazi vuoti a dare quell'impressione, e le pareti ricoperte da una carta da parati neutra che parevano allungarsi senza fine verso l'alto.

Arthur si avvicinò alla scala, facendo scorrere il dito su uno dei tavolini con le rose blu. Il leggero strato di polvere che sollevò tradiva che il castello fosse stato di recente abbandonato dal team delle pulizie. “Vediamo di far tornare la gente a fare il loro dovere, allora,” disse.

“Non succederà, a meno che non riusciremo a dimostrare che questo posto è sicuro,” disse Merlin, raggiungendolo.

Arthur annuì e poggiò il piede sul primo scalino, come per saggiarne la resistenza. “La Trinetra ha già iniziato a muoversi per questo caso, o Morgana ha voluto solo fare una gita fuori porta?”

Merlin gli scoccò uno sguardo indispettito, iniziando lentamente a salire la scala. Mentre camminava teneva le dita tese sopra il corrimano, senza toccarlo. “Ovviamente, non appena abbiamo ricevuto delle segnalazioni abbiamo iniziato a investigare, parlando con la gente di Ealdor. Posso confermarti che i curatori del castello si sono spaventati per davvero, Arthur. Non sono scappati perché non avevano voglia di lavorare, come credi tu.”

Arthur gli andò dietro, infastidito dalla sua aperta polemica. “Va bene, diciamo che queste persone siano state in buona fede. Diciamo che un pettegolezzo tira l'altro e che si siano diffuse in fretta strane storie in paese, aiutate dalla fama di questo posto – non metto in dubbio la forza della suggestione.”

Merlin scoppiò in una risatina incredula.

“Comunque, sai dirmi di preciso quali sono stati questi fenomeni anomali rilevati? Mio padre si è mantenuto piuttosto generico a riguardo,” disse Arthur, appoggiando la schiena al pilone di legno in cima alle scale.

Merlin, un piede sull'ultimo gradino e uno su quello sotto, toccò con i polpastrelli l'ennesima testa di drago decorativa, stavolta scolpita al posto del pomello del corrimano. Aveva metà viso nell'ombra; i lineamenti erano spigolosi nel taglio dell'oscurità. “Tutte le notti dopo mezzanotte si levano delle urla agghiaccianti. Sono così acute che le sentono fin giù al villaggio,” disse, stringendo le labbra nella concentrazione. “I testimoni affermano che non sia possibile individuarne la fonte. Quando gliel'abbiamo chiesto, una donna ci ha risposto: 'non si può dire da quale punto preciso stiano gridando. Sono dappertutto. Sono dentro di noi'.”

In quel momento Arthur sentì di non poter sopportare più la posizione in cui si trovava. Si staccò dal suo appoggio, decidendo che la scomodità doveva essere data dall'impermeabile bagnato e freddo che ancora non aveva tolto. Se lo scrollò di dosso, allora, appoggiandolo al corrimano. Merlin seguì accuratamente i suoi gesti, fermando poi lo sguardo... sulla sua cravatta? No, sul fermacravatta.

Arthur si schiarì la gola. “Mio padre accennava anche al famoso sangue sulle torri.”

“Oh – aye,” fece distrattamente Merlin, scacciando l'aria. “E poi ci sono gli oggetti spostati dalle loro posizioni originarie e... oh, c'è anche la sensazione di gelo. Tutti i testimoni hanno affermato di aver provato come una morsa freddissima allo stomaco – di essersi sentiti... perduti.”

“E le apparizioni? Dovrebbero essere il punto forte, no?” disse Arthur, facendo segno all'altro di entrare insieme a lui oltre la prima porta del primo piano.

Merlin lo affiancò subito, spostandolo con una mano sul petto e aprendo al posto suo. Arthur sgranò gli occhi mentre Merlin prendeva atto di aver scoperto lo stanzino delle pulizie e se lo lasciava alle spalle. “Mmh. La storia delle apparizioni mi convince meno. La attribuirei di più alla suggestione di gruppo,” disse.

Arthur incrociò le braccia, parandoglisi davanti. Si impegnò per mettere su la migliore espressione scettica di cui disponeva.

“Che c'è?” si lamentò Merlin. “Non tutti possono vedere gli spiriti, sai, e gli spiriti non sono tanto propensi a farsi vedere da tutti. In fondo, anche io preferirei fare quello che devo fare restando invisibile, se potessi. Ora proviamo quest'altra porta.”

Quel tentativo fece scoprire loro uno studio zeppo di libri impolverati e scarno di tutto il resto, tranne due poltroncine coperte da teli bianchi.

“Mi sembra strano che un investigatore psichico parli in questo modo,” fece notare Arthur.

Merlin lo guidò in fondo al corridoio tirandolo per il gomito, verso la stanza successiva. “Vorrei sapere che razza di idea ti sei fatto di noi e del nostro lavoro,” commentò laconico.

Questa volta trovarono un salottino con un ampio caminetto scavato nella parete inferiore.

“Dimmi tu che idea dovrei farmi,” disse Arthur, e senza fermarsi un attimo per guardarlo tirò dritto verso il passaggio alla fine del corridoio che portava a delle scale a chiocciola. Le possibilità che si aprivano erano due – scendere o salire. “Sto parlando con qualcuno che è convinto di fare sogni profetici, come Morgana?” Le sue parole rimbombarono per tutta la rampa.

“Oh, no, la chiaroveggenza non è il mio ambito. Almeno, non quello primario,” disse Merlin. La sua voce si rilassò, piegandosi in una nota molto colloquiale. Arthur lo seguì, stando al passo col suo trotterellare verso il piano inferiore. “Sono anche un sensitivo, ma so spingermi solo fino al futuro immediato, non a quello lontano. No, quella è la specialità di Morgana,” e ridacchiò. “Lei ha insistito per insegnarmi a leggere i tarocchi, però. Dice pure che sono diventato bravo – io non ne sono così sicuro, perché mi affido più all'istinto che ai veicoli, ma penso...” A quel punto si bloccò di colpo, mandando quasi il naso di Arthur a sbattere contro la sua nuca. Poi si voltò con una mezza piroetta. “Mi stai prendendo in giro, non è così?”

Arthur si mantenne più inespressivo che poté. “Assolutamente no. Quale sarebbe, quindi, il tuo ambito primario? Sono curioso, vai avanti.”

“Non te lo dico,” farfuglio l'altro, entrando in quelle che sembravano essere le cucine. “Non ha senso se non ci credi, e non mi va di farmi prendere per il culo da uno come te.”

Arthur annuì, sorridendo tra sé.

Proseguirono il giro di ispezione del castello, perdendosi un paio di volte tra i mille dedali di scale e corridoi tutti simili tra loro (“Te l'avevo detto che c'eravamo già passati, di qua.” “Sta' zitto.”). Le stanze da notte si trovavano ai piani più alti delle torri; riuscirono a contare almeno altri quattro o cinque salottini e una biblioteca, nascosta in un passaggio poco visibile vicino agli scantinati. Tutto era perfettamente senza vita, come se Castel Camelot si fosse addormentato nell'attesa di venire popolato di nuovo. Arthur si sentì soddisfatto di aver visto provata la sua ipotesi; non c'era nulla di particolare, lì, a parte qualche ragno negli angoli.

“Comunque, resterò qui come devo, e la mia permanenza dimostrerà che non c'è niente di cui preoccuparsi,” annunciò a voce alta dopo che furono tornati nel salone d'ingresso.

Si mise a sedere sull'ultimo gradino delle scale, scaricandoci sopra tutto il suo peso. Alzò il naso, osservando l'elegante lampadario di cristalli che diffondeva una luce tenue e soffusa. “Sono convinto che i rumori molesti, gli oggetti spostati e il resto siano opera dei fans dei film girati qui. Non dovrebbe essere tanto difficile riuscire a fare un'incursione notturna. Il livello di sicurezza non mi pare il massimo.”

“Perché mai dovrebbero causare tanti problemi, se sono dei fans?” disse Merlin, sedendosi molto vicino a lui. Il suo ginocchio era praticamente incollato a quello di Arthur.

“Vorranno un po' d'attenzione per loro o per i loro amati fandom. Certe persone non sanno davvero tracciare il limite tra realtà e finzione, Malone.”

Lui rise girandosi i pollici; la sua voce allegra rimbalzò su tutte le pareti. “Aye. Penso che tu sia proprio una di quelle persone.”

Nessuno si prese la briga di aggiungere altro. Passarono così diversi minuti in silenzio, in sottofondo il battere della pioggia sul vetro, ora più calmo rispetto a quando erano arrivati. Solo allora Arthur realizzò che stava davvero attendendo l'arrivo di Morgana. In qualche modo era riuscito a mettere da parte quel pensiero, coinvolto dall'esplorazione di Camelot e distratto dal chiacchiericcio di Merlin.

Perché Merlin era una distrazione. Sembrava non si fermasse un attimo; non gli permetteva ma di avere l'ultima parola e, quando non parlava, si muoveva. Anche adesso i suoi pollici vorticavano in un mulinello rosa continuo. Arthur si ritrovò a fissare, ma giusto perché non aveva niente di meglio da fare. Insomma, era comunque più produttivo osservare le dita pallide di Merlin che concentrarsi sulle proprie mani sudate al pensiero del prossimo incontro con la sorellastra, e... oh? Cosa c'era, al polso di Merlin, un braccialetto di pelle?

“So che tra pochi minuti sarà il tuo compleanno,” disse Merlin, riscuotendolo dai suoi pensieri. “Me l'ha detto Morgana. Mi ha parlato molto di te, sai.”

La cosa mise inspiegabilmente Arthur in agitazione. “Scommetto che ti ha detto che sono un idiota,” disse, atono.

“Anche. Ma a quella conclusione ci sarei arrivato benissimo da solo,” ammiccò Merlin.

Arthur fece una smorfia seccata. “E che ti ha detto, allora?”

Merlin si alzò, stiracchiandosi le braccia. Si allungò in punta di piedi, il corpo che era tutta una linea lunga. “Puoi chiederlo a lei, se vuoi. È proprio qui fuori.” E non appena lo disse, il suo cellulare squillò.

Arthur piegò il collo, sbirciando per vedere il nome che era comparso sullo schermo: c'era scritto Morgana.

Merlin si strinse nelle spalle, fallendo in modo spettacolare nel nascondere quanto fosse compiaciuto da se stesso. “Te l'ho detto: sensitivo,” disse, facendogli l'occhiolino.

Arthur si assicurò che lo vedesse bene mentre alzava gli occhi al cielo. Dopo andò ad aprire il portone, il cuore che batteva un po' più forte – per l'agitazione, ovviamente.

Si trovò così davanti al volto di Morgana, mezzo nascosto dal cappuccio del suo parka verde bottiglia; aveva il cellulare all'orecchio, i capelli neri ricadevano sulle sue spalle come due tende del colore della notte. Si era messa un paio di scarpe basse, cosa molto insolita per Arthur, che era abituato a vederla sempre ordinata ed elegante, gli immancabili tacchi a spillo assassini ai piedi. Morgana non aveva dimenticato, però, di incipriarsi perfettamente il viso e di colorare la bocca con un rossetto scuro.

Quando incontrò lo sguardo di Arthur, le sue sopracciglia si mossero lievemente. Nessuno se ne sarebbe potuto rendere conto, a meno che non l'avesse conosciuta molto bene.

“Arthur,” lo salutò, prendendo tra due dita la zip della borsa a tracolla e facendo una gran scena nel rimettere il cellulare nel taschino.

“Morgana,” rispose lui, spostando il peso da un piede all'altro. Dio, era così strano averla qui proprio adesso. Sarebbero riusciti a mantenere un briciolo di professionalità e a non scoppiare nell'ennesimo litigio?

Stavano uno davanti all'altro, ora, a fissarsi come due boxeur ai lati gemelli del ring, e Arthur dovette ammettere a se stesso che era davvero una cosa ridicola.

“Mi fai entrare o no?” disse di punto in bianco lei, tagliente.

“Oh – per l'amor del...” bofonchiò Merlin da dietro, spostando fisicamente Arthur e trascinando dentro Morgana. “Sentite, parliamoci chiaro. So che i rapporti tra voi non sono dei migliori-”

“Tu non ti impicciare,” lo interruppe Arthur, puntandogli addosso l'indice.

“Merlin, stanne fuori,” disse contemporaneamente Morgana.

“... Ma sono sicuro che sapete comportarvi da adulti responsabili, se vi ci impegnate,” continuò Merlin, come se non li avesse sentiti.

Morgana alzò le mani in aria in un gesto così tipicamente alla Uther che Arthur dovette sopprimere un brivido di terrore.

“Bene, per me non c'è problema. Sono in grado di fare la persona civile, una volta ogni tanto,” disse la sua sorellastra.

“Lo stesso vale per me. E tu, Merlin, fila a recuperare la mia valigia, adesso,” sferzò.

Le teste degli altri due scattarono all'unisono verso Arthur, facendolo sentire molto più giudicato del dovuto. “Per colpa sua ho abbandonato la valigia sotto la pioggia in mezzo a un branco di vacche!” si lamentò con Morgana, allargando le braccia. “Il tempo è un po' migliorato, quindi non vedo perché debba aspettare ulteriormente,” disse. Poi si rese conto che così facendo stava firmando la sua stessa condanna, perché aveva creato un pretesto per rimanere da solo con la sua sorellastra.

Merda. Maledetta volontà del subconscio.

“Mi ha preso per il suo servitore personale,” brontolò Merlin, ma si avviò comunque verso l'uscita.

E anche se aveva lo stomaco stretto in un nodo per l'inevitabile avvicinarsi del confronto con Morgana, Arthur si ritrovò a punzecchiarlo: “Ti stai proponendo come mio servitore?”

Merlin fece un mezzo giro davanti alla porta. “Lo so che ti piacerebbe,” disse, ghignando. Poi, rivolto a Morgana, “Ti prego, dimmi almeno che sei venuta con la jeep e che non devo riprendere il motorino con questo tempo.”

Lei fece scorrere lo sguardo tra loro due; le sue labbra si piegarono lentamente in un sorriso sornione che ad Arthur non piacque per niente. Quando si ritenne abbastanza soddisfatta delle sue macchinazioni personali, lanciò a Merlin un mazzetto di chiavi.

“Mi raccomando, fate i bravi,” disse Merlin, afferrandole al volo e sgusciando via.

Quando la sua testa nera scomparve oltre il portone, Morgana soffiò: “Devo trovare il modo di far sparire quel trabiccolo azzurro.”

“Concordo,” disse Arthur, una risata sommessa.

Morgana caricò esageratamente la sua voce di preoccupazione. “Ho paura che prima o poi Merlin cadrà e si romperà la testa!”

“Non sia mai,” replicò alla svelta Arthur – dio, quant'era facile perdersi così in quel loro tira e molla.

Lui e Morgana sapevano litigare ferocemente, sì. Ma da ragazzi, quando uno dei due aveva baciato qualcuno per la prima volta, o quando Arthur era stato bocciato in fisica, o quando Uther aveva messo in punizione Morgana... in quelle occasioni e in molte di più, erano stati protagonisti di lunghe nottate passate a ridere e a prendersi in giro a vicenda, seduti sul letto di Arthur, le gambe incrociate, tra un piatto di pasticcini e due tazze di tè. C'era stato anche questo, Arthur non poteva dimenticarlo.

Era sicuro che nemmeno Morgana l'avesse dimenticato. Forse era proprio lì che anche la sua mente era volata adesso, in quel posto felice e sicuro dei loro ricordi. “Mi aiuterai a seppellire il cadavere di quel rottame di nascosto da Merlin?” disse lei, la voce tutta un gioco.

“A fine soggiorno, forse,” disse Arthur. E poi, prima di abbandonarsi in quel momento, si schiarì la gola con forza. “Come sei stata, Morgana?”

Qualcosa cambiò nel volto di lei. “Meravigliosamente,” disse, cominciando a misurare a grandi falcate il salone. “E tu, fratellino? Ancora impegnato a nasconderti da Gwen e Lance?”

Ecco com'era tra loro: un minuto sembrava che andasse tutto bene, e ti potevi crogiolare in quella convinzione, forse abbassando anche un po' la guardia – ma il minuto successivo lei girava le carte in tavola, passando all'attacco.

Arthur ruggì, grattandosi con rabbia i capelli alla base del collo.

“Dio, ancora non riesci a parlarne – no, ancora pretendi che davanti a te si faccia finta di niente. Ipocrita,” infierì Morgana. Quasi lo disse tra sé, facendo vagare lo sguardo ovunque, i palmi aperti a mezz'aria, come per captare chissà cosa. “Sei proprio come Uther, credi che basti ignorare con forza un problema perché scompaia,” aggiunse annuendo, una serie di parole basse sparate veloci come proiettili.

“Non eri una persona civile, tu?” scoppiò Arthur, la voce più alta del dovuto.

“Vero, l'avevo dimenticato,” disse Morgana, sedendosi a terra. Lo fece con grazia e convinzione, come se non avesse appena scelto un punto a caso ma fosse partita fin dall'inizio con l'idea di sistemarsi lì. Esattamente come faceva ogni cosa, del resto.

“Aspetta,” fece Arthur, strizzando gli occhi.

Strano come la rabbia ti faccia rivangare anche i fatti più piccoli, dando il via a una reazione a catena che non porta mai a niente di buono. Nel fervore del momento, infatti, un'altra cosa era tornata in mente ad Arthur... “Voi della Trinetra lavorate solo su commissione. Ti conosco, non ci credo che sei venuta fin qui senza che nessuno alla fine ti pagherà per i tuoi servizi,” accusò, sventolando l'indice.

Morgana restò in attonito silenzio. Poi il suo viso si chiazzò di rosso, cosa che scioccò lo stesso Arthur. “Sono venuta qui perché amo il mio lavoro, perché sono troppo zelante e perché non posso ignorare certi segnali quando me li ritrovo davanti,” disse, il tono più stridulo di diverse ottave.

Arthur spalancò la bocca. “Non ci credo... ti ha contattato papà, non è vero?”

Lei storse le labbra in una brutta smorfia. “Sai benissimo che non mi farei mai pagare da Uther! Sei proprio uno stronzo!”

Arthur sospirò forte, sconfitto e stufo, e un suono gutturale e graffiato gli uscì dalla gola. Si passò con frenesia le mani sui pantaloni ancora umidi, rimanendo in piedi a qualche metro dalla sorellastra. Percepiva il battito del cuore nelle tempie, il collo era coperto da un velo di sudore. Odiava sentirsi messo così sotto pressione.

Alzò la manica per guardare l'orologio; almeno la mezzanotte era vicina.

Dopo qualche minuto, Morgana spezzò il silenzio. “Curioso, però. I giovani Pendragon di nuovo insieme nella tana del drago.” Si sentiva che era ancora irritata e che stava solo tentando di spianare un po' la tensione. All'espressione interrogativa di Arthur, aggiunse: “Non te ne sei accorto? Ci sono un sacco di draghi, qui.”

In effetti c'era il drago intagliato nel corrimano delle scale, quello nel chiavistello e perfino quello nel portaombrelli. Arthur non ci aveva prestato molta attenzione, prima. Doveva essere stata una scelta stilistica dei decoratori di interni. In fondo i film girati a Castel Camelot erano dei fantasy.

“Perché hai messo il fermacravatta dei Pendragon?” disse Morgana in una delle sue solite domande a bruciapelo.

Oh. “Per nessun motivo particolare, penso,” borbottò Arthur, andando di riflesso a toccare l'oggetto dorato. Già, in effetti era strano. Dimenticava sempre di indossarlo, mentre stavolta era stata una delle prime cose che aveva pensato di fare.

“Toglitelo,” ordinò Morgana, serissima.

Arthur mandò in fuori il labbro inferiore. “No, perché dovrei?”

Lei incrociò le gambe, toccandosi i capelli con indifferenza. “Allora obbligherò Merlin a fartelo togliere quando ritorna.”

“Sembrate in sintonia, voi due,” scappò detto ad Arthur.

Prima Merlin aveva accennato al fatto che Morgana gli avesse insegnato a leggere le carte. Riusciva a figurarseli, ora, tutti presi dalle loro speculazioni sull'occulto. La sua sorellastra si infervorava molto quando entrava attivamente nel suo campo, e anche Merlin sembrava un tipo parecchio appassionato.

“Per forza che siamo in sintonia, Merlin è il mio partner psichico,” disse lei. “Siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Letteralmente.”

Merlin e Morgana, dunque; entrambi un po' folli, un po' speciali. Una coppia voluta dal destino.

Improvvisamente, la cravatta al collo di Arthur sembrava stringere più del solito.

“Penso che tu gli piaccia,” sparò Morgana,

Arthur tossì, piegandosi quasi in due. “Cosa?”

Il sorrisetto obliquo di lei era tutto un programma e tradiva quanto trovasse divertente quell'ipotesi assurda. “Ero sicura che lui ti sarebbe piaciuto, ma avevo bisogno di una conferma per sapere cosa avrebbe pensato Merlin di te. Sai essere talmente insopportabile...”

L'idea che lei avesse messo attivamente becco anche in questo irritò Arthur in modo sproporzionato; e ciò non era un bene, perché quando raggiungeva certe soglie, lui tendeva a diventare cattivo e a non filtrare i pensieri. “Andiamo, ci hai visto insieme per cinque secondi, da che l'avresti capito?” disse, acido. “O forse hai visto tutto in uno dei tuoi fantomatici sogni premonitori? Certo, tu ti diverti particolarmente a farmi presente certe cose, senza curati di pensare se io voglia sentirle o meno – oh, guarda caso, proprio come quando vedesti la fine della storia tra me e Gwen ancora prima che ci mettessimo davvero insieme.”

Si accorse di aver detto tutto in un'unica emissione di fiato solo quando si ritrovò senza, con la faccia accaldata e le mani ancora in aria da che le aveva usate per sottolineare il “vedesti”.

Morgana dimostrò più classe di lui, stringendo le labbra in modo impressionante. Era molto probabile che si fosse morsa forte la lingua per frenarsi. “Te l'ho detto, io e Merlin siamo sulla stessa lunghezza d'onda, quindi capisco subito quello che prova. Cosa che, evidentemente, non posso dire di te e di me.” Era così bella nella sua alterità che Arthur non poté non provare ammirazione per lei, nonostante tutto. Tuttavia, si capiva che Morgana si stava sforzando di limitarsi in favore di Arthur, e questo lo faceva impazzire ancora di più.

Lui aprì la bocca senza avere la minima idea di cosa ne sarebbe uscito, ma la sorellastra lo intercettò.

“La sai una cosa, fratellino?” disse, come una maestra d'asilo avrebbe fatto coi suoi bambini più capricciosi. Poi sbatté le mani tra loro e il clap risuonò per tutto il salone. “Ora ti leggerò i tarocchi.”

“Stai – stai scherzando,” esalò Arthur. La frustrazione messa da parte in quella giornata, ma anche in tutti gli anni di incomprensioni tra loro due, era di colpo scemata, lasciandolo svuotato e frastornato.

“Tanto non abbiamo altro da fare che star qui ad aspettare la mezzanotte perché si riveli qualcosa,” disse Morgana, estraendo dalla borsa di cuoio un mazzo di carte con il dorso rosso scuro.

“Mica dobbiamo per forza aspettare con le mani in mano che non si riveli nulla,” sottolineò Arthur, vagamente isterico. “Non avete roba tipo rilevatori di ectoplasma da usare in giro per il castello, voi della Trinetra?”

Morgana gli scoccò uno sguardo di pura pietà, mandando in alto un sopracciglio. “Non siamo gli Acchiappafantasmi, fratellino.” Poi si finse pensierosa. “Sapevo che avevi paura di rischiare di sconvolgere anche i tuoi più piccoli equilibri, ma... adesso te la prendi anche con delle innocue carte?”

Provocazione al massimo livello. Che altro avrebbe potuto fare, Arthur, se non coglierla? Tanto non ci credeva, alla lettura dei tarocchi. In realtà non credeva a niente di quello per cui era venuto fino in Scozia, quindi non aveva nemmeno nulla da perdere.

Ma qualcosa andò storto nel processo dell'elaborazione dei suoi pensieri, e così disse, “Voglio soltanto evitare che tu ci resti male un'altra volta per le mie reazioni.” Aveva parlato troppo, ma non era solo quello; la sua voce era scesa parola dopo parola, spingendo per venire fuori, ferendolo nel processo. Da quanto tempo aveva tenuto tutto dentro di sé, nell'attesa che qualcosa lo spronasse a vuotare il sacco?

Morgana capì. I suoi occhi erano lucidi ma fermi, duri. “Ci resterò male se non me lo farai fare. Se continuerai ad alzare un muro tra noi, impedendomi anche solo di provare a comunicare con te... allora sì che me la prenderò.”

Arthur si passò il dorso della mano sulla fronte, tentando di impedire alle sue dita di tremare. Si avvicinò alla sorellastra, rendendosi conto che era rimasto a urlarle addosso a distanza di qualche metro. Per sentirsi meno stronzo, si accucciò difronte a lei e annuì. “Va bene, mescola queste carte.”

Un angolo delle labbra di Morgana si allungò verso l'alto in segno di vittoria.

Arthur la osservò smazzare le carte, due, tre volte, mischiarle con movimenti esperti. Fuori aveva smesso di piovere, quindi non c'era più alcun rumore a far loro da sottofondo. Era piuttosto surreale starsene lì seduto sul pavimento di un castello assieme a Morgana, che stava ora disponendo in mezzo a loro cinque carte. Ironicamente, era un po' come essere tornati indietro nel tempo.

La figura che la sorellastra era andata a creare con i tarocchi era una croce; tre carte erano state allineate in una linea orizzontale, due erano invece a fare da poli verticali. Morgana si raccolse in silenzio per qualche attimo, abbassando le palpebre. Le sue ciglia si mossero contro la pelle e, per un momento, ad Arthur sembrò di vedere una tenue luce dorata provenire da dietro di esse. Non fu che un'impressione di un istante, però. Quando Morgana girò la prima carta, Arthur aveva già dimenticato tutto.

La carta rivelò il disegno di un uomo seduto su di un trono; in una mano teneva uno scettro e in testa portava una corona. La sua posa era piuttosto regale, ed emanava un senso di solennità e forza.

“L'Imperatore,” annunciò Morgana, gongolando come se le fosse venuta in mente una battuta che avrebbe capito solo lei. “Be', sì, direi che potresti essere tu. Ma le carte in questa posizione sono riferite al passato, fratellino, quindi la tua condizione di forza espressa dall'imperatore è al momento decaduta.”

Arthur sbuffò all'interpretazione della sorellastra. “Non sai fare niente di meglio?” la stuzzicò.

Lei si limitò a voltare la carta successiva, quella immediatamente dopo l'Imperatore. Nel disegno era raffigurato un uomo con la barba che si reggeva in piedi grazie a un bastone.

Morgana rise apertamente. “Oh, questo sì che sei tu. È l'Eremita, è nel tuo presente ed è pure uscito fuori rovesciato,” disse, tamburellandoci sopra con un'unghia. “Vedi com'è vecchio e solo? Vedi come si incurva la sua schiena mentre lui è impegnato ad evitare tutto e tutti?”

Arthur, che aveva recepito chiaro e tondo il messaggio, le fece segno di sbrigarsi e andare avanti. Un fastidioso calore aveva iniziato a farsi largo in lui dalla base del collo fino alle guance.

Morgana, fin troppo divertita per i gusti di Arthur, passò a voltare la carta più in basso. Stavolta il disegno era più complicato: nel cielo si stagliava un cerchio decorato con strani simboli. Nei quattro angoli dell'immagine erano disposti degli esseri dorati, mentre una sfinge azzurra sedeva sulla sommità del cerchio.

Arthur guardò in tralice la sua sorellastra, che di colpo aveva perso il cipiglio derisorio e si era fatta incredibilmente seriosa. All'inizio lui pensò che lo stesse prendendo in giro, ma poi Morgana parlò con una voce così instabile da metterlo in allarme. “La Ruota della Fortuna. È rovesciata,” disse, fissando la carta con intensità.

Arthur aspettò che aggiungesse altro; quando non lo fece, si ritrovò a spronarla: “Allora, che significa?”

Lei continuò a non incrociare il suo sguardo. “La tua fortuna sta cambiando... non in meglio, però.” Senza dargli tempo di processare la cosa, voltò con uno scatto nervoso la prima carta in alto, parallela alla Ruota della Fortuna. In quella, una torre di pietra veniva colpita da un fulmine. Dalle finestre a feritoia divampavano lingue di fuoco. Due persone stavano precipitando – una aveva una corona in testa.

Arthur, involontariamente, ingoiò a vuoto. C'era qualcosa in quella figura... i colori erano così freddi, grigio e viola e blu contro il rosso delle fiamme, e Morgana era così seria, e l'orologio a pendolo batté in quell'esatto momento la mezzanotte, iniziando ad occupare coi suoi rintocchi tutto il salone.

“È la Torre. Anche questa è uscita rovesciata. Può indicare la superbia punita e... una perdita a cui si andrà incontro,” disse lei, mordendosi il labbro.

Arthur forzò fuori dai polmoni una risata. “Be', pare che le cose non si stiano mettendo bene. Volta l'ultima, dai, così la facciamo finita.”

Lei ubbidì; quando apparve raffigurata una creatura mostruosa con le corna, lasciò andare la carta come fosse rimasta scottata. “Speriamo che non la faremo davvero finita. Nel tuo futuro c'è il Diavolo, Arthur.”

Don, don, don. Il pendolo stava ancora battendo la mezzanotte, anche se ormai aveva superato di molto i dodici rintocchi.

Arthur si guardò intorno, istintivamente. “Brutto segno?” soffiò.

“Bruttissimo,” disse Morgana, alzandosi di botto per correre al portone. Girò freneticamente la chiave nella serratura, fece cigolare ancora i vecchi cardini e gridò nella pioggia, “Merlin!”

Arthur si alzò di botto, incespicando per raggiungerla. Era impazzita? “Che stai facendo?” disse, mettendole le mani sulle spalle per voltarla dalla sua parte. “È impossibile che Malone ti senta, è andato a-”

“Lo so benissimo che doveva essere andato a prendere la valigia, non sono fuori di testa come hai sempre pensato tu!” urlò lei, divincolandosi dalla sua presa. Era furiosa, i capelli erano elettrici e dietro di lei ogni cosa era un ammasso indistinguibile e scuro. “Non te l'ho detto per non farti spaventare, ma riesco ancora a percepire la sua presenza nei paraggi. Qualunque cosa sia successa, Merlin non ha potuto allontanarsi da qui. Come io sento lui, lui sentirà me, e penso che sentirà anche te – quindi adesso smetterai di fare l'idiota e mi aiuterai a chiamarlo, perché abbiamo bisogno di lui più di quanto tu non possa immaginare,” ordinò, la voce bassissima e imperiosa.

Arthur rimase immobile, frastornato e sopraffatto da – non sapeva nemmeno da cosa.

Don, don, don.

“Morgana,” disse, le sopracciglia che salivano lentamente verso l'alto.

“Sì?” disse lei senza fiato, aggrappandosi alla porta.

“L'orologio a pendolo. Prima non funzionava.”

In quel momento le finestre si spalancarono con un botto sonoro andando a sbattere contro le pareti, sospinte da raffiche di vento improvvise. Qualcosa scricchiolò dalle scale, avvicinandosi a loro, scricchiolò come fosse stato sotto il pavimento, nelle mura, ovunque, tutto intorno a loro. Arthur e Morgana si voltarono per guardarsi e – un grido acutissimo, una voce troppo sanguinante per essere umana li costrinse a coprirsi le orecchie e ad abbassarsi d'istinto.

A quello seguì un altro grido spaventoso, poi un altro e un altro ancora, e Arthur non sapeva che diavolo stesse succedendo e sì, il cuore gli stava schizzando via dalla cassa toracica, ma si allungò, premette Morgana contro il suo petto coprendole la testa, si rivolse alla pioggia e infine urlò, con tutto il fiato di cui disponeva: “Malone!”

 

 

 

 

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Ci leggiamo la prossima volta con il capitolo conclusivo di questa mini-long, un abbraccio!

 

   
 
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