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Autore: ManuFury    31/07/2014    3 recensioni
Duncan delle Lame... Gladiatore ed esiliato.. potrà uscire dall'Arena in soli due modi: da vincitore o da cadavere.
Warren Velenodikobra... discendete in una delle più nobili casate di Cavalieri di Drago... vuole ottenere una sola cosa, l'approvazione di suo padre.
Sasha l'Ardente... spadaccina infallibile... che vuole solo scoprire chi è in realtà.
E Dagh dagli Occhi d'Argento... Protettore di Drakkas... offrirà loro un'avventura indimenticabile!
[Storia scritta per la Challenge: "L'ondata Fantasy" indetta da _ovest_]
Dal Capitolo 5...
“Gli occhi azzurrissimi del ragazzo si alzarono a quella colonna che aveva visto in sogno, verso quella figura avvolta dalla tenebre che ora, approfittando del velo sottile del fumo, era sparita.
Duncan non sapeva più che pensare: aveva smesso di porsi tante domande in vita sua, di capire le azioni e gli avvenimenti che si abbattevano su di lui come un’onda si abbatte su uno scoglio, aveva semplicemente smesso di lottare per capire e si limitava a farsi trascinare dalla corrente."
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Drakkas'
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Le tenebre che li avevano accompagnati fino a quel momento presero a schiarirsi pian piano con il sorgere del sole, che illuminava loro il cammino, come la torcia di una guida.
Il silenzio che era stato perfetto fino a qualche giorno prima, aveva iniziato lentamente a mutare, riempiendosi di rumori che si erano accresciuti con l’accorciarsi della distanza che li separava dal mercato. Incredibile come, in così pochi anni, quel piccolo avamposto avesse aumentato la sue dimensioni, arricchendosi di banchi e popolandosi di persone, sembrava di assistere all’espansione di una micosi o di una Pianta-Non-Verde del Sud.
Da lontano, all’ombra dell’enorme costruzione che sovrastava il mercato, le genti che vi si affrettavano parevano tanti piccoli insetti che zampettavano veloci da un banco all’altro, alla ricerca chi di un oggetto chi di un altro.
Dagh dagli Occhi d’Argento sorrise leggermente a quella visione, accelerando il passo, giungendo finalmente alle prime casupole di fango che si alzavano come montagnole di terra dal terreno.
“Incredibile come anche all’ombra della morte possa proliferare così in fretta la vita, sei d’accordo con me, Ake?” Domandò al suo silenzioso compagno di viaggio, che camminava al suo fianco, indietro rispetto a lui di un passo, in segno di reverenziale rispetto. Il viso basso e celato da un lungo mantello di bianche squame di drago ne nascondeva i tratti affilati e gli occhi così diversi da quelli della “Gente Normale”.
L’uomo rallentò il suo passo, voltando indietro il viso per poter guardare il compagno di viaggio.
“Sai, è sempre un piacere quando ci troviamo entrambi d’accordo su qualcosa.” Ridacchiò, ricevendo solo un lieve sbuffo dall’altro, che alzò lo sguardo chiaro al cielo azzurro e limpidissimo.
Dagh rise ancora una volta: passavano i giorni, i mesi, persino gli anni, ma il buon vecchio Ake restava sempre il solito cavaliere solitario, di quelli che non si fermano in ogni osteria per provare il vino, che non badano ai sospiri delle dame che passano loro a fianco o a tutte quelle altre cose che, nel loro piccolo, rendono migliore la vita di tanti. No, lui era quasi come una bestia da soma: con i paraocchi sul viso, perché proseguisse sempre nella stessa direzione.
Certe volte l’uomo provava a comprenderlo, ma gli risultava così terribilmente difficile a causa dell’enorme vuoto che li separava per il quale Dagh aveva iniziato, lentamente e con tutta la pazienza del mondo, a costruire un ponte per poter finalmente raggiungere l’animo dell’amico che era sempre così vicino eppure così… distante.
Distanza che ormai era quasi nulla dal mercato vero e proprio: era proprio vero che gli esseri umani sapevano fiorire anche all’ombra della morte e della violenza, anche se, in quei tempi bui anche la morte era diventata una moneta di scambio come poteva esserlo una buona spada.
Non persero tempo a guardare i bei braccialetti d’oro o i gioielli esposti come molte donnine, oppure a fermarsi ai banchi di armi e armature come gli uomini, non erano venuti fin lì per quelle sciocchezze, avevano una missione ben più importante da portare a termine e il tempo stringeva. Erano filati dritti tra la folla rumorosa come uno sciame di api infuriate e si erano avvicinati sempre di più all’Arena, scorgendone l’immenso ingresso di pietra che si apriva come la fauce di un demone, pronto a ingoiare chiunque osasse varcarne la soglia. Proprio lì davanti, impegnati a discutere sotto l’alta volta, avevano riconosciuto un gruppetto di uomini con il viso coperto da sgargianti e colorate stoffe, un’usanza quella di nascondere i propri tratti, molto diffusa tra i mercanti.
Non era stato difficile individuarne il capo: emergeva tra i suoi compagni per stazza decisamente più massiccia, ma era carne la molle la sua, grasso e pelle, non muscoli; si distingueva anche per abiti, dai colori più scuri quali il viola, l’indaco e il blu, tappezzati di pietre preziose come turchesi, zaffiri e ametiste che ne impreziosivano la tunica a ostentare tutta la sua ricchezza.
Dagh aveva sorriso leggermente, avvicinandosi con passi lenti e calcolati al piccolo gruppo; sapeva di aver fatto centro, quello era l’uomo che cercava, in tanti glielo avevano descritto e a quel punto non doveva fare altro che sfoggiare tutto il suo fascino e la sua abilità nella contrattazione, perché quella sì che era un’arte.
“Vorrei contrattare.” Esordì una volta vicino, con voce ferma, occhi socchiusi e braccia conserte, attirando subito su di sé le attenzioni degli uomini: quando si parlava di affari e di conseguenza di moneta, certi individui erano sempre pronti a drizzare le loro orecchie come predatori che avvertono il camminare ignaro di una qualche preda.
Quando il guerriero annunciò la merce su cui voleva trattare, il capo dei mercanti mandò via gli altri e si dedicò all’uomo dagli occhi argentati, sotto lo sguardo vigile di Ake che non si perdeva una sola parola, una sola espressione, attento come un gatto, assorto come se stesse osservando rapito un combattimento.
Fu una contrattazione particolarmente difficile: c’erano pro e contro da valutare, prezzi di mercato corrente, interessi per il futuro e mille altre cose più o meno utili, ma Dagh si sentiva sicuro, quello era pane per i suoi denti e poi, era troppo interessato alla merce per demordere, doveva assolutamente averla vinta. Passarono i minuti, forse persino un’ora buona di tira e molla sul prezzo, di botta e risposta sulle conseguenze che quella possibile vendita avrebbe apportato, prima che l’uomo incappucciato annuisse, finalmente convinto.
“Mmm… d’accordo, mi hai convinto, Daghanod dagli Occhi d’Argento. – Annunciò, incrociando a sua volta le braccia e socchiudendo gli occhi, muovendo leggermente il capo in un cenno affermativo. – Posso vendertelo per centoventicinque ori.”
Dagh si trattenne a stento dal sorridere, ormai tutto era nelle sue mani, aveva ottenuto quello che voleva con meno fatica di quanto avesse immaginato; ma se era stato così facile, ragionò, poteva ottenere ancora di più; chiuse a sua volta gli occhi chiari, chinando un po’ il capo in avanti.
“Io ho solo centoventi ori, va bene lo stesso?” Chiese con noncuranza, mentre Ake, silenzioso e guardingo alle sue spalle, alzò leggermente un sopracciglio sottile e bianco: che avessero solo centoventi ori non era proprio esatto, soltanto che Dagh aveva il brutto vizio di andare sempre al risparmio.
“No, centoventicinque. Assolutamente non trattabile.” Affermò il mercante, irritandosi appena mentre alzava le palpebre, per guardare con occhi neri come ossidiana il suo interlocutore, si stava privando di un bene estremamente prezioso per lui e non voleva venderlo a meno di quel prezzo.
Dagh rimase perfettamente in silenzio, immobile come una splendida statua di sale, un’espressione indecifrabile gli deformava il viso: era a metà tra la sorpresa e la neutralità, era però chiaro che nascondesse qualcosa di non meglio identificato, giudicò Ake, studiandolo con occhio critico, lo conosceva troppo bene per non sapere che stava per compiere una delle sue solite pazzie.
Silenzio, talmente denso e gelido da chiudere fuori il continuo borbottio del mercato poco distante, avvolgendo i tre uomini come in una bolla d’aria. Dagh non era mai stato un uomo che amasse perdere in certe situazioni, ne andava del suo orgoglio da uomo dell’Est; ed era sempre più difficile per lui rinunciarci.
Altro silenzio, carico di tensione e di dubbi, in cui l’espressione dell’uomo mutò attimo dopo attimo, modificandosi come una maschera di cera lasciata al sole, prima che le gambe gli cedessero e lui finisse in ginocchio di fronte al mercante: il capo rasato chino, le mani robuste tese in avanti, artigliate all’orlo dei vestiti sgargianti dell’altro, a strattonarlo appena come un bambino che desidera ardentemente attirare l’attenzione di suo padre.
“Non li ho centoventicinque ori, lo giuro. Ne ho solo centoventi. – Si giustificò con tono lamentoso, come una ragazzina che fa i capricci per ottenere qualcosa a tutti i costi. – Ti prego.” Alzò solo allora il leggendario sguardo argentato, quello che negli anni della sua giovinezza stendeva ogni donna per quanto era affilato e fiero oltre che terribilmente seducente, anche se adesso era sottomesso alla situazione, falsamente supplicante, quasi come un cane ingiustamente bastonato che chiede spiegazioni al proprio padrone. Il mercante rimase interdetto e imbarazzato da quel gesto, ma ovviamente, da buon commerciante qual’era, non poteva farsi impietosire da certe scenate, ne aveva viste di peggiori nei suoi ormai ventidue anni di lavoro.
Scacciò il lieve alone di pietà mista a imbarazzo passato come una nuvola nera in un bel giorno di sole, a corrompergli per qualche istante il gelido sguardo scuro; strappò le vesti dalla presa di Dagh in un gesto nervoso e stizzito, sul poco viso visibile si era dipinta un’espressione di collera.
“No!” Sbraitò, prima di allontanarsi con passo svelto e indignato, non volendo mai più trattare con un pazzo come quello con cui aveva appena parlato.
Dagh rimase di nuovo in silenzio, inginocchiato nella polvere che gli sporcava le gambe nude, forse senza parole per la prima volta in vita sua mentre osservava il grasso mercante allontanarsi, lievemente stupito dal suo comportamento sgarbato, ma il suo stupore era calmo, forse troppo giudicò Ake. E quel genere di calma è quella che anticipa la furia di una tempesta.
Il guerriero si alzò di scatto, un pugno chiuso ed enorme proteso verso il mercante ormai lontano e pura ira a dipingersi sul viso, deformandone i tratti sempre rilassati o comunque contenuti.
“C’è un posto all’inferno anche per te, ricordatelo!” Minacciò Dagh, agitando il pugno e sbuffando come un toro infuriato, talmente imbarazzante da far passare una mano sul viso del suo compagno che, chiudendo gli occhi bianchi, desiderò non averlo mai conosciuto.
Ake sospirò rumorosamente, vergognandosi per Dagh per il triste teatrino che aveva messo in atto mentre, con la coda nell’occhio, non si perdeva le occhiate sospette e quelle lievemente derisorie della gente che stava loro attorno.
“Forza, Ake. Muoviti, abbiamo da fare.” Annunciò Dagh, afferrando rudemente il compagno per una spalla, non mancando di sfiorare con le dita callose il suo magnifico mantello di squame di drago, una vera rarità in quel periodo, in cui i draghi preferivano vivere da eremiti piuttosto che diventare prede di cacciatori senza scrupoli e di avventurieri in cerca di gloria. Le squame erano lisce e tiepide al tatto e per esperienza Dagh sapeva che erano leggere come piume e dure come diamanti.
Si spostarono dall’ingresso dell’Arena, allontanandosi da quella fauce spalancata e nera, verso una zona d’ombra un po’ più appartata, lontani da occhi e orecchie indiscreti; ricordavano vagamente due traditori che s’incontrano in un luogo affollato per destare pochi sospetti, ma scambiarsi comunque informazioni di vitale importanza.
Ake si lasciò trascinare senza opporre troppa resistenza, studiando attentamente lo splendido spadone dalla lama ondulata e biforcata del compagno, sapendo che armi del genere non ne facevano più e ogni volta che ci posava gli occhi sopra non poteva fare a meno di chiedersi che storia ci fosse dietro. Non che fosse curioso per natura, al contrario; ma Dagh era sempre espansivo e parlava a raffica il più delle volte, ma mai aveva menzionato come si era procurato quell’arma, tanto da far germinare la curiosità del compagno.
Si fermarono dopo un tempo indefinito e un numero ragguardevole di passi e solo allora Ake dischiuse le labbra sottili per parlare.
“Siamo al punto di partenza” Precisò, come se ce ne fosse stato veramente bisogno. Dagh lasciò la presa al suo mantello, scrutandolo attentamente come un maestro potrebbe osservare il proprio allievo.
“Felice di sapere che parli ancora la mia lingua, Ake! Pensavo te la fossi dimenticata!” Ruggì, prendendo a passeggiare nervosamente avanti e indietro, non lo faceva di sovente, solo quando era molto, molto, molto, molto agitato; cosa che, conoscendolo, accadeva assai di rado.
“Se non fosse per la tua cupidigia…” Iniziò a mezza voce Ake, voltando il viso a destra, aveva notato un movimento in quella direzione e un rumore che sembrava un lieve ringhiare, ma sembrava tutto tranquillo, la gente ancora affollava le bancarelle, non badando più a loro.
“La mia cupidigia? – Gli fece eco l’uomo con tono vagamente offeso da quell’accusa che reputava senza alcun senso. – Ma se siete voi quelli che amano sguazzare nell’oro.” Aggiunse, incrociando le braccia, arrabbiato come poteva esserlo un bambino ingiustamente sgridato da un genitore o da un fratello maggiore. Dall’altro un suono a metà tra lo sbuffo e il sibilo, simile a quello prodotto dall’acqua bollente quando schizza fuori dal terreno, arrivando a perforare perfino la roccia.
“È una credenza popolare del tutto errata. – Si difese, alzando lentamente le spalle. – E stavamo parlando di cose serie, non delle usanze dei miei simili. Tra meno di un’ora ci sarà l’incontro e noi siamo sempre al punto di partenza. Che pensi di fare?” Riportò gli occhi sul guerriero che aveva finalmente smesso di passeggiare sul posto e adesso era impegnato a passarsi una mano dietro al collo e sulla testa rasata.
“Ancora non lo so… - Ammise guardandolo. – Ma qualcosa mi verrà in mente, mi conosci, no?” Tentò di sfoderare un mezzo sorriso rassicurante, di quelli che aveva sempre pronti anche nelle situazioni peggiori, sorrisi che, anche se non esteriormente, facevano sempre piacere ad Ake. Appoggiò poi una spalla sulla fredda e ruvida pietra della costruzione dietro di lui, chiudendo gli occhi mentre abbassava il capo, assorto nella meditazione. Quando pensava intensamente il respiro rallentava tanto da sembrare che il petto nudo e muscoloso nemmeno si muovesse.
Ake lo osservava in silenzio: era uno spettacolo raro quello di vedere Dagh così assorto nella meditazione, persino per lui che lo conosceva da una vita. Era intento a studiare il suo spallaccio di metallo ammaccato dove era stata rozzamente incisa una “D” quando avvertì di nuovo quel movimento, accompagnato questa volta da un cigolio, come di ruote non ben lubrificate. Si voltò, questa volta di scatto: notando che non si era sbagliato, un piccolo convoglio composto da tre grossi carri emergeva in quel momento dalle vie del mercato, scordato da una decina di uomini malamente armati, che sembravano più banditi che mercenari. I tre carri, tutti di legno massiccio e con le ruote rivestite di metallo, erano trainati da cavalli dal manto color della sabbia che sbuffavano rumorosamente, con il sudore che scorreva loro sul corpo a scurire il manto solitamente chiaro; ogni carro portava delle grandi gabbie di ferro all’interno delle quali si agitavano delle feroci fiere che ancora tentavano invano di liberarsi, graffiando, mordendo, ruggendo per esternare la loro furia per quella cattura che aveva privato loro della libertà.
Dagh e Ake osservarono quella processione in silenzio come la maggior parte della folla, puntando gli occhi su quegli animali così ingiustamente imprigionati che si rivoltavano in ogni modo per tentare la fuga. Erano bestie splendide e non meritavano quella fine: l’essere strappate dai loro luoghi natale per venir mandate a morte in un’Arena.
Il carro a capo del convoglio trasportava una grossa Lince Ocra, originaria dalle alte montagne dell’Est, che ruggiva e graffiava la gabbia che la tratteneva, mostrando le lunghe zanne color dell’avorio, e sbattendo il corpo grande quasi quanto quello di un cavallo, ma decisamente più massiccio, sulle sbarre, come se sperasse di abbatterle con quel semplice gesto. Aveva la spessa pelliccia macchiata di sangue vermiglio e un orecchio nero mozzato, probabilmente era stata ferita durante la sua cattura; era risaputo quanto le Linci Ocra fossero animali selvaggi, difficili da trovare e avvicinare, e ancora più difficili da catturare. Nella seconda gabbia, che aveva una forma più rettangolare e allungata della precedente, posata sul secondo carretto, quello con la ruota cigolante, era rinchiuso un giovane Falso Drago, probabilmente nato da qualche settimana appena visto che le sue dimensioni ancora contenute e il colore chiaro delle squame ancora membranose e non del tutto formate; aveva il muso appuntito coperto da una museruola di ferro e le uniche due zampe erano legate tra loro con delle catene che ne limitavano i movimenti. Sbuffava irritato per quella situazione, frustando il piccolo ambiente con la coda sottile e facendo tintinnare le sbarre della sua prigione.
Ake osservò quel piccolo drago assottigliando leggermente gli occhi quando questi incrociarono lo sguardo dorato della bestia rinchiusa che, se possibile, si rivoltò ancora di più, battendo all’impazzata gli abbozzi delle ali, come un pulcino che desidera già spiccare il volo. Dalla gola di Ake si alzò un basso ringhio, mentre i pugni si chiudevano sotto al mantello, facendo scricchiolare leggermente i guanti di pelle. Ebbe l’istinto, forte e graffiante, di scattare in avanti, verso quel drago. Una mano sulla sua spalla, era Dagh.
“Rilassato, Ake.” Gli sussurrò, osservando a sua volta quella scena, non ricordando se l’editto del Nord sulla caccia ai Falsi Draghi fosse stato sospeso; non dubitava però che quella fosse caccia di frodo, anzi, sicuramente doveva essere così.
Guardò quelle prime due creature sfilare lentamente a diverse braccia da loro, mentre un’idea si accendeva nella sua mente come un fulmine nella tempesta.
“Ake… che ne diresti di…”
“No!” Sibilò l’altro, voltandosi verso di lui e gelandolo sul posto con i suoi occhi bianchi: era così vicino che poteva vederne l’iride, talmente chiara da confondersi con la cornea e la pupilla, un piccolo puntino nero che galleggiava in un mare di spuma. Con quel gesto secco, per una frazione di secondo, la pupilla si dilatò, diventando una sottile ellissi al centro dell’occhio, prima di ritrarsi, tornando normale.
“Va bene, va bene. Non c’è bisogno di fare tutta questa scenata.” Protese le mani in avanti, in un gesto d’innocenza, in fondo gli aveva solo chiesto una cosa, non era il caso che il compagno reagisse così male.
Ake stava per aggiungere qualcosa, magari un insulto in una lingua ormai dimenticata dai più, quando si bloccò, volgendo lo sguardo verso la misera carovana, concentrandosi sull’ultimo carro che stava sopraggiungendo solo in quel momento.
Dagh seguì il suo gesto, identificando subito la gabbia trasportata, all’interno della quale, però, la bestia rinchiusa non si stava agitando, anzi, dimostrava un gelo e una fierezza che solo le creature dell’Ovest potevano avere. Occhi più azzurri del ghiaccio si posarono su di loro, a osservarli attentamente con un’algidità degna di un re del passato. Il Guerriero Artico segregato in quella prigione di ferro doveva essere molto giovane, visto che erano pochi gli speroni di ghiaccio che emergevano dal suo candido corpo da lupo, il pelo bianco rifletteva la poca luce, accecando quasi come la neve d’alta montagna. Le lunghe zampe erano distese in avanti, gli artigli neri ritirati, la folta coda dalla cui pelliccia emergeva qualche spuntone di ghiaccio che disegnava pennellate d’azzurro nel candore del pelo, era immobile, abbandonata a lato del corpo, le orecchie lunghe e sottili dritte e attente, così come lo sguardo, benché vi si potesse chiaramente leggere dentro una certa rassegnazione, la consapevolezza di non poter più tornare a corre libero tra i ghiacci eterni in cui era nato.
Il carro a capo della processione virò leggermente una volta giunto a poche braccia dall’Arena, proseguendo per una manciata di minuti, seguito a breve distanza da tutti gli altri, fino a giungere a un portone di modeste dimensioni incastonato nel muro, questo si spalancò all’arrivo dei carri, per permettere loro di entrare nella struttura di pietra, trasferendo così le bestie appena catturate nelle stalle, oppure direttamente sul campo circolare dell’Area.
Il Guerriero Artico volse la testa verso i due guerrieri rimasti indietro, piegando le orecchie, lanciando loro un’ultima occhiata prima di tornare a guardare dritto davanti a sé, sempre con quell’orgoglio che lo distingueva da ogni altro animale di Drakkas.
“Magnifica creatura, non trovi?” Domandò Dagh all’amico, che annuì piano.
“Più fiere di loro non se ne trovano.” Aggiunse, stringendosi nel mantello come a volersi nascondere.
“Già. – Un attimo di pausa, abbastanza lungo da permettere al secondo carro di sparire, ingoiato dalla pietra che componeva l’Arena. – Su di lui potresti farci un pensierino, forse?” Sorrise lievemente.
Ake impiegò secondi lunghi come ore per voltarsi verso il guerriero, squadrandolo di nuovo attentamente prima che un angolo della sua bocca si sollevasse di qualche centimetro, in quello che doveva essere uno dei suoi migliori sorrisi.
“Sì, questo si può fare.” Non aspettò oltre prima di scattare rapidissimo verso il portone che, ospitando all’interno l’ultimo carro, iniziava a chiudersi cigolando sui grandi cardini arrugginiti. Sfruttando la forma slanciata del suo corpo, Ake s’infilò nella fessura tra le due porte giusto qualche istante prima che queste si chiudessero, sollevando uno sbuffo di polvere.
Dagh sorrise in quella direzione, senza nemmeno augurare al compagno buona fortuna, sapeva che non serviva a uno come lui. Rimase fermo giusto il tempo di formulare qualche pensiero, qualche blando piano d’azione, tornando sui suoi passi per raggiungere l’ingresso dell’Arena. Sapeva che l’incontro stava per cominciare e i più avevano già preso posto, ma era ancora in tempo per pagare per lo spettacolo e prendere posto assieme al resto della folla urlante e assetata di sangue.
Questa volta non contrattò sul prezzo e pagò senza aprire bocca, aveva già fatto abbastanza danni quel giorno in fatto di contrattazioni, per una volta mise da parte il suo orgoglio e proseguì.
Mosse un passo avanti e poi un altro, avanzando senza timore all’interno della struttura, ad accoglierlo solo le tenebre che lo ingoiarono nelle loro fredde viscere di pietra.
 
 
[Continua…]
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Pensavate di esservi liberati di me o che io mi dimenticassi di questa Long, vero?
Beh… sbagliato… o meglio, più o meno! :P
No, seriamente… ho problemi in questo periodo, ma voi non siete qui per ascoltare i miei piagnistei, quindi vi vorrei chiedere… allora, che ne pensate del caro Dagh?
Inaspettato come personaggio, eh? XD
Beh, se pensate che sia pessimo adesso, non avete ancora visto niente! XDXDXDXDXDXD
Detto questo, se avete ancora cinque minuti, date un’occhiata al bellissimo disegno che c’è qui sotto: prodotto dalla
LunAngel – Disegni – 4ever! ® … e ditemi che non è bellissimo, le facce di Dagh erano proprio quelle! XD
Eh niente, non ho altro da dire…
Visto che avrò tutti gli esami a settembre, adesso mi prendo un po’ di vacanze per continuare la storia… u_u
Ci vediamo tra due settimane (promesso e giuro, questa volta) … con
Duncan! ;)
A presto e grazie a chi continua a seguire con pazienza questa Long, tanti baci! ^^
ByeBye
 
Vostra ManuFury! ^_^

  
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