Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! 5D's
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Autore: Aki_chan_97    31/07/2014    10 recensioni
Millenni fa un'antica, mostruosa creatura venne imprigionata nelle profondità della terra dal Drago Rosso Cremisi. Egli chiuse la tomba dello sconfitto con cinque sigilli, che vennero in seguito affidati a cinque diversi esseri umani. Essi divennero i custodi dei cinque frammenti di potere del drago, e grazie alla loro presenza la pace poté regnare sovrana sul mondo. Ma mai nessuno, finora, aveva tentato di ricongiungere i segni insieme. Quale minaccia è appena comparsa all'orizzonte? Il Satellite, Neo Domino e il mondo intero rischiano davvero la loro pace? Riusciranno i possessori dei cinque sigilli a scoprire cosa sta accadendo per impedire in tempo il ritorno del demone vendicatore?
(YuseixAki) !!!! DISEGNI 12, 13, 14, E 15 AGGIORNATI !!!!
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aki/Akiza, Yusei Fudo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Puntata speciale: il karma colpisce ancora
 
Io: *rilegge i vecchi capitoli e riguarda i vecchi disegni* ...ORRORE D: ma che diavolo ho pubblicato?!
 
Jack: finalmente se n’è accorta!
 
Io: ToT m-ma...
 
*BOOM- qualcuno spalanca la porta dello studio*
 
Akiry: I’M BACK, BITCHEEEEEES *armata di cazzutissimi mitra e cannoni*
 
Io: O________O AKIRY?! MA CHE-?!
 
Tutti: O_______________________________________________O
 
Akiry: VENDETTAAAAAAAAAAAA!!!
 
Crow: per cosa?? O_o
 
Akiry: PER ESSERE STATA PRESA A CALCI NEL VECCHIO CAPITOLO, E POI ABBANDONATA!!!
 
Tutti: aaaah... oh.
 
Io: A-Akiry, non mi sembra il caso di cacciare fuori tutte ‘ste armi O___O
 
Akiry: SI’ INVECE! *ta ta ta ta ta ta ta ta*
 
Tutti: AL RIPAROOOOOOOOOO
 
Io: la mia casaaaaaaaaa DDD8
 
*la stessa porta si rispalanca (?)*
 
Vector: AKIRY, FERMATI!
 
Io: Vector? ._____.
 
Crow: Vector?! O_O
 
Akiry: Vector! <3.<3 *posa le armi* *corre ad abbracciarlo* Mi sei mancato amore mio =W=
 
Tutti: AMORE?! O____O
 
Vector: scusa il ritardo Akiry u.u
 
Crow: a-amore mio? C-come amore mio? O_O
 
Vector: e te che c’entri? *lo guarda schifato*
 
Crow: intendevo Akiry -.-... Ma scherziamo?! La figlia di Yusei e Aki con un pazzo del genere? O____o
 
Aki: devo essere un disastro di madre nel futuro T________T
 
Yusei: *nasconde la faccia* dimmi che nel futuro non approvo questa cosa, ti prego...
 
Io: ...diciamo che all’inizio lo pedinavi pure... poi hai capito che ti potevi fidare, e... mi spiace Yusei x’D
 
Yusei: *prende a testate la parete*
 
Aki: piange*
 
Crow: condoglianze ragazzi <___<
 
Akiry e Vector: <3
 
Io: e dopo la tragedia di famiglia, non perdiamo tempo e cominciamo col prossimo capitolo XD ah, no! I ringraziamenti prima. Oggi tocca a Crow u.u
 
Crow: oook... *prende il foglietto* *ahem* si ringraziano infinitamente tutti i recensori, specialmente quelli che sono stati sempre presenti come Keily_Neko, CyberFinalAvatar, BML95110, iridium_senet, eli8600, poi anche gli altri come giuggy 3 e playstation! Un inchino anche a yugi00 che ha messo Aki_chan tra gli autori preferiti!
In più, una calorosa stretta di mano (?) per ogni lettore che l’ha messa tra i seguiti, come Aquarius no Lilith, Ren92, BML951110, cristal_smeraldo48, CyberFinalAvatar, Darkdan Hibiki Kurokawa, eli8600, karter, lady_eclisse, playstation e Valix97!
Un salto di gioia (??) per quelli che l’hanno messa tra le preferite, come EvocatoreEterugaForever e giuggy 3, e un inchino di ringraziamento (?!) a eli8600 e lady_eclisse che l’hanno messa anche tra le ricordate.
 
*si asciuga il sudore*
 
Crow: woah, la lista si allunga @.@
 
Io: sarebbe così bello avere qualche preferito in più, o dei nuovi recensori, io sarei saltellante dalla gioia çvç ma non mi lamento, certo ^^”
 
 
Comunque, non so come mai, ma il capitolo è venuto ancora più lungo del precedente o.o li sto facendo tutti in ordine crescente senza volerlo... LOL oh beh, speriamo sia sinonimo di miglioramento XD buona lettura! (spero di non farvi incazzare troppo con questo capitolo... io mi sento orribile, ma veramente ORRIBILE çWç)
 
- ditemi se devo alzare il rating :T questo capitolo lo prevedo peggiore degli altri tra tragedia e violenza...uops-
 
 

Pov: Aki
 

“YUSEI! Sono qui! Ah!”
 
Il vento continuava a soffiare impetuoso, nero, tetro, incessante, impedendoci di ricongiungerci. Chiamavo e richiamavo Yusei, ma non riuscivo più a trovare le sue mani, né i suoi occhi, ormai nemmeno la luce dei cristalli era più capace di rischiarare quelle tenebre. Prima riuscivo a sentire la sua voce, lo sentivo gridare il mio nome, ma adesso non riuscivo più a percepirlo. Ero sola, di nuovo. L’unico suono che giungeva alle mie orecchie era il fischio assordante di quel vento, e quello di numerosi sussurri, spettrali, urla lontane, come lamenti di anime che infestavano quell’atmosfera. Pregai che fosse solo un’illusione del vento, e che quelle voci sparissero all’istante. Mi coprii le orecchie sedendomi a terra, aspettando che quell’ululato cessasse il prima possibile. Persino il respirare quell’aria mi faceva accapponare la pelle. Non era buona, questo era certo. Cercai di trattenere il fiato in gola il più a lungo che potevo, attendendo che quell’angoscia smettesse di tormentarmi.
 
Poi, all’improvviso, calò il silenzio. Il vento si placò in un istante. Riaprii gli occhi e presi fiato. Mi guardai attorno: non ero più nella grotta. Tuttavia, i dintorni erano familiari. Orribilmente familiari.
 
La stanza era in penombra. Fuori il sole doveva essere già calato. Lo spazio era ampio, il soffitto alto. Le pareti spoglie, i muri spessi. Il minimo suono si amplificava mille volte.
 
...Ero in un'arena.
 
Ma questa non era un'arena qualunque. Questa era quella del Movimento Arcadia.
 
Dio solo sapeva cosa aveva dovuto vedere e sopportare questo luogo. Io stessa ci misi piede più volte, a suo tempo. Oh, quanto avevo torturato questo povero campo di battaglia... era stato uno dei pochi a riuscire a sopportare la furia distruttiva della mia maledizione... e nemmeno così bene come vuole far credere adesso, con queste mura candide.
 
Fissai attonita quelle larghe piastre quadrate che componevano il terreno duro e liscio. Le studiai attentamente, incapace di capire se davvero fossero le stesse che calpestavo nei miei ricordi, o se si trattasse davvero di un altro posto. Ma non erano diverse. Erano le stesse, così come lo erano le pareti.
 
Non mi erano mai piaciute. Diafane, spente, fredde. Stare qui mi ha sempre fatta sentire a disagio.  Soprattutto perché ormai consideravo questo posto dimenticato. Un vecchio incubo da cui mi ero svegliata già tempo fa.
 
Volsi lo sguardo nel punto nel quale doveva trovarsi lo sfidante. Non so come mai, ma mi aspettai di trovare il vuoto, come già mi suggeriva il silenzio; invece, ad accogliermi ci fu qualcuno.
 
L'ultimo qualcuno che avrei mai sperato di rivedere.
 
I miei occhi si spalancarono. Impallidii all'istante; tutte le stelle caddero dal loro cielo, spente dal buio della disperazione di quel sogno. Il fantasma del mio passato era tornato, ed era lì, di fronte a me. Quegli occhi verdi, quei capelli mogano, quel crudele sorriso...
 
Uno squarcio immenso si riaprì nel mio cuore. Tutto il mio rancore si ridestò dalle viscere del mio animo. Non esplose come avrebbe dovuto, o come avevo immaginato. Si rivelò in un mormorio, udibile appena…
 
“Tu...”
 
...DIVINE.
 
 
Cosa ci faceva lui qui? Questo incubo non era già abbastanza crudele così com'era?
 
"Ciao, Aki. Contenta di rivedermi?"
 
La sua voce giunse mielata, mascherata da una finta dolcezza. Mi irrigidii. Ricordavo quella voce. E sentirla di nuovo non era esattamente 'cosa piacevole'.
 
"Tu... Che ci fai tu qui? Perché siamo qui?! Cosa stai macchinando questa volta?!"
 
"Io? Macchinare? Davvero Aki, non capisco di cosa tu stia parland-"
 
"Taci! Getta quella dannata maschera, per una buona volta! L’hai dimenticato? Io so già tutto quanto!”
 
“Sai? Che cos’è che sai?”
 
“Tutto di quello che mi hai nascosto. Tutto. E non mentirmi, perché stavolta non ci casco."
 
Lui, all'improvviso, ripose nel fodero quel suo sorriso fasullo, dal quale mi ero lasciata ingannare fin troppe volte. Non era tipo paziente nei giochi.
 
Tornò quella sua espressione seria, dura e minacciosa. Era occasione rara riuscire a vederla, perché non prometteva mai nulla di buono.
 
"Dunque, sai tutto, eh?" sbuffò lui, voltando lo sguardo.
 
Silenzio. L'atmosfera era tesa. Lui restava lì in piedi, immobile. Tutti i miei ricordi di Divine erano tornati a galla bruscamente, rimarcati dalla sua stessa presenza. Ricordavo quel suo atteggiamento. Era affascinante, c'era da ammetterlo. Ricordavo l'ammirazione che provavo per lui, una volta. Ma fu lui stesso ad annientarla, a rimpiazzarla con l’odio e la frustrazione.
 
"Tsk. E allora? Cambia qualcosa questo?"
 
"Come? Certo che cambia! Che domande!"
 
"Io direi che è un peccato... stavamo così bene, insieme... ricordi?"
 
"Io ricordo, Divine. Ma non ho la minima intenzione di tornare lì da te. Sei solo un assassino, io non ci rimetto piede dalla tua parte!"
 
"Tsk. E pensare invece a quanto ho fatto per te... sei stata solo un'ingrata."
 
"Tu mi hai ingannata! Mi hai mentito per tutto il tempo! E ora vieni a reclamare fedeltà?"
 
“Io ti avevo salvata! Ti ho accolta quanto tu eri solo un maledetto mostro, agli occhi di tutti! E vuoi sapere una cosa? Non è cambiato niente. Il passato non si cancella, Aki. Il sangue sulle tue mani non scomparirà mai.”
 
Feci un passo indietro, chinando il capo.
 
 
Flashback
 
 
Ero sola, tanto tempo fa.
 
I miei poteri si erano portati via tutto quello che avevo: la mia famiglia, la mia casa, il mio futuro, ogni cosa. Non avevo più niente.
 
Nonostante fossi stata solo una bambina, il mio cuore era stato già lacerato dalle ferite più profonde, squarciato dai dolori più grandi: quello di essere abbandonati, di essere allontanati da tutti gli altri, di essere consci di rappresentare la stessa causa delle proprie disgrazie, e di non avere nessuno da incolpare, se non se stessi ed il destino... Il mio mondo era diventato completamente nero.
 
Ad un certo punto, dopo i primi incidenti, la Sicurezza di Neo Domino iniziò a darmi la caccia. Non era rimasta con le mani in mano davanti a tutta quella devastazione, quindi pensò bene di ostacolarmi.
 
Quanti sforzi inutili.
 
Nemmeno le prigioni erano capaci di contenere il mio dolore ed il mio odio. Ogni volta che quegli incubi mi tormentavano, e quelle immagini tremende riprendevano a vorticarmi in testa –una che mancò sempre, era quella dei cadaveri dei miei genitori, ma che davo per scontata, ormai-, i miei poteri traboccavano, e terremoti e tornadi si abbattevano ovunque mi trovassi. Non solo: anche alberi o edere cresciuti dal nulla, in piena città, o fiori di rose sbocciati dove terra fertile non c’era. Gli scenari che disseminavo alle mie spalle avevano un fascino davvero letale. Io,una ragazzina così piccola e graziosa...
 
Per questo mi guadagnai l’appellativo di Rosa Nera.
 
Quando capirono che non erano le sbarre a potermi fermare, tentarono con i sedativi, per farmi dormire. Scappare diventò sempre più difficile. Una bambina non aveva molte idee su come non farsi trovare dalla polizia, la città era popolata in ogni angolo, era arduo trovare qualche posto deserto. Fu così che mi scovarono, e mi chiusero in una specie di sotterraneo. Lì rimasi, distesa su un lettino e bloccata come un animale pronto da dissezionare. Restavo cosciente sempre per pochissimo tempo. C’era da chiedersi se avrei davvero speso così la mia vita in eterno, praticamente in coma, privata di ogni tipo di libertà, ma a me non importava: tanto, non mi ponevo queste domande quando dormivo.
 
Un giorno però...
 
 
 
Aprii gli occhi, fissando il soffitto grigio sopra di me, in attesa che le idee ritornassero al loro posto. Tutto davanti a me era sfocato, ma c’era qualcosa che contrastava con il monocolore nella mia linea di visione: una macchia scura, alta, di un uomo giovane molto probabilmente, ferma davanti a me. Lo osservai, cercando di sforzarmi di rendere i suoi contorni più nitidi. Distinsi capelli lunghi e rossicci, un ciuffo curvo sulla sua fronte rialzato verso destra, occhi verde smeraldo ed un sorriso teso, quasi compiaciuto, ma che poi si fece sempre più mielato e naturale, difficile da decifrare. Tuttavia, ai miei occhi, sembrava convincente.
 
-Vedo con piacere che ti sei svegliata, mia piccola Aki.
 
-T-tu chi sei?
 
-Mi chiamo Divine, mia cara.
 
Divine. Che strano nome. “Divino”... Chissà cosa c’entrava con questo qui. Tuttavia... non era come gli altri esseri umani con cui avevo avuto a che fare nelle ultime settimane: era gentile, e mi parlava con un tono pacato e tranquillo, lo stesso tono che avrebbe usato un genitore con un figlio.
 
Oppure un domatore con una bestia.
 
E da  animale cui ero trattata, ne rimasi davvero affascinata.
 
-So che tu ti chiami Aki. Mi hanno molto parlato di te: mi dicono che sei davvero speciale, sai?
 
-No, non è vero. Nessuno lo dice.
 
-E invece qualcuno sì. Vedi, non tutti sanno apprezzare le tue capacità. La gente critica ciò che crede cattivo. Ma si sbaglia. Tutti si sbagliano. E lo sappiamo entrambi. Sappiamo che non c’è niente di cattivo in te.
 
-C’è invece. Io sono solo un mostro.
 
-No, non lo sei. Semplicemente, hai un talento che agli altri non piace. Loro sono inferiori a te, per questo non ti vogliono.
 
-Che vuoi dire?
 
-Tu sei una Psichica, mia cara. Hai delle capacità intellettive dieci volte superiori alla norma. Ed è un dono che in pochi possiedono.
 
-Psichica? C-che significa?
 
-So bene che sei sconvolta ora, così come lo sei per quanto ti è accaduto in passato: non potevi sapere cos’avevi, chi eri. Ma io voglio aiutarti. Ti capisco. Anche io sono come te. E so cosa provi. Non dovrai avere più paura, da oggi in poi.
 
-...P-perché no?
 
-Esiste un posto, chiamato “Movimento Arcadia”, dove sono riuniti tanti altri Psichici come me e te. Non sei sola.
 
-...Non è vero, tu mi prendi solo in giro.
 
-Assolutamente no, mia cara. Ogni parola che ho detto, è la pura verità.
 
-...Davvero?
 
-Davvero. Che ne dici di andartene via da qui? Di venire con me?
 
-...Sarebbe bello.
 
-Mh, sono contento di sentirtelo dire. Saremo tutti una grande famiglia felice, te lo prometto.
 
-Ma... che succede se non riesco a controllare i miei poteri?
 
-Imparerai a farlo, non preoccuparti. Te lo insegnerò io personalmente.
 
 
Mantenne la parola. Finalmente trovai un posto che potessi chiamare “casa”. Divine presto divenne il dirigente stesso del Movimento Arcadia, ed io rimasi al suo fianco; controllare i miei poteri fu davvero un’impresa, ma non del tutto impossibile. I primi tempi lo stabilizzatore fu molto d’aiuto, ma spesso mi causava stordimenti e capogiri. C’era da dire che non mi piaceva molto indossarlo, tuttavia mi era necessario. Feci conoscenza anche con altre persone come me, ma presto distinsi due razze anche tra di loro: chi mi allontanava, forse per invidia, o forse per timore, e chi mi ammirava. Eppure, con loro non potevo far altro che nutrire sempre una specie di disagio. Ero superiore persino alle persone più simili a me. L’unico che poteva competere con me era Divine. Sapevo che era forte. Ai miei occhi però, lui era tutto: un punto di riferimento, un amico, un padre...
 
Ricordo che un giorno, però, poiché lo cercavo, mi avventurai in un’ala poco frequentata, uno dei tanti vicoli labirintici dell’edificio, nella speranza di scoprire dove si fosse andato a cacciare, anche un po’per curiosità personale. Dovevo avere circa quindici anni, all’epoca. Stavo per arrivare in fondo, quando sentii alcune voci dal retro di una porta. Una di queste era quella di Divine. Non riuscivo a capire cosa stessero dicendo, ma il mio orecchio fece in tempo a cogliere alcune parole: “esperimento”, “soggetto”, “fallito”, poi la sua voce nitida, “sbarazzatevene.”
 
Corrucciai lo sguardo, muovendo alcuni passi indietro dalla porta per non far sembrare che stessi origliando. A che si riferiva? Cosa significava quella parola? Ad un certo punto, la porta si aprì lentamente, e Divine ne uscì, abbastanza sorpreso. La richiuse in fretta.
 
“Oh, ciao Aki, sei qui. Che ci fai da queste parti?” il suo sguardo sembrava un po’ preoccupato. Non sorrideva.
 
“Ti stavo cercando, tutto qua. Eri sparito nel nulla...” mi scusai, cercando di suonare il più possibile naturale.
 
“Capisco. Beh, direi che ora sia tutto a posto. Possiamo andare, se vuoi.” ...il suo sorriso tornò, come sempre.
 
“Bene, perfetto...” mormorai.
 
“...Qualcosa non va, Aki?”
 
Deglutii.
 
“M-mi chiedevo... che stavi facendo lì dentro? Di solito non vedo molta gente passare per queste ale...” non alzavo lo sguardo a lui. Per qualche motivo, avevo paura di incrociarlo. Non potevo nemmeno vedere la sua espressione, però.
 
“Oh, niente di importante. Discutevo di questioni burocratiche varie, roba noiosa.”
 
“Ah, ho capito. Beh... torniamo nella Sala centrale allora.”
 
“Certamente, Aki. Ma fammi un favore, non tornare qui, anche perché non occorre.” Disse, ma dal tono potevo dire che era un suggerimento volto a diventare ordine.
 
“Oh, va bene. Tanto non è che mi nascondi qualcosa di serio, vero?” scherzai, tentando di sdrammatizzare la strana tensione con una ingenua battuta. Lui sembrò essere preso in contro piede, ma alla fine mi assecondò.
 
“Dai, certo che no. Non farei mai una cosa del genere.” ribatté.
 
Passò altro tempo, ma in cuor mio iniziai a covare dubbi e timori riguardo Divine: io avevo distintamente sentito la voce di un’altra persona con lui, che non era uscita... E poi, poteva discutere anche nel suo ufficio, se voleva. Cosa c’era in quella stanza che non avevo visto e che non voleva farmi vedere? Era importante?
 
Non sopportavo quei dubbi. Volevo sapere la verità. Non era forse giusto? Tanto, non era nulla di serio alla fine, ne ero certa... Così, decisi di andare a investigare. Verso ora di pranzo, tornai nell’ala oscura, e mi riaccostai alla stessa porta da cui era uscito Divine l’ultima volta. Nessuno in vista. Tentai di girarla, ma era bloccata.
 
Ad un tratto, avvertii delle voci soffuse dall’altra parte. Immediatamente, mi nascosi nell’angolo vuoto più vicino, cercando di sbirciare senza farmi vedere. Due uomini, adorni di camice bianco, uscirono chiacchierando tra di loro, e uno dei chiuse la porta dietro di sé.
 
-Che stress... stiamo fallendo un test dopo l’altro.
 
-Su, non pensarci per adesso. È ora di pranzo, io ho fame.
 
-Ok, come ti pare... oh, hai chiuso a chiave?
 
-Dai, per mezz’ora o un’ora non credo passerà nessuno di qui.
 
-Infatti non credo...
 
Le loro voci si fecero sempre più fioche man mano che si allontanavano. Non avevano idea del madornale errore che avevano commesso. Avevo meno di mezz’ora, dovevo essere svelta. Rapida come un fulmine, sgattaiolai nella stanza chiudendo rapidamente la porta dietro di me. Mi voltai: vidi un vetro scuro, numerose macchine dall’oscura utilità, e diversi computer, alcuni dei quali accesi.
 
Mi affacciai al vetro: le luci erano spente dall’altra parte, non riuscivo a vedere nulla. Cambiai direzione, e mi avvicinai al computer più grande: diversi valori indecifrabili comparivano su più schemi, molti dei quali però non sembravano rappresentare i livelli di prestazione di una macchina. Le diciture portavano nomi riguardo proprietà fisiche umane... Cambiai schermata: si vedeva la figura di una persona, stilizzata in 3D, ed affianco diversi valori numerici. Battiti cardiaci, quantità di varie sostanze chimiche nel sangue, e altri valori con nomi impronunciabili e interminabili riguardo la sfera celebrale. Le indicazioni a proposito erano ancora più numerose.
 
La ricerca continuò ancora per qualche minuto, ma fu sufficiente a darmi un’idea di cosa si trattasse: quei valori misuravano le capacità fisiche e Psichiche umane degli esperimenti di cui probabilmente parlavano l’altro giorno. Ma una cosa sola, adesso, mi preoccupava più delle altre:
 
“Sbarazzatevene”.
 
Il sangue mi si gelò nelle vene. Sperai con tutta l’anima di sbagliarmi. Avevo ancora un quarto d’ora, potevo cercare altri indizi. Fascicoli vari erano posti sulle scrivanie; presi quelli più in vista –gli ultimi maneggiati probabilmente- e diedi una rapida occhiata ai contenuti: documenti burocratici, conti indecifrabili... poi, una cartella attirò la mia attenzione rispetto alle altre. Non appena la aprii, davanti a me comparirono volti ed elenchi di nomi di persone: alcuni di questi riportavano la scritta rossa accanto “soggetto deceduto”.
 
Il mondo mi cadde addosso. I miei occhi vagarono ancora disperatamente su quelle terribili pagine: sembrava linguaggio militare. La mia mente fece praticamente tilt. Il fascicolo mi cadde dalle mani. Milioni di fogli si sparsero per la stanza; volti cancellati e scritte rosse ovunque, e il terrore più totale dentro di me.
 
Fragile come il vetro, mi accostai debolmente ad una parete. Presa da un fremito, corsi ad accendere la luce della stanza buia dietro il vetro, aggrappandomi all’interruttore. Mi scappò un grido, soffocato in ritardo dalla mia mano.
 
Su un tavolo metallico, disteso, c’era un ragazzino. Era senza maglia, ed aveva diversi fili attaccati al torace e alle tempie, la testa leggermente china da un lato. I suoi occhi innocenti erano spalancati fissi al soffitto, vuoti, inespressivi. Una macchina indicava i suoi battiti del cuore, flebili e lenti. Ma pallido, immobile e con quel viso... ai miei occhi era morto. La vista era agghiacciante.
 
Non restai un minuto di più. Non mi importava se scoprivano quel disastro, io non volevo più stare in quel posto. Me ne sarei scappata via, e alla svelta. Il Movimento Arcadia... ecco cosa nascondeva nelle sue viscere. Ecco cosa mi nascondeva Divine... Mio dio... che diamine stava succedendo?
 
Corsi verso l’uscita, ma mi scontrai con qualcosa di duro; ricaddi all’indietro, e riportai gli occhi verso la porta. Il cuore mi morì nel petto. Divine era in piedi, appoggiato alla trave della porta, e mi guardava, confuso.
 
“Aki... che ci fai qui?”
 
“I-io...” cominciai, rialzandomi, ma poi vidi come Divine osservava incredulo i dintorni: le carte per terra, i computer e la luce della stanza accesa, con ciò che nascondeva, lì, in bella vista.... il suo sguardo cambiò in un istante: si fece più corrucciato, cupo, un misto tra l’addolorato e l’arrabbiato.
 
 “D-Divine, mi spiace, i-io non intendev-“ mi scusai, ma prima che potessi finire, mi ritrovai di nuovo per terra, con una guancia dolorante. Riportai gli occhi su Divine, terrorizzata più che mai. Ero finita nei guai... Ero davvero finita nei guai...
 
“Perché sei qui?!  Ti avevo detto di non venire in questo posto!”
 
“Mi dispiace! Io volevo solo sapere cosa c’era...”
 
“NON AVRESTI DOVUTO!”
 
Gridò, spingendomi contro la parete sotto il vetro con i suoi poteri psichici. Sotto quella pressione, cercai di avvicinare la mano allo stabilizzatore. Divine si accorse del gesto, ma non fece in tempo ad impedirmelo che venne fermato da una lunga corda spinata che gli bloccò il braccio; altre si aggiunsero alla prima, costringendolo a non muoversi, per non ferirsi oltre. Mi liberai rapidamente da quella presa, scatenando un forte vento nella stanza; le carte volarono impazzite attorno a noi, e Divine si ritrovò a farsi scudo agli occhi anche da gli innumerevoli petali che avevano invaso la stanza. Uscii di corsa, seguita dalla stessa tempesta che mi trascinavo dietro da una vita.

“AKI! FERMATI! TORNA QUI! È UN ORDINE!!!”
 
Corsi senza sosta, salendo le scale il più in fretta possibile; erano due piani sotto terra, per questo erano poco frequentate, ma ora la paura mi aveva concesso una capacità fisica superiore alla mia norma.
 
Incrociai diversi sguardi uscendo, con il viso nascosto dai capelli, e la furia di quell’uragano che devastava tutti gli stretti corridoi del palazzo attorno a me. Uno dopo l’altro, sfilavano gli occhi di tanta gente, ingannata come me. Non guardavo in faccia nessuno. Ero solo disperatamente terrorizzata. Ero passata da un inferno all’altro.
 
Gli inferni sulla Terra, a differenza di quelli veri dell’aldilà, portavano tutte una Maschera splendente, più delle altre. Però, prima o poi l’occasione di mostrarti cosa c’è sotto ti viene sempre offerta. Sta a te poi scegliere se continuare a credere alla Maschera, oppure guardare alla Verità.
 
Ed io... avevo scelto la dolorosa Verità.
 
Realizzai che non dovevo solo nascondermi, no, dovevo lasciare la città come minimo. I contatti col Satellite erano pochi, ma rispetto alle altre città del continente vicino –dato che Neo Domino si ergeva praticamente su un’isola-, era il miglior posto nel quale far perdere le proprie tracce. Di certo non sicuro, ma ormai non erano gli esseri umani a farmi paura. Era una vita che vedevo la paura nei loro occhi. Questa volta era toccato a me, per colpa di Divine. Mi aveva ingannata. Quella della ‘grande famiglia felice’ era una farsa.
 
Mi tornò in mente il suo sorriso, lo stesso con cui mi salutava tutti i giorni, lo stesso che io ammiravo tanto e che tanto aveva fatto per me. Era quel tipo di persona a cui potevi rivelare il tuo peggiore segreto ed essere sicura che l’avrebbe custodito cautamente, o a cui avresti detto ‘grazie’ col cuore colmo davvero di gratitudine. Ripensai a come fosse cambiato, e a quanta cattiveria gli vidi dipinta in volto, quanto astio avesse negli occhi.
 
Quello sguardo non aveva fatto altro che dimostrarmi quanto il mondo potesse essere davvero malato e malvagio nelle viscere. Che anche i sentimenti migliori potessero essere recitati facilmente, e che il male fosse qualcosa in cui crogiolarsi.
 
Io cercavo di negarlo, di mentire a me stessa, di convincermi che nulla fosse cambiato... ma le immagini, la paura, il terrore, tutto si riproduceva nella mia testa a ciclo continuo, crudelmente.
 
Quella persona aveva tradito la mia fiducia con una facilità disarmante. Mi faceva sentire ingenua. Infantile. Stupida.
 
Mi aveva dimostrato quanto poco io valessi.
 
Aveva distrutto completamente la mia risoluzione, ed il mio orgoglio.
 
Non gliel’avrei lasciata passare liscia.
 
Io ero la Rosa Nera, e la Rosa Nera non perdonava nessuno.
 
 
 
 
 
 
 
La poca luce già presente si era affievolita ancor più. Divine mi scrutava silenzioso, i suoi occhi coperti d’ombra erano impossibili da leggere. Credeva di vincere, stavolta? No. Io non mi facevo ingannare due volte di fila. Al contrario, gliel’avrei fatta pagare cara. Finalmente, eravamo alla resa dei conti, e avrei dimostrato quanto davvero valevo.
 
“È vero, quel sangue non scomparirà mai, Divine. Ma il passato resta passato, non tornerà. Ho tutte le intenzioni di ricominciare, a differenza di te! Tu e tutto il tuo rancore verso il mondo… mi fate solo schifo!”
 
“Hah! Ma non farmi ridere! Tu non ne sai ancora niente!”
 
“Niente di cosa? Dell’odio e della frustrazione?”
 
“Del dolore, Aki. Del dolore vero. Lo stesso che mi ha spinto a cominciare tutto questo. Credimi, nemmeno tu hai ancora idea di che cosa sia. Ma ora... potremo rimediare.”
 
All’improvviso, una lieve brezza si sollevò, e l’aria divenne quasi magnetica. Erano i suoi poteri psichici, difficili da confondere. I più temuti nel Movimento Arcadia. Anche questo rancore... sapevo che lo celasse nel cuore, ma non lo aveva mai dato a vedere. Mi faceva provare pietà.
 
Divine sollevò un braccio in aria, e sul suo palmo comparve una larga sfera di luce verde, simile ad una palla di fuoco. La sua luce illuminò in un unico bagliore l’interno di tutta la stanza. Il suo sorriso ora era decisamente diverso. Aveva scelto di combattere? Bene. Non mi sarei fatta pregare. Quando fu sufficientemente carica, la scagliò dritta davanti a sé; ma io non persi tempo.
 
Il mio stabilizzatore ormai aveva abbandonato la sua originale postazione; dalla terra cominciarono a crescere lunghe fruste, adorne di spine, intrecciate fra loro; queste frantumarono il cemento ai loro piedi e si innalzarono per alcuni metri, mentre la sfera le centrò in pieno. Le corde si piegarono su se stesse, bloccando l’attacco con facilità.
 
Ora, era il mio turno.
 
Sollevando le mani, feci dirigere altre fruste contro Divine, dritte come lance; lui però portò un braccio davanti a sé, e l’attacco si fermò a mezz’aria. Per un attimo, mi sembrò di distinguere quasi una sfera vuota attorno a lui. Le liane erano tutte bloccate; altre continuavano a frustare sullo stesso punto, ma sembrava di colpire una cupola invisibile.
 
“Non penserai che i tuoi trucchetti funzionino davvero con me, vero?” sibilò lui.
 
Il timore che avevo delle sue capacità riaffiorò dai miei ricordi. Tuttavia, più che paura, provavo orgoglio. Avevo sognato spesso questo momento. Lo temevo, ma lo aspettavo, anche. Avrei fatto tutto il possibile per vincere.
 
Chiudendo a scatto il pugno, Divine rilasciò una potente onda d’urto, che respinse tutte le spine; come se si fosse trattato d’acqua, l’energia mi travolse completamente, facendomi sbattere alla parete alle mie spalle. Sentii tutto l’ossigeno abbandonare in un colpo solo i miei polmoni; caddi china sulle ginocchia, cercando di respirare.
 
“Già a terra? Che delusione. Mi aspettavo di meglio da te.”
 
“Falla…finita…” gli ribattei, ancora mancante di tutto il fiato necessario.
 
“Tu non puoi cambiare, Aki. Mostro eri, e mostro sarai, non hai speranze!”
 
“Non è vero! Io non ho intenzione di tornare ad essere una macchina da guerra!”
 
Un terremoto scosse la terra. Nuove crepe spaccarono il pavimento già malridotto, e nuovi lunghi steli spinati, più robusti stavolta, si avventarono contro Divine. Lui si spostò fisicamente, lasciando che le più grandi si schiantassero contro il muro.
 
“Niente da fare!”
 
Sorrisi. Sembrava convinto di essere il migliore. Splendido. Gli avrei rinfacciato quanto si sbagliava con ancora più soddisfazione.
 
Altre liane, meno spesse, si erano arrampicate sulle pareti, come edere: avevo circondato lo stadio. Ora era il terreno di caccia perfetto.
 
Le più vicine si tuffarono sulla sua figura scura; lui però si fermò, e forgiò nella mano destra una lunga lama di una luce verde intensa, come quella della sfera di fuoco. Un gesto rapido, e le liane vennero tranciate prima di arrivare a lui.
 
Eppure, quella luce... l’avevo già vista. Non apparteneva al Divine di cui avevo memoria. In un istante, un particolare ricordo riaffiorò nella mia mente. Qualcosa non quadrava. Quel potere... quando avevo visto la sfera, avevo pensato che fosse qualcosa di cui non mi aveva mai mostrato l’esistenza, ma la somiglianza era troppa per essere solo una coincidenza...
 
Il flusso dei miei pensieri venne bruscamente interrotto quando il mio corpo divenne più pesante; una specie di macigno immenso mi costrinse a scivolare progressivamente a terra, troppo debole per riuscire a reggerlo. Tentavo di restare seduta o in ginocchio, pronta a rialzarmi, ma la gravità alla fine divenne troppa, e mi fece cadere a terra quasi piatta.
 
Con estrema fatica, alzai la testa: Divine aveva teso lo stesso braccio con cui teneva la spada in mia direzione; il buio sul suo viso era calato di nuovo. Teneva gli occhi fissi su di me, scrutandomi a fondo, sorridendo sadicamente, forse per suo cattivo gusto, o forse per evitare di spezzare la pressione che gravava si di me. O entrambe le cose.
 
Lo sentii ridacchiare tra sé e sé. Non era cambiato di una virgola. Pensava ancora di essere superiore, di essere davvero “divino”. Ma non aveva capito niente. Aveva una visione del mondo completamente distorta, e non riusciva a vederlo, da buon pazzo che era.
 
Un brivido mi corse per la schiena. Pensare che fino a qualche tempo fa io ero al suo fianco, pronta a seguirlo ovunque, come un fedele cagnolino... senza sapere quale mostro si celava dietro quella maschera. Un mostro che non esitava a intingere le mani nel sangue di innocenti per arrivare ai suoi rovinosi scopi. Lui cominciò a muoversi, avvicinandosi a me lentamente.
 
“Sai, Aki... sarebbe stato davvero bello se tu fossi rimasta al Movimento Arcadia con me. Prevedevo un futuro radioso, per entrambi. Quella feccia di società, quella marmaglia che ama definirsi “normale” rispetto a noi... poteva davvero avere quello che si meritava. Ma tu... tu hai voltato le spalle a tutti noi, ci hai abbandonati. Hai abbandonato me. È questo ciò che non ti perdono.”
 
Non ascoltarlo, Aki. Non ascoltarlo. Dice solo menzogne, e tu lo sai.
 
Quella voce che giunse dal mio cuore, quella voce forte che sentii parlarmi con chiarezza... era così simile a quella di Yusei. Probabilmente, anche lui avrebbe detto così, in questo momento. Yusei... Quanto avrei voluto che lui fosse stato qui...
 
Divine, intanto, materializzò di nuovo la spada nella mano destra, senza perdere quel passo solenne. Facevo fatica a mantenere alto lo sguardo. Mi mancava l’aria, tanto era poderosa quella forza. Ma tutta quell’ energia psichica... come faceva a non stancarsi? Tra la pressione su di me e la spada, ne stava consumando una quantità disumana!
 
Tuttavia, dimenticava una cosa. Io non avevo necessariamente bisogno di muovermi per ricorrere ai miei poteri psichici. Mi bastò appoggiare un palmo aperto a terra, perché le ennesime fruste crescessero a sorpresa da terra, stavolta più vicine alla sua figura. Sorrisi. Stavolta erano troppo vicine per poter essere fermate.
 
Salendo verticalmente, queste si aggrapparono con forza alle sue braccia e al suo busto, conficcando con fermezza tutte le loro spine nella sua carne. A quel punto, finalmente, non poté più trattenersi, e fu costretto a reagire al dolore. Gridò, e la sua faccia, benché contorta dal dolore, divenne per qualche istante quasi più veritiera. Più umana. Perché per quanto crudele, almeno nel corpo restava un essere umano, soggetto al dolore.
 
Contemporaneamente, la pressione sul mio corpo scomparve nel nulla. Sollevai il capo quasi di colpo, tanto mi sentii leggera. Era quasi piacevole. Ma la cosa migliore... era che adesso ero io a tenere Divine in scacco. E non mi sarei lasciata sfuggire quell’occasione d’oro.
 
Lui restava lì, a combattere fieramente con quelle spine invischiate nel suo sangue. I suoi lamenti di dolore... quanto tempo non sentivo quel suono. E sentirlo da lui, era quasi più bello. Decisamente meglio che sentirlo proferir parole d’inganno. Adesso avremmo visto chi sarebbe stato a sperimentare il vero dolore. Hah.
 
Mi sollevai da terra, dritta in piedi, più sicura di me stessa. Lo scrutai soddisfatta, da dietro la massa scomposta dei capelli sul mio viso. Alzai un braccio, e le fruste crebbero d’altezza insieme a Divine, che si ritrovò sollevato da terra, ancorato a quelle spine.
 
Non dissi una parola, ma lasciai che i gesti parlassero al mio posto: scagliando il braccio sinistro verso l’esterno, ordinai alle mie fedeli piante di lanciare il peso che trattenevano contro la parete centrale del campo, la stessa dietro alla postazione dello sfidante. Il suo corpo volò senza vincoli per un istante, prima di ritrovarsi appiattito contro la parete sfondata ricca di crepe concentriche.
 
“No, non ancora.”
 
Prima che potesse cadere a terra, alcune liane vicine, aderenti al muro, si allungarono per fermare la sua caduta e tenerlo bloccato sul muro. Restava lì, impalato al muro dalle spine, sporco del suo sangue. Ora non poteva sfuggirmi. Sentivo il mio cuore riaccendersi, scaldato da un’intrepida fiamma. Risi silenziosamente. Quanto era patetico.
 
‘E le pene per te non finiscono adesso, mio caro. Devi ancora scontare tutto il male che hai fatto. A me, e a tutte le altre persone che hai ingannato, ferito, e ucciso. Non sarò la giustiziera più degna, ma sono l’unica che adesso potrà pronunciare questo verdetto. Scacco matto, Divine.’
 
Giunsi davanti a lui, sotto la parete. Non avevo voglia di rivolgergli lo sguardo. Non volevo dargli la soddisfazione di trovar qualsiasi cosa nei miei occhi. Lo avrei privato di tutto. Gli avrei fatto tornare indietro tutto quello che aveva disseminato.
 
“Ch-che diavolo fai, Aki...?!”
 
“Tsk. Tanto si dà, tanto si riceve, Divine. Tu non hai dato altro che odio e dolore. Indovina cosa riceverai...?”
 
Risi cupamente, divertita dalla mia cattiva battuta. Ora avrebbe fatto bene a temermi. La Rosa Nera era appena tornata, più decisa che mai. Ma stavolta, io e la mia oscura metà eravamo più che d’accordo l’una con l’altra. Che bella sensazione. Come mi piaceva.
 
“Dannata...!”
 
Sollevai un braccio, ed un’unica, lunga frusta spinata emerse dal suolo, più grande delle altre, ferma e pronta ai miei ordini.
 
“C-che pensi di fare?”
 
Risi di nuovo, stavolta più sonoramente. Mi piaceva il suono della mia risata. Era tanto tempo che non ridevo così. E ne stavo godendo ogni minuto. Lo guardai un’ultima volta. Il suo viso impaurito, la sua voce tinta di terrore era nuova alle mie orecchie. Ma mi stava regalando una soddisfazione unica. Finalmente, ora tocca a te.
 
“Addio, Divine.”
 
Abbassando il capo, lasciai cadere la mia mano in avanti, dando il via alla frusta di colpire. Ora, era tempo della carneficina. Ma stavolta, questo sangue versato non macchiava di peccato, perché non era il sangue di un innocente.
 
Questa, al contrario... era giustizia.
 
I colpi di frusta continuarono, ripetitivi, lenti e strazianti. Ma non per me. Anzi, quasi mi stavo abituando a quelle truci lamenta. Ogni tanto, sollevavo gli occhi, giusto per non perdermi totalmente la scena. I capelli coprivano ancora gran parte della visuale, ma decisi di non spostarli. Una scena troppo diretta e cruda avrebbe rovinato il divertimento con eventuali sensi di colpa.
 
All’inizio pensavo che avrei provato rimorso, facendogli del male. Ma non potevo dimenticare l’affronto subìto dal suo tradimento. E con le sue ultime parole, non aveva fatto altro che rimarcare le mie idee già negative sul suo conto. Aveva deciso di mostrare il suo vero volto, quello del demone. E non c’era nulla di sbagliato nel far scontare ad una creatura simile il male commesso. Io ci vedevo solo soddisfazione.
 
Sangue ormai macchiava il pavimento sottostante. Qualche goccia mi era anche caduta addosso, ma la lasciai lì dov’era. Era davvero un peccato.
 
Non appena i lamenti cessarono, ordinai alla pianta di fermarsi. Quel silenzio, quel buio... che atmosfera morta e deludente. Ormai l’unica viva qui dentro ero io. Che noia.
 
Lasciai che il suo cadavere malconcio cadesse a terra, senza vita. Quella carcassa cadde con un botto abbastanza sonoro. Allora è questo il rumore che fanno i cadaveri quando cadono, eh...?
 
Tuttavia, scelsi di non avvicinarmi. Mi faceva ribrezzo quell’ammasso di carne impura. Una volta era qualcuno, adesso non c’era più nulla. Era quasi strano. Anche perché, tutto era stato...
 
...davvero troppo facile.
 
All’improvviso, una grossa risata eruppe alle mie spalle, sonora e crudele. Trasalii. Mi voltai di scatto: come dal nulla, Divine si ergeva lì, imponente, pulito e senza un graffio, più vivo che mai. Rideva di gusto, quasi sgraziatamente, in un modo che poco gli si addiceva.
 
“Brava, brava la mia Aki! Ahah! Finalmente hai dato prova di cosa vali davvero!”
 
“Tu... tu come fai a... essere vivo?! Eri morto fino a qualche minuto fa!”
 
Mi voltai ancora, cercando prova di quanto stessi dicendo. Ma non appena i miei occhi si posarono sul luogo dove giaceva la carcassa, strillai dall’orrore, aggrappando le dita alla bocca.
 
Le fattezze del cadavere erano improvvisamente cambiate. Alla poca luce già diffusa nella stanza, si potevano distinguere capelli non più rossicci, ma neri, sparati in tutte le direzioni. Persino due coppie di strisce gialle erano visibili ai lati della frangia, sollevate. Non c’erano più né la sua camicia bianca, né il suo gilet verde, ma una maglia semplice senza maniche, grigio-scura, adorna di poche strisce larghe e rosse. Le braccia spoglie erano squarciate e cariche di sangue, così come tutti i vestiti, i pantaloni neri e gli stivali marroni. Il corpo era riverso a faccia in giù. Il viso sfregiato era a malapena visibile.
 
Oh mio dio...
 
“Hai visto cosa hai fatto, adesso?”
 
Oh mio dio...
 
Questo... non poteva essere vero...
 
“Per te non ci sono mai state speranze di salvezza, Aki, né ci saranno.”
 
Caddi in ginocchio, all’improvviso priva di forze.
 
Il fuoco dell’Inferno aveva improvvisamente spalancato le sue fucine e cominciato a bruciare, un coro di lamenta di anime dannate si era levato, bramoso del mio spirito.
 
La voce di Divine era leggermente cambiata, ma non ero capace di badargli, adesso. La mia attenzione era totalmente rivolta a quella figura immobile.
 
Il mio cuore venne stretto in una gelida morsa di terrore. No, non poteva essere lui, questo... era impossibile...
 
Fragile e incerta, mossa dall’istinto, mi spostai lentamente per tentare di intravedere meglio il suo viso. Non riuscivo ad avvicinarmi in avanti, avevo troppa paura di scoprire la verità, già chiara. Avevo troppa paura di renderla cristallina.
 
Lentamente, i suoi tratti distrutti cominciarono ad emergere dalla massa di capelli arruffati della frangia: gli occhi erano ancora semi-aperti, circondati di sangue. Oltre la carne scoperta e squarciata, all’ombra, potevo distinguere una goccia di colore azzurro. Un azzurro inconfondibile, ma ora privo di luce, di vita.
 
No, mi rifiuto di crederci...
 
Rimasi pietrificata. Il mondo mi crollò addosso, con tutto il suo devastante peso. Ma questa pressione sulle spalle era diversa da quella di Divine. Non era fisica, ma scendeva lentamente verso il mio cuore, oltrepassando la gola annodata, passo dopo passo.
 
Iniziai a tremare. Non riuscivo nemmeno a parlare, o a produrre un qualsiasi tipo di suono che esprimesse la mia angoscia. Questo era il peggiore degli incubi. Doveva essere limitata alla più fervida immaginazione un’immagine simile. Invece, qualcosa l’aveva riprodotta in scala reale lì, davanti ai miei occhi, più concreta che mai.
 
Tutta quell’ira, tutto quel piacere che avevo provato nell’infliggergli dolore... Doveva essere Divine, non lui... era Divine quello che meritava di morire tra atroci sofferenze, di scontare tutte le sue colpe...
 
Non lui.
 
Improvvisamente, mi sentii annegare tra i dubbi. E se... e se davvero avessi combattuto contro di lui, per tutto questo tempo? E se la sua immagine e la sua voce fossero solo state celate ai miei sensi, fino ad ora? E se quello che aveva sofferto, alla fine, fosse stato davvero lui?
 
No, Yusei era... tutta la mia speranza, la mia luce... la mia salvezza, la porta aperta verso una nuova vita, carica di promesse d’amore. La speranza di poter rinascere. La speranza per una vita di gioia.
 
Eppure...quella gioia mi era appena stata strappata.
 
Anzi, io l’avevo strappata via.
 
Ero stata ingannata per la seconda volta, inesorabilmente. Avevo spalancato le porte della disperazione con le mie stesse mani. Sentivo quegli artigli demoniaci affondarmi nel petto, aggrappandosi al mio cuore con forza inumana, per trascinarmi tra le loro fiamme ardenti di punizione.
 
“Te l’avevo detto che dovevi conoscere il vero dolore.”
 
Un fruscio di una lama alle mie spalle fu appena percettibile.
 
“Addio, Aki.”
 
Qualcosa di diverso, di estraneo, mi strattonò via. Poi, tutto divenne nero.
 
 
 
 
 

*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 

Io: cliffanger. Mi spiace. Non sono riuscita ad evitarla. Siete liberi di uccidermi. Io lo farei al posto vostro. Sono una persona orribile.
 
Yusei: ...ci hai uccisi entrambi, adesso?
 
Io: so che apparentemente sembra così. Ma arriverete alla fine della storia vivi, non preoccupatevi. Se si ripensa al capitolo prima di questo, potremmo dire che ci sono somiglianze. Ma vi chiarirò tutto al prossimo capitolo che arriverà più velocemente (o nelle recensioni), prometto. Se sarò costretta, lo farò personalmente nell’angolo delle note. *sigh*
 
Aki: ...non riesco ad incazzarmi con questa quando sta depressa. Devo ancora scoprire come mai.
 
Yusei: l’atmosfera è parecchio pesante... fa passar la voglia <___<”
 
Aki: ah, ecco <.<”
 
Io: ...nel frattempo cercherò di spicciarmi a far uscire il prossimo capitolo. Non dovrebbe volerci troppo. Non ho uno scanner a portata di mano, quindi per il momento, niente disegni, se ne riparla quando torno, tra circa due settimane
Akiry: e recensite se vi è piaciuto, anche gente nuova, mi raccomando, che Aki_chan_97 ci tiene taaaanto ^w^
 
Tutti: *la guardano incerti della sua allegria fuori luogo*






Posto anche il nono disegno con super ritardo. Amen. Intanto, eccolo qua... personalmente, credo che la scelta del collage sarebbe potuta essere migliore nella parte inferiore, ma siccome mi piacciono le prime due vignette, la lascio così. Spero sia di vostro gradimento ewe (sopportate quelle distese di mina negli sfondi, non avevo pazienza stavolta)



  
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