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Autore: The_Grace_of_Undomiel    01/08/2014    1 recensioni
Sam è un ragazzo di sedici anni mezzo, che si è appena trasferito in una nuova città.
A causa del suo carattere un po' timido ed insicuro, il giovane non si era mai sentito accettato dai precedenti compagni di classe ed era spesso deriso o emarginato. In conseguenza a ciò, Sam vede nel trasferimento un'opportunità per incominciare una vita migliore della precedente ed è molto ansioso, oltre che timoroso, di iniziare la nuova scuola. Purtroppo però, le cose si mettono subito molto male per il ragazzo, diventando sin dal primo giorno il bersaglio dei più temuti bulli di tutto l'istituto, I Dark, e da quel momento in poi, la vita per lui diventa il suo incubo personale.
Ma col passare del tempo, imparerà che a volte non bisogna soffermarsi solo sulle apparenze e le che le cose, a volte, possono prendere una piega del tutto inaspettata...
Dal testo: "I Dark si stavano avvicinando sempre di più, ormai solo pochi metri li separavano da Sam e Daniel. Avanzavano uno vicino all’altro, formando una sorta di muraglia, tenendo al di fuori tutto quello che c’era dietro di loro"
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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goglia


Da settimane ormai aspettava quel giorno ed ora era finalmente arrivato. Tra meno di quaranta minuti suo padre lo sarebbe passato a prendere e insieme sarebbero andati a vedere una partita di basket fuori città. Sam non riusciva a stare fermo da quanto era impaziente, nemmeno fosse stato un bambino in attesa di essere portato al parco giochi. Dopotutto, era quasi più di un mese che non vedeva suo padre e quella era l’occasione per trascorrere una giornata in sua compagnia dopo tanto tempo.
Era tutto a posto, aveva appena finito i compiti per il giorno successivo e aveva terminato il cartellone, perciò poteva permettersi di assentarsi un pomeriggio intero fino a sera. Il disegno era venuto davvero bene, Sam ne era assai orgoglioso. Non sapeva se fosse o no un lavoro da molti punti, tuttavia si sentiva soddisfatto. Chissà cosa ne avrebbe pensato Kyda, lo avrebbe saputo solo l’indomani.
In conclusione, era tutto perfetto, tranne una cosa. Dal giorno precedente, Holly non gli aveva più rivolto la parola. Quando era rientrato a casa, lei, invece di corrergli incontro come faceva al solito, gli era passata davanti e lo aveva osservato con occhi pieni di rancore. Anche a cena non lo aveva per nulla considerato, aveva addirittura chiesto alla madre di cambiarle di posto, pur di stare lontana da lui. Sam sapeva tutto sommato di aver agito bene e anche sua madre gliene aveva dato conferma (era venuta a sapere tutto tramite Amber), ma nonostante questo non poteva fare a meno di sentirsi in colpa e di provare una fastidiosissima fitta allo stomaco ogni volta che Holly gli lanciava quelle occhiate risentite.
Il giovane spense annoiato il televisore, che blaterava senza sosta da quasi due ore. Aveva preso una decisione: prima di uscire si sarebbe riappacificato con la sorellina.
Salì svogliatamente le scale e si fermò proprio davanti alla porta di Holly. Indugiò pochi attimi, poi bussò lievemente alla porta.
-Chi è?- chiese Holly da dentro la cameretta, con la sua voce limpida e squillante.
-Sono Sam...- rispose il fratello, pacato.
Ci fu un attimo di silenzio.
-Vai via!- esclamò lei, arrabbiata.
-Dai Holly, non dire così...Posso entrare?- domandò allora il ragazzo.
Per tutta risposta gli arrivò un “no”, secco e tagliente.
-Per favore, ho bisogno di parlati...- mormorò Sam.
Si udì il rumore di piccoli passi e la voce di Holly molto più forte di prima, segno che si era accostata alla porta –Ma io non voglio parlare con te e nemmeno Samantha vuole!-
Sam sospirò, passandosi una mano sul volto. Samantha era la barbie preferita della sorella, la quale la trattava e le parlava come se si fosse trattato di una persona reale. E il ragazzo sapeva bene che, per esperienza personale, se anche la bambola si rifiutava di “rivolgergli” la parola, allora c’era poco da fare. Tuttavia, insistette ancora, stando al gioco.
-Siete proprio sicure? Non potete un attimo consultarvi?- chiese, sedendosi a gambe incrociate di fronte alla porta di legno bianca. Si sentiva alquanto ridicolo a tenere in piedi quella specie di teatrino, ma Holly, nonostante i suoi nove anni, era ancora molto infantile e adorava quei giochetti.
-Io e Holly ci siamo parlate e lei non vuole  vederti ora, quindi se vuoi dire qualcosa devi dirla a me! E non puoi entrare!- esclamò la sorellina dopo un po’, impersonando la bambola.
-D’accordo, allora mi rivolgo a te: Samantha, puoi dire ad Holly che Sam è dispiaciuto per essersi arrabbiato così tanto?-
-Lei non ti perdona, perché le hai urlato delle brutte cose e le hai anche tirato uno schiaffo!- inveì “la bambola”.
-Ho esagerato, lo ammetto. Non avrei dovuto. Solo che mi sono davvero spaventato, Holly stava per cadere e farsi male. Per quello ho reagito in quel modo...- proseguì Sam.
Vi fu qualche secondo di silenzio.
-La stai convincendo...- sussurrò la voce.
Il giovane sorrise, ormai sicuro di aver quasi fatto pace con la sorella. Per quanto ci provasse, le rare volte che litigavano, lei non riusciva a tenergli il broncio tanto a lungo.
-E non voglio che le accada qualcosa di brutto. Pensa Samantha, se non ci fossi stato io a prenderla prima che cadesse chissà che cosa le sarebbe successo! Io le chiedo scusa e le prometto che non mi comporterò mai più così, ma lei a sua volta deve promettermi che non salirà o arrampicherà mai più da nessuna parte-
-Te lo promette...- mormorò Holly, con la voce che sapeva di pianto -Però, non sa se le basta...-
Il fratello alzò gli occhi al cielo e sogghignò –Nemmeno se le compro le caramelle alla frutta che le piacciono tanto?-
A quel punto la porta della camera si aprì di scatto e la sorellina si tuffò fra le braccia del ragazzo. Lui la strinse a sua volta.
-Ti perdono Sam!- singhiozzò lei –E scusami se vi ho disubbidito, non avrei dovuto!-
-Dai, adesso non piangere. In ogni modo...credo che tu abbia imparato la lezione. Vero?- rispose il giovane, scompigliandole i capelli.
-Sì- annuì lei, tirando su col naso –Ma quindi...Oggi mi compri le caramelle?-  chiese con un sorrisetto.
Sam sbuffò divertito e le mostrò il pollice all’insù, come era solito fare.
Holly ridacchiò tutta soddisfatta e rientrò in camera, però, prima di chiudere la porta soggiunse –Io, Samantha, Nicole e Betty stiamo per prendere il the...Ti vuoi unire a noi?-
-No, no! Grazie, sono a posto!- si affrettò l’altro, con un sorriso tirato. Rammentava l’ultima volta che la sorella lo aveva incastrato a giocare con lei: la domanda che gli aveva posto era esattamente quella, peccato poi che infine non avesse dovuto solo far prendere il the a Nicole, ma aveva anche dovuto indossare, esattamente come Holly, una stupida coroncina di plastica sbirluccicante. Quella volta non aveva potuto sottrarsi visto che era il compleanno della sorella e lei aveva insistito fino a sfinirlo.  Al ricordo, ebbe un brivido. Mai più si sarebbe abbassato a fare una cosa del genere. Passi l’ora del the, passi inscenare matrimoni, ma indossare nuovamente coroncine no. Era pur sempre un ragazzo, diamine!
Holly fece spallucce e si richiuse in camera. Sam invece rimase ancora un attimo lì, con un sorriso divertito sulla labbra.
In quel momento transitò nel corridoio Amber, che disse con il suo solito modo irritante –Che fai seduto davanti alla porta, Sminchio? Tappezzeria?-
Lui balzò in piedi e bofonchiò, scocciato –Fatti gli affari tuoi, Crudelia. Piuttosto renditi utile e dimmi che ore sono, please-
Amber fece una smorfia –Sarei tentata di dirti di andartela a vedere da solo l’ora, ma oggi sono particolarmente contenta e ti risponderò. Sono le quindici e trenta-
Sam sobbalzò, sua padre sarebbe arrivato fra meno di dieci minuti! Poi si rivolse alla sorella –Grazie, molto gentile molto generosa! Comunque, non che la cosa mi interessi più di tanto, ma perché sei così felice? Hai scoperto una pozione che ti renda intelligente?-
-No, idiota, e intanto non avrei bisogno. Sono al settimo cielo perché mi sono appena sentita con Tyler e ha detto che Domenica verrà a pranzo da noi e poi mi porterà a fare un giro in moto!- squittì Amber.
-A pranzo!? Qui!?- esclamò il ragazzo, agghiacciato. L’idea di mangiare in compagnia di Olio Man non lo allietava molto. Ma se proprio doveva venire...Che almeno si lavasse i capelli!
-Esatto, qui, che bello! Non vedo l’ora di rivederlo, il mio tesoro...- gongolò lei.
Sam la guardò nauseato e trattenne a stento un conato di vomito, dopodiché ritornò giù in salotto, lasciando la sorella a sognare a occhi aperti. Si stravaccò sul divano e attese, guardando in continuazione l’orologio appeso sul muro. Ma il tempo cominciò inesorabilmente a passare e il ragazzo si rese conto che il padre era in ritardo di ben venti minuti. Perché ci stava mettendo così tanto? Che avesse trovato traffico? Cominciò a divenire impaziente, tamburellando nervosamente le dita sul tavolinetto di fronte al divano.
Dopo poco, fece capolino sua madre dallo stipite della porta –Non preoccuparti, è solo in ritardo. Conosci tuo padre, arriverà- disse, ma pareva che quelle parole le costassero enorme fatica.
-Si credo anch’io...- sorrise il ragazzo –Posso aspettare...-
Passò ancora qualche minuto, quando all’improvviso il telefono di casa si mise a squillare.
-Rispondo io!- urlò Sam, visto che il cordless era proprio lì di fianco a lui. Prese la cornetta e rispose.
-Pronto? Pronto Sam, sono io!- esclamò la voce di un uomo.
-Papà, ciao!- 
In quel momento, tutti i componenti della famiglia piombarono in salotto. La madre e Amber ne avrebbero anche fatto a meno, ma Holly le aveva trascinate con la forza.
-Come stai? È da un po’ che non ci sentiamo!- proseguì il padre.
-Ehm, io sto bene... Ma tu dove sei!? Sei ritardo di mezz’ora, oggi dobbiamo andare alla partita insieme, ti ricordi?- disse Sam, saltando tutti i convenevoli. Si sentiva alquanto innervosito e, per qualche motivo che nemmeno lui sapeva spiegarsi, anche un po’ inquieto.
L’uomo non rispose subito, poi mormorò mortificato –Ecco ragazzo mio, a questo proposito, per oggi salta tutto, non riesco a venire-
Quelle parole schiacciarono Sam come se si fossero trattate di enormi macigni. Non era vero. Non poteva essere vero. Erano settimane che avevano in programma quella cosa! Di sicuro era uno scherzo, un brutto scherzo.
-Come sarebbe che non riesci a venire?- riuscì a formulare Sam, tra l’incredulo e l’infastidito.
-Mi dispiace veramente tanto, ma mi hanno chiamato all’improvviso e devo correre subito in riunione per...- fece per terminare la frase, ma una voce acuta e stridula in lontananza lo interrupe –Allora Tom! Quanto ci metti!? Il film non aspetta noi, avanti muoviti!-
Ne seguì un lungo e imbarazzante silenzio. Sam fissava un punto nel vuoto e il resto della famiglia fissava lui, in attesa.
-Tsk, vedo quanto sei impegnato- commentò poi il ragazzo carico di amarezza –Vai, che il film inizia- e detto questo gli sbatté il telefono in faccia.
Il ragazzo  si abbandonò sullo schienale del divano, con lo sguardo perso. Nessuno osava dire una sola parola, si sentiva solo il ticchettio dell’orologio. Amber, Holly e la madre si scambiarono numerose occhiate, ma quando la donna provò a dire qualcosa al ragazzo, lui si alzò di scatto in piedi -Io esco- dichiarò apatico, tagliandole ogni parola.
-Sam...- mormorò lei, cercando di posargli una mano sulla spalla.
-Lasciami- ringhiò il giovane, divincolandosi con uno strattone. Afferrò una giacca dall’attaccapanni e uscì sbattendo la porta.
Se le giornate precedenti erano state limpide e luminose, quel giorno del sole non se ne vedeva neppure l’ombra, nascosto com’era da enormi nuvole grigie, che tutte ammassate andavano a creare un sorta di cappa soffocante. Nell’aria c’era odore di pioggia e una lieve nebbiolina si innalzava dai marciapiedi. Non assomigliava neanche lontanamente ad un 23 di Marzo, al massimo al 23 di Ottobre.  Perlomeno si intonava perfettamente all’umore di Sam. Deluso, amareggiato, incollerito, rattristato e...dimenticato. Ecco, come si sentiva. Gli costava (e gli doleva) ammetterlo, ma in quel caso Amber aveva sempre avuto ragione: al padre non importava niente di loro, anzi, forse non gli era mai importato, se ne rendeva conto solo adesso. Solo un’egoista menefreghista poteva comportarsi in quel modo e suo padre ne era stato l’esempio lampante. Non gli avrebbe più rivolto la parola, che solo provasse a cercarlo: gli avrebbe sbattuto il telefono in faccia esattamente come quel giorno.  
Calciò con ira un sassolino, imprecando. Possibile che le cose gli andassero sempre male e che ci fosse sempre un motivo per arrabbiarsi? Prima tutte le angherie dei Dark (che tutt’ora  continuavano), poi Holly ed infine suo padre.
In giro c’era pochissima gente, il che rendeva il tutto ancora più tetro e triste. Sam sapeva che quella volta non gli sarebbe bastata una semplice passeggiata per placare la delusione, aveva bisogno di un posto tranquillo dove andare, per stare solo con i propri pensieri. Si sarebbe diretto a quel parco. Era isolato, fuori mano e in più poco frequentato, il luogo ideale, insomma.
E così, carico di emozioni negative si incamminò. Avanzando speditamente, arrivò in meno di un quarto d’ora. Non era un parco particolarmente grande, ma era ricco di alberi, piante e fiori di ogni tipo e sulla sinistra vi era anche un piccolo laghetto in cui sguazzavano placide delle anatre. Al centro zampillava e spumeggiava una fontana.
In stato catatonico attraversò l’intero giardino, fino ad arrivare nella panchina più isolata di tutte e lì si sedette. Si guardò un attimo attorno, ma riuscì a vedere pressoché poco: in quel posto la nebbiolina si era fatta ancora più fitta. Che schifo di giornata.
Rimase a lungo seduto, perso in un altro mondo, fino a quando, una voce carica di sarcasmo, non lo riportò alla realtà.
-Ricordo che due giorni fa mi dicesti di avere un impegno, ma venire a zonzo in un parco...Non immaginavo  potesse essere definito tale-
Sam si voltò di scatto e si ritrovò, in piedi alla sua sinistra, l’ultima persona che mai avrebbe immaginato di incontrare: Kyda. Quest’ultima teneva le braccia incrociate al petto e lo guardava con un sopracciglio inarcato.
Evidentemente non l’aveva vista arrivare, sia a causa della nebbia, sia per il suo essere immerso nei propri pensieri.
-No infatti- rispose Sam, più duramente di quanto avrebbe voluto, ma era troppo giù e non aveva la forza per preoccuparsi di cosa fosse giusto dire o che intonazione usare. Ciò che voleva era restare solo e non avere altri problemi.
-Bene, vedo che lo riconosci anche tu. Ad ogni modo, Nuovo, che sei venuto a fare in questo parco dimenticato da Dio?- chiese la ragazza.
Sam scrollò le spalle e rispose -Niente...- poi aggiunse, controvoglia –E tu?-
-La stessa identica cosa- annuì Kyda. Si sedette di fianco a Sam e lui, d’istinto, si allontanò un po’.
-Guarda che non mordo- commentò la giovane seccata, accorgendosi della reazione del ragazzo.
Lui non rispose e continuò a guardare altrove.
Kyda lo osservò per un momento, con il suo solito sguardo perforante che tanto irritava e metteva a disagio Sam, poi disse, dopo un lungo silenzio –Di norma io non mi faccio mai gli affari degli altri, vuoi perché non mi interessano minimante, vuoi perché non mi va che le persone si sentano in qualche modo infastidite o obbligate a raccontarmi i loro problemi. In ogni modo Wild, si vede che oggi ce l’hai col mondo-
Sam si voltò a guardarla lentamente, senza capire, e chiese -E da cosa lo deduci?-
-Si percepisce...- proseguì Kyda, con il suo solito tono –Hai una strana espressione, uno strana voce ed uno strano modo di comportarti, per esempio mi parli senza doverci ragionare più di tanto. O ancora, il fatto che tu sia venuto qui in questo luogo lontano da tutto e da tutti, con questa nebbia per di più...-
Il ragazzo non riusciva ancora a seguirla. Che cosa voleva andare a parare con quel discorso? E soprattutto cosa le importava se lui fosse o no depresso?
-Ma forse mi sbaglio...-  soggiunse Kyda –Solo che vederti qui mi fa pensare in quel modo, dato che è dove vengo io ogni volta che ne sento il bisogno-
-Sul serio? Non ti ho mai vista, recentemente-
-Perché non avevo necessità di venirci- replicò lei, diretta.
-E...ora ce l’hai?- sussurrò Sam.
Kyda ci pensò un attimo su e rispose –Non necessariamente. Più che altro, mi piace venire qua quando c’è la nebbia- fece un pausa, poi disse –Comunque ripeto ciò che ho detto prima: definire “impegno” il venire in un parco è davvero una cosa molto astrusa...-
Sam sospirò –Non era quello il mio impegno, appunto...-
Stettero un attimo in silenzio, poi d’un tratto il ragazzo buttò lì una domanda, quasi senza pensarci.
-Ti sei mai sentita dimenticata?-
-Spesso - fu la risposta diretta, sincera e disarmante che gli diede lei.
Sam non si aspettò così tanta schiettezza e si voltò a guardarla, stupito.
-Tutti almeno una volta nella vita si sentono dimenticati...- proseguì Kyda, inespressiva.
-Anche dai propri padri? Anche dopo che non ti vedono da più di un mese e ti promettono di andare via insieme quando poi invece si rimangiano la parola data? – chiese Sam. Si stava confidando con Kyda, se ne rendeva conto. Allucinante, si stava aprendo con la sua aguzzina, ma la cosa ancora più allucinante era che lei lo stesse ascoltando.
-Si è comportato in quel modo tuo padre?- domandò a sua volta la giovane, interrompendo così quello strano giro di parole che si era andato a creare.
Sam confermò semplicemente annuendo.
-Allora è uno stupido-
-Come?- esclamò il ragazzo, sbarrando gli occhi.
-Uno stupido, ecco che cos’è.   Mio padre...- fece una pausa, riflettendo se proseguire o meno, poi continuò -Lavora dall’altra parte nel mondo e non sai cosa darebbe per potermi anche solo vedere qualche minuto. Ma non può. Perciò, non vale la pena soffrire per uno che non sa apprezzare ciò che ha e in questo caso un figlio vicino a se. Ma forse un giorno se ne renderà conto...-
Sam la guardò per un attimo, poi mormorò con un sospiro –Però fa male lo stesso...-
-Questo lo so anche io...- replicò lei, giocherellando con una foglia –Ma è lui che ci perde...-
Scese di nuovo il silenzio, nel quale Sam rifletté sulle parole di Kyda. Forse aveva ragione, non doveva dar così peso a quello che era successo. Era una delusione, ma non aveva senso continuare a rimuginarci sopra e ad amareggiarsi. Non era lui quello che doveva riflettere, ma suo padre.
Osservò di sottecchi Kyda, che ora stava sbriciolando la foglia. Pazzesco, lei, membro dei Dark, fredda, insensibile, apatica, dura e anche un po’ menefreghista lo aveva appena aiutato. Le sue non erano state parole particolarmente articolate o sapienti, eppure lo avevano risollevato, più di tutti i suoi giri per la città messi assieme. Che Kyda in realtà non fosse del tutto la bastarda che voleva a tutti costi dimostrare di essere?
-Quindi...tuo padre è raramente a casa?- si azzardò a chiedere, cauto.
-Praticamente non lo è mai- rispose la giovane dopo un po’, continuando a sminuzzare –Lavora in Australia e le uniche volte che ritorna da noi è durante le vacanze di Natale, ma questo non succede sempre-
-Ah, capisco. Beh, allora non è da tantissimo che hai potuto rivederlo...- considerò Sam, abbozzando un lieve sorriso.
Lei si bloccò, poi rispose neutra –Non è venuto questo Natale-
Il sorriso del ragazzo scomparve così com’era venuto. Inutile, non ne diceva una giusta nemmeno per sbaglio. Forse era meglio che tacesse, così almeno avrebbe evitato di fare commenti fuori luogo. Mormorò una sorta di “non lo sapevo”.
Lei scrollò le spalle e si infilò i pezzetti della foglia nelle due tasche della giacca di pelle.
-Perché li conservi?- domandò Sam incuriosito.
-Non sono affari che ti riguardano- ribatté pronta lei, lanciandogli un’occhiataccia.
-Scusa...- si affrettò Sam, azzittendosi nuovamente.
Passarono ancora un po’ di minuti, duranti i quali Kyda non fece altro che raccogliere foglie ai piedi della panchina, per poi spezzarle e infilarsele in tasca, e Sam a sua volta non fece altro che scrutarla stranito. Chissà a cosa le servissero e soprattutto chissà perché si fosse così infastidita alla sua domanda, era solo una semplice curiosità, mica una domanda mega personale. Quella ragazza era davvero particolare.
Si guardò un po’ intorno, constatando che la nebbiolina si era un po’ diradata, quando gli cadde l’occhio su un gruppo di fogliame che si trovava dietro la panchina, notandone una dal colore rosso acceso, che spiccava in mezzo alle altre. Strano, non era autunno, e trovarne di quel tipo nel periodo in cui erano era piuttosto strano.
La raccolse sporgendosi dallo schienale della panchina e, tenendola per il gambo, la mostrò a Kyda.
-Questa può andare?- chiese, pacato, abbozzando appena un sorriso.
Ella lo guardò per un attimo inarcando un sopracciglio, evidentemente colta alla sprovvista, per poi afferrare la foglia, neanche tanto gentilmente, e studiarla scrupolosamente.
-Mh, no, questa credo che non la sbriciolerò. La tengo così com’è, va...- commentò, più a se stessa che a Sam, poi disse rivolgendosi al ragazzo  -Grazie, Nuovo...-
-Di niente, Kyda...- rispose lui, questa volta non potendo fare a meno di sorridere apertamente.
La ragazza guardò un attimo l’ora sull’orologio verde e si alzò in piedi.
-Molto bene, è l’orario giusto...- annuì compiaciuta.
-Per...fare cosa?- chiese Sam, sperando che la giovane non gli desse un’altra risposta scocciata.
-Per andare a farmi un giro con lo skateboard- disse invece Kyda.
Sola allora Sam si rese conto che esso era appoggiata alla panchina. La ragazza lo prese sotto braccio e si rituffò il cappello da baseball in testa, fino a quel momento tenuto sulle proprie gambe.
-Oh, ancora una cosa- disse Kyda –A che punto sei con il cartellone?-
-L’ho finito- rispose lui, soddisfatto.
-Ottimo. Già che siamo stati costretti a farlo, speriamo almeno di ricevere un bel po’ di punti-
-Non saprei dirti, però mi sembra che sia venuto bene...- affermò il ragazzo.
-Vedrò di fidarmi...- e detto questo, Kyda gli voltò le spalle e se ne andò rapida, come faceva ormai tutte le volte.
Anche Sam si alzò, decidendo di farsi un giro per il parco. Incredibile a dirsi, ma alla fine quella giornata era decisamente migliorata.

Il giorno successivo, grazie al cielo l’ultimo prima del week-end, Sam consegnò al mattino il cartellone (tra l’altro quasi dimenticato a casa) al professor Conway. Quest’ultimo e la professoressa Loveace avrebbero assegnato i punti a ciascun gruppo solo all’ultima ora e al ragazzo, tanto era impaziente, parve che le quattro ore passassero ancora più lentamente del solito. Al contrario, Daniel era estremamente rilassato  e per nulla smanioso di sapere i risultati.
-Cosa rappresenta il tuo cartellone?- chiese incuriosito il compagno di banco, durante l’ora della Symons.
-Una persona che guarda alla finestra. E il tuo?-
-Il disegno del nostro cartellone bianco con sopra sparse le matite colorate!- esclamò compiaciuto il biondo.
-Ma che senso ha!?- ridacchiò Sam.
-Ha senso, ha senso, fidati! Io e Robert ci siamo annoiati quando non sapevamo che cosa disegnare ed ecco fatto- replicò l’amico, ammiccando.
-Ah, ceeerto. Scommetto che l’idea è stata tua!-
-Esatto, come hai fatto a capirlo?- domandò Daniel, sinceramente stupito.
-Mh, beh, ho tirato a indovinare- rispose Sam, quando in realtà sapeva benissimo che una proposta del genere non poteva che averla macchinata quel folle del suo amico.
-Piuttosto, parliamo di cose serie- aggiunse poi, ignorando il fatto che la prof stesse spiegando –Che cosa vorresti per il tuo compleanno?-
-Sam te l’ho già detto stamattina: non voglio assolutamente niente! Anche se...Un pacco gigante con dentro Chanel con addosso un abitino sexy non sarebbe male!- sussurrò Daniel malizioso.
L’altro dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere, poi ribatté –No, dai, parlavo sul serio-
-Anche io! Non per la parte di Chanel ovviamente, ma sul fatto che non voglia niente-
Sam annuì e fece credere all’amico di averlo convinto. Si sarebbe inventato qualcosa, quello era poco ma sicuro.
Infine, giunse la tanto attesa quinta ora e tutte le classi si diressero verso l’aula magna. Nel tragitto,  Sam venne spintonato due volte, la prima da Tony e la seconda da Travis. Quest’ultimo era talmente forte e robusto che, se non ci fosse stato Daniel a reggerlo, Sam sarebbe caduto a terra.
Esattamente come l’altra volta, a parlare furono il prof di Arte e la professoressa di Sociologia, iniziando a dire i punteggi dei vari gruppi. Sam considerò che gli insegnati fossero stati molto abili a valutare tutti quei cartelloni in così poco tempo.
Il tutto fu abbastanza lungo e noioso. Sam ascoltò disattento i punteggi degli altri: ad esempio, Daniel e Robert avevano ottenuto 15 punti, il che sembrava piuttosto buono, e il gruppo di Chanel e Hetty 13 punti.
Dopo un po’ , finalmente venne detto il punteggio del cartellone suo e di Kyda: ben 26 punti!!!
Sam quasi non credette alle proprie orecchie. Era altissimo! Mentre Daniel gli faceva i complementi, il giovane si voltò istintivamente verso Kyda, per vedere quale fosse stata la reazione della ragazza. Anche lei allo stesso modo aveva cercato Sam tra la folla e ora lo guardava, sorridendogli sarcastica e con un espressione un po’ stupita, ma che come al solito aveva un non so che di presa per i fondelli. Poi si girò dall’altra parte e ricominciò a parlare con il resto dei Dark.
In conclusione, i due insegnanti rivelarono agli studenti la nuova emozione da rappresentare, ovvero il divertimento.
Sam a quelle parole sussultò. Ciò voleva dire che lui e Kyda avrebbero dovuto rappresentare qualcosa che divertisse entrambi! Ora sì che il problemi saltavano fuori, come avrebbero fatto quella volta? E cosa più importante, Kyda sapeva divertirsi? Doveva inventarsi qualcosa, era certo che non sarebbe bastato vedersi in biblioteca ed elencare le cose o le attività che li divertivano come avevano fatto con la noia.  Ci ragionò a lungo, finché finalmente non gli venne un’idea. Forse un po’ azzardata, ma pur sempre un’idea. Doveva solo trovare il modo di parlare con Kyda.
Il caso volle che, mentre scendeva le scale insieme ad una marea di studenti per uscire da scuola, se la ritrovò di fianco.
-Allora Nuovo, quindi ci vediamo domani in biblioteca?- disse la giovane, con il suo solito modo.
-Potremmo, anche se...io avrei pensato a qualcosa di diverso...- la buttò lì Sam.
Lei inarcò un sopraciglio -Ovvero?-
-Vediamoci in Via Arrow domani alle 16:30, vicino all’albero con l’aiuola piccola intorno, hai presente?- proseguì il ragazzo.
-Sì so dov’è, ma che cos’hai in mente, per la precisione?- chiese Kyda, guardandolo scettica.
Lui non rispose subito, poi replicò, annuendo -Lo vedrai...-
-Tsk, e va bene, tieniti i tuoi segreti- ribatté la giovane scrollando le spalle -In ogni modo, spero per te che sia una buona idea...- e detto questo, accelerò il passo, superando la folla che si trovava davanti a loro.
Sam sospirò.
“Lo spero anch’io”.
  
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