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Autore: kazoquel4    01/08/2014    5 recensioni
Quando Percy Jackson viene arrestato di nuovo per vandalismo, sua madre non ne può più. Viene spedito dall'altra parte del paese per passare un anno con suo padre - quel padre che l'ha abbandonato quando aveva un anno. Quando incontra la sua vicina sottuttoio Annabeth Chase, le cose non fanno che peggiorare per il delinquente dagli occhi verdi. Ma quando qualcosa inizia a nascere tra i due, cosa succederà?
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Se sono un tipo problematico? Sì. Potete dirlo forte.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tre 
xxxPercyxxx
 
Entrai nel corridoio deserto della Goode High School. Camminare fino alla scuola avrebbe dovuto richiedere solo dieci minuti, ma io avevo fatto qualche… deviazione.
Guardai il corridoio con aria critica, osservando il pavimento luccicante e le file di armadietti. Tenendo lo zaino più saldamente sulla spalla, seguii i segnali che mi condussero al front office*.
La signora alla scrivania era grassottella e dall’aria allegra, con riccioli scuri e un paio di occhiali. Alzò lo sguardo quando entrai e mi sorrise.
“Ciao, caro,” disse allegramente. “Posso aiutarti?”
Io mi strinsi nelle spalle.
“Mi chiamo Percy Jackson,” iniziai. “Sono-”
“Oh, sì, il nuovo studente,” rispose, sorridendomi gentilmente. “Ti stavo aspettando. Anche se ormai credevo di aver sbagliato la data del tuo arrivo!” Ridacchiò leggermente mentre io la guardavo.
“Okay, Percy,” disse, rovistando in una pila di fogli sulla sua scrivania. “Be’, sei un pochino in ritardo, siamo alla fine del terzo periodo adesso. Ecco il tuo orario, adesso dovresti essere a matematica. E il numero del tuo armadietto e il codice sono…”
Impilò i fogli sulla sua scrivania. Li guardai con avversione, prima di allungarmi per prenderli, con riluttanza.
“Se hai qualche domanda, mi troverai qui,” continuò la donna. “I tuoi libri sono nell’armadietto. So che amerai la Goode High!”
“Sicuro,” mormorai. “Be’… ci vediamo.”
“Passa una buona giornata, Percy!” mi urlò dietro la donna con voce allegra quando uscii.
Guardai il mio orario. Potevo ancora andare in classe; non che avessi niente di meglio da fare. Matematica era con la signorina Dodds nella classe 13b. Sospirando, iniziai il mio percorso attraverso i corridoi silenziosi della Goode High School.
Quando giunsi alla classe giusta, non esitai a entrare senza bussare alla porta. Dentro, la classe si azzittì, alzando lo sguardo da quel che stavano facendo con sorpresa.
“Sì?” disse una voce tagliente davanti a me. Mi voltai, vedendo quella che doveva essere la Dodds stare lì, con le braccia incrociate, che mi guardava.
I suoi lineamenti taglienti la facevano somigliare ad un uccello e i suoi occhi erano freddi e duri.
“Sono Percy Jackson,” dissi, incontrando il suo sguardo deciso. “Dovrei essere qui, purtroppo.”
La Dodds aggrottò le sopracciglia.
“Percy Jackson,” disse lentamente. “Sei in ritardo.”
“Non l’avrei mai detto,” risposi, sarcastico, roteando gli occhi.
“Non usare quel tono con me,” ribatté. “Qualsiasi futuro ritardo ti farà finire in detenzione.”
“Ci vediamo lì,” le dissi, salutandola beffardamente.
Lei mi guardò accigliata.
“Siediti, Jackson,” sibilò.
Trovai un posto vuoto in fondo alla classe. Sentivo gli sguardi degli altri ragazzi addosso, ma li ignorai facilmente, appoggiando lo zaino a terra. Mi sedetti sulla sedia, incrociando le braccia con sicurezza e facendo scivolare lo sguardo sulla classe.
Era proprio come l’avevo immaginata. Una classe di completi sconosciuti che mi lanciavano occhiate che credevano non appariscenti. Lo stavano facendo tutti… tranne una persona.
Sentii un sorrisetto aprirsi sul mio viso mentre guardavo l’unica che non stesse esaminando ‘quello nuovo’. Aveva il capo piegato sul quaderno degli appunti mentre scriveva i compiti. I capelli biondi e ricci erano legati in una coda disordinata e stava testardamente evitando di guardarmi. La riconobbi grazie al nostro scontro, avvenuto proprio il giorno precedente: la ragazza con quegli occhi grigi, pazzi e tempestosi. La mia vicina senza nome con una diffidenza grande quanto il Texas.
“I vostri compiti,” disse la signora Dodds dalla cima della classe, girandosi verso la lavagna bianca. “Sono da pagina 40 a 46. Per domani.”
L’intera classe gemette.
“Oh, per favore, professoressa Dodds,” si lamentò un ragazzo in prima fila. “Sono tipo cento problemi!”
“Sono solo diciassette, signor Di Angelo,” ribatté la Dodds. “E non esiterò ad aggiungerne degli altri se continui a lamentarti.” Mi guardò negli occhi. “Singor Jackson, sei esonerato dai compiti per oggi, ma leggi fino al paragrafo 14 del tuo libro di testo.”
La campanella suonò. L’intera classe si alzò contemporaneamente, ognuno radunando le proprie cose e parlando con gli altri. Io mi alzai, mettendomi lo zaino sulla spalla.
“Percy?”
Mi voltai, alzando le sopracciglia. C’era una ragazzo che mi stava facendo un piccolo sorriso. Aveva una cascata di ricci castani, coperti con un vecchio e consunto cappello rasta, e il principio di una barbetta incolta sul mento. Stava usando un paio di stampelle per tenersi in piedi.
“Mi chiamo Grover Underwood,” si presentò. “Volevo solo darti il benvenuto alla Goode High School.”
Lo guardai senza inespressivo. “E?”
“Se hai bisogno di aiuto per qualsiasi cosa, chiedi pure a me,” continuò.
“Sei gentile,” dissi. “Ma credo di potermela cavare, Grant.”
“Grover,” mi corresse, il suo sorriso che finalmente svaniva.
Roteai gli occhi.
Vabbé,” dissi, voltandomi e uscendo dalla classe. Potevo sentire Grover dietro di me guardarmi andare via con espressione ferita.
 
***
 
Seguii la fiumana di studenti verso la caffetteria. Tutti camminavano a gruppi, parlando e ridendo tra di loro. Entrai, guardando velocemente tutti i tavoli e gli adolescenti.
Era chiaro che ogni gruppo di amici sedesse a un tavolo diverso. Sentii uno spasmo di disagio colpirmi. Cosa avrei dovuto fare ora? Ero sempre stato seduto con la mia gang a pranzo. Adesso, dovevo ammettere di essere completamente perso. Tutti lì avevano già i loro amici, non avevano bisogno di nessun’altro, specialmente di me.
“Ehi, Jackson,” mi chiamò una voce. Mi voltai, sorpreso, vedendo un ragazzo che non avevo mai visto, salutarmi dal suo tavolo. Un gruppo di persone sedeva accanto a lui, guardandomi con occhi torvi ed espressioni dure.
Mi sentii improvvisamente cauto. Aggrottando leggermente la fronte, mi incamminai lentamente. Non avevo niente di meglio da fare e non è che mi avrebbero fatto del male o cose del genere.
“Percy!” sibilò qualcuno.
Alzai lo sguardo per vedere Grover guardarmi dal tavolo alla mia destra. Lanciava sguardi ansiosi a me e al tizio che mi aveva chiamato, sembrando combattuto.
“Cosa?” chiesi, impaziente.
Grover prese un profondo respiro.
“Io non mi siederei lì,” disse d’impulso. “Quei tizi sono brutta compagnia.”
Roteai gli occhi. “Brutta compagnia?”
“Sono i Titani,” insistette. “Almeno, è così che si fanno chiamare. Sono una gang – sai, quelli che fanno danni, i bulli. Cercano sempre di reclutare quelli nuovi. Io te lo dico, stagli alla larga.”
Gli diedi le spalle. “Posso cavarmela,” dissi con fermezza.
“Percy-”
“Lasciami in pace, Underwood!” ribattei, brusco. “Non devi badare a me.”
Grover si accigliò, ma si fece indietro. Scuotendo il capo con fare desolato, si voltò verso il suo tavolo.
Raddrizzando le spalle, continuai ad avanzare verso il tavolo. Il tizio mi stava aspettando con impazienza, guardandomi con la fronte aggrottata.
“Ti ci è voluto un po’,” disse, alzando un sopracciglio. “Come mai parlavi con Under-fesso?”
Strinsi i denti. “Non sono fatti tuoi,” dissi freddo.
Il ragazzo sospirò.
“Vabbé,” disse. Arricciando le labbra in un mezzo sorriso, allungò la mano. “Io sono Luke Castellan,” si presentò.
Gli presi la mano con cautela, osservandolo. Era molto attraente, con chiari capelli biondi e occhi azzurri. L’unica cosa che rovinava il suo aspetto era una cicatrice frastagliata che gli solcava il viso, dagli occhi al mento. Il suo sorriso era rilassato e sincero, ma sembrava nascondere qualcosa di molto più crudele allo stesso tempo.
“Percy Jackson,” dissi, cautamente.
“Questa è la mia gang,” continuò Luke. “Ethan Nakamura, Jordan Nickels, Blake Moran e Ryan Gatos.”
Mi guardarono in modo sgradevole, ma Luke mi osservò con aperta curiosità.
“Abbiamo pensato che potesse servirti una… guida, alla Goode,” spiegò Luke. “Non vorremmo che ti unissi alla gente sbagliata.”
“Non ho bisogno di una babysitter,” risposi brusco, ripetendo quello che avevo detto a Grover.
“Lo so,” rispose Luke, velocemente. “Ma tu sei quello nuovo e alcuni studenti potrebbero approfittarsene.”
“Non l’avrei mai detto,” dissi sarcastico, incrociando le braccia.
“Quindi, cosa ne dici?” chiese Luke, ignorando il mio commento. “Ti va di uscire con noi?”
“Intendi unirmi alla tua gang?” domandai. “Grazie, ma no grazie. Non mi interessa di essere coinvolto con nessuno, in questa scuola, dato che non penso di restarci a lungo.”
L’espressione di Luke si fece leggermente più dura.
“Ci ripenserei, se fossi in te,” mi avvertì. “Se starai qui per un periodo abbastanza prolungato, avrai bisogno che qualcuno ti guardi le spalle.”
“E quello dovresti essere tu?” chiesi, dubbioso.
“Abbiamo una brutta reputazione, in questa scuola,” ammise Luke. “Ma ci guardiamo le spalle a vicenda. Non è così, Nakamura?”
Il tizio con la benda sull’occhio si strinse nelle spalle, sembrando piuttosto annoiato dalla conversazione.
“Okay,” dissi, lentamente. “Diciamo che io voglia entra nel gruppo, ragazzi. Come faccio a sapere che non state mentendo solo per mettere nei casini il ragazzo nuovo?”
Luke grugnì.
“Fidati di me, Jackson. Solo guardandoti è facile capire che non sei la persona migliore contro cui mettersi.”
Sentii le labbra contorcersi. Forse Luke non era completamente stupido.
“Quindi?” m’imbeccò Luke.
Mi accigliai leggermente, guardandolo. Incontrò il mio sguardo con risolutezza, un sopracciglio alzato mentre aspettava.
“Va bene,” concessi. “Farò un tentativo. Ma,” dissi, mentre Luke sorrideva vittorioso. “Un piccolo avvertimento.” Mi avvicinai, le labbra leggermente arricciate. “Non provare a fregarmi, perché te ne pentirai.”
Luke mi sorrise e la temperatura nella stanza sembrò diventare dieci volte più fredda.
“Lo stesso vale per te, Jackson.”
 
***
 
“Va bene, classe,” disse il signor Brunner, l’insegnante d’inglese. Portò la sua sedia a rotelle all’inizio dell’aula, osservando gli studenti con i suoi profondi occhi marroni. “Per favore, leggete la poesia ‘Il Corvo’, di Edgar Allan Poe, a pagina 273. I vostri compiti per mercoledì sono rispondere alle domande a pagina 239.”
Il fruscio della carta mentre tutti tiravano fuori il libro fece sembrare che il vento stesse fischiando per la stanza. Anche io tirai fuori il mio, ma non mi sprecai neanche a cercare la pagina. Non avrei letto Edgar Allan Poe, specialmente qualcosa intitolato ‘Il Corvo’.
Alzai lo sguardo. La mia vicina dai capelli biondi sedeva di fronte a me, piegata sul suo libro. Un sorrisetto mi apparve sul volto: non le avevo ancora parlato. Quello era il momento perfetto.
“Pssst,” sussurrai. “Ehi, Biondina.”
Le sue spalle si tesero e io sogghignai. Si allontanò con la sedia, andando più lontano da me.
“Ehi. Voltati.”
Sentii il suo sospiro, prima che si voltasse. I suoi occhi grigi erano torvi di disappunto e mi guardò. “Cosa?” sibilò.
Mi appoggiai sui pugni, facendole un sorrisetto.
“Non avevo ancora avuto l’occasione di parlarti, vicina. Non sapevo che venissi alla Goode.”
“E io speravo che tu non ti saresti presentato,” rispose, brusca. “Ora lasciami in pace, sto cercando di leggere.”
“Sai, non mi hai ancora detto il tuo nome,” continuai, per fare conversazione, ignorando la sua richiesta. “Sei piuttosto maleducata.”
I suoi occhi scintillarono.
Io sono maleducata, Jackson? Lascia che ti dica-”
“Percy Jackson, Annabeth Chase,” disse il signor Brunner gentilmente dalla cima della classe. “C’è qualcosa che volete discutere con i vostri compagni e me?”
La ragazza arrossì, le sue guance scintillanti di rosso.
“No, professor Brunner,” disse, ovviamente imbarazzata.
Il signor Brunner alzò le sopracciglia.
“Allora, per favore, tornate alla vostra lettura.”
Lei annuì, impacciata. Il signor Brunner tornò a riordinare le sue carte e a depennare cose su un foglio. Io sorrisi.
“Quindi il tuo nome è Annabeth, mh?” dissi piano, parlando praticamente alla sua testa. “Avresti semplicemente potuto dirmelo.”
“Lasciami in pace, Jackson,” disse, senza voltarsi.
“Sai,” risposi, aggrottando leggermente la fronte. “Mi sembra che io non ti piaccia così tanto.”
Lei grugnì.
“Mi chiedo come mai,” mormorò, girando pagina.
“Annabeth,” sussurrò una ragazza con scuri capelli appuntiti alla mia destra. Mi guardò, sorridendo. “Lui è il tuo vicino idiota?”
Annabeth arricciò la punta del naso.
Talia…”
Io mi stizzii. “Idiota?” chiesi, stringendo gli occhi. “Cosa vorrebbe dire?”
Quella ragazza, Talia, mi sorrise benignamente.
“Oh, sai,” disse piano, per non catturare l’attenzione del signor Brunner. “Le sei tipo volato addosso con lo skateboard. E poi non ti sei scusato.”
“State già parlando di me, eh?” chiesi con noncuranza, lanciando uno sguardo tagliente a Talia.
“Puoi scommetterci, Jackson,” rispose, facendo un sorrisetto.
“Oh, dai, Tals,” disse il ragazzo accanto a lei, sorridendo. Lo riconobbi come il ragazzo che aveva parlato a matematica, prima. Aveva disordinati capelli neri che gli cadevano sugli occhi e la sua pelle era così pallida da essere quasi bianca. Vestito completamente in nero, sembrava un vampiro o qualcosa del genere. “Non dare troppo fastidio al tipo nuovo.”
Talia roteò gli occhi. “Sta’ zitto e leggi, Nico.”
Annabeth non ci sopportava più, evidentemente. Lanciando a tutti e tre uno sguardo tagliente disse: “Che ne pensate di chiudere tutti e tre la bocca e lasciarmi leggere?”
“Signorina Chase,” chiamò il signor Brunner. “La prego, non mi metta nella posizione di doverla mandarla in detenzione.”
Le guance di Annabeth si fecero cremisi. Mi diede le spalle, guardando di nuovo il suo libro.
“Tu chi sei?” chiesi silenziosamente a Talia, ignorando la richiesta del signor Brunner, che voleva che leggessimo.
“Talia Grace,” rispose, facendo un sorrisetto. Poi continuò, dando uno strattone al ragazzo accanto a lei. “Lui è mio cugino, Nico Di Angelo.”
Nico sorrise.
“Io vengo dal lato migliore della famiglia,” disse, annuendo.
Talia roteò gli occhi.
“Certo, Emo.”
Nico la guardò.
Non sono emo!
“Per quanto sia interessante,” interruppi la loro discussione. “Il signor Brunner sembra sul punto di mandarci in detenzione. E mentre io sarei in grado di gestire la cosa, dubito che voi lo sareste. Quindi chiuderei il becco, se fossi in voi.”
Talia mi lanciò uno sguardo tagliente.
“Cosa vorresti dire?” chiese, con fare ribelle.
Lottai per non sorridere, realizzando che avevo toccato un tasto dolente.
“Oh, nulla,” risposi con disinvoltura, aprendo il libro.
Talia allargò le narici. Alzando il mento, si voltò, tornando al suo libro. Nico mi guardò con sospetto per qualche altro momento ancora, prima di tornare anche lui alla sua lettura.
 
***
 
Io e la gang di Luke, i Titani, ci incontrammo dopo scuola.
“Com’è stato il tuo primo giorno, Jackson?” chiese Luke, cadendo a sedere accanto a me.
“Okay,” risposi senza guardarlo.
Luke grugnì.
“Mmmmh,” disse, cercando qualcosa in tasca. “Sigaretta?” mi chiese, tirandone fuori una dai pantaloni e porgendomela.
La guardai con ripugnanza. “No, grazie,” dissi. “Non fumo.”
Luke si strinse nelle spalle.
“Mettiti comodo,” mi disse, prendendola per sé. L’accese e se la mise in bocca, prendendo una lunga boccata.
“Quindi, da dove vieni Jackson?” parlò Ethan, guardandomi da vicino col suo occhio buono. “E perché sei venuto qui, di tutti i posti?”
“Vivevo a San Francisco,” risposi, decidendo di dirgli solo il minimo indispensabile. “Ho avuto qualche guaio con la legge, quindi mi hanno mandato qui a vivere con mio padre.”
Blake Moran scosse il capo.
“Che iella, amico,” disse, burbero.
“Già,” risposi, calciando un sasso. Lo guardai cadere nel canale di scolo, atterrando con un tonfo leggero. “E quel che è peggio è che mio padre è un completo idiota.”
Luke sogghignò in modo minaccioso.
“Non lo sono tutti?” mormorò. “Tutti i genitori, a loro modo, sono idioti, è un fatto della vita. Io ho incontrato mio padre solo una volta ed è stato capace solo di urlarmi in faccia.”
“Mio padre è morto,” disse Ethan, tristemente, infilandosi le mani in tasca.
“Ai genitori non importa dei loro figli,” continuò Luke. “Specialmente quando sono come noi. Ma non preoccuparti Percy,” disse, dandomi una pacca sulla spalla. “Puoi contare su di noi.”
“Mh,” risposi, guardandolo con la coda dell’occhio. “Certo che posso.”
Jordan Nickels gettò uno sguardo all’orologio che aveva al polso.
“Dobbiamo andare, Luke,” annunciò. “Sono le tre e mezzo.”
Luke sembrò pensoso mentre prendeva un altro tiro. “Suppongo di sì,” acconsentì. “Ci vediamo domani, Percy.”
“Ci vediamo,” risposi.
La gang si voltò e camminò a grandi passi lungo la strada, spingendosi a vicenda.
Mi lasciarono lì, con i rimasugli disgustosi di fumo che impregnavano l’aria. 




Ecco il terzo capitolo! 
Mi fa davvero piacere che la storia vi piaccia, perché ciò mi motiva a continuare la traduzione. Manderò al più presto all'autrice le vostre recensioni, rendola partecipe di quanto la sua fantastica ff piaccia anche ai fanwriters italiani! 
Di nuovo grazie a tutti, 
Emily e kazoquel :3 

 
   
 
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