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Autore: _Heartland_    01/08/2014    5 recensioni
Sessanta secondi. Se non resti nel cerchio per sessanta secondi, salterai in aria. E’ questa la prima regola degli Hunger Games. I tre figli dei Pezzi Grossi, Percy, Jason, e Nico, però, ne sanno ben poco. Conoscono le basi principali, ma non hanno mai abitato a Panem, che in fondo, è fondata sulle macerie delle loro città. Si trovano catapultati nel futuro, davanti alla Cornucopia, che scintilla sotto i raggi del sole. Venti secondi. Ne restano solo venti, e loro non sanno cosa fare. Ma devono vincere. E’ l’unico modo per sopravvivere! Dieci. Nove. Otto. Sette. Sei. Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno. Benvenuti ai settantaseiesimi Hunger Games!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jason Grace, Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                          Capitolo quinto - "Ricorda chi sei veramente."

 

“Vedi, ogni cosa ha un suo lato negativo e un suo lato positivo. Bisogna scegliere solo quale dei due si vuole osservare.”

                                                     -Autrice

 

{ Jason }

Mi sveglio di soprassalto. Apro lentamente gli occhi, e l’unica cosa che riesco a vedere è una nebbia azzurra. Li richiudo, inspirando profondamente, per poi riaprirli. Ancora quella nebbiolina azzurra.
Comincio a preoccuparmi, ma qualche telecamera potrebbe riprendermi, quindi provo a restare calmo. Mi alzo, e rimetto velocemente nello zaino quello che avevo tolto la sera prima. Quando arrivo alla trappola che avevo costruito, mi rendo conto che deve aver funzionato. Eppure non mi sono svegliato. Strano.
Raccolgo tutto, e decido di mettermi alla ricerca del presunto tributo che è caduto, appunto, nella mia trappola. Cammino per ore, eppure non riesco a trovarlo. Probabilmente camminare in mezzo a questa nebbia non è una buona idea, ma ovunque vada non diventa né più fitta né meno. Valuto parecchie volte l’idea di tornare indietro e avanzare da lì in poi, ma alla fine continuo ad avanzare. Strascico i piedi tra le fronde, appoggiandomi di tanto in tanto ad un albero, stanco. Continuo ad avanzare, ma ogni volta fare un passo diventa sempre più difficile, ogni volta sembra che sia la roccia stessa ad alzarsi e aggrapparsi ai miei piedi.
Poi cominciano anche gli occhi. Comincio a vedere tutto confuso, un miscuglio di colori. Mi appoggio ad un albero, e chiudo un attimo gli occhi per riprendere il controllo.
Quando li riapro, sono in tutt’altro posto.

-***-

{ Nico }

Avanzo ancora fra le lapidi del cimitero, leggendo vagamente i nomi incisi su ogni tomba. E’ una brutta giornata. Il cielo è grigio, coperto di nuvole, e c’è la nebbia. Avanzo ancora un po’ tra le erbacce, finchè non sento delle voci.

-Sorry… can anyone please say me where I am? –

L’accento è decisamente americano. Mi giro, ma mi rendo conto che non si stanno riferendo  a me. Strizzo gli occhi, e poco lontano, all’entrata del cimitero, vedo due signori parlare. Il secondo caccia fuori una mappa, ed indica all’altro un luogo.

-You’re in Italy. Look, this is… -

Non mi preoccupo di captare le altre parole, mi basta questo. Sono in Italia, sono tornato in Italia. Ma per quale motivo? Faccio un passo indietro, ma inciampo in una tomba di pietra e ci cado sopra.

-Oh dei, scusami! –

Esclamo. Il signore italiano che aveva cacciato la mappa è ora rimasto solo, e mi fissa in modo strano. Mano a mano, mi rendo conto che non è un signore. E’ un ragazzo, e probabilmente deve avere circa sedici anni. Ed è… tremendamente simile a me.
Torno a guardare la tomba. Essendo il figlio di Ade, per me è normale parlare con i morti, e in questi casi lo è anche scusarmi. Mi rialzo in fretta, spolverandomi i pantaloni, quando vedo due bambini venire verso di me. Il loro sguardo è fermo sulla tomba. La ragazzina ha dei lunghi capelli scuri raccolti in una treccia, e porta un berretto verde, che le copre quasi tutto il viso. Il ragazzino è più piccolo, forse di circa due anni, ha i capelli scuri, folti, un po’ disordinati. Entrambi hanno la pelle olivastra, e uno sguardo perso. Si inginocchiano di fronte alla lapide, mormorando qualcosa.

-Ragazzi, vi do solo due minuti! Poi ripartiamo per l’albergo! –

Un avvocato, decisamente lontano da loro, li sta aspettando fuori dal cimitero. E’ magro e vestito di nero, e sta fissando il suo orologio, come se ne dipendesse la sua vita.
Passo dietro ai ragazzini, osservando anch’io la lapide. E il nome che vedo mi fa venire i brividi lungo tutto il corpo.
Maria Di Angelo.
Sulla lapide c’è il nome di mia madre. Vorrei urlare e scappare da qui, ma qualcos’ altro attira la mia attenzione. La ragazzina. E’ così familiare…

-Bianca! –

Grido, per poi soffocare un urlo. E’ lei. Non ci posso credere, è davvero lei. Vorrei andarle incontro ed abbracciarla, ma, per quanto io abbia gridato forte, mi rendo conto che non mi ha minimamente calcolato.

-Bianca? – domando ancora, cercando di capire perché mi sta ignorando. – Bianca! –

Sono quasi sul punto di piangere. Perché non mi vuole? Poi, però, mi chiedo chi sia il ragazzino. Sembra avere circa sette anni, ma  non riesco a localizzarlo nei miei ricordi.
Di colpo, una stretta alla mia spalla mi costringe a girarmi, e mi ritrovo faccia a faccia con il sedicenne che prima aveva tirato fuori quella mappa.

-Non ti può sentire. –

Mi avverte, mentre mi guarda. Ha dei caldi occhi marroni, e mi somiglia fin troppo.

-Chi sei? – chiedo, interrogativo. – E perché non mi può sentire? –

-Una cosa alla volta, Di Angelo. – mi dice, giocherellando con una catenella di ferro. – Per ora osserva, poi ti spiegherò. –
 
Voglio sapere, ma mi costringo a guardare la scena. Mi avvicino ai ragazzini per ascoltare meglio, appostandomi dietro a Bianca. Mi pare quasi di poter sentire il suo calore, accanto a me.

-Ragazzi, ancora due minuti e poi andiamo! –

L’avvocato avverte loro che ormai hanno poco tempo. Bianca annuisce, in silenzio, e sfiora con una mano la lapide della madre.

-Mi dispiace così tanto, mamma…-

Sussurra. Allora sa che è sua madre. Si gira poi a guardare il bambino, e gli asciuga una lacrima.

-Dai, non fare così. Devi essere forte. Per lei. –

Lui annuisce, mesto, tornando a guardare la lapide. Eppure vedo altre lacrime calde rigargli le guance.

-Avanti ragazzi, andiamo! –

Li richiama l’avvocato, ormai impaziente. Io vorrei dirgli di aspettare, vorrei che Bianca restasse con me, ma non posso far nulla. Mia sorella si alza, e con lei il ragazzino.
Prima di andarsene, però, il più piccolo fa una cosa strana. Prende un mazzetto di carte dalla tasca, e ne deposita una sulla lapide della madre.

-Come ultimo regalo. Per te. –

Inorridisco, appena la riconosco. E’ una carta di Mitomagia.

-Avanti, è ora di andare, Nico. –

Bianca prende la mano del ragazzino, e con un fazzoletto gli asciuga le guance. Poi si alza, portandoselo dietro, ed entra nella macchina nera dell’avvocato.
E poi spariscono, troppo tardi perché io mi renda conto che quel ragazzino ero io.

E’ a quel punto che mi rendo conto che ho sete di spiegazioni. Mi giro in fretta e furia, e trovo il sedicenne seduto su una panchina di pietra. Pare così tranquillo, come se avesse tutto il tempo del mondo.

-Cosa… spiegami, ora! –

Pretendo, piazzandomi di fronte a lui.

-Calmati, re degli spettri. Non mancarmi di rispetto. –

Mi avverte, facendomi segno di sedermi accanto a lui, sulla panchina. Nonostante il mio nervosismo, ubbidisco, aspettando una spiegazione.

-Cos’era? Chi sei tu? E soprattutto, perché? –

Lui sospira, come se dovesse farmi un grande discorso. – Quella era tua sorella, e quello eri tu. Ricordi quando quell’avvocato, o meglio, la Furia, vi portò qui? –

E, in un attimo, il ricordo riaffiora nella mente.

-Sì. Eravamo già andati al Casinò Lotus… ma volevamo vedere la tomba della nostra mamma, così ci ha riportati qui. Ci avrà dato cinque minuti, e poi siamo ripartiti. –

Lui annuisce, guardando un attimo la lapide. – Esatto. –

Eppure io non voglio crederci. Così faccio la cosa più logica che si possa fare in situazioni del genere. Mi alzo, e vado vicino alla lapide. Prendo la carta di Mitomagia e la guardo. Ricordo perfettamente quale ci avevo messo.
La giro, ed è proprio così.
Sulla carta, che avevo modificato io stesso, disegnandola, ci sono mia madre e mio padre.
Sconvolto, torno a sedermi sulla panchina, osservando il sedicenne.

-E tu? Chi sei? –

Gli chiedo. Ma non ho bisogno di risposte, perché nello stesso istante, il ragazzo pare subire una trasformazione. La sua bocca e il suo naso si fondono, allungandosi, gli occhi diventano piccoli e neri, le orecchie si appuntiscono, e la sua pelle diventa un vero e proprio pelo, nero.
Ha la testa di uno sciacallo.

-Ma tu sei… -

-Sì, Anubi. Il dio egizio degli Inferi. Ho sempre avuto l’impressione che saremmo andati d’accordo, anche se in altre circostanze. Magari, ecco, non in un tuo ricordo. –

-E da quando puoi viaggiare nei ricordi, eh? –

-Oh, beh, ecco, si tratta pur sempre di un cimitero. E poi, è anche un sogno, Nico. –

-E perché l’ho sognato?! –

Forse c’è troppa rabbia nella mia voce. Chiudo gli occhi, cercando di calmarmi. Eppure, quando li chiudo, vedo l’immagine di Bianca farsi strada nella mia mente. La cosa è così straziante che li riapro all’istante, respirando affannato.

-Perché devi ricordare. – Spiega lui, come se fosse la cosa più logica del mondo.

-E per quale motivo? –

-Perché non devi dimenticare chi sei, Nico. Ricordalo. Ricorda chi sei. –

Queste sono le sue ultime parole. Poi il ricordo, il sogno, o quello che è, si dissolve, e io mi sveglio all’istante, drizzandomi sul tronco su cui facevo guardia fino a poco fa.

 

-***-

{ Jason }

Mi guardo in giro. Sono su una panchina, seduto comodamente, e attorno a me c’è un parco. E’ una bella giornata. Il sole è alto nel cielo limpido, gli alberi e l’erba sono di un verde acceso, i fiori sono sbocciati, e molte famigliole fanno passeggiate lungo i viali, all’ombra di qualche pianta.
Una in particolare, però, attira la mia attenzione. O meglio, sono solo un fratellino e sua sorella. La ragazza deve avere circa dieci anni, il bambino invece massimo tre. La sorella lo porta in braccio, e gli indica ogni volta le chiome degli alberi, le farfalle, gli uccelli che volano. Sembrano felici, eppure, vedendoli, il mio stomaco sembra chiudersi in un nodo.

-Guarda che bella! –
Dice la ragazza, riferendosi ad una farfalla variopinta che passa loro davanti. Il bambino ride, e cerca di prenderla. Io, invece, mi concentro sulla voce della ragazza. Sembra quasi… familiare.
Continuano a camminare, e il bambino saluta ogni persona che vede. La maggior parte della gente sorride e risponde al saluto, eppure, quando imboccano il viale su cui è affacciata la mia panchina, sembrano non vedermi. Il bambino guarda verso la mia direzione, ma oltre. Mi giro, e vedo solo un albero. Poco lontano, però, oltre il parco, c’è una deliziosa casetta. Anche quella ha un qualcosa di familiare.
Mi giro, e stavolta riesco a studiare bene la ragazza. Ha dei capelli neri, corti e spuntati, e degli occhi blu, scuri, di un blu tanto elettrico da sembrare vero. E’ felice. Il bambino invece ha gli occhi più chiari, azzurri, come il cielo. I suoi capelli sono, invece, biondi come l’oro.
La ragazza parla ancora, riferendosi probabilmente alla casa che il bambino sta guardando.

-Sì, andiamo a casa. –

Detto questo si incammina lungo il viale e svolta, trovandosi fuori dal parco e dirigendosi a casa sua. Io, senza esitazioni, li seguo.

 


Sono a casa loro, ora. Durante il tragitto mi sono reso conto che non riescono a vedermi, così ne ho approfittato. La ragazza è andata un secondo in cucina, e sta parlando al telefono. Il bambino, invece, è nel soggiorno. Io sono nell’angolo, e lo sto osservando. Tiene lo sguardo fisso sul tavolo, dove, al centro, si trova una spillatrice. Quando capisco quello che vuole fare, però, è troppo tardi. Si fionda sul mobile e prende la spillatrice, cominciando a giocarci. La butta in aria, la trascina, come se fosse un gioco per i bambini. Mi avvicino di corsa, provando a prendergliela, ma mi rendo conto che non riesco a toccare nulla. Ed è proprio dopo che lui comincia a masticarla, finchè questa non gli procura una ferita al labbro.
Subito il sangue comincia a sgorgare, al passo con i pianti del bambino. La ragazza esce subito fuori, imprecando, e buttando la spillatrice da qualche parte. Lo prende in braccio e  lo porta in bagno, cercando in qualche modo di arrestare il sangue, ma non c’è nulla da fare. Alla fine, allora, prende il telefono e chiama il pronto soccorso, dato che non sa più che fare. I medici arrivano subito, e si fiondano sul bambino.
Prima che io riesca a vedere altro, però, mi trovo di nuovo da tutt’altra parte. Ci sono di nuovo loro due. Ora è passato un po’ di tempo, perché il bambino ha già una  cicatrice. La ragazza sorride, e, facendoci caso, mi rendo conto che ha delle ciocche blu fra i capelli. Sono in uno zoo, e stanno osservando dei lupi.
Mi avvicino anch’io, curioso, e li osservo con loro. E’ solo allora, però, che mi rendo conto di chi sono quei due, e comincio a collegare tutto.

-Thalia. – sussurro, ma lei, ovviamente, non mi sente. Mi rendo conto che il bambino che sta tenendo in braccio sono io. E, allo stesso istante, sento anche una strana presenza dietro di me. Mi giro, e la figura che vedo, stavolta, è tremendamente familiare.

-Lupa!-

Esclamo, e lei pare quasi annuire, avvicinandosi a me. Mi chino, e la osservo da dietro le sbarre.

-Ma che succede? –

Chiedo. Lei mi guarda, senza aprir bocca, o meglio, muso, ma sento la sua voce chiara e forte nella mia mente.

-E’ un ricordo, Jason. Un ricordo. –

-Un ricordo? – ripeto, accigliato. – E per quale motivo sto sognando un, beh, un mio ricordo? –

-Perché… - la voce di Lupa arriva di nuovo, ma mi pare quasi di vederla tossire. Lo so, è strano per un lupo, ma è così. Poi rialza lo sguardo, inchiodandolo nel mio, e riprende. Adesso, però, ha un tono molto più frettoloso. -… Perché devi r-ricordarti chi sei, Jason. Non dimenticarlo. –

Non faccio in tempo a rispondere, perché un ibrido si butta su di lei e la sbrana. Eppure, nessuno sembra accorgersene.

 

-***-
 

Ora sono in un luogo completamente diverso. E’ una radura. Io sono inginocchiato nell’erba umida di rugiada, mentre alti alberi scuri mi circondano. E’ notte. La mia testa è china verso il basso, e sono circondato da una nebbiolina azzurra che mi sembra familiare. Eppure, non riesco quasi a ragionare.
Alzo lo sguardo, e quello che vedo, invece del solito inno di Capitol City, seguito dalle immagini dei tributi morti, è tutt’altro. La figura di mia sorella, Thalia Grace, scintilla nella volta celeste, dove non alleggia neanche una stella.
La Grace è appesa ad una sporgenza di una roccia, con una mano sola, e lancia occhiate fugaci verso il basso. Sta per cadere.
Le sue dita, ormai sudate e scivolose, non reggono più. La ragazza scivola quindi tra le braccia della morte, lanciando il suo ultimo grido di aiuto, mentre sprofonda in quella che era la sua paura peggiore.
E io? Io non piango. Io rido, rido di felicità.  Alzo lo sguardo, e vedo minimo cento, se non duecento, ghiandaie imitatrici appollaiate sui rami, che riproducono in continuazione l’urlo di Thalia Grace, quella che una volta era la mia sorellastra.
Io, intanto, continuo a ridere, troppo contento per crederci.
Un’altra persona che odiavo è, finalmente, morta.

 


{ Spazio Autrice }

Che vi avevo promesso? Ad Agosto pubblicavo il prossimo capitolo e, infatti, oggi, 1° agosto 2014, pubblico il quinto capitolo della storia “Sopravvivenza.” !
Okay, basta.

Vi immagino già con le fronti corrugate e un’espressione del tipo: “No, okay, adesso qualcuno mi spiega qualcosa perché sennò do inizio alla terza guerra mondiale.”

D’altra parte vi vedo felici, dato che questo capitolo è stato molto più lungo degli altri.

E… no, non vi farò capire assolutamente nulla! Bando alle ciance, dato che non voglio spoilerare praticamente zero, e voglio rendervi il più confusi possibili, passo direttamente ai ringraziamenti!
_Sirius231 :
Come vedi, la mia cattiveria non è senza fine, perché sono relativamente peggiorata. Spero di non averti fatto a brandelli il cuore, e che tu abbia ancora il coraggio di lasciare un’altra recensione!

_MissKiss:

Grazie, grazie davvero!
E ricorda, scoprirò chi sei!

KokoroChuu:

Io amo le tue recensioni.
Sul serio, anche se il solito dialogo con Percy, Nico, e gli altri mi è mancato.
Spero in un’altra tua recensione!

Greece_Lee:

Per un attimo ho temuto di aver sbagliato a scrivere il tuo nome, ma, no, mi sembra di averlo scritto bene.
Se per Simon pensavi “Oh, poveretto!” , cosa penserai per i personaggi di questo capitolo?!
Aspetto una tua recensione, dato che anche quella, in ogni capitolo, non manca mai!

FoxFace00:

Io amo il tuo nome. Sì.
Eppure, dopo che avrai letto questo capitolo, osservando la tua immagine del profilo… sì, penso proprio che mi odierai.
Cosa ho intenzione di fare riguardo a Piper e Jason? E perché solo loro, quando si possono attaccare molte più persone e farle fuori? MUAHAHAHAHAHAH *Risata sadica*
Okay, basta. Sì, lo so, mi dicono tutti che sono un miscuglio fra le parti crudeli della Rowling, della Collins, di Riordan e della Roth. E non dimentichiamo Green e Clare!
Comunque… aspetto anche una tua recensione!

Inoltre, ringrazio anche tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite, le seguite, le ricordate, e, ovviamente, un ringraziamento speciale a coloro che hanno messo me fra gli autori preferiti!

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare a metà agosto, o giù di lì, dipende da quando mi viene l’ispirazione.
Un gran saluto a tutti,
_Heartland_


P.S.
E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore…

  
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