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Autore: Hon_yaku    01/08/2014    3 recensioni
È il suo ultimo giorno a Loguetown, e Smoker lo trascorre con le uniche persone che gli vogliano veramente bene – e già che c’è offre gelati a destra e a manca e scopre che per risolvere i problemi a volte basta un abbraccio.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Smoker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In which Smoker likes children, and children [not so] surprisingly like him back
"Non lasciarti sgomentare dagli addii.
Un addio è necessario prima che ci si possa ritrovare.
E il ritrovarsi, dopo momenti o esistenze, è certo per coloro che sono amici."

~Richard Bach

 

 

«La nave è pronta, Commodoro. La ciurma attende i suoi ordini».

La voce di Tashigi echeggia nell'ufficio vuoto — è piena di disagio e rassegnazione, Smoker nota con disappunto, ma il fatto che la sua subordinata riesca a dire Commodoro invece di Capitano senza nessuna smorfia in volto è comunque un miglioramento.

Sono tornati a Loguetown da due giorni ormai, ma Tashigi non ha ancora avuto il tempo di riprendersi dall'umiliazione di Alabasta fondamentalmente perché non si è data il tempo di riprendersi dall'umiliazione di Alabasta, perché da quando sono tornati non ha smesso un attimo di correre su e giù per tutta la città con la scusa di dover organizzare i preparativi per la partenza.

È da codardi ignorare i propri problemi, ma Tashigi è intelligente e lo capirà da sola che non può continuare a scappare per sempre che deve fermarsi, guardare in faccia le difficoltà e affrontarle, se vuole andare avanti.

Anzi, forse lo ha già capito, a giudicare dal tono rassegnato con cui lo ha informato che i preparativi sono stati ultimati e che quindi lei non ha più nessuna scusa e ora non le resta che curare il suo orgoglio ferito e dare una bella sistemata al suo concetto di giustizia. Lui le ha detto cosa fare — diventare più forte, dimostrare di essersi meritata la promozione a guardiamarina —, ma adesso sta a lei tradurre in pratica il suo consiglio.

Con qualche secondo di ritardo, Smoker annuisce. «Bene. Partiamo immediatamente».

Tashigi scatta subito sull'attenti e risponde con uno squillante Sissignore!, ma il suo sguardo è basso e un po' perso, la sua mano sinistra è chiusa a pugno lungo il fianco e i suoi denti non riescono a fare a meno di torturare il suo labbro inferiore.

Smoker aspetta perché non ha idea di che cosa voglia la sua subordinata — aspetta anche se non se lo può permettere, perché è in tremendo ritardo sulla tabella di marcia e Cappello di Paglia ormai sarà già lontano mille miglia da Loguetown. È stato stupido non partire subito, non iniziare la caccia appena possibile, ma alla fine Smoker non può dire di essersi pentito della sua scelta: se ha deciso di tornare qui prima di cominciare seriamente ad inseguire Cappello di Paglia, è perché vuole assicurarsi che Loguetown abbia il Marine che si merita, uno che sappia fare il suo lavoro e che lo sappia fare come dice lui, non come dice il Governo Mondiale. Per quanto opprimente e asfissiante, Loguetown è e resta la sua città natale, che con il suo carico di criminali gli ha insegnato a fare bene il suo mestiere, e Smoker è sempre riconoscente nei confronti di chi gli insegna qualcosa — anche troppo, forse, visto che un ragazzino gli ha insegnato che non tutti i pirati sono spietati e senza onore e lui per ricompensa lo ha lasciato fuggire.

Comunque sia, voleva trovare un successore decente e forse ci è riuscito. Probabilmente la Marina lo caccerà via e lo sostituirà con uno dei suoi fantocci non appena Smoker sarà abbastanza lontano dalla città da non costituire più una minaccia, ma — e non sa bene neanche lui perché — catturare Cappello di Paglia adesso è la priorità.

Tashigi si schiarisce la gola con un lievissimo colpetto di tosse, ma il suono è così intenso nel silenzio dell'ufficio ormai vuoto che Smoker trasale visibilmente.

È una pessima abitudine perdersi nei propri pensieri, un'abitudine che deve levarsi al più presto se vuole combinare qualcosa.

Si ricompone, alza lo sguardo sulla sua subordinata e, preso dell'impazienza — stanno perdendo tempo, tempo che non possono permettersi di perdere —, sbotta, «Allora, cosa c'è?».

È Tashigi a trasalire questa volta, ma in sua difesa Tashigi trasale spesso e quindi Smoker non si sente molto in colpa.

«Ah... uh, sì. Ecco, tra scontri e preparativi per la partenza, gli uomini hanno lavorato duramente in questi ultimi giorni e non hanno avuto occasione di trascorrere del tempo con le loro famiglie e i loro conoscenti. Se partiamo adesso... non potranno neanche salutarli».

Smoker la fissa, incredulo. È questo che vuole? Poter andare a dire addio — o arrivederci, se tutto va come deve andare — ai suoi amici?

Smoker prende un respiro profondo per calmarsi, perché no, lui non darà mai alla sua ciurma il permesso di sprecare altro tempo prezioso e Tashigi dovrebbe saperlo bene. E lo sa. Evidentemente lo sa, perché è arrossita dalla punta dei piedi a quella dei capelli e si sta torcendo le mani in un modo che sembra molto, molto doloroso. Però non ha distolto lo sguardo e le sue labbra sono premute assieme con forza e la sua determinazione, dopo aver vacillato un po', è di nuovo salda, e forse Tashigi sta davvero cominciando a crescere.

«Smoker-san, comprendo perfettamente l'urgenza della situazione e la necessità di un intervento tempestivo, tuttavia credo che i rapporti umani siano altrettanto importanti e che gli uomini, prima di salpare—».

«Permesso accordato».

Tashigi si blocca, sbatte le palpebre un paio di volte e poi apre e chiude la bocca a vuoto.

Smoker alza gli occhi al cielo. «Ormai abbiamo già perso talmente tanto tempo che un giorno in più non fa differenza. Partiamo domani all'alba. I ritardatari saranno severamente puniti».

Tashigi spalanca gli occhi per un momento, ma poi torna in sé, annuisce, sorride e, dopo un veloce saluto militare, si volta ed esce di corsa dalla stanza.

E così Smoker è di nuovo solo nel suo ufficio, e l'unica cosa rimasta a tenergli compagnia è la prospettiva di una giornata che passerà a non fare assolutamente nulla. Non lo sa nemmeno lui perché alla fine ha detto di sì a Tashigi, visto che ha già firmato tutte le scartoffie che la sua subordinata gli ha messo sotto il naso ieri mattina, ha già raccattato i pochi effetti personali che aveva disseminato qua e là per l'ufficio e si è persino occupato di tutti i documenti che aveva in arretrato da una vita. Ha lasciato la polvere, perché, pensa, la polvere non è di sua competenza, ma per il resto ha pulito e sistemato tutto e adesso non ha più niente da fare se non preoccuparsi della sua sanità mentale, perché non è da lui pulire e sistemare tutto e quindi forse c'è qualcosa che non va.

Ma non importa, adesso. Tra meno di un giorno lascerà Loguetown, la città in cui è stato relegato per anni, e assaporerà di nuovo il mare e una parvenza di libertà. È questo quello che conta, pensa, e poi se lo ripete ancora una volta, perché sente di averne bisogno, perché il pensiero che tra poche ore finalmente se ne andrà da Loguetown lo fa stare meglio. Ancora non capisce perché abbia ceduto alla richiesta di Tashigi così facilmente, ma tra poche ore lascerà Loguetown, ed è questo quello che conta, giusto?

Nel frattempo, però, deve trovare qualcosa da fare. Non è che abbia chissà chi da salutare lui, visto che tutti in città lo odiano, però forse una visitina all'unica persona che considera suo pari a Loguetown la può fare, prima di partire.

 

~*~

 

«Ah, Smoker, sei tu. Vieni, entra».

Daddy sembra sorpreso — forse perché le volte in cui Smoker è andato a trovarlo a casa sua in trent'anni di vita si possono contare sulle dita di una mano —, ma si fa comunque da parte e lo lascia entrare.

Smoker annuisce. «Sono venuto a salutarti».

Si sente incredibilmente stupido, a dire una frase del genere. Perché Tashigi riesce a farla sembrare una cosa normale, mentre lui passa per un idiota?

«Non mi aspettavo una tua visita, ma sono contento che tu sia venuto: Carol ti ha preparato dei biscottini, stamattina, e ci teneva a consegnarteli di persona prima che partissi».

Smoker si ferma, allora, e resta immobile di fronte al tavolo su cui sono sparpagliate le pistole che Daddy stava pulendo.

Non aveva pensato a Carol. Non aveva pensato ai bambini di Loguetown in generale, in realtà, anche se loro sono gli unici che non lo odiano per aver rovinato i loro affari e non lo temono per il suo Frutto del Diavolo — anzi, trovano che gli animali di fumo siano particolarmente carini e si divertono a farsi trasportare in giro dal suo elemento.

I bambini gli mancheranno, probabilmente.

Scuotendo la testa, Smoker sospira e chiede, «Dov'è Carol?».

Daddy raccoglie i pezzi di varie pistole, le riassembla e le nasconde di nuovo sotto il suo poncho mentre risponde con un ghigno, «Di sopra, nella sua stanza, ma sono sicuro che si è già accorta che sei arrivato. Si starà solo facendo bella per il suo zio preferito».

Pochi secondi, infatti, e Carol sta scendendo le scale, e un momento dopo è già aggrappata al collo di Smoker.

«Zio Smokey! Sono contenta che sei venuto a trovarci prima di partire!», trilla mentre si stringe ancora di più a lui.

Smoker sorride un po' — solo un po', perché non ci è abituato e perché gli è stato detto che il suo sorriso è traumatizzante, specialmente per i bambini — e goffamente ricambia la stretta. Non sa mai dove mettere le mani quando prende in braccio Carol, perché il suo vestito, con tutti quei pizzi e merletti e trine e fiocchetti, è incredibilmente ingombrante e quella chioma voluminosa gli solletica il viso, ma Carol ride e lo abbraccia più forte e quindi Smoker smette di preoccuparsi e pensa solo ad accarezzare piano i suoi capelli biondi.

«Carol, non vuoi dare a Smoker il suo regalo?», interviene Daddy.

Carol annuisce con forza, si sfila dal suo abbraccio e corre in cucina. Quando ritorna, ha in mano tre pacchetti di biscotti chiusi da un fiocchetto.

«I due più piccoli sono per te e Tashigi, mentre quello più grande è per il resto della ciurma», spiega con un sorriso, porgendoglieli.

«Originariamente quello più grande doveva essere per te e gli altri due per Tashigi e la ciurma, ma sono riuscito a convincerla che non è carino mostrare certi favoritismi così platealmente», scherza Daddy, affondando una mano tra i riccioli biondi della figlia.

Lei si imbroncia un po' e mormora qualcosa sul fatto che non è colpa sua se vuole più bene a Smoker che agli altri, ma dura solo un momento, e Carol torna subito a sorridere.

«Sei contento di partire?», gli chiede, facendolo accomodare su una sedia e saltandogli in grembo.

«Sì, ma tornerò presto», la rassicura Smoker, passandole una mano dietro la schiena per assicurarsi che non cada.

Una parte di lui è certa che ci vorrà poco per catturare Cappello di Paglia, ma un'altra, che proprio non vuole saperne di stare zitta, continua a ripetergli che forse quel ragazzino gli darà del filo da torcere, più di quanto non abbia già fatto. Non è una bella sensazione, ma Smoker sa che alla fine lo catturerà — incontrerà molte difficoltà, senza dubbio, ma alla fine lo catturerà.

«E quando parti?».

«Domani mattina all'alba. Dovevamo salpare oggi, ma—».

«Fantastico!», esulta Carol, battendo le mani una volta e scendendo dalle sue gambe. Gli prende una mano tra le sue — a malapena riesce ad afferrare due dita, in realtà, ma la sua stretta è salda e decisa — e poi esclama di nuovo, «Questo vuol dire che hai tempo per portarmi a prendere un gelato!».

Gli piace far contenti i bambini offrendo loro il gelato e gli piace ancora di più l'idea di passare qualche ora con Carol, quindi, dopo aver ricevuto un cenno d'assenso da parte di Daddy, accetta la proposta — che non era veramente una proposta, perché è sicuro che, se non avesse accettato, Carol avrebbe trovato comunque un modo per costringerlo.

Si alzano tutti in piedi e, mentre Carol afferra i suoi jeans e comincia a trascinarlo verso la porta, Daddy gli preme una mano callosa ma calda sulla spalla e lo guarda dritto negli occhi.

«Quando tornerai, Smoker, ci affronteremo in duello e io ti batterò», gli assicura, ghignando e scuotendolo un po'.

Smoker ricambia con un mezzo sorriso, annuisce e un attimo dopo si è già richiuso la porta di casa Masterson alle spalle.

 

~*~

 

«Allora, tu che gusti vuoi?».

Si stanno dirigendo verso la gelateria — Quella bella, quella che se vuoi sul gelato ti mettono anche la panna, il cioccolato e le praline colorate, gli ha spiegato Carol — e Smoker non ha idea di che gusto prendere, principalmente perché lui non mangia mai il gelato. Neanche lo vuole, in realtà, il gelato, ma Carol ha insistito, perché a quanto pare non si può partire per un lungo viaggio senza prima aver mangiato almeno un cono, e Smoker ha capitolato... be', subito, praticamente.

«Non lo so. Qualche idea?».

Carol aggrotta le sopracciglia in un'espressione di profonda concentrazione, poi annuisce e finalmente risponde, «Io prendo fragola e pesca, ma tu... tu sei un tipo da limone e vaniglia».

Lo dice con così tanta convinzione e ovvietà che Smoker non può far altro che rimanere in silenzio ed aspettare che lei elabori il concetto.

«Dico vaniglia e limone perché a volte sei dolce, ma altre volte... be'».

Non vuole neanche sapere che cosa vuol dire quel be' messo lì così, anche se sospetta che Carol stia tentando di consigliargli, non tanto discretamente, di cercare di essere meno acido. È inutile lamentarsi, però, perché tanto sa già che prenderà esattamente i gusti che Carol gli ha suggerito.

 

~*~

 

Carol è sull'orlo delle lacrime e Smoker, per quanto possa adorare i bambini, non sa proprio come comportarsi in certi casi. La cosa peggiore, poi, è che è colpa sua se sta piangendo.

Effettivamente gli era sembrato strano che Carol non fosse nemmeno un po' triste per la sua partenza, ma adesso capisce che la sua allegria era dovuta al fatto di non aver compreso bene la situazione.

Carol è intelligente e sveglia, ma è e resta una bambina, e Smoker avrebbe dovuto accorgersi che non aveva capito appieno, che pensava che il suo viaggio sarebbe durato solo qualche settimana o tutt'al più qualche mese. Quando lui si è lasciato sfuggire quello che ha sempre segretamente pensato — che, nonostante la sua determinazione, probabilmente ci vorranno anni per catturare Cappello di Paglia —, Carol non ha retto.

Smoker non sa come comportarsi, non sa cosa fare, ma pensa — spera — che forse un abbraccio può sistemare tutto.

 

~*~

 

Carol sorride di nuovo. Smoker non ha idea di come ci sia riuscito, ma Carol è tornata a sorridere, e quindi va di nuovo tutto bene.

 

~*~

 

Stanno tornando indietro, verso casa, e per farlo devono passare di nuovo dalla gelateria in cui si sono fermati qualche ora fa, prima di andare al parco e poi al cinema e prima che Carol scoppiasse a piangere e si stringesse a lui come se non dovesse più lasciarlo andare.

Di fronte alla gelateria c'è una bambina bionda che, a giudicare da come tira la maglietta dell'uomo accanto a lei, sta cercando di convincere suo padre a comprarle un cono, e Smoker crede di riconoscerla.

È la bambina del gelato a tre palline, la sua mente gli suggerisce, e Smoker decide, senza un vero motivo, di fermarsi e aiutarla.

«Aspetta un attimo, Carol», dice solo, stringendo un po' la presa sulla sua mano e cominciando a dirigersi verso la gelateria.

Lei lo segue senza fare domande, ma, quando capisce dove stanno andando, si ferma e sembra non avere alcuna intenzione di muoversi. Incrocia le braccia al petto, arriccia le labbra in una smorfia irritata e solleva il mento, osservando la scena con occhi ridotti a due fessure.

«Chi è quella lì?», gli chiede in tono accusatorio.

Smoker non ha idea di che cosa lo stia accusando esattamente, quindi si limita a rispondere, «È una bambina che ho incontrato qualche giorno fa, quando—». Si interrompe, perché il ricordo di Cappello di Paglia non gli rovinerà anche il suo ultimo giorno a Loguetown, e taglia corto, «Le ho offerto un gelato».

Carol allora pesta un piede a terra, si aggrappa ai suoi jeans e, cercando di trascinarlo dalla parte opposta, borbotta, «Okay, l'hai rivista adesso, quindi ora possiamo anche andarcene».

Smoker non si muove di un millimetro. Non è sicuro di cosa stia succedendo, ma decide comunque di non accontentare Carol, questa volta.

Lanciandole un'occhiata confusa — davvero, che cosa le è preso? —, si inginocchia accanto a lei, stacca delicatamente le sue piccole dita dalla stoffa dei suoi pantaloni e, ricevendo uno sguardo torvo e un broncio adorabile in risposta, con una mano le arruffa un po' i capelli — non troppo, se no si arrabbia — e con l'altra la prende per mano, conducendola verso la gelateria.

Si avvicinano alla bambina — Yu, se Smoker ha interpretato bene lo sbuffo esasperato con cui l'uomo sta tentando di resisterle —, che sta ancora cercando di convincere il padre a prenderle un gelato.

Quando Yu nota Smoker, si gira verso di lui con un sorriso ed esclama, «Ciao, signor Marine! Alla fine l'ho comprato, quel cono a cinque gusti, sai?».

Smoker annuisce. «Sono contento. Ne vuoi un altro?».

Yu esita un attimo, osservando i suoi pantaloni con sguardo sospettoso.

«No, non si mangeranno il tuo gelato, questa volta», la rassicura Smoker, arrossendo un po'.

Lei lancia un'ultima occhiata guardinga ai suoi jeans, poi alza la testa verso di lui e sorride.

Il padre, invece, emette un verso strano — gli ricorda vagamente il suono che fanno i pirati quando vengono strangolati dal cappio —, probabilmente perché vorrebbe protestare ma non ha idea di come opporsi a Smoker, e così decide saggiamente di starsene zitto e limitarsi ad annuire freneticamente quando sua figlia gli chiede il permesso di accettare l'offerta.

La bambina batte le mani e sorride così tanto che Smoker si chiede come faccia il suo viso a non spaccarsi in due, mentre Carol è ancora lì, con le braccia incrociate e il naso per aria, e rifiuta testardamente di incontrare il suo sguardo. Smoker scuote la testa — le passerà, prima o poi.

La fila per prendere il gelato è lunghissima e scorre pianissimo, e forse è questo che spinge l'uomo a rompere il silenzio che è calato fra di loro. Si schiarisce la gola, poi, torcendosi le mani con così tanta forza che Smoker crede di riuscire a sentire gli scricchiolii di protesta delle ossa, finalmente inizia a parlare.

«Uh... È da quando abbiamo ricevuto la notizia della sua partenza che volevo ringraziarla p-per tutto il suo impegno e per i risultati ottenuti finora e quindi, ecco...». Si interrompe solo per lasciarsi scappare un risolino acuto e poi conclude, «Uh, grazie. Sì, g-grazie».

Smoker non gli crede neanche per un momento — forse ci riuscirebbe se il tizio trovasse finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi per più di un secondo, o se la piantasse di comportarsi come se l'idea di ringraziare un possessore di un Frutto del Diavolo lo stesse uccidendo —, ma decide di risparmiargli l'umiliazione di essere additato come bugiardo ipocrita di fronte alla figlia.

«Vai via?».

A parlare è proprio Yu, e forse a lei dispiace davvero che Smoker se ne vada, perché i suoi occhioni sono diventati enormi e lucidi e lui non può fare a meno di pensare che ai bambini basta un gelato per volerti bene, ma questo non cambia il fatto che lui non ha ancora imparato come ci si comporta con i mocciosi che piangono e—

«Sì, se ne va. Per inseguire un pirata». Carol lo salva, rispondendo al suo posto, anche se lo fa con un tono irritato e sbrigativo che lui non avrebbe mai usato con un bambino. «Ho provato a convincerlo a restare, ma non mi ascolta. È molto testardo, papà l'ha sempre detto. Che poi non vedo proprio che cos'ha un pirata in più di me, ma in fondo chi sono io per impedirgli di partire?», continua, con l'aria melodrammatica di un'attrice consumata.

Smoker alza gli occhi al cielo, ma, inginocchiandosi alla sua altezza, sospira, «Smettila, Carol. Lo sai che ti voglio bene e che mi dispiace lasciare te e tuo padre».

Si sente ancora un idiota a dire cose del genere e continua a non capire perché, visto che quando lo fanno gli altri sembra la cosa più normale del mondo, ma, se serve a risollevare il morale a Carol, allora forse un'eccezione la può fare.

Lei lo guarda di sottecchi, con le braccia ancora saldamente incrociate al petto, ma il broncio sul suo volto sta cominciando a sciogliersi in un'espressione più rassegnata che altro.

Dopo qualche secondo, Carol lascia cadere le braccia lungo i fianchi, alza gli occhi al cielo e sospira, «Va bene, ti credo. Ti voglio bene anch'io».

Soddisfatto, Smoker annuisce, poi, rivolto a Yu, risponde, «Sì, parto domani, ma non preoccuparti: sono sicuro che il tuo papà ti darà il permesso di comprare un gelato a cinque gusti, ogni tanto». Si ferma, lancia un'occhiata eloquente all'altro uomo — anche se non avrebbe nemmeno bisogno di voltarsi per sapere che l'altro sta sudando e annuendo febbrilmente ad ogni sua parola —, poi conclude, «E se non lo fa, quando torno me lo dici e ci penso io a convincerlo, okay?».

Finora non aveva ancora preso in considerazione un possibile ritorno a Loguetown dopo aver finalmente catturato Cappello di Paglia, e francamente l'idea non lo attira per niente, però ne vale la pena se la sottile vena di minaccia nella sua voce rende felice una bambina e fa tremare come una foglia quel codardo di suo padre.

Una volta comprato il gelato per Yu, Smoker decide che è venuto il momento di tornare a casa — è sera, ormai, e Daddy li starà sicuramente aspettando —, quindi, dopo aver raccomandato a Yu di non esagerare con il gelato perché fa male alla salute, si ferma a qualche metro di distanza dal locale e osserva la bambina.

Si passa una mano tra i capelli, pensando a cosa può dire. Quando non gli viene in mente niente, sospira e si limita a mormorare, «Tornerò presto. Non diventare una piratessa in mia assenza. Per favore».

Yu lo guarda con espressione confusa, voltandosi verso il padre in cerca di chiarimenti. Smoker lo interpreta come un buon segno e annuisce soddisfatto. Saluta Yu un'ultima volta, scocca un'occhiataccia al padre da sopra la testa della figlia quando questa gli si lancia in braccio e poi prende di nuovo per mano Carol.

Insieme si incamminano verso casa Masterson e, una volta arrivati davanti alla porta, Smoker si inginocchia per l'ennesima volta di fronte a Carol e le poggia delicatamente le mani sulle spalle, fissandola con tutta la serietà che un tale argomento merita.

«Quello che ho detto a Yu vale anche per te: non diventare una piratessa in mia assenza, ti prego».

Carol scarta l'idea con uno sbuffo di derisione, perché Daddy l'ha cresciuta bene e le ha insegnato che i pirati sono i veri cattivi, e quindi Smoker può considerarsi doppiamente soddisfatto.

Rientrano in casa, dove Smoker declina un invito a cena, prende i suoi biscotti e saluta definitivamente Daddy e Carol, rispettivamente con una pacca sulla schiena e un abbraccio che spera trasmetta tutte le cose che non è riuscito a dire nel corso della giornata.

Non sa se ci è effettivamente riuscito, ma gli piace pensare di sì, perché Carol gli ha schioccato un sonoro bacio sulla guancia e gli ha fatto un sorrisone così luminoso che da solo avrebbe potuto illuminare la notte buia che circonda Loguetown, e in fondo — in fondo è questo ciò che conta.

 

~*~

 

Per raggiungere il porto dove è ormeggiata la sua nave, Smoker prende la strada panoramica, quella che fa il giro di buona parte dell'isola e che lui non ha mai percorso perché l'ha sempre ritenuta un'inutile perdita di tempo, visto che non è che ci sia un granché da vedere a Loguetown a parte la piattaforma su cui

Loguetown non gli è mai piaciuta più di tanto. Non è mai riuscito ad apprezzarla appieno neanche da piccolo e poi, dal momento in cui è entrato a far parte dei ranghi della Marina, l'ha sempre considerata la prigione in cui era stato relegato per ordine dei suoi superiori, e solo adesso, nella sua ultima notte qui, dopo aver trascorso la giornata con gli unici abitanti della città che gli vogliano veramente bene, si è reso conto che forse non è così, che forse, quando ha dato a Tashigi il permesso di rimandare la partenza, era un po' anche perché lui stesso voleva rimanere ancora qualche ora nella sua città natale. Non è sentimentale e non è nemmeno particolarmente nostalgico, ma pensa che sia normale affezionarsi ad un luogo quando ci hai passato una vita intera, anche se per buona parte del tempo ci sei stato costretto dai tuoi superiori perché sei fondamentalmente un cane sciolto.

E quindi continua a non sopportare l'ambiente asfissiante, gli abitanti paurosi e ipocriti e i pirati indegni di questo nome, ma Loguetown è la città dell'inizio e della fine, e Smoker sa che ci ritornerà, prima o poi, e per adesso questa consapevolezza è abbastanza.

 

 

 

 

 

N/A:

Se ve lo state chiedendo, no, il finale non ha molto senso. È che io personalmente non riesco mai ad afferrare bene le motivazioni che spingono Smoker a fare quello che fa, e quindi questo è il risultato :|

Era da una vita che avevo in mente di scrivere qualcosa di fluffoso su Smoker e un paio di bambini a caso e finalmente ci sono riuscita, yay! Però ho paura che la gente non si ricordi minimamente chi sono Carol e Daddy Masterson, visto che io stessa sono dovuta andare a ripescarli dagli abissi di One Piece Wiki per capirci qualcosa :/

La fanfiction ovviamente diverge dal canon innanzitutto perché se no non avrei potuto scrivere la storia, e poi anche perché mi sono sempre chiesta come gli è saltato in testa a Smoker di prendere e andarsene così, lasciando Loguetown in balia dei pirati che fino a un attimo prima aveva fatto di tutto per decimare. Smokey, perché sei sempre così incoerente? Sarebbe tutto più facile se la smettessi di predicare bene e razzolare male :S

Sempre a proposito di personaggi super-secondari, il nome della bambina del cono a tre gusti non l'ho inventato io: a quanto pare Oda-sensei si è preso la briga di darle un nome ufficiale — Yu, per l'appunto.

Comunque sia, queste one-shot fluffose e (teoricamente) poco introspettive, più-azione-e-meno-riflessione, non sono proprio il mio forte, quindi spero di non aver combinato disastri e che la lettura sia stata piacevole =)
  
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