Un addio è necessario prima che ci si possa ritrovare.
E il ritrovarsi, dopo momenti o esistenze, è certo per coloro che sono amici."
~Richard Bach
«La nave è pronta, Commodoro. La
ciurma attende i suoi ordini».
La voce di Tashigi echeggia nell'ufficio vuoto — è piena di
disagio e rassegnazione, Smoker nota con disappunto, ma il fatto che la sua subordinata
riesca a dire Commodoro invece di Capitano senza nessuna smorfia in volto
è comunque un miglioramento.
Sono tornati a Loguetown da due
giorni ormai, ma Tashigi non ha ancora avuto il tempo di riprendersi
dall'umiliazione di Alabasta fondamentalmente perché non si è data il tempo di riprendersi dall'umiliazione di Alabasta,
perché da quando sono tornati non ha smesso un attimo di correre su e giù per tutta la città con la scusa di dover organizzare i preparativi per la partenza.
È da codardi ignorare i propri
problemi, ma Tashigi è intelligente e lo capirà da sola che non può continuare
a scappare per sempre — che deve fermarsi, guardare in faccia le
difficoltà e affrontarle, se vuole
andare avanti.
Anzi, forse lo ha già capito, a
giudicare dal tono rassegnato con cui lo ha informato che i preparativi sono
stati ultimati e che quindi lei non ha più nessuna scusa e ora non le resta che
curare il suo orgoglio ferito e dare una bella sistemata al suo concetto di
giustizia.
Con qualche secondo di ritardo,
Smoker annuisce.
Tashigi scatta subito sull'attenti e
risponde con uno squillante Sissignore!,
ma il suo sguardo è basso e un po' perso, la sua mano sinistra è chiusa a pugno
lungo il fianco e i suoi denti non riescono a fare a meno di torturare il suo
labbro inferiore.
Smoker aspetta perché non ha idea di
che cosa voglia la sua subordinata — aspetta anche se non se lo può permettere, perché è in tremendo ritardo
sulla tabella di marcia e Cappello di Paglia ormai sarà già lontano mille
miglia da Loguetown. È stato stupido non partire subito, non iniziare la caccia
appena possibile, ma alla fine Smoker non può dire di essersi pentito della sua
scelta: se ha deciso di tornare qui prima di cominciare seriamente ad inseguire
Cappello di Paglia, è perché vuole assicurarsi che Loguetown abbia il Marine
che si merita, uno che sappia fare il suo lavoro e che lo sappia fare come dice
lui, non come dice il Governo
Mondiale. Per quanto opprimente e asfissiante, Loguetown è e resta la sua città
natale, che con il suo carico di criminali gli ha insegnato a fare bene il suo
mestiere, e Smoker è sempre riconoscente nei confronti di chi gli insegna
qualcosa — anche troppo, forse, visto che un ragazzino gli ha insegnato che non
tutti i pirati sono spietati e senza onore e lui per ricompensa lo ha lasciato
fuggire.
Comunque sia, voleva trovare un
successore decente e forse ci è riuscito. Probabilmente la Marina lo caccerà
via e lo sostituirà con uno dei suoi fantocci non appena Smoker sarà abbastanza
lontano dalla città da non costituire più una minaccia, ma — e non sa bene
neanche lui perché — catturare Cappello di Paglia adesso è la priorità.
Tashigi si schiarisce la gola con
un lievissimo colpetto di tosse, ma il suono è così intenso nel silenzio
dell'ufficio ormai vuoto che Smoker trasale visibilmente.
È una pessima abitudine perdersi
nei propri pensieri, un'abitudine che deve levarsi al più presto se vuole
combinare qualcosa.
Si ricompone, alza lo sguardo sulla
sua subordinata e, preso dell'impazienza — stanno
perdendo tempo, tempo che non possono permettersi di perdere —, sbotta,
«Allora, cosa c'è?».
È Tashigi a trasalire questa volta,
ma in sua difesa Tashigi trasale spesso e quindi Smoker non si sente molto in
colpa.
«Ah... uh, sì. Ecco, tra scontri e
preparativi per la partenza, gli uomini hanno lavorato duramente in questi
ultimi giorni e non hanno avuto occasione di trascorrere del tempo con le loro
famiglie e i loro conoscenti. Se partiamo adesso... non potranno neanche salutarli».
Smoker la fissa, incredulo. È
questo che vuole? Poter andare a dire addio — o arrivederci, se tutto va come
deve andare — ai suoi amici?
Smoker prende un respiro profondo
per calmarsi, perché no, lui non darà mai alla sua ciurma il permesso di
sprecare altro tempo prezioso e Tashigi dovrebbe saperlo bene. E lo sa.
Evidentemente lo sa, perché è arrossita dalla punta dei piedi a quella dei
capelli e si sta torcendo le mani in un modo che sembra molto, molto doloroso.
Però non ha distolto lo sguardo e le sue labbra sono premute assieme con forza
e la sua determinazione, dopo aver vacillato un po', è di nuovo salda, e forse
Tashigi sta davvero cominciando a crescere.
«Smoker-san, comprendo
perfettamente l'urgenza della situazione e la necessità di un intervento
tempestivo, tuttavia credo che i rapporti umani siano altrettanto importanti e
che gli uomini, prima di salpare—».
«Permesso accordato».
Tashigi si blocca, sbatte le
palpebre un paio di volte e poi apre e chiude la bocca a vuoto.
Smoker alza gli occhi al cielo.
«Ormai abbiamo già perso talmente tanto tempo che un giorno in più non fa
differenza. Partiamo domani all'alba. I ritardatari saranno severamente
puniti».
Tashigi spalanca gli occhi per un
momento, ma poi torna in sé, annuisce, sorride e, dopo un veloce saluto
militare, si volta ed esce di corsa dalla stanza.
E così Smoker è di nuovo solo nel
suo ufficio, e l'unica cosa rimasta a tenergli compagnia è la prospettiva di
una giornata che passerà a non fare assolutamente nulla. Non lo sa nemmeno lui
perché alla fine ha detto di sì a Tashigi, visto che ha già firmato tutte le
scartoffie che la sua subordinata gli ha messo sotto il naso ieri mattina, ha
già raccattato i pochi effetti personali che aveva disseminato qua e là per
l'ufficio e si è persino occupato di tutti i documenti che aveva in arretrato
da una vita. Ha lasciato la polvere, perché, pensa, la polvere non è di sua
competenza, ma per il resto ha pulito e sistemato tutto e adesso non ha più
niente da fare se non preoccuparsi della sua sanità mentale, perché non è da
lui pulire e sistemare tutto e quindi forse c'è qualcosa che non va.
Ma non importa, adesso. Tra meno di
un giorno lascerà Loguetown, la città in cui è stato relegato per anni, e
assaporerà di nuovo il mare e una parvenza di libertà. È questo quello che
conta, pensa, e poi se lo ripete ancora una volta, perché sente di averne
bisogno, perché il pensiero che tra poche ore finalmente se ne andrà da
Loguetown lo fa stare meglio. Ancora non capisce perché abbia ceduto alla
richiesta di Tashigi così facilmente, ma tra
poche ore lascerà Loguetown, ed è questo quello che conta, giusto?
Nel frattempo, però, deve trovare
qualcosa da fare. Non è che
abbia chissà chi da salutare lui, visto che tutti in città lo odiano, però
forse una visitina all'unica persona che considera suo pari a Loguetown la può
fare, prima di partire.
~*~
«Ah, Smoker, sei tu. Vieni, entra».
Daddy sembra sorpreso — forse
perché le volte in cui Smoker è andato a trovarlo a casa sua in trent'anni di
vita si possono contare sulle dita di una mano —, ma si fa comunque da parte e
lo lascia entrare.
Smoker annuisce. «Sono venuto a
salutarti».
Si sente incredibilmente stupido, a
dire una frase del genere. Perché Tashigi riesce a farla sembrare una cosa
normale, mentre lui passa per un idiota?
«Non mi aspettavo una tua visita,
ma sono contento che tu sia venuto: Carol ti ha preparato dei biscottini,
stamattina, e ci teneva a consegnarteli di persona prima che partissi».
Smoker si ferma, allora, e resta
immobile di fronte al tavolo su cui sono sparpagliate le pistole che Daddy
stava pulendo.
Non aveva pensato a Carol. Non
aveva pensato ai bambini di Loguetown in generale, in realtà, anche se loro
sono gli unici che non lo odiano per aver rovinato i loro affari e non lo
temono per il suo Frutto del Diavolo — anzi, trovano che gli animali di fumo
siano particolarmente carini e si divertono a farsi trasportare in giro dal suo
elemento.
I bambini gli mancheranno,
probabilmente.
Scuotendo la testa, Smoker sospira
e chiede, «Dov'è Carol?».
Daddy raccoglie i pezzi di varie
pistole, le riassembla e le nasconde di nuovo sotto il suo poncho mentre
risponde con un ghigno, «Di sopra, nella sua stanza, ma sono sicuro che si è
già accorta che sei arrivato. Si starà solo facendo bella per il suo zio
preferito».
Pochi secondi, infatti, e Carol sta
scendendo le scale, e un momento dopo è già aggrappata al collo di Smoker.
«Zio Smokey! Sono contenta che sei
venuto a trovarci prima di partire!», trilla mentre si stringe ancora di più a lui.
Smoker sorride un po' — solo un
po', perché non ci è abituato e perché gli è stato detto che il suo sorriso è
traumatizzante, specialmente per i bambini — e goffamente ricambia la stretta.
Non sa mai dove mettere le mani quando prende in braccio Carol, perché il suo
vestito, con tutti quei pizzi e merletti e trine e fiocchetti, è
incredibilmente ingombrante e quella chioma voluminosa gli solletica il viso,
ma Carol ride e lo abbraccia più forte e quindi Smoker smette di preoccuparsi e
pensa solo ad accarezzare piano i suoi capelli biondi.
«Carol, non vuoi dare a Smoker il
suo regalo?», interviene Daddy.
Carol annuisce con forza, si sfila
dal suo abbraccio e corre in cucina. Quando ritorna, ha in mano tre pacchetti
di biscotti chiusi da un fiocchetto.
«I due più piccoli sono per te e
Tashigi, mentre quello più grande è per il resto della ciurma», spiega con un
sorriso, porgendoglieli.
«Originariamente quello più grande
doveva essere per te e gli altri due per Tashigi e la ciurma, ma sono riuscito
a convincerla che non è carino mostrare certi favoritismi così platealmente»,
scherza Daddy, affondando una mano tra i riccioli biondi della figlia.
Lei si imbroncia un po' e mormora
qualcosa sul fatto che non è colpa sua se vuole più bene a Smoker che agli
altri, ma dura solo un momento, e Carol torna subito a sorridere.
«Sei contento di partire?», gli
chiede, facendolo accomodare su una sedia e saltandogli in grembo.
«Sì, ma tornerò presto», la
rassicura Smoker, passandole una mano dietro la schiena per assicurarsi che non
cada.
Una parte di lui è certa che ci
vorrà poco per catturare Cappello di Paglia, ma un'altra, che proprio non vuole
saperne di stare zitta, continua a ripetergli che forse quel ragazzino gli darà
del filo da torcere, più di quanto non abbia già fatto. Non è una bella
sensazione, ma Smoker sa che alla fine lo catturerà — incontrerà molte
difficoltà, senza dubbio, ma alla fine lo catturerà.
«E quando parti?».
«Domani mattina all'alba. Dovevamo
salpare oggi, ma—».
«Fantastico!», esulta Carol,
battendo le mani una volta e scendendo dalle sue gambe. Gli prende una mano tra
le sue — a malapena riesce ad afferrare due dita, in realtà, ma la sua stretta
è salda e decisa — e poi esclama di nuovo, «Questo vuol dire che hai tempo per
portarmi a prendere un gelato!».
Gli piace far contenti i bambini
offrendo loro il gelato e gli piace ancora di più l'idea di passare qualche ora
con Carol, quindi, dopo aver ricevuto un cenno d'assenso da parte di Daddy,
accetta la proposta — che non era veramente una proposta, perché è sicuro che,
se non avesse accettato, Carol avrebbe trovato comunque un modo per
costringerlo.
Si alzano tutti in piedi e, mentre
Carol afferra i suoi jeans e comincia a trascinarlo verso la porta, Daddy gli
preme una mano callosa ma calda sulla spalla e lo guarda dritto negli
occhi.
«Quando tornerai, Smoker, ci
affronteremo in duello e io ti batterò», gli assicura, ghignando e scuotendolo
un po'.
Smoker ricambia con un mezzo
sorriso, annuisce e un attimo dopo si è già richiuso la porta di casa Masterson
alle spalle.
~*~
«Allora, tu che gusti vuoi?».
Si stanno dirigendo verso la
gelateria — Quella bella, quella che se
vuoi sul gelato ti mettono anche la panna, il cioccolato e le praline colorate,
gli ha spiegato Carol — e Smoker non ha idea di che gusto prendere, principalmente
perché lui non mangia mai il gelato. Neanche lo vuole, in realtà, il gelato, ma
Carol ha insistito, perché a quanto pare non si può partire per un lungo
viaggio senza prima aver mangiato almeno un cono, e Smoker ha capitolato...
be', subito, praticamente.
«Non lo so. Qualche idea?».
Carol aggrotta le sopracciglia in
un'espressione di profonda concentrazione, poi annuisce e finalmente risponde,
«Io prendo fragola e pesca, ma tu... tu sei un tipo da limone e vaniglia».
Lo dice con così tanta convinzione
e ovvietà che Smoker non può far altro che rimanere in silenzio ed aspettare
che lei elabori il concetto.
«Dico vaniglia e limone perché a
volte sei dolce, ma altre volte... be'».
Non vuole neanche sapere che cosa
vuol dire quel be' messo lì così, anche
se sospetta che Carol stia tentando di consigliargli, non tanto discretamente,
di cercare di essere meno acido. È inutile lamentarsi, però, perché tanto sa
già che prenderà esattamente i gusti che Carol gli ha suggerito.
~*~
Carol è sull'orlo delle lacrime e
Smoker, per quanto possa adorare i bambini, non sa proprio come comportarsi in
certi casi. La cosa peggiore, poi, è che è colpa sua se sta piangendo.
Effettivamente gli era sembrato
strano che Carol non fosse nemmeno un po' triste per la sua partenza, ma adesso
capisce che la sua allegria era dovuta al fatto di non aver compreso bene la
situazione.
Carol è intelligente e sveglia, ma
è e resta una bambina, e Smoker avrebbe dovuto accorgersi che non aveva capito
appieno, che pensava che il suo viaggio sarebbe durato solo qualche settimana o
tutt'al più qualche mese. Quando lui si è lasciato sfuggire quello che ha
sempre segretamente pensato — che, nonostante la sua determinazione,
probabilmente ci vorranno anni per catturare Cappello di Paglia —, Carol non ha
retto.
Smoker non sa come comportarsi, non
sa cosa fare, ma pensa — spera — che forse un abbraccio può sistemare tutto.
~*~
Carol sorride di nuovo. Smoker non
ha idea di come ci sia riuscito, ma Carol è tornata a sorridere, e quindi va di
nuovo tutto bene.
~*~
Stanno tornando indietro, verso
casa, e per farlo devono passare di nuovo dalla gelateria in cui si sono
fermati qualche ora fa, prima di andare al parco e poi al cinema e prima che
Carol scoppiasse a piangere e si stringesse a lui come se non dovesse più
lasciarlo andare.
Di fronte alla gelateria c'è una
bambina bionda che, a giudicare da come tira la maglietta dell'uomo accanto a
lei, sta cercando di convincere suo padre a comprarle un cono, e Smoker crede
di riconoscerla.
È la bambina del gelato a tre palline, la sua mente gli suggerisce, e Smoker
decide, senza un vero motivo, di fermarsi e aiutarla.
«Aspetta un attimo, Carol», dice
solo, stringendo un po' la presa sulla sua mano e cominciando a dirigersi verso
la gelateria.
Lei lo segue senza fare domande,
ma, quando capisce dove stanno andando, si ferma e sembra non avere alcuna
intenzione di muoversi. Incrocia le braccia al petto, arriccia le labbra in una
smorfia irritata e solleva il mento, osservando la scena con occhi ridotti a due
fessure.
«Chi è quella lì?», gli chiede in
tono accusatorio.
Smoker non ha idea di che cosa lo
stia accusando esattamente, quindi si limita a rispondere, «È una bambina che
ho incontrato qualche giorno fa, quando—». Si interrompe, perché il ricordo di
Cappello di Paglia non gli rovinerà anche il suo ultimo giorno a Loguetown, e
taglia corto, «Le ho offerto un gelato».
Carol allora pesta un piede a
terra, si aggrappa ai suoi jeans e, cercando di trascinarlo dalla parte
opposta, borbotta, «Okay, l'hai rivista adesso, quindi ora possiamo anche
andarcene».
Smoker non si muove di un
millimetro. Non è sicuro di cosa stia succedendo, ma decide comunque di non
accontentare Carol, questa volta.
Lanciandole un'occhiata confusa — davvero, che cosa le è preso? —, si inginocchia
accanto a lei, stacca delicatamente le sue piccole dita dalla stoffa dei suoi
pantaloni e, ricevendo uno sguardo torvo e un broncio adorabile in risposta,
con una mano le arruffa un po' i capelli — non troppo, se no si arrabbia — e
con l'altra la prende per mano, conducendola verso la gelateria.
Si avvicinano alla bambina — Yu, se
Smoker ha interpretato bene lo sbuffo esasperato con cui l'uomo sta tentando di
resisterle —, che sta ancora cercando di convincere il padre a prenderle un
gelato.
Quando Yu nota Smoker, si gira
verso di lui con un sorriso ed esclama, «Ciao, signor Marine! Alla fine l'ho
comprato, quel cono a cinque gusti, sai?».
Smoker annuisce. «Sono contento. Ne
vuoi un altro?».
Yu esita un attimo, osservando i
suoi pantaloni con sguardo sospettoso.
«No, non si mangeranno il tuo
gelato, questa volta», la rassicura Smoker, arrossendo un po'.
Lei lancia un'ultima occhiata
guardinga ai suoi jeans, poi alza la testa verso di lui e sorride.
Il padre, invece, emette un verso
strano — gli ricorda vagamente il suono che fanno i pirati quando vengono
strangolati dal cappio —, probabilmente perché vorrebbe protestare ma non ha
idea di come opporsi a Smoker, e così decide saggiamente di starsene zitto e
limitarsi ad annuire freneticamente quando sua figlia gli chiede il permesso di
accettare l'offerta.
La bambina batte le mani e sorride
così tanto che Smoker si chiede come faccia il suo viso a non spaccarsi in due,
mentre Carol è ancora lì, con le braccia incrociate e il naso per aria, e
rifiuta testardamente di incontrare il suo sguardo. Smoker scuote la testa — le
passerà, prima o poi.
La fila per prendere il gelato è
lunghissima e scorre pianissimo, e forse è questo che spinge l'uomo a rompere
il silenzio che è calato fra di loro.
«Uh... È da quando abbiamo ricevuto
la notizia della sua partenza che volevo ringraziarla p-per tutto il suo
impegno e per i risultati ottenuti finora e quindi, ecco...». Si interrompe
solo per lasciarsi scappare un risolino acuto e poi conclude, «Uh, grazie. Sì,
g-grazie».
Smoker non gli crede neanche per un
momento — forse ci riuscirebbe se il tizio trovasse finalmente il coraggio di
guardarlo negli occhi per più di un secondo, o se la piantasse di comportarsi
come se l'idea di ringraziare un possessore di un Frutto del Diavolo lo stesse
uccidendo —, ma decide di risparmiargli l'umiliazione di essere additato come
bugiardo ipocrita di fronte alla figlia.
«Vai via?».
A parlare è proprio Yu, e forse a
lei dispiace davvero che Smoker se ne vada, perché i suoi occhioni sono
diventati enormi e lucidi e lui non può fare a meno di pensare che ai bambini
basta un gelato per volerti bene, ma questo non cambia il fatto che lui non ha
ancora imparato come ci si comporta con i mocciosi che piangono e—
«Sì, se ne va. Per inseguire un
pirata». Carol lo salva, rispondendo al suo posto, anche se lo fa con un tono
irritato e sbrigativo che lui non avrebbe mai usato con un bambino. «Ho provato
a convincerlo a restare, ma non mi ascolta. È molto testardo, papà l'ha sempre
detto. Che poi non vedo proprio che cos'ha un pirata in più di me, ma in fondo
chi sono io per impedirgli di partire?», continua, con l'aria melodrammatica di
un'attrice consumata.
Smoker alza gli occhi al cielo, ma,
inginocchiandosi alla sua altezza, sospira, «Smettila, Carol. Lo sai che ti
voglio bene e che mi dispiace lasciare te e tuo padre».
Si sente ancora un idiota a dire
cose del genere e continua a non capire perché, visto che quando lo fanno gli
altri sembra la cosa più normale del mondo, ma, se serve a risollevare il
morale a Carol, allora forse un'eccezione la può fare.
Lei lo guarda di sottecchi, con le
braccia ancora saldamente incrociate al petto, ma il broncio sul suo volto sta
cominciando a sciogliersi in un'espressione più rassegnata che altro.
Dopo qualche secondo, Carol lascia
cadere le braccia lungo i fianchi, alza gli occhi al cielo e sospira, «Va bene,
ti credo. Ti voglio bene anch'io».
Soddisfatto, Smoker annuisce, poi,
rivolto a Yu, risponde, «Sì, parto domani, ma non preoccuparti: sono sicuro che
il tuo papà ti darà il permesso di comprare un gelato a cinque gusti, ogni tanto».
Si ferma, lancia un'occhiata eloquente all'altro uomo — anche se non avrebbe
nemmeno bisogno di voltarsi per sapere che l'altro sta sudando e annuendo
febbrilmente ad ogni sua parola —, poi conclude, «E se non lo fa, quando torno
me lo dici e ci penso io a convincerlo, okay?».
Finora non aveva ancora preso in
considerazione un possibile ritorno a Loguetown dopo aver finalmente catturato
Cappello di Paglia, e francamente l'idea non lo attira per niente, però ne vale
la pena se la sottile vena di minaccia nella sua voce rende felice una bambina
e fa tremare come una foglia quel codardo di suo padre.
Una volta comprato il gelato per
Yu, Smoker decide che è venuto il momento di tornare a casa — è sera, ormai, e
Daddy li starà sicuramente aspettando —, quindi, dopo aver raccomandato a Yu di non esagerare con il gelato perché fa
male alla salute, si ferma a qualche metro di distanza dal locale e osserva la
bambina.
Si passa una mano tra i capelli,
pensando a cosa può dire. Quando non gli viene in mente niente, sospira e si
limita a mormorare, «Tornerò presto. Non diventare una piratessa in mia
assenza. Per favore».
Yu lo guarda con espressione
confusa, voltandosi verso il padre in cerca di chiarimenti.
Insieme si incamminano verso casa
Masterson e, una volta arrivati davanti alla porta, Smoker si inginocchia per
l'ennesima volta di fronte a Carol e le poggia delicatamente le mani sulle spalle, fissandola con tutta la serietà che un
tale argomento merita.
«Quello che ho detto a Yu vale anche
per te: non diventare una piratessa in mia assenza, ti prego».
Carol scarta l'idea con uno sbuffo
di derisione, perché Daddy l'ha cresciuta bene e le ha insegnato che i pirati
sono i veri cattivi, e quindi Smoker può considerarsi doppiamente soddisfatto.
Rientrano in casa, dove Smoker
declina un invito a cena, prende i suoi biscotti e saluta definitivamente Daddy
e Carol, rispettivamente con una pacca sulla schiena e un abbraccio che spera
trasmetta tutte le cose che non è riuscito a dire nel corso della giornata.
Non sa se ci è effettivamente
riuscito, ma gli piace pensare di sì, perché Carol gli ha schioccato un sonoro
bacio sulla guancia e gli ha fatto un sorrisone così luminoso che da solo
avrebbe potuto illuminare la notte buia che circonda Loguetown, e in fondo — in fondo è questo ciò che conta.
~*~
Per raggiungere il porto dove è
ormeggiata la sua nave, Smoker prende la strada panoramica, quella che fa il
giro di buona parte dell'isola e che lui non ha mai percorso perché l'ha sempre
ritenuta un'inutile perdita di tempo, visto che non è che ci sia un granché da
vedere a Loguetown a parte la piattaforma su cui—
Loguetown non gli è mai piaciuta più
di tanto. Non è mai riuscito ad apprezzarla appieno neanche da piccolo e poi,
dal momento in cui è entrato a far parte dei ranghi della Marina, l'ha sempre considerata la prigione
in cui era stato relegato per ordine dei suoi superiori, e solo adesso, nella
sua ultima notte qui, dopo aver trascorso la giornata con gli unici abitanti
della città che gli vogliano veramente bene, si è reso conto che forse non è
così, che forse, quando ha dato a Tashigi il permesso di rimandare la partenza,
era un po' anche perché lui stesso voleva rimanere ancora qualche ora nella sua
città natale. Non è sentimentale e non è nemmeno particolarmente nostalgico, ma
pensa che sia normale affezionarsi ad un luogo quando ci hai passato una vita
intera, anche se per buona parte del tempo ci sei stato costretto dai tuoi
superiori perché sei fondamentalmente un cane sciolto.
E quindi continua a non sopportare
l'ambiente asfissiante, gli abitanti paurosi e ipocriti e i pirati indegni di
questo nome, ma Loguetown è la città dell'inizio e della fine, e Smoker sa che
ci ritornerà, prima o poi, e per adesso questa consapevolezza è abbastanza.
N/A:
Se ve lo state chiedendo, no, il
finale non ha molto senso. È che io personalmente non riesco mai ad afferrare
bene le motivazioni che spingono Smoker a fare quello che fa, e quindi questo è
il risultato :|
Era da una vita che avevo in mente
di scrivere qualcosa di fluffoso su Smoker e un paio di bambini a caso e
finalmente ci sono riuscita, yay! Però ho paura che la gente non si ricordi
minimamente chi sono Carol e Daddy Masterson, visto che io stessa sono dovuta
andare a ripescarli dagli abissi di One Piece Wiki per capirci qualcosa :/
La fanfiction ovviamente diverge
dal canon innanzitutto perché se no non avrei potuto scrivere la storia, e poi
anche perché mi sono sempre chiesta come gli è saltato in testa a Smoker di
prendere e andarsene così, lasciando Loguetown in balia dei pirati che fino a
un attimo prima aveva fatto di tutto per decimare. Smokey, perché sei sempre
così incoerente? Sarebbe tutto più facile se la smettessi di predicare bene e
razzolare male :S
Sempre a proposito di personaggi
super-secondari, il nome della bambina del cono a tre gusti non l'ho inventato
io: a quanto pare Oda-sensei si è preso la briga di darle un nome ufficiale — Yu, per l'appunto.