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Autore: wolfmxm    02/08/2014    1 recensioni
“Mamma, io non sono papà, non ti farei mai del male! Però, sei tu che ne fai a me, ed io non voglio essere intrappolato in casa… Io me ne vado e non posso tornare, mi dispiace tanto mamma, ma tu mi fai del male. Io voglio vivere la mia vita, non cercarmi.”
Quanto sei disposto a pagare, Josh, bambino mio, per la tua libertà? Cosa sei disposto a perdere?
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Josh iniziò le scuole elementari era un bambino bellissimo, contento, esuberante; sapeva come comportarsi, sì, quando qualcuno diceva che era ora di smettere di giocare, lui smetteva. Ubbidiente.
Nonostante non potesse avere sempre ogni cosa, non osava contraddire mai sua mamma, perché la mamma era intelligente, sapeva come crescerlo. Lo dicevano tutti, ma lui lo sapeva, loro parlavano, lui si fidava ciecamente della mamma.
Una sola volta insistette perché lei gli comprasse qualcosa, ma era qualcosa che Josh desiderava davvero e lei lo capì. Il giorno seguente, al mattino presto, lo svegliò con il suo solito bacio sulla fronte e gli disse: «Lo sai cosa ti ho portato? Ti ricordi la macchina da scrivere che un po' di giorni fa desideravi tantissimo? Su, bambino mio, sveglia, che io voglio leggere ciò che scriverai!», rimase a letto per un po', sapeva che la mamma doveva aver fatto dei sacrifici per comprarla, quindi si vestì, corse giù più velocemente che poteva che quasi cadde, ma si mise subito a scrivere una poesia per la mamma. L'esito non fu dei migliori, ma la mamma baciò la poesia e la mise in mezzo alla bibbia, accanto ad una rosa secca.
 
Cominciata la prima media era cambiato qualcosa, la mamma era più distaccata, si assentava da casa e lasciava Josh con i vicini. Lui li odiava, davvero. Li odiava dal profondo del cuore.
«Ahah! Non sai giocare! Non ne hai uno in casa?»
«E' che preferisco fare altro, la mamma mi ha compr...», non fece in tempo a finire la frase che il fratello di quello piccolo si affrettò a ripetere, con voce effeminata: «Lo ha comprato la mamma -e fece un gesto con la mano, quasi come se stesse facendo dei cerchi: le dita distese morbidamente, il polso lasciato al caso e il continuo roteare di quella mano, piccola ed innocente, ma che stava lanciando una sentenza- gne gne, la mamma, lo ha comprato la mamma! Per me sei gay! Gay! Gay!"»
Non volle più tornare dai vicini, dopo quel pomeriggio crudele.
 
Dimenticato il passato, durante l'estate fra la terza media e la prima superiore, Josh decise che era ora di cambiare. Doveva essere meno timido, meno introverso, voleva vivere libero! Come i protagonisti delle storie che scriveva e leggeva continuamente.
La macchina da scrivere si era trasformata in un notebook, la sera stessa lui aveva preparato una cenetta per la mamma, che aveva fatto tanti sacrifici per poterglielo comprare. Ma la mamma rimase fuori casa per un paio di giorni, e Josh si sentì tradito. Perché doveva sempre abbandonarlo? Perché tutti lo stavano abbandonando?
 
«E allora, bambino mio? Vuoi partecipare, mh?». La mamma aveva letto il foglio informativo sul concorso che si sarebbe tenuto nella nuova scuola di Josh, Scrivere.
Quell’anno, per la prima volta in vita sua, aveva fatto leggere un suo racconto a qualcuno che non fosse la mamma. Era sicuro non sarebbe piaciuto a nessuno, ed effettivamente non piacque. Tranne ad un certo Sam M, come diceva il nome sulla targhetta. Disse che avrebbe potuto avere un futuro, in futuro. Faceva spesso questo tipo di giochi di parole, Josh ne era divertito, la mamma diffidava assolutamente di questo sconosciuto che proponeva una vita nel mondo della scrittura, a  New York. Troppo lontano disse all’inizio, poi, pian piano, rimurginava qualcosa fra i denti, per non farsi sentire da Josh: «Oh bambino, non vedi che sei ancora piccolo? Ti mangerebbero vivo, bambino mio», gli disse un giorno. E da quel giorno non ne parlarono più, smisero di parlare di scrittura, definitivamente.
Quelle parole divennero il suo incubo, un incubo che custodiva con disperazione, non volendo ferire mamma, non volendo ferirla più di quanto lo avesse ferito lei.
 
Una donna sciupata, la sua bellezza non più intatta, rovinata, finita, addolorata. Neanche la forza di alzarsi dal letto. Dolore, lacrime. Nient’altro in quel corpo mezzo morto.
Aveva vissuto con un tumore maligno per anni, fino a vedere il figlio crescere, prendere la sua strada, vivere libero.
“Mamma, io non sono papà, non ti farei mai del male! Però, sei tu che ne fai a me, ed io non voglio essere intrappolato in casa… Io me ne vado e non posso tornare, mi dispiace tanto mamma, ma tu mi fai del male. Io voglio vivere la mia vita, non cercarmi.”  aveva scritto in una lettera, lettera ormai sbiadita nei ricordi della donna; le uniche frasi intatte erano quelle, ma soprattutto quel “non cercarmi”. Non lo fece, mai, lasciò che il figlio vivesse davvero, come aveva sempre desiderato da bambino.
 
La donna morì due giorno dopo la visita del figlio, che aveva saputo, solo poche ore prima, dell’imminente morte della madre, a causa di un tumore. L’infermiera disse di averlo visto correre e piangere, versare lacrime dall’ingresso dell’ospedale fino alla camera 023, della paziente  Mariem, o Mamy, come l’avevano soprannominata, conoscendo il suo amore per il figlio Josh.
   
 
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