Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Amy Dickinson    02/08/2014    3 recensioni
Una piccola favola, semplice e priva di pretese, dedicata al mio OTP in questo fandom: SanSan ❤ 
Sansa è una bambina che vive tranquilla la sua vita nel villaggio di Winterfell, scandita dalle passeggiate con Lady, dalle faccende di casa e dai litigi con sua sorella Arya. Un incontro segnerà una svolta nella sua esistenza e un evento incredibile la cambierà per sempre :3
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amy Dickinson © 2014 (02/08/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

 

 

 

 

 

 

 

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- Capitolo Sette -

 

Eddard e Catelyn furono sollevati nel veder rincasare Sansa prima che si scatenasse la tempesta di grandine che di lì a poco avrebbe sferzato Winterfell – i repentini cambiamenti del tempo erano un’abitudine da quelle parti e quando capitavano era bene essere al riparo in casa. Ma assunsero un’aria ragionevolmente sospettosa quando notarono che la loro bambina teneva per mano uno sconosciuto. 

«Per fortuna sei qui» disse Cat, non appena sua figlia mise piede nell’ingresso. 

«Sansa, puoi dirci chi è costui?» chiese Ned, scansandosi per evitare che Lady lo schizzasse con l’acqua che si stava scrollando di dosso.

«Certo, anche se so già che non mi crederete...» replicò la fanciulla. 

«Perché non dovremmo?» domandò sua madre. 

«Va bene» acconsentì con un lieve sorriso, chiudendo la porta d’entrata e aiutando l’amico a togliersi di dosso il mantello fradicio. «Padre, madre, vi presento Sandor»

Ned prima aggrottò la fronte, poi inarcò le sopracciglia con fare perplesso, infine distolse lo sguardo. 

«Figliola, so che sei dispiaciuta per aver perso un amico a cui tenevi, ma purtroppo è morto e dovresti fartene una ragione» ricordò. 

«Ma...»

«Ed era un cane, qualora lo avessi dimenticato. Non so cosa ti abbia fatto credere con tanta sicurezza che quest’uomo possa essere lui, ma sta di fatto che una cosa del genere è impossibile»

«Sapevo già che non mi avreste creduto. Lo so, anch’io stento ancora a farlo, ma guardatelo, padre. Guardate il suo viso, poi guardatemi negli occhi e vi accorgerete che non sto mentendo»

Mentre suo marito e sua figlia erano intenti a parlare, Cat osservò attentamente quella faccia alla luce delle candele e si rese conto che era parzialmente bruciata. Fu allora che l’espressione sul suo volto mutò, passando da scettica a incredula. Il mastino era gravemente ferito e di certo era morto nella Foresta del lupo. Solo un grande amante di storie di fantasia come il suo piccolo Bran poteva credere che il giovane uomo che si ritrovava davanti potesse essere lo stesso Sandor in forma umana, tutto ciò era semplicemente ridicolo. Eppure quella bruciatura... Possibile che non si trattasse solo di una coincidenza? Possibile che Sansa stesse dicendo il vero?

«Per quanto sfugga ad ogni logica, credo che nostra figlia abbia ragione, caro» commentò, fissando con insistenza la ferita su quella faccia dura.

«Cat, adesso non mettertici anche tu!» esclamò Ned, più sorpreso che irritato.

Ma la donna non fece caso a suo marito, avanzò di qualche passo e si fermò di fronte al nuovo arrivato. Lo scrutò con occhio indagatore, alla ricerca di conferme.     

«Puoi provare di essere davvero Sandor?» gli domandò. 

«Temo di no» le rispose. 

«È ovvio che non può!» sbottò il sindaco.  

«Ma puoi dirci come ti sei procurato quella bruciatura, no?» continuò imperterrita Cat.  

«Un uomo ha cercato di sbarrarmi la strada con una fiaccola, non mi sono fermato e così mi sono ritrovato con le fiamme in pieno viso» spiegò, la voce tradiva una nota di dolore che suonava simile al latrato di un cane. 

«Non ricordateglielo, madre» la pregò Sansa.  

«E perché non hai evitato che il fuoco ti bruciasse?»

«Perché volevo aiutare vostra figlia»

«Ma non è stata la prima volta che le hai prestato soccorso. Hai anche impedito che annegasse, dico bene?»

Sandor annuì in silenzio. 

«E come avresti fatto, se eri un cane?» chiese allora Ned. 

«In quel momento non lo ero. Ho legato una corda al tronco di un albero e mi sono calato giù» 

Ned aggrottò nuovamente la fronte, in un misto di scetticismo e crescente irritazione. 

«Siete libero di non credermi» continuò Sandor. «Volevo soltanto ringraziare voi e vostra moglie per avermi ospitato qui quando ero in fin di vita, per avermi nutrito e curato. E adesso tolgo il disturbo»  

«No!» esclamò Sansa, mentre la madre le avvolgeva addosso il proprio scialle. 

«Aspetta un momento» disse contemporaneamente il podestà, massaggiandosi le tempie con aria stanca. 

L’uomo restò in attesa. 

«Quando sono andato a cercare il mastino, il meta-lupo di mia figlia ha annusato il sangue sulla strada e ha ululato di dolore, come se sapesse»

«È così. Sono andato a nascondermi nella foresta e Lady ha fiutato odore di morte»

«Dunque, stai dicendo che sei morto?»

«Come cane. Poi però ho aperto gli occhi e mi sono risvegliato così»

Eddard non rispose, non sapeva cosa pensare. Credere in quelle parole era assurdo, ma lo era anche continuare a negare che quell’uomo sfigurato avesse ragione, visto che conosceva molti particolari che un perfetto sconosciuto avrebbe ignorato. E poi Sansa non era così sprovveduta da dare confidenza a uno sconosciuto. 

«D’accordo, ascolta, questa storia ha dell’incredibile, però non mi sembra il caso di restare qui impalati. Non ti conosco, ma non ho intenzione di cacciarti dalla mia casa, specialmente quando fuori c’è un tempo simile. Siete entrambi infreddoliti, venite a scaldarvi davanti al camino»

Si spostarono tutti in salotto e Catelyn andò a preparare qualcosa di caldo. Nel frattempo i fratelli di Sansa fecero capolino dal corridoio per vedere chi era arrivato. 

«Abbiamo ospiti?» chiese Jon, guardando il giovane uomo. 

«Sì» rispose Eddard. 

«Caspita che bruciatura!» esclamò Arya, additandolo in modo sfacciato. «È identica a quella che aveva il mastino» 

«Hai indovinato, Arya» commentò Sandor. 

Ned non nascose la sorpresa e non lo fecero neppure i suoi figli – ad esclusione di Sansa, che sedeva tranquilla accanto all’amico. 

«Ehi, come fai a sapere il mio nome?» fece la Stark più piccola, guardandolo con diffidenza e rivolgendoglisi in modo diretto.

«Già, non vi abbiamo mai visto» concordò uno dei fratelli. 

«Hai ragione, Jon» 

«Sapete anche il mio? Ma com’è possibile?» 

«Scommetto che il mio non lo conoscete» disse allora Robb. 

«E nemmeno il mio» si accodò Bran. 

«Invece sì» assicurò Sansa. 

«Robb e Bran» fece l’ospite. 

«Ma non vale, glieli hai spifferati tu!» protestò Bran, rivolgendosi alla maggiore delle sue sorelle, che in quel momento aveva un sorrisetto colpevole dipinto sulle labbra. 

«No, Sansa non c’entra» disse Ned. 

«Ma allora è un vostro amico, padre?» chiese Robb. 

«Non proprio» 

«Forse è il caso che vi racconti la mia storia» decise Sandor. «Ma  sarà difficile da credere» 

«Evviva, un racconto!» esultò Bran. 

«Qualsiasi cosa dirai, io ti crederò» volle fargli sapere la fanciulla dai capelli rossi al suo fianco. 

Lui accennò una specie di sorriso e bevve un sorso di vino alle spezie dalla tazza che Catelyn gli aveva appena offerto. 

«Tutto ebbe inizio sedici anni fa...»

 

 

Era una fresca giornata di inizio autunno a Torrhen’s Square e due vivaci fratellini si aggiravano nei pressi di un piccolo bosco di faggi al limitare della Foresta del lupo per raccogliere della legna. Stavano ridendo per una battuta del più grande quando una voce attirò la loro attenzione. 

«Bambini, aiutereste una povera donna in difficoltà?» chiese un’anziana contadina, accovacciata sul bordo di un pozzo. 

«Non vedi che abbiamo da fare? Va’ a scocciare qualcun altro» rispose il fratello maggiore. 

«Ma il secchio è troppo pesante per me e voi sembrate due giovanotti vigorosi» insisté.

«Lo siamo» confermò il fratello minore, mostrando il mucchio di rami che teneva fra le braccia. «Volete che tiriamo su l’acqua per voi?»

«Oh, sì, ve ne sarei grata» 

Il bambino si fece avanti, ma il fratello gli diede prontamente la sua parte di legna e si avvicinò alla donna. 

«Ci penso io, ma sappi che voglio una ricompensa» 

«Quello che vuoi, ragazzo mio. Non mi dimentico mai di chi mi è d’aiuto»

Il fanciullo si sporse sul ciglio del pozzo e tirò su le catene del secchio con tutta la sua forza. 

«Grazie, sei stato molto gentile» disse la contadina, protendendo le mani verso il secchio straripante d’acqua.   

Un ghigno malevolo si era dipinto sul volto del fratello maggiore e il minore, che lo conosceva bene e ne era spaventato, sapeva che non preannunciava nulla di buono. 

«To’, eccoti l’acqua!» fece, sollevando il secchio e svuotandone l’intero contenuto sulla testa della malcapitata, infradiciandola da capo a piedi. 

La scena era divertente e il bambino più piccolo, pur sapendo che non era giusto, scoppiò in una risata fragorosa insieme al fratello. 

«Vuoi dell’altra acqua, giusto?» ridacchiò il più grande. «Prenditela da sola, stupida vecchia!»

Così dicendo, la spinse oltre il bordo e la fece precipitare giù nel pozzo. La donna cacciò un urlo impressionante, che si interruppe solo quando toccò la superficie dell’acqua con un tonfo. 

A quella vista, il fratello minore smise di ridere immediatamente e impallidì. 

«Ma cos’hai fatto?» chiese con orrore. «Il pozzo è profondo, morirà annegata!»

«E allora? Cosa vuoi che me ne importi?» fu il commento sprezzante dell’altro. «Su, muoviti, dobbiamo portare la legna in piazza»

Il più piccolo fissò il pozzo con aria impaurita. Avrebbe voluto aiutare quella poveretta ma era solo un bambino e non aveva idea di come fare. 

«A meno che tu non voglia seguire la vecchia, Sand...» propose il fratello maggiore. 

Inutile dire che il bambino non ci pensò neppure e seguì il più grande, sebbene continuasse a voltarsi indietro con preoccupazione. 

Raggiunta la piazza del paese, si misero ad aiutare il loro padre, trasportando legna da ardere a casa di chiunque ne acquistasse. Faceva già abbastanza freddo da accendere il fuoco nei camini, così i guadagni erano cospicui e le giornate dei bambini lunghe e molto faticose, troppo per una cena a base di pane vecchio e una scodella di zuppa insipida. Eppure quella era la vita che conducevano e non potevano fare altrimenti o l’unico genitore che restava loro li avrebbe presi a bastonate. O almeno era così che l’uomo minacciava il più piccolo, dato che per il primogenito aveva in progetto di pagare un cavaliere affinché lo prendesse con sé come scudiero. Anche al minore sarebbe piaciuto imparare a combattere, ma il padre non aveva occhi che per l’altro. 

«Gregor è robusto e ha una forza spropositata per un ragazzino della sua età. Chi potrebbe dire che non ha le qualità per combattere con spada e mazza ferrata?» soleva dire l’uomo con compiacimento. «E tu, Sandor, spicciati a portare quel carico o, parola mia, stasera andrai a dormire a stomaco vuoto!»

Quella notte i due fratelli caddero in un sonno profondo e fecero sogni strani e inquietanti. Ma l’incubo peggiore lo ebbero al risveglio: di colpo erano diventati cuccioli di cane! 

«Dove si sono cacciati quei due buoni a nulla?» sbraitò il loro padre quando non li trovò in casa. «Gregor! Sandor!» 

Non si preoccupò minimamente dei due piccoli mastini che trovò nella loro stanza perché aveva già un cane e pensò che quelli facessero parte dell’ennesima cucciolata di una qualche cagna selvatica. 

Sandor e Gregor risposero alle grida con un sonoro abbaiare, ma non ricevettero alcuna attenzione. Allora presero ad incolparsi a vicenda e finirono con l’azzuffarsi. Il mastino che avevano in casa si svegliò e, non riconoscendoli, li cacciò di casa con ringhi minacciosi, costringendoli a saltare fuori da una bassa finestrella. 

Il fratello minore era certo che quella trasformazione fosse opera della vecchia contadina che il maggiore aveva fatto cadere nel pozzo il giorno precedente, quindi insisté che dovevano ritrovarla e scusarsi con lei. Gregor non ebbe da ridire, odiava essere un cane, e così si incamminò in direzione della foresta con Sandor.  

Arrivati sul sentiero, i due cani incrociarono diversi uomini, donne e bambini che diedero loro rapide occhiate curiose prima di distogliere lo sguardo e tornare ai propri pensieri. Poi fu la volta di un uomo che non avevano mai visto prima. Costui era alto, biondo ed era vestito in modo raffinato. Si fermò e osservò i cuccioli. 

«E voi da dove saltate fuori?» domandò, chinandosi ad accarezzarli. 

I cagnolini gli ringhiarono contro, scatenando in lui una risata altezzosa ma genuinamente divertita. 

«Avete un carattere forte, eh?» commentò, prendendoli per la collottola ed osservandoli alla luce del mattino. «Tu ti chiami Gregor. E tu Sandor. Avete già un padrone, dunque»

I fratelli erano stati talmente impegnati a bisticciare da non essersi accorti dei collari intorno ai loro colli. Erano sottili strisce di cuoio con incisi sopra i loro nomi. 

«Beh, due esemplari come voi sono sprecati in mezzo a questi zotici. Sono disposto a pagare una bella somma per avervi»

L’uomo mandò due servitori a cercare il proprietario e, non trovandolo, decise di tenersi i cagnolini, quindi li prese con sé e tornò alla locanda dove alloggiava. 

Sandor e Gregor appresero in fretta che si chiamava Tywin Lannister ed era un ricchissimo nobiluomo di Casterly Rock, luogo dove vennero portati nei giorni che seguirono.  

Trascorsero gli anni e i cani raggiunsero una stazza grande e robusta, ma conservarono anche un’inaspettata agilità, diventando imbattibili nel cacciare prede.    

Gregor era ormai abituato alla vita agiata che conduceva, perciò aveva smesso da tempo di tormentarsi, accettando di essere diventato un cane. Sandor, invece, covava risentimento per il fratello, non voleva rassegnarsi all’idea e non faceva che pensare alla possibilità di tornare umano. E quella possibilità gli si presentò in maniera inaspettata. 

Un giorno Tywin ritornò a Torrhen’s Square per sbrigare delle faccende e, come faceva quando viaggiava, portò con sé i due mastini. Il più giovane non poteva chiedere di meglio, la locanda dove alloggiavano sorgeva a nord, non lontano dalla Foresta del lupo e lui ricordava perfettamente quale fosse la strada da seguire. Attese l’arrivo della notte, sgattaiolò fuori dalla cuccia che il lord aveva fatto preparare per lui e suo fratello, quindi corse verso la foresta. 

Il bosco di faggi non appariva molto diverso da un tempo e trovare il pozzo fu tutt’altro che difficile. Dopo aver ripreso fiato, il cane si sollevò sulle zampe posteriori e guardò dentro la voragine nera rivestita di pietra. Non vide e non sentì niente. Abbaiò all’aria, ululò, si sedette e attese. Ma non accadde nulla. Era passato troppo tempo, realizzò. Sarebbe rimasto un cane per tutta la vita. Quella consapevolezza era dura da mandar giù, ma era la verità e continuare ad illudersi sarebbe stato solo più doloroso. Furioso, Sandor si strappò via il collare a morsi e unghiate, lo fece a brandelli e lo gettò in fondo al pozzo, poi corse via, nel folto degli alberi. Se doveva essere un cane, sarebbe stato un cane libero.

Qualche tempo dopo, migliaia di notti buie più tardi, Sandor fece un sogno. Sognò di abbeverarsi presso un ruscello e di vedere una donna anziana avvicinarglisi. Aveva l’aspetto insolito di quelle antiche creature che la gente soleva chiamare Figli della foresta. Ma anche così il mastino la riconobbe e le ringhiò contro. Lei non diede segno di essere spaventata e continuò a camminare. 

«Visto cosa succede a ridere delle sventure altrui?» domandò, fermandosi ad un passo da lui. «Ma penso di averti punito troppo duramente, dopotutto non sei stato tu a spingermi nel pozzo. Quindi ho deciso di ridarti un po’ della tua umanità. Ti basterà desiderarlo e tornerai uomo, ma solo dal tramonto all’alba, dopodiché sarai nuovamente un cane per tutto il dì, sino a che non farà buio. Ma perché ciò accada senza intoppi, dovrai trovarti nella foresta e non dovrai essere visto in volto da occhio umano» poi gli rivolse un sorriso benevolo. «Questo è il dono che ti concedo. Potrà sembrarti poco, lo so, ma per ora basterà. E, se sarai fortunato, qualcuno ti aiuterà a spezzare il sortilegio. Abbi fede» 

Sandor avrebbe voluto rispondere, dire la sua, ma le parole gli si bloccarono in gola, al loro posto uscirono solo deboli latrati. Poi la donna e  il ruscello svanirono, lasciando spazio alla grotta nella quale era solito rifugiarsi e al raggio di sole che filtrava in mezzo ai rami degli alberi. 

Non trascorsero che pochi giorni e Sandor s’imbatté in una fanciulla che aveva avuto l’ardire di avventurarsi nella Foresta del lupo. Indifesa e spaventata com’era, il mastino non ebbe cuore di lasciarla sola e la salvò dai lupi. E quando la giovane cadde nel fosso, lui tornò umano e la trasse in salvo prima che potesse affogare. 

 

 

«Aspetta un momento, e se Sansa ti avesse visto?» chiese di colpo Robb. 

«Avrei perso la possibilità di trasformarmi» gli rispose Sandor. 

«E tu hai rischiato tanto per aiutare questa stupida?» fu la domanda meravigliata di Arya, seguita da un’occhiataccia della sorella maggiore.

«Una vita è una vita, non potevo permettere che morisse» le spiegò. 

«Lasciatelo continuare!» esclamò un irritato Bran. 

 

 

Quando la bambina fu sana e salva tra le braccia del padre, lui tornò nella foresta. Lì fiutò l’odore di un altro cane che presto scoprì essere Lady. Gli raccontò quanto le era successo usando il linguaggio canino e lo pregò di aiutarla a ritrovare la strada per ricongiungersi alla sua padroncina. Il mastino acconsentì.

Passato un giorno dall’incontro con la giovane, Sandor fiutò l’odore di Sansa nella foresta e, avendo un cattivo presagio, ne seguì la traccia finché non la vide. Con lei c’era Lady ma anche Joffrey, il pestifero nipote di Tywin, Meryn il factotum e Gregor. Quando il suo sguardo e quello del fratello si incrociarono, si scatenò una lotta violenta che si concluse con la morte del maggiore. 

Joffrey era arrabbiato ma, soprattutto, aveva paura. Non solo se ne avvertiva l’odore nell’aria, ma si capiva anche dal fatto che stesse puntando una freccia contro la povera Sansa che, se possibile, era ancora più spaventata del ragazzino. Per salvarla, si gettò contro Joffrey ma il suo muso incontrò il fuoco acceso poco prima da Meryn. 

Sansa era finalmente in salvo, ma lui stava bruciando. Ricordò una corsa disperata, la pioggia improvvisa, il pianto di una voce, il buio. E poi dolore, dolore, dolore. Tremendo e bruciante. 

 

 

«Ma noi ci stavamo prendendo cura di te, perché sei scappato?» gli chiese poi Catelyn. 

«Quando stanno per morire, i cani vanno a nascondersi. Io lo sentivo e l’istinto ha prevalso. Dopotutto, sono stato un cane per sedici lunghi anni...» rispose Sandor. 

«Però alla fine ti sei salvato» disse Sansa con un sorriso. 

«In verità sono morto, come cane. Ma poi mi sono risvegliato e, sì, l’uomo è sopravvissuto»

«La magia esiste, lo sapevo, lo sapevo!» pigolò Bran, saltellando sul posto. 

«Piantala, nanerottolo!» fece Arya, scansando prontamente i piedi prima che il fratellino potesse calpestarglieli. 

«Quello che non capisco è perché hai ancora la ferita. Te la sei fatta quando eri un cane, quindi non sarebbe dovuta scomparire?» commentò Jon, grattandosi la testa.

«La vecchia mi è tornata in sogno e ha detto che la cicatrice resterà per sempre sulla mia pelle, affinché mi ricordi che è importante avere rispetto per gli altri» 

«Giusto» convenne Ned. 

«Perché non sei venuto a cercarmi quando hai ripreso i sensi?» gli domandò Sansa. «Ero preoccupatissima per te!»

«Lo so. Ma non speravo che mi avresti riconosciuto» 

«Come potevo non riconoscerti?»

«Perché ero un cane»

«Eri mio amico, anzi, sei mio amico. Li so riconoscere gli amici. E anche Lady, per fortuna»

«A quanto pare»

«Dunque è stato merito di mia figlia se l’effetto dell’incantesimo è svanito?» domandò Cat, dopo un momento di riflessione. 

«Esatto» 

«Se ti ha aiutato, allora è stato un bene che abbia disobbedito. Che non si ripeta più però, intesi, Sansa?»

«Intesi, madre»

«Cos’hai in mente di fare, adesso che sei tornato ad essere un uomo?» volle sapere Ned. 

«Vivrò nella foresta, come ho fatto finora» 

«Nella foresta? Ma non puoi vivere tutto solo e circondato da alberi, lupi e orsi!» esclamò Sansa. «È pericoloso!»

«Ormai ci sono abituato»

«Sai, sono d’accordo con mia figlia» intervenne il capofamiglia. «Hai vissuto lì per troppo tempo e una casa è decisamente meglio di una grotta, non credi?» 

«Questo sì. Ma dove potrei andare? Con mio padre non ho mai avuto un buon rapporto e, ammesso che il vecchio sia ancora vivo, non ho intenzione di andare da lui» 

«Non ti stavo suggerendo di tornare a Torrhen’s Square, pensavo che potresti stabilirti qui a Winterfell, se per te va bene» 

«Qui?»

«Sì, ti troverò una casa confortevole in cui stare e un lavoro con cui guadagnarti da vivere. Che ne dici?»

Sandor era stato preso alla sprovvista, proprio non si aspettava una simile offerta. 

«Hai salvato mia figlia, più di una volta. Credo sia il minimo»

«Per me è molto»

«È dunque un sì?»

«Beh...»

«Accetta!» lo pregò Sansa, con un sorriso persuasivo dipinto sulle labbra. «Così vivremo vicini»

Sandor la guardò, poi si voltò verso Ned e annuì. Sarebbe stato impossibile dire di no davanti alla dolcezza di quel visetto di porcellana. Già, persino per uno come lui. 

«Devi essere affamato, perché non resti per cena?» propose Catelyn. 

«È una buona idea» convenne il marito. «Inoltre fuori c’è un gran brutto tempo, probabilmente stanotte ci sarà una tormenta ed è sconsigliabile uscire di casa, quindi starai con noi»

«Non posso, non potrò mai sdebitarmi...»

«Chi dice che devi farlo? E poi siamo noi ad essere in debito con te, quindi non preoccuparti»

«Permettete che vi aiuti, almeno»

«D’accordo. Vieni in cantina con me, c’è bisogno di altra legna per il fuoco» 

A quell’ultima parola, il giovane uomo rabbrividì, ma non si scompose e seguì Ned oltre una porta vicino all’ingresso. Scesero giù per una piccola scala e si ritrovarono in una stanza buia che il sindaco rischiarò con la luce di una candela. C’erano delle botti ammassate lungo una parete, una grande quantità di sacchi contro un’altra e un’alta catasta di legna ricopriva l’ultima. Si diressero presso il mucchio di ciocchi.  

«Devi scusare mia figlia» 

«Per cosa?»

«È ancora una bambina, non capisce che non puoi giocare con lei. A proposito, quanti anni hai?»

«Ventiquattro»  

«Sembri più grande della tua età, forse è perché hai vissuto nella foresta per tutto questo tempo. Immagino sia stato tutt’altro che facile» 

Sandor fece un cenno di assenso. 

«Ma dimmi, come si è comportata Sansa quando ti ha riconosciuto? Era sorpresa? Felice?» 

«Tutte e due le cose. Ha capito subito che ero io» 

«Certo, i bambini hanno molta più immaginazione degli adulti e riescono a credere anche in ciò che può sembrare impossibile. Se la conosco bene come credo, vorrà starti sempre vicino, anche se sei molto più grande di lei. Sii onesto nei suoi confronti, non illuderla»

L’ospite si accigliò, non capendo a cosa si riferisse. 

«Alla sua età le fanciulle iniziano a sognare un amore romantico, come le dame di quelle storie che parlano di prodi cavalieri. Ho visto come ti guardava mentre raccontavi la tua storia. Da padre, non vorrei che si facesse delle idee sbagliate, pensando che tu sia il suo cavaliere»

«Lo capisco» 

Divisa equamente la quantità di legna che occorreva, i due uomini si avviarono alle scale e tornarono in salotto. 

I bambini e i meta-lupi scorrazzavano da una stanza all’altra, facendo un gran baccano. Ned e Sandor faticarono non poco per evitarli e raggiungere il camino con il pesante carico tra le braccia. Disposero la maggior parte dei ciocchi in una nicchia sotto il caminetto e il capofamiglia usò il resto per alimentare il fuoco, quindi si sedettero e discorsero per un po’. Lady andò a distendersi ai piedi dell’ospite, fissandolo come fosse alla ricerca delle sue carezze. Sandor passò una delle sue grandi mani sulla testa della lupa, sorprendendosi della morbidezza di quel pelo caldo. Era strano pensare che era stata sua alleata nella lotta contro Gregor e nel salvataggio di Sansa da Joffrey. Anzi, la cosa più strana era essere stato un cane per tutto quel tempo. Era tornato umano, ma non poteva dimenticare quei sedici anni passati tra la casa di un nobile e la Foresta del lupo. Il sortilegio era stato spezzato, eppure sentiva che il mastino avrebbe sempre costituito una parte di sé. E proprio la dignitosa onestà di quella parte animale lo avrebbe aiutato a iniziare la sua nuova vita e ad essere un uomo migliore di quelli che gli era capitato di conoscere – uomini come suo padre, suo fratello o i Lannister. 

Una mezz’ora più tardi tutti presero posto a tavola. Arya si sedette accanto a Sandor in modo da poterne studiare la metà arsa del volto, invece Sansa si sistemò dall’altra parte, soffiando il posto a Bran. 

«Ecco» disse la giovane all’ospite, passandogli un piatto. «Spero che il pollo ti piaccia»

«Molto» rispose, prendendo in mano la stoviglia di rame. 

Bevve e mangiò tutto ciò che gli venne offerto, non solo perché non gli sembrava giusto rifiutare davanti a tanta cortesia, ma anche perché erano giorni che non mangiava. La cena fu semplice ma abbondante e, al palato di Sandor, risultò il pasto migliore di sempre. 

A un tratto, Bran volle a tutti i costi raccontare a Sandor la storia del corvo con tre occhi, la sua preferita, poiché in casa l’ospite era l’unico a non conoscerla. Dietro il fratellino, Arya si mise a fargli il verso, facendo ridere i fratelli maggiori. L’uomo ascoltò, ma sembrava essere interessato più ai dolcetti al limone nel proprio piatto che a quello strano racconto. 

«Ti piacciono?» domandò la commensale che gli sedeva alla destra.

Lui annuì con la testa, impegnato com’era a masticare la parte croccante. 

«Davvero? Sono felice che ti piacciano. I tortini al limone sono i miei preferiti e questi...» arrossì leggermente. «Questi li ho fatti io»  

«Sono ottimi, Sansa» si complimentò, prendendone un altro.

«Oh, grazie» fece, alzandosi per andare in cucina e schivando Bran che stava rincorrendo Arya. 

Una volta lì, si chiuse la porta alle spalle e attese che le guance smettessero di ardere, ma continuò a sorridere. 

“Ha detto che i miei dolcetti sono buoni e poi mi ha chiamata per nome!” pensò, cercando di memorizzare il tono un po’ burbero di quella voce che, comprese all’istante, le piaceva tantissimo. 

In seguito aiutò sua madre a sparecchiare, a lavare i piatti e a rimettere in ordine. 

«Su, è tardi, tutti a letto!» ordinò Cat, indicando il corridoio ai figli.  

I più piccoli protestarono e, per una volta, Sansa era d’accordo. Avrebbe voluto che quella giornata non finisse mai, temendo che il suo nuovo amico potesse svanire nel nulla durante la notte. 

Entrò nella sua stanza insieme a Lady e si sedette sul letto con aria serena. Quasi subito un piccolo oggetto di legno attirò la sua attenzione e le strappò un sorriso, mentre un’idea si faceva strada nella sua testa. Tese le orecchie, aspettò che non vi fosse più neanche il minimo rumore in corridoio, quindi sgattaiolò fuori, reggendo la candela in una mano e l’oggetto nell’altra. 

Grazie al fuoco che ancora scoppiettava nel camino, il salotto era in penombra. L’imponente figura di Sandor sedeva su una branda, posizionata a debita distanza dal focolare. La bambina si fece coraggio e agitò la candela davanti a sé in modo che lui la notasse. 

«Scusa se ti disturbo» bisbigliò, avvicinandosi. «Volevo solo darti una cosa»

«Che cosa, piccola?» domandò, sussurrando a sua volta. 

Sansa sollevò l’altra mano e l’allungò verso di lui. Sandor prese l’oggetto, socchiuse gli occhi e lo osservò alla luce del camino. 

«Un cane» dedusse.

«Un mastino» lo corresse lei. «Bello, vero? Lo hanno intagliato Robb e Jon»

«Sì, lo è»

Osservò ancora un momento il quadrupede di legno e poi lo ripassò alla fanciulla che, però, scosse la testa. 

«Voglio regalarlo a te» disse. «In ricordo di come ci siamo conosciuti» 

Quella frase lo spiazzò e un’estranea sensazione di calore gli invase il petto. 

«Grazie» mormorò, appoggiando l’oggetto sulla branda sotto di sé. 

«Sono io che devo dirti grazie per tutto quello che hai fatto per me» 

«Non c’è di che, uccellino» 

Le guance di Sansa avvamparono al suono di quel nomignolo. 

«Allora, buonanotte» concluse. 

Con fare timido e impacciato, gli posò delicatamente le labbra sulla metà bruciata del viso, baciandogli la guancia, infine corse via in preda all’imbarazzo. 

Sandor si distese sulla branda e attese che il leggero pizzicore sulla guancia si estinguesse. Non era abituato a ricevere affetto, quindi non si aspettava minimamente quel tenero gesto, due ancora meno. Prese in mano il cane di legno e lo guardò con fare pensoso. 

“Questa è la tua seconda e ultima possibilità” si disse, vedendo immagini del proprio passato scorrergli davanti agli occhi. “Non bruciartela” 

A quel pensiero, la bocca distorta si piegò in un sorriso ironico e amaro, ma poi trasse un sospiro di sollievo. Chiuse gli occhi e il vino che aveva mandato giù a cena lo fece scivolare in un sonno profondo e senza sogni.  

 

 

 

 

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L’angolo di Amy

Ciao gente,

che ve ne pare di questo capitolo? Finalmente conoscete la storia del mio Sandor, piaciuta? ;) 

Tra un paio di giorni posterò l’epilogo e ammetto che un po’ mi dispiace perché a questa piccola storia ci sono ormai affezionata, anche se sapevo che prima o poi avrei dovuto concluderla ^-^ 

Ancora una volta ringrazio con il cuore chi ha ancora la pazienza di leggere e recensire, siete carinissime ^^

Un saluto e al prossimo capitolo, 

Amy   

  
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