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Autore: Alyce_Maya    03/08/2014    2 recensioni
Colui che l’aveva tormentata per un anno, si stava disintegrando davanti ai suoi occhi mentre un ragazzino poco più grande di lei teneva in mano il dente di un enorme serpente e trafiggeva una, due, tre volte quel Diario maledetto.
Sentiva le forze rinascere e una lucidità crescente farsi spazio nella sua mente: aveva come la sensazione di aver vissuto in un sogno per un’infinità di tempo e di essersi svegliata solo in quel momento.
Poco prima di sparire, un ultimo ringhio salì dalle labbra di Tom: « Tu sei mia, Ginevra. Ed io tornerò a prenderti! ».
[Questa storia partecipa al contest “Arsenico e altri rimedi… - il lato oscuro dell’amore” indetto da Liberty_Fede sul forum di EFP]
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Tom O. Riddle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nickname forum/EFP: Alyce_Maya

Pacchetto: Tetradotossina

Genere: Dark; Introspettivo

Rating: Giallo

Note/Avvertimenti: What if?

Note dell’Autore: 1) Questa storia partecipa al contest “Arsenico e altri rimedi… - il lato oscuro dell’amore” indetto da Liberty_Fede sul forum di EFP.

2) Questa storia va considerata una “What if?” perché Tom appare da subito come una persona in carne ed ossa agli occhi della Ginny undicenne e non solo come delle frasi scritte su un Diario.

3) Continuo ad essere convinta che le mie storie siano troppo “veloci” per così dire… Quindi, anche in questo caso, credo che a sviluppare di più certi (se non molti) passaggi, la fan fiction avrebbe potuto assumere dei contorni molto più interessanti. Però non ci sono riuscita. Quindi sono pronta a ricevere ogni possibile consiglio per risolvere questo mio problema di “sintesi”.

 

Per il resto, godetevi la lettura!

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Onironautica.

Ginny Weasley aveva sentito quel termine per la prima volta ad undici anni ascoltando Hermione parlare con Ron ed Harry durante una colazione in Sala Grande e si era chiesta cosa mai, d’un tratto, l’avesse spinta a pensare a quegli strani Babbani che si divertivano ad esplorare lo spazio con bizzarre tute addosso: insomma che scopo poteva mai avere un’occupazione simile?

Incuriosita glielo aveva anche chiesto.

« Credo sia un modo per capire quali sono i nostri limiti, vedere fin dove possiamo spingerci. Ma non capisco cosa c’entri questo con il mio sogno decisamente realistico di questa notte ».

E allora aveva capito. O, meglio, l’aveva capito dopo un’ulteriore spiegazione da parte dell’amica: l’onironautica, in sintesi, è la capacità di fare sogni estremamente lucidi.

A quel punto, però, la domanda era sorta spontanea: se quando sogni ti sembra di essere sveglio, come si può capire se quando si è svegli lo si è per davvero?

Nel corso della sua vita, Ginny se lo sarebbe chiesta spesso.

 

 

 

 

Lucid Dream

 

 

 

 

Fuggire le sembrava una cosa sciocca in quel momento.

Nonostante sapesse perfettamente chi aveva davanti, non riusciva a trovare un motivo sufficientemente valido per dare ascolto a quella piccola parte di sé che le urlava a gran voce nella sua testa di scappare da quando Lui era apparso, quasi dal nulla, davanti a lei. Forse perché sapeva che non era reale. Forse perché le sorrideva come quando, ad undici anni, lo aveva visto per la prima volta.

« Sto sognando », nella sua voce sentì quasi una nota tremante e se ne vergognò profondamente: sapeva che il ragazzo davanti a lei non sopportava le debolezze e, così come da ragazzina, sentiva di non volerlo deludere.

« Dimmelo tu, Ginevra. Stai sognando? ».

Ginevra.

Nessuno la chiamava così. Solo lui, solo Tom.

 

 

 

« Qual è il tuo nome? ».

Ginny sussultò spaventata quando sentì quella voce: fino a qualche secondo prima era sola nella Sala Comune con l’unica compagnia di quel vecchio Diario che aveva trovato per caso tra i suoi libri di scuola.

Girandosi vide un ragazzo molto pallido con capelli neri e due occhi simili a pozzi senza fondo. La stava guardando con un sorriso particolare, un misto di scherno e falsa gentilezza.

Sembrava impaziente, quasi trepidante d’attesa. Conoscere il suo nome era davvero così importante per lui?

« Ginny. Ginny Weasley », la voce le uscì in un soffio sottile, quasi impercettibile.

« Aspettavo da molto tempo », sospirò quasi. « Ci divertiremo noi due, Ginevra ». 

 

 

 

Era passato molto tempo da allora. Anni in cui una versione diversa di quel giovane aveva tormentato e tolto le vite di molti, senza curarsi di nulla che non fosse raggiungere quell’obbiettivo che già da bambino si era imposto: ergersi al di sopra di tutti. Eliminare chi non era degno.

Ginny si trovava nel salotto di casa sua e cercava di ricordare il momento in cui si era addormentata.

Perché doveva star sognando. Non poteva essere altrimenti: Tom Riddle, Lord Voldemort, era morto da molto tempo ormai; la Guerra era finita e anche chi non lo credeva possibile, si stava ricostruendo una vita.

« Questo è solo un sogno », ripeté ad alta voce.

Da bambina era quasi diventata un mantra quella frase: la sussurrava in continuazione cercando di cacciare il terrore che la assaliva ogni qual volta chiudeva gli occhi e si ritrovava a percorrere ricordi di azioni che non aveva idea di aver commesso.

E lui lo sapeva.

Aveva trascorso un anno intero assieme a Tom.

 

 

 

« Menti! Io non ho fatto niente del genere. Perché non mi lasci in pace, cosa vuoi? Perché sei qui? ».

Quel piccolo scoppio d’ira cessò rapidamente quando vide l’espressione del ragazzo: non gli piacevano le domande, lo sapeva bene, eppure in quel momento di sconforto non era riuscita a frenarsi.

Inspirò di colpo e trattenne l’aria aspettando il dolore che era certa sarebbe giunto da un momento all’altro.

Tom si avvicinò lentamente e prese una ciocca dei suoi rossissimi capelli rigirandosela pigramente tra le dita. Lei era così concentrata su quell’operazione che non vide l’altra mano scattare e afferrarle il collo da dietro: la immobilizzò con facilità mentre un piccolo gemito di dolore le usciva dalle labbra.

Il suo viso si avvicinò lentamente al suo. Sfiorandole una gota, sussurrò lentamente: « Sai che non devi fare domande. Ora, da brava, vai a dormire ».

Ricacciando indietro le lacrime, accolse un morso al lobo destro dell’orecchio come un’ulteriore punizione e obbedì.

 

 

 

I ricordi affioravano uno ad uno mentre Tom si avvicinava: non era minimamente cambiato, dimostrava sempre un’età intorno ai diciassette anni, aveva gli stessi capelli neri e quel ghigno stampato sulle labbra come se fosse a conoscenza di un segreto di cui gli altri neanche sospettavano.

E, in quel momento, fu come se anche per Ginny non fosse passato neppure un giorno: si sentiva di nuovo undicenne, spaventata e inerme nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto ucciderla soltanto sfiorandola, eppure anche indiscutibilmente attratta da quel ragazzo che era stato una parte significativa della sua vita.

« Sei cresciuta », la sua fu una semplice constatazione fatta con voce monocorde e incolore, come se la cosa non fosse effettivamente rilevante.

Nonostante questo, si sentì in imbarazzo e le sue guance si colorarono di un leggero rossore.

Questa volta la risata che seguì fu carica di significato. « Eppure non sei cambiata molto: arrossisci ancora per ogni sciocchezza ».

 

 

 

« Tom, basta per favore ».

Lui non sopportava neanche le suppliche. A dirla tutta non erano molte le cose che apprezzasse ma, in un momento simile, cos’altro avrebbe potuto dire?

Lei era appena uscita dalla doccia e non aveva avuto il tempo necessario a vestirsi completamente prima che lui apparisse dal nulla, come suo solito.

Forse non era poi così rilevante stare a gambe nude di fronte a lui, ma Ginny non poteva evitare di sentirsi profondamente a disagio. Il modo in cui la guardava, e come questo la faceva sentire, non le piaceva per niente.

E non perché la cosa la disgustasse, ma perché avrebbe voluto che non smettesse più. E questa, lo sapeva, non era una cosa giusta.    

 

 

 

Anche in quel momento la ragazza sentì di nuovo quella sensazione: sapeva che quello che provava era sbagliato ma, in un certo senso, era felice di averlo di nuovo accanto a sé.

Il modo in cui aveva vissuto con lui durante quel suo primo anno ad Hogwarts le aveva lasciato un ricordo indelebile: dentro di lei, ancora oggi, albergavano quelle sensazioni contrastanti che avevano segnato l’intera durata di quel loro rapporto.

« Non sei cambiato neppure tu, Tom ». Questo gli piaceva, ricordò l’ex Gryffindor: il suo bizzarro sorriso si allargava un po’ quando pronunciava il suo nome.

Era una cosa che aveva cercato di sfruttare il più possibile all’epoca, non avendo altre armi a disposizione.

Tom ormai era davanti a lei e ci mise meno di un secondo a chinarsi e a morderle una gota: lui non baciava, mordeva.

Un lungo brivido le corse lungo la schiena: aveva continuato a sperare che il ragazzo si sarebbe dissolto come fumo una volta che avesse provato a toccarla, cosa che invece non era successa.

L’aveva sentito.

Era reale.

Stava accadendo di nuovo.

 

 

 

« Credi ancora di star sognando, Ginevra? ».

La ragazzina drizzò la schiena e assunse un’aria diversa, più decisa. Era una cosa che si era resa conto di fare ogni qual volta Tom pronunciava il suo nome completo: lei cambiava. Nessuno era mai riuscito ad ottenere una reazione simile da lei, Ginny era timida ed impacciata con tutti e “decisa” non era il termine che qualcuno avrebbe mai scelto per descriverla.

A volte si domandava se quel cambiamento un giorno sarebbe diventato radicale, tramutandola in quella ragazza che era stato Tom stesso a creare.

« Qualche volta », ammise a malincuore. Non sopportava non comprendere, stava lentamente impazzendo.

Tra l’altro continuava a dimagrire, forse a causa del poco cibo che si concedeva o forse perché il più delle volte non riusciva a distinguere i singoli momenti della giornata così da mettere in pratica le più comuni routine, fossero queste mangiare o spazzolarsi i capelli. Si sentiva spenta e allo stesso tempo iperattiva, quasi febbricitante.

Ricordi di azioni a lei sconosciute continuavano a sorprenderla quando meno se l’aspettava e momenti di veglia e quelli di sonno non facevano che mescolarsi, confondendola ancora di più.

Ormai, l’unica parte lucida e reale della sua vita, erano i momenti che trascorreva con Tom.

 

 

 

« Mi piace come hai arredato qui ». Lui parlava di futilità per distrarla e confonderla, lo aveva sempre fatto.

Non si esprimeva per enigmi, nonostante il suo cognome, e si limitava a non comunicare affatto o in alternativa a cambiare argomento facendole capire che non le avrebbe mai risposto.

« Non mi piacciono le foto, però », c’era odio nella sua voce. Sapeva cosa stava guardando: lo scatto che la ritraeva con Harry stretto a sé in un parco coperto dalla neve.

Fu quasi sul punto di ridere: se c’era un qualcosa, o meglio, un qualcuno grazie al quale era sempre riuscita a far emergere il vero Tom, quello era Harry.

Il bambino che lo aveva sconfitto ancora in fasce.

Il ragazzino che occupava gran parte della mente di Ginny da bambina, parte che lui riteneva essere sua di diritto.

L’uomo che infine gliel’aveva portata via.

 

 

 

« Cos’è l’amore? », la domanda era stata pronunciata a tono misurato, quasi per sottolineare il suo scarso interesse per la risposta.

Lei aveva distolto svelta lo sguardo: aveva undici anni infondo e parlare di sentimenti la imbarazzava soltanto. Come avrebbe potuto continuare a guardare quegli occhi così seri e spietati quando era arrossita tanto da sentirsi le guance in fiamme?

« Un sentimento… ».

Un suono strano, una specie di schiocco con la lingua la fece leggermente trasalire e si interruppe subito.

« Non essere sciocca. Non è quello che ti ho chiesto, Ginevra ».

Al solito, non aveva potuto evitarlo: al suono del suo nome cambiò e, cercando di non mostrare il suo timore, fissò lo sguardo nel suo.

« Harry. L’amore è Harry ».

 

 

 

Riusciva ancora a ricordare la reazione di Tom, forse perché si stava ripetendo in quello stesso istante.

Si era girato di scatto furioso e a grandi passi l’aveva nuovamente raggiunta prendendola per le spalle, scuotendola quasi.

« Credevo di essere stato chiaro anche allora. Tu sei mia ». Uno strano gelo scese improvvisamente nella stanza e a Ginny mancò il fiato.

Sua.

L’aveva definita così molte volte e, sempre, quella frase le aveva fatto venire i brividi: Tom non conosceva l’amore, era convinta che a malapena concepisse il concetto di affetto e, in ogni caso, non lo capiva.

Anche adesso tutto quello che gli passava per la mente era qualcosa di semplice, un desiderio tipico dei bambini: il possesso.

Lui voleva averla, molto probabilmente per il semplice fatto che lei non lo voleva a sua volta.

L’aveva sempre trattata come un oggetto di sua proprietà e, in quell’arco di tempo trascorso insieme, si era convinto che quel sentimento fosse amore.

 

 

 

« Non potrei essere io l’amore, Ginevra? ».

Lei aveva scosso il capo e per la prima volta aveva provato qualcosa che non fosse riverenza o timore nei confronti di quel ragazzo ma un sentimento molto simile alla compassione.

« Perché no? », carico di disprezzo l’aveva intrappolata tra il suo corpo e il muro alle sue spalle.

Come avrebbe potuto spiegare a qualcuno come Tom un concetto così complicato ed astratto come l’amore?

Questa volta, fu Ginny ad avvicinarsi a lui. Posò una sua mano sulla guancia del ragazzo e gli accarezzò dolcemente una gota: nonostante quel viso sempre così spigoloso e pungente, la sua pelle era morbida e liscia al tatto.

Anche alzandosi sulle punte dei piedi, riuscì a raggiungere solo il collo di Tom che baciò timidamente, perfettamente conscia di non essere mai stata tanto vicina ad un ragazzo che non fosse uno dei suoi fratelli.

« Il mio cuore non batte all’impazzata quando ti sto vicina e neppure il tuo », fu l’unica spiegazione semplice che le venne in mente.

Lui per un attimo sgranò gli occhi ma poi quel suo solito ghigno tornò ad aleggiare sulle sue labbra.

« Bugiarda », sussurrò compiaciuto premendole forte una mano sul cuore. Lei sussultò e trattenne il respiro mentre Tom le si avvicinava mordendola poco sotto la clavicola da sopra la divisa. « Quando ci sono io, il tuo battito corre e così anche il mio ».

Mentre si allontanava di un passo, Ginny si ritrovò a pensare che forse quel morso gli era servito per strapparle un pezzetto di cuore così da farselo suo, perché era vero: in quel momento si sentiva il battito a mille.

 

 

 

Le sue mani ancora a bloccarla, Ginny si sentì gli occhi bruciare a causa delle lacrime trattenute: tutti gli sforzi fatti per dimenticarlo, per andare avanti e non vivere nel suo ricordo erano stati vanificati in pochi istanti. Tutti i ricordi di quel periodo stavano tornando a galla, come richiamati dalla sua voce.

Non si era mai sentita così persa: le emozioni provate allora riaffioravano e lottavano con quelle presenti. Emozioni piene di amore per Harry si scontravano con quelle cariche di un altro tipo di amore, quello che era stata capace di provare da undicenne per Tom.

E non sapeva quale sarebbe potuto essere l’esito finale.

Perché, nonostante tutto, nel corso degli anni aveva cercato qualcosa in Harry che le ricordasse Tom. E, adesso che era davanti a lei, temeva che quel qualcosa cancellasse per sempre il Bambino Sopravissuto dalla sua mente per rimpiazzarla con quel giovane ragazzo che da sempre temeva essere ciò che il suo cuore realmente voleva.

E tutto a causa dei suoi morsi, morsi che probabilmente l’avevano infettata perché non erano quei comuni baci che una ragazzina dovrebbe ricevere, ma lente iniezioni di veleno che l’avevano resa ciò che Tom aveva voluto fin dal loro primo incontro: sua.  

 

 

 

« Hai fatto ciò che ti ho chiesto, Ginevra? », la sua voce strascicata le arrivò da dietro assieme ad un leggero sfioramento di denti sul collo. Nel corso dei mesi ci si era abituata e ormai non sussultava più al suo tocco, le era diventato troppo familiare.

Aveva anche smesso di ribellarsi dopo il disastroso tentativo di liberarsi del Diario: quella volta Tom si era arrabbiato davvero e guardandosi allo specchio una mattina prima di andare a lezione, aveva visto il suo corpo contornato da orrendi segni violacei laddove il ragazzo, la sera prima, aveva stretto le mani e posato i suoi baci.

Così aveva cominciato ad obbedirgli, conscia che rispettando i suoi desideri sarebbe stata ricompensata con l’assenza del dolore.

« Si ».

La risposta risultò apatica ma, vedendo il sorriso spuntare sul volto di Tom, lo sguardo di Ginny si animò un po’ e accolse con piacere il suo compiacimento.

« Perfetto ».

 

 

 

Anche in quel momento Tom sorrideva, pensò Ginny frastornata.

Il secondo successivo, anche la stretta sulle sue spalle diminuì e lo sguardo che le lanciò fu pieno di un inaspettato divertimento.

« Non importano le foto », disse stupendola. « In fin dei conti io sono qui e questo vuol dire che continui a preferirmi a lui ».

Il fremito che la colse era pieno di vergogna: com’era potuto succedere? Dopo tutto quello che aveva passato con Harry, dopo le loro avventure e i loro appuntamenti, dopo le loro risate e i loro baci - veri baci - come aveva potuto evocare Tom ed elevarlo al di sopra di suo marito?

« Non è vero », negò non riuscendo però a muovere un muscolo.

La sua risata piena di scherno le arrivò ad un soffio dalle labbra. « E invece si, continui ad amarmi più di quanto tu non abbia mai amato lui e sai perché ne sono convinto? », era pieno di impazienza nella voce. Non vedeva davvero l’ora di dirglielo. « Continui a chiamarmi Tom. Non Voldemort, ma Tom ».

Quella semplice constatazione l’ammutolì.

Era vero.

In lui non riusciva a vedere quel mostro conosciuto in tutto il Mondo Magico, ma solo Tom: l’unico ragazzo che avesse mai preso il posto di Harry nel suo cuore e nella sua vita, l’unico che continuava ad affollare i suoi sogni ed incubi nei momenti più disparati.

L’unico che avesse mai amato in quel modo sbagliato e oscuro, ma pur sempre amato.

A riscuoterla da quel suo stato di trans fu uno shock ancora più grande: Tom la stava baciando.

Non era uno dei suoi soliti morsi, era proprio un bacio.

Rudi e quasi violente, le sue labbra si stavano impossessando delle sue come se lo avessero sempre fatto. La forzavano a ricambiare, così da non sentire dolore e quando la sua lingua si fece strada nella sua bocca un basso gemito le scaturì dal fondo della gola senza sapere se fosse stato dettato dalla paura o dal piacere.

Una mano del ragazzo le tratteneva la nuca con forza per impedirle di allontanarsi e il suo ginocchio si stava facendo spazio tra le sue cosce costringendola così a cingere il suo fianco con una gamba per non cadere. Subito la mano libera si artigliò ad essa e strinse forte schiacciandola ancora di più sul suo corpo.

Ginny non riusciva a pensare.

Non era neppure certa di quello che stava accadendo, sapeva solo che doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

Ma se per allontanarlo o avvicinarlo ancora di più a lei, questo non lo sapeva.  

Tuttavia non ci fu bisogno di scegliere: una porta che sbatteva e un rumore di passi fece si che Tom si allontanasse di un passo così da permettergli di vedere con precisione l’espressione di Harry Potter quando lo vide in piedi nel suo salotto, vicino a sua moglie.

Nel suo sguardo passarono in successione sconcerto, terrore e rabbia e, l’istante successivo, aveva già la bacchetta in mano puntata verso il ragazzo.

Poco prima che la formula scaturisse dalle labbra del Bambino Sopravissuto, Tom si accostò a Ginny: « Ci rivedremo, Ginevra. Lo sai », ghignò.

Dopo di che Harry gridò: « Riddikulus! ».

 

 

 

Colui che l’aveva tormentata per un anno, si stava disintegrando davanti ai suoi occhi mentre un ragazzino poco più grande di lei teneva in mano il dente di un enorme serpente e trafiggeva una, due, tre volte quel Diario maledetto.

Sentiva le forze rinascere e una lucidità crescente farsi spazio nella sua mente: aveva come la sensazione di aver vissuto in un sogno per un’infinità di tempo e di essersi svegliata solo in quel momento.

Poco prima di sparire, un ultimo ringhio salì dalle labbra di Tom: « Tu sei mia, Ginevra. Ed io tornerò a prenderti! ».

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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