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Autore: Weightlessness    03/08/2014    1 recensioni
Il Cappellaio, con la sua figura contorta ed enigmatica, credo sia riuscito ad affascinare qualunque lettore e come gli altri strambi personaggi di questo strambo libro si è guadagnato una grande fama nei secoli. Ma chi è veramente? Quali piccoli segreti nasconde il suo celeberrimo indovinello? Cosa emerge dal suo personaggio e cosa no? Ho voluto provare ad inventare una risposta.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice, Cappellaio Matto, Lepre Marzolina, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A quel punto il Cappellaio si concesse una breve pausa. Si guardò intorno compiendo goffamente due giri su sé stesso, uno in senso antiorario e uno in senso orario, quindi si bloccó e dopo un secondo di smarrimento si portò un dito alle labbra con fare incerto e pensieroso: sembrava come se si fosse improvvisamente dimenticato di quello che stava dicendo.
Nel grande piazzale tutti gli occhi erano inchiodati a lui e regnava il più assoluto silenzio. Perfino la Regina stava muta e imbambolata ad aspettare di udire di nuovo la voce del Cappellaio.
Alice tentò di ragionare sullo strano modo di quella gente di personificare il Tempo. Le era capitato di sentire le espressioni "Ammazzare il tempo" e "Era giunta la sua ora", la prima molto spesso, quando suo padre partecipava ai balli organizzati dalla mamma, la seconda una sola volta, quando era morto il vecchio, scorbutico zio Lewis. Ma non aveva mai pensato che simili detti potessero essere letterali.
D'un tratto la Regina cominciò a battere lo scettro sulla testa di una delle rane che sostenevano il trono.
-Vogliamo continuare, prego?
Domandò spazientita. Il Cappellaio le rivolse uno sguardo incolore mentre sul suo viso si allargava un sorriso buffo, ma senza alcuna nota di gaiezza. Quindi riprese rapidamente a parlare.


Pregai il Tempo di fermarsi per mio padre, promettendogli di trovare al più presto l'uomo col cappello a cilindro per dare il verso giusto all'orologio. Non potevo sapere se mi avesse ascoltato o meno, perché fu come parlare con il vento e nessuno mi rispose. Ma la mia supplica era così accorata e devota che supposi che il Tempo l'avesse accolta.
Per trovare l'uomo col cappello a cilindro dovetti viaggiare molto a lungo. Viaggiai per tutto l'autumno e tutto l'invernico. Mi fermai in tutte le case che incontravo sulla strada, chiedevo a tutti gli esseri che vedevo se conoscessero un uomo con un cilindro e un orologio che andava al contrario, ma nessuno mi sapeva rispondere.
Attraversai campi innevati, scalai montagne altissime, percorsi tutte le strade senza mai fermarmi perché ritenevo saggiamente che non avrei dovuto (né potuto) perdere tempo, altrimenti egli non sarebbe stato più mio amico. E così camminai e camminai senza tregua, ero stanco, certo, ma man mano che proseguivo sentivo meno stanchezza e meno freddo. Scoprii allora di aver portato distrattamente con me l'orologio che stavo costruendo prima di partire e consultandolo notai che era Aprile.
Capii dunque perché il mio vagare mi pareva più piacevole: stava tornando la primaverta. Sollevando gli occhi verso le fronde degli alberi che costeggiavano le strade che percorrevo, ogni tanto scorgevo alcuni fiori che sbocciavano timidi sui rami ancora bagnati dalla pioggia di Marzo.
Camminai ancora.
L'orologio mi informava che i giorni passavano e il tempo mi incalzava -letteralmente signori.
Era l'alba dell'ultimo giorno di Aprile. Il cielo era tinto di un morbido rosa pastello e gli uccellini cantavamo armoniose canzoni d'amore planando spensierati nell'aria, sopra la mia testa. Quasi d'improvviso apparve all'orizzonte la sagoma scura di un mulino a vento (non ne avevo mai visto uno, ma supposi che fosse un mulino a vento perché mi ricordavo di averlo visto disegnato nelle immagini di uno strano libro nel quale il protagonista scambiava i mulini per dei giganti) e allungai il passo verso di esso.
Man mano che mi avvicinavo, la sagoma del mulino si ingrandì tanto che per un momento credetti davvero che quel enorme edificio con le braccia rotanti fosse un gigante furioso. Tuttavia mi resi conto dell'insensatezza della mia paura, perché notai sul busto del mulino una porticina rossa e una finestrella contornata di fiori azzurri. Salii lentamente gli scalini che mi separavano dalla porta e bussai. Non dovetti attendere a lungo che qualcuno si facesse vivo, perché subito udii un tintinnio di chiavi e uno scatto all'interno della serratura. Quella che mi si presentó davanti agli occhi fu la creatura più graziosa e adorabile che avessi mai visto. Il suo bel visino rotondo era deformato da un'espressione di timore e i suoi occhioni blu notte mi squadrarono con aria inquisitoria.
-Salve,
Esordii con molta cortesia.
-Cerco un uomo con un cappello a cilindro e con un orologio che va al contrario.
La fanciulla non disse nulla, ma la sua espressione mutò e si addolcì. Mi diede le spalle volgendosi su se stessa con un'eleganza superba e, lasciando la porta aperta, corse su per le scale chiamando "Padre! Padre!". Attesi sulla soglia, impacciato ed emozionato per il mio recente incontro con una creatura di simile bellezza.
La ragazza ricomparve sulla rampa di scale in compagnia del padre. Era un uomo tozzo e tarchiato e con le guance e i naso coperti da una strana fuliggine e le mani insaccate in logori guanti da lavoro.
-Mia figlia dice che cerchi un uomo con un cappello a cilindro e un orologio che va all'indietro.
Annuii convinto.
-Ebbene, mi hai trovato, giovanotto! Come posso esserti utile?
Esclamò infine allargando le braccia. Io lo guardai obliquamente. Non aveva niente sulla testa (non aveva nemmeno i capelli) che assomigliasse ad un cappello a cilindro. C'è da specificare che io prima di allora non avevo mai visto cappelli a cilindro, quindi potevo solo immaginare come fosse fatto.
-Lei non ha nessun cappello, signore.
Osservai deluso e irritato. L'uomo si volse repentinamente e andò a frugare in un armadio. Tirò quindi fuori da una montagna di strani oggetti di cuoio, una specie di strano vaso cilindrico tutto nero e impolverato.
-Ecco il mio cappello.
Disse tornando verso di me.
Osservai a lungo e con forte curiosità quel bizzarro oggetto che teneva tra le mani. Aveva una forma così simmetrica e una linea così signorile, che ne rimasi affascinato. Chiesi a quell'uomo di indossarlo ed egli mi ubbidì senza fiatare. Rimasi oltremodo stupito nel vedere che grazie al suo cappello quell'uomo aveva al medesimo tempo alzato la propria statura di almeno venti centimetri e tolto dalla vista altrui il cranio lucido senza capelli.
Tuttavia, pur essendo davvero stupito, non commentai.
-L'orologio, signore?
Domandai inflessibile come un giudice.
L'uomo si volse ancora e tirò fuori dal cassetto di un mobile sbilenco un orologio da taschino dorato. Riconobbi a occhio la manifattura e quasi non ritenni necessario controllarne il verso.
Non c'erano dubbi. Avevo trovato l'uomo che aveva causato l'invecchiamento precoce e irreversibile di mio padre.
-Sono qui per proporle un accordo:
Cominciai molto seriamente.
-Farò tutto ciò che vorrà, ma mi deve permettere di mutare la direzione delle lancette del suo orologio.
-E perché mai?
-Perché il Tempo é arrabbiato.
Fu la mia spiegazione... molto evasiva in effetti.



Alice tossicchiò, provocando involontariamente l'interruzione del racconto. La Regina si drizzò in piedi furiosa e gridó:
-Ha interrotto illecitamente il Cappellaio! Tagliatele la testa!
Il Cappellaio si volse lentamente verso Alice e la fissò con occhi dolci, ma il suo sguardo era perso, probabilmente non la vedeva nemmeno. Poi subito riprese, placando l'ira della Regina.

Lei aveva i capelli biondi come il grano e gli occhi azzurri come il cielo d'autumno. Non parlava mai, era molto timida, ma i suoi occhi brillanti parlavano per lei. Passava le giornate a raccogliere moribes e uva lamponia nei campi intorno al mulino e preparava la cena a me e a suo padre sempre con un sorriso sul volto. Era molto più giovane di me, aveva solo diciassette anni. Io non sapevo esattamente quanti anni avessi dato che mio padre non me l'aveva mai detto, sapevo solo che ero nato alle sette quarantaquattro minuti e dodici secondi di una giornata piovosa di molti anni prima. In ogni caso non reputavo necessario conoscere la mia età. Ciò che mi mancava davvero era festeggiare il compleanno. Ricordo che lei compiva gli anni il 17 luglio e suo padre il 33 agosto (o il 34?). Così, siccome ella aveva un grande cuore, ogni giorno dell'anno quando mi veniva a svegliare la mattina, con la sua voce da fringuello mi augurava un buon non-compleanno* e mi preparava un dolce.
Mi sono scordato un pezzo di storia, temo.
L'uomo con il cappello a cilindro era un cappellaio, l'unico al mondo sapete, e mi propose di lavorare per lui; in cambio mi avrebbe concesso di regolare il suo orologio.
Accettai con un entusiasmo che non potrei descrivere ora. L'orologio riprese a camminare nel verso ortodosso ed io mi ritrovai di nuovo rinchiuso in un laboratorio con il titolo di apprendista cappellaio. 
Di giorno in giorno il mio maestro mi insegnava a costruire sempre nuovi generi di cappelli ed io mi appassionavo sempre di più a quel mestiere. Lavoravo giorno e notte incessantemente e con passione ardente. Ben presto i miei cappelli superarono in bellezza e in precisione persino quelli del mio maestro, tanto che egli un giorno dichiarò con amara rassegnazione che avrei potuto succedergli e mi cedette il suo posto.
Divenni cappellaio. Anzi, divenni il Cappellaio.
Mi chiamavano Cappellaio così spesso che avrei facilmente dimenticato il mio nome di battesimo se non l'avessi avuto cucito all'interno della mia giacca.
In poco tempo avevo fabbricato così tanti cappelli che la casa ne era piena. Usavamo i baschi come piatti, i tricorni come candelieri, i cappelli a cilindro come vasi e i sombreri come ombrelli. Andavo molte volte in compagnia di Fiordaliso (l'adorabile figlia del mio maestro) a regalare i cappelli in giro per la zona. Capitava talvolta che qualcuno rimanesse così soddisfatto da far scivolare nelle nostre mani qualche moneta. Così che dal regalare cappelli, iniziai a venderli e questo genere di commercio ci fruttó tanti bei denari sonanti. 
Vivevamo felici, eravamo una fam... Fam... Beh, eravamo molto uniti.
Ma anche i più bei fiori appassiscono e la primaverta non dura per sempre. Così anche la mia vita così piena di sole doveva conoscere l'invernico.
Tutto cominciò quando incontrai lo Stregatto.
Era una calda giornata di inizio Settembre e mi aggiravo da solo nei boschi immaginando nuovi stili e modelli per i miei cappelli (Oh, ho fatto la rima..). D'un tratto sul ramo di un albero vidi comparire un ghigno così largo e brillante che lo scambiai per la luna (ma sapevo bene che la luna non risplende di giorno). Avvicinandomi scorsi anche una coda, poi un paio di orecchie a punta, poi ancora due occhi luminosi come smeraldi e infine mi resi conto che il ghigno apparteneva ad un gatto. 
-Dove vai?
Mi chiese laconico, senza smettere di mostrarmi i suoi denti bianchi e aguzzi.
-In nessun luogo in particolare.
Risposi mostrandomi gentile.
-Non conosco "Nessun-luogo-in-particolare", dove si trova?
-Da nessuna parte.
Il gatto allargò il suo sorriso.
-Non conosco nemmeno "Nessuna-parte", probabilmente è molto lontano.
Detto ciò evaporò lasciando dietro di sé solamente una traccia evanescente del suo ghigno sarcastico.
Continuai per la mia strada...


La Regina interruppe la narrazione con un grido ferino.
-Cappellaio!
Gracchiò puntandogli il dito contro.
-Non puoi affermare che una strada sia stata tua! Tutte le strade sono state, sono e saranno sempre mie! 
Poi si girò verso il fante di cuori.
-Quando avrà finito il racconto, tagliategli la testa!
Il fante la guardò severamente, ma non le rispose. Il Cappellaio, mortificato e sorpreso si inchinò verso l'irascibile sovrana.
-Vogliate perdonarmi, vostra magnificenzolissimolenza, non commetterò più errori simili.
-Sarà meglio per il tuo collo.
Rispose lei alzando il naso superbamente.


Dicevo, procedetti per la strada (appartenente per diritto di sovranità alla nostra Regina) che stavo percorrendo in precedenza, inoltrandomi nel bosco e schizzando sul mio quaderno decine di cappelli stravaganti. Stavo proprio dando forma con la matita ad un cappello a cilindro molto particolare, quando sentii sulla spalla una morbida carezza. Mi resi conto allora che lo Stregatto si era comodamente adagiato sulle mie spalle e la sua coda ondeggiante mi provocava un fastidioso solletico.
-Sei il Cappellaio? Ho sentito parlare di te. Che bei cappelli che disegni! Mi piacerebbe averne uno.
Mugolò facendo spudoratamente le fusa.
-Va bene Gatto, che cappello vuoi?
-Questo mi sembra il più bello.
E indicó proprio la figura del cappello che la mia matita aveva appena finito di tracciare.
-Ma lo vorrei evanescente come me.
Aggiunse stirando il suo sorriso e avvolgendomi la coda intorno al collo come un cappio.
-Non saprei come renderlo evanescente.
Risposi.
-Basta che tu gli faccia un bagno in acqua. Dopotutto tutti sanno che l'acqua evapora, così se lo bagni evaporerà anche lui insieme a me.
Convinto dalla logica dello Stregatto e curioso di provare una tecnica così particolare, tornai a casa correndo e mi misi subito al lavoro. Bastò una notte e tre quarti di lavoro per concludere la mia opera. Era un cappello stupendo. Aveva il cilindro leggermente obliquo e la tesa abbastanza larga da coprire gli occhi dal sole ed un po' ricurva ai lati. Avevo usato diverse stoffe per realizzarlo, stoffe colorate e dalle fantasie strambe ed infine avevo aggiunto un nastro di raso rosso corallo le cui code scendevano a cascata dalla tesa.
Soddisfatto ed esausto lasciai il Cappello a mollo in una tinozza piena d'acqua e raccomandai alla dolce Fiordaliso di non toccarlo. Ed uscii a cercare lo Stregatto... Oh, se mai me ne fossi andato!


Calde lacrime scendevano copiose dagli occhi iridescenti del Cappellaio. La Lepre e il Ghiro singhiozzavano insieme a lui e si asciugavano gli occhi sulla gonna di Alice.
La curiosità generale era aumentata a dismisura. Qualcuno osò allungare un fazzoletto al Cappellaio che lo prese subito e si asciugò nervosamente le guance.


Non trovai lo Stregatto, ma lo cercai così a lungo che si fece sera. E quando tornai indietro non trovai più il mulino. Al suo posto strepitavano pezzi di legna carbonizzati e sterpaglie in mezzo a mucchi di pietre sparse. Della struttura rimaneva a mala pena visibile la scala di legno divorata dalle fiamme, un pezzo di muro e l'armadio annerito nel quale il mio maestro teneva i suoi cappelli. Vagai tra le macerie con il cuore che palpitava come impazzito. Mi sembrava di essere capitombolato improvvisamente in un incubo terrificante fatto di distruzione e di braci. Scavai tra i pochi resti come un indemoniato cercando disperatamente qualcosa di integro. Non si era salvato nulla. Non trovai nemmeno i corpi della mia adorata Fiordaliso e del mio abile maestro. Volli credere che si fossero salvati.
I miei occhi improvvisamente vennero attratti da uno scintillio tremolante. Mi ci fiondai. Era la mia tinozza, ancora piena d'acqua, con dentro il cappello dello Stregatto. Lo tirai fuori e me lo rigirai tra le mani con amarezza. Quel bellissimo cappello era l'unico superstite di quella tragedia consumatasi in mia assenza. Non mi sono mai perdonato di averli lasciati.
Indossai il cappello e mi accorsi che non evaporava affatto, come invece sosteneva lo Stregatto. Mi ripromisi che l'avrei tenuto con me e che non avrei più fabbricato cappelli per nessuno. 
  
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