Lemon
Halloween
Era la notte di Halloween.
Il banchetto in Sala Grande
era terminato da un paio d’ore. Snape odiava quei banchetti, come odiava tutte
le occasioni formali di festeggiamento cui era d’obbligo partecipare. Odiava il
tono di voce bonario con cui Dumbledore gli diceva “E dai, sorridi!”. Odiava i
brindisi forzati.
E poi quella notte correva
un anniversario. L’anniversario più doloroso della sua vita.
Aveva cercato di
dimenticarlo con l’alcool, facilitato dall’insistenza di Dumbledore nel
riempirgli il bicchiere a ripetizione con un sorriso zuccherino, ma non era
possibile dimenticare… Un momento: dimenticare cosa? Non se lo ricordava più.
C’era qualcosa da ricordare, la notte di Halloween. E così adesso era tutto
triste e anche parecchio annebbiato. Sì, doveva essere colpa di Dumbledore,
tutto era per colpa di Dumbledore, e poi quella sera sempre a farlo bere…
“Ancora un goccino? Vino rosso? Vino bianco? Acquavite di Rosmerta? Grappa al
limone con fettina di limone? E dai! sorridi!”
Non poteva andare a
dormire, doveva pensare. Non era il suo turno per pattugliare i corridoi. Non
importava, sarebbe andato comunque.
Harry si svegliò di
soprassalto. Era andato a dormire subito dopo il banchetto, ma adesso sembrava
non avesse mai avuto sonno. Il mantello! Aveva lasciato il mantello… dove? Da
Hagrid? Nella Stanza delle Necessità? Sulla Torre di Astronomia? Era stato
praticamente dappertutto con addosso il mantello negli ultimi due giorni,
impossibile ricordare esattamente dove. E domani doveva andare a Hogsmeade di
nascosto con Ron. Doveva recuperalo. Adesso.
Si alzò cercando di fare
meno rumore possibile, ma al buio era difficilissimo. Non doveva svegliare gli
altri, non poteva permettere che non riposassero adeguatamente. Doveva
sacrificarsi lui solo.
Si infilò le scarpe tenendo
addosso il pigiama per non svegliare i compagni e, senza nemmeno mettersi la
vestaglia, si lanciò incurante del freddo nella gelida notte che avvolgeva le
stanze e i corridoi di Hogwarts.
Snape camminava per i corridoi
già da un po’, e l’aria fredda della notte non lo faceva sentire meglio. Anzi,
aveva qualche brivido. E gli colava il naso. Ecco, lo sapeva lui che sarebbe
finita così. Sempre quelle maratone su e giù, giù e su per il castello, ma tanto
toccava a lui, eh sempre a lui, no, non fate le ronde, c’è il vecchio Snape,
andate pure tutti a letto!
Ah e
poi c’era quella cosa da ricordare…
Ma no,
no, Dumbledore non si curava di lui, non gliene importava! Erano anni, per
esempio che gli chiedeva quella cosa… quella cattedra… che cos’era? Ah già:
Rune Antiche! Che belle le Rune.. gli erano sempre piaciute! Quanto gli sarebbe
piaciuto insegnarle, trasmettere ai ragazzi tutto quello che sapeva! In quel
momento arrivò Peeves, che impugnava una tromba babbana. Proprio quando stava
gonfiando le guance e portarsela alla bocca, Snape si voltò verso di lui,
urlando:”MI SONO SEMPRE PIACIUTE, LE RUNE!” Peeves rimase pietrificato, e la
tromba gli cadde di mano. Si voltò per seguire con lo sguardo il professore che
barcollava via, bofonchiando qualcosa come “e poi so leggere, io”.
Gliel’avrebbe
fatto vedere lui, pensò, sempre barcollando. Decise di parlarne col Preside,
l’indomani. E visto che andava nel suo ufficio, ne avrebbe dette quattro anche
al Cappello Parlante… era anche colpa sua!
Harry trotterellava
saltellando e canticchiando “Perché Weasley è il nostro re”, e ripassando
mentalmente la Finta Wronsky. Altro non avrebbe potuto fare, perché aveva
dimenticato gli occhiali in dormitorio. La sua vista, fra il buio e la miopia
fortissima, era decisamente pessima, ma ricordava i corridoi della scuola
talmente bene che poteva camminarvi attraverso senza problemi, sentendosi anzi
ancora più baldanzoso per la propria abilità, e compiacendosi per il suo essere
così sprezzante del pericolo. Il mantello ancora non ricordava dove poteva
essere, ma era sicuro che al momento giusto gli sarebbe tornato in mente.
L’importante era che nessuno se lo fosse preso, naturalmente. Certo, quello
sarebbe stato un problema, perché allora avrebbe dovuto coinvolgere anche i
suoi amici nella Cerca, affrontando magari altri draghi, altre
sfingi e altre cose del genere, e al momento doveva invece
concentrarsi sul Quidditch… Baciò rispettosamente la maglietta dell’uniforme di
Grifondoro che ormai da due mesi non toglieva mai per scaramanzia e che teneva
persino di notte, sopra al pigiama. Aveva l’odore della vittoria.
Maledetto Cappello
Parlante. Ce l’aveva col cappello da… molto tempo. Ma gli avrebbe fatto vedere
lui… Un momento, quale era la cosa che doveva ricordare a Halloween? Ma non
importava, tanto l’indomani sarebbe piombato sul Cappello e lo avrebbe
costretto a rismistarlo! Chi glielo aveva detto di metterlo in Serpeverde?
Bisognava cambiare, bisognava. Gli avrebbe suggerito di farsi mandare in
Tassorosso, ma sì, era anche bravo a cucinare!, borbottò queste ultime parole a
voce alta.
A quelle parole si aprì
piano piano una porta, e fece capolino Kreacher*, che osservò rispettosamente
il professore; gli si avvicinò e, inchinandosi, mormorò “Ooooooh, quale onore,
sono al cospetto dell’ultimo dei Prin- “ ma fu interrotto dall’urlo selvaggio
di Snape: “SONO BRAVO A CUCINARE, IO!”
A Kreacher caddero i lunghi peli delle orecchie. Restò pietrificato a
guardare il Professore che se ne andava minacciando qualcosa come “…sprecato
per le pozioni…”.
Ma, svoltato l’angolo,
Snape si fermò di soprassalto, come se qualcuno lo avesse colpito in faccia:
aveva fiutato qualcosa.
Harry aveva la bacchetta spenta
e al suo posto. D’altra parte non stava neanche controllando la mappa del malandrino. Senza occhiali sarebbe
servito a poco, e poi come al solito confidava nella fortuna. Ma silenziosi
passi strisciavano inesorabili verso di lui. Non sapeva di non essere solo.
All’inizio non capì di che
cosa si potesse trattare, ma poi, lentamente, la consapevolezza si fece sempre
più chiara in lui: era puzza di Quidditch. Sì, il tipico afrore maschio che
emanavano i giocatori di Quidditch quando scaramanticamente non si toglievano
la maglietta con cui avevano vinto una partita, a volte addirittura per mesi e
mesi. C’era stato anche qualcuno in particolare, in passato, che faceva così…
Ma chi? Ma non importava.
Decise di non accendere la bacchetta,
per cogliere di sorpresa chiunque si fosse trovato di fronte di lì a poco. E
poi a lui non serviva la luce… Non con il suo olfatto. Nel frattempo una delle
armature animate stava lentamente, molto lentamente, alzando l’enorme ascia che
impugnava**, e probabilmente l’avrebbe abbassata mentre il Professore sarebbe
passato lì di fronte… Snape stava ancora pensando a chi poteva essere lo
studente nottambulo, e nel frattempo rimuginava sul fatto che nessuno avrebbe
mai creduto neanche alle sue ottime percezioni olfattive. Si voltò verso
l’armatura, aprì la ghiera dell’elmo e urlò: “HO IL FIUTO DI UN BASILISCO,
IO!!!” il tutto rimbombò orribilmente nel silenzio notturno. L’armatura crollò
in mille pezzi.
Harry sentì quel rumore
pazzesco. Perfetto!, pensò, stava succedendo qualcosa… In fondo se lo
aspettava, lui non aveva mai avuto pace. Però non aveva avuto dolore alla
cicatrice recentemente, per cui non doveva trattarsi di Voldemort. Ma allora…
Svoltò l’angolo con la sua
solita andatura baldanzosa e urtò violentemente contro qualcuno.
Snape era stato sul punto
di dire “Lumos” per abbagliare lo studente, ma non fece in tempo. Dopo l’urto
si scostò i capelli dagli occhi e recuperò l’equilibrio, o per lo meno fece il
tentativo. Era proprio come aveva fiutato: era Potter…
Ma era diverso dalle solite
volte. Chissà come mai. La sua rabbia era sparita in un attimo, lasciando il
posto a uno strano turbamento. Forse era stato l’urto… ma no, ecco cos’era.
C’era qualcosa da ricordare sui suoi occhi, che però erano chiusi. I suoi
occhi... Ecco cosa doveva ricordare.
Harry riaprì gli occhi,
continuando peraltro a non vederci. C’era una forma dai contorni sfuocati di
fronte a lui, eppure era una forma solida, perché ci aveva sbattuto contro.
Aveva sembianze umane. Fece appello a tutte le sue conoscenze nel campo della
Difesa dalle Arti Oscure.. cosa poteva essere? Un Dissennatore? Un Infero? Un
Molliccio? No. Doveva essere umano. Doveva essere…
Quegli occhi… Snape li fissava profondamente turbato, perché non capiva nulla
di quello che era successo quella notte, a parte che davanti a lui c’erano due
occhi di quel verde..
Era Snape! Forse glielo aveva
preso lui il mantello. Ma certo! Doveva cercare di capirlo. Ma non doveva farsi
accorgere. Gli occhi di Harry cominciarono a percorrere la figura del
professore… alla ricerca di dove poteva aver nascosto il mantello.
Snape, quasi senza rendersene
conto, scostò il proprio con un gesto fluido.
Gli occhi di Harry
meccanicamente percorsero avidi la figura del professore, fino a che non si
accorse che effettivamente doveva avere il mantello in una tasca dei pantaloni.
No, non poteva essere il mantello…
forse era la bacchetta. Cercò di nuovo il mantello… ma i suoi occhi tornarono a
fissare quella che credeva essere la bacchetta del professore… e non si accorse
che gli occhi dell’altro avevano cambiato espressione.
Si sentiva stranamente ipnotizzato da quella figura. Non sentiva alcuno tipo di
preoccupazione, non come quando lo incontrava di solito. Eppure non c’era nulla
di strano, almeno apparentemente, nel comportamento dell’altro. Allora cos’era
quella sensazione? E come mai Snape era in quello stato?
Anche Snape nel frattempo lo
stava guardando, sempre annebbiato dall’alcool ma adesso stranamente presente,
e quasi ipnotizzato da quello che vedeva cominciò a parlare, come in
automatico, come per abitudine, e gli chiese qualcosa.... non sapeva nemmeno
lui che cosa, non importava cosa, forse, ecco, dove stava andando. Non si rese
conto che la sua voce usciva molto calda e roca.
Harry vide una luce strana nelle
pupille dilatate dell’uomo che aveva di fronte,
che alzò lentamente una mano e
gli sfiorò il viso... come se non fosse stato il suo viso, ma un altro.
Incatenato dal magnetismo di
quegli occhi, iniziò a intuire cosa stava succedendo veramente, e non andava
bene, era assurdo, però si sentiva stranamente coinvolto. L’espressione
dell’altro era diversa… era triste. In quel momento il professore teneva il
viso inclinato e sembrava più giovane… Harry osservò le ciocche di
capelli che accarezzano quel volto malinconico che adesso lo stava guardando,
quasi come una muta domanda rivolta solo a lui e solo a lui comprensibile... a
quel punto Harry riacquistò la parola e a voce bassissima chiese: “Che cos'ha?”
Snape
non rispose. La mano che prima aveva accarezzato il viso di Harry però ora
stava lentamente e delicatamente scivolando verso il basso, sfiorando i bottoni
della giacca del pigiama, leggera ma percettibile... adesso afferrò il bordo
della giacca come per trattenerlo... sempre guardandolo negli occhi e
attirandolo leggermente verso di sé. Harry pensò che l’altro si stesse
aggrappando a lui per sorreggersi e disse "ma Signore, si sente
male?" ma il professore non lo sentiva, e allungò anche l'altra mano, inesorabile.
Harry dapprima non si accorse di quel tocco strisciante e sinuoso delle dita
lunghe e sottili ma quando se ne accorse era troppo tardi per sottrarsi…
Erano troppo vicini. Entrambe le
mani del professore afferravano i suoi fianchi, e una delle sue
gambe si era insinuata fra le
sue. Quando cercò di muoversi perse l’equilibrio e gli cadde addosso, e l’altro
lo sostenne… Erano vicini l’uno all’altro più di quanto
immaginava si potesse mai
essere, i loro corpi separati solo da pochi millimetri di stoffa, una
misteriosa onda che li univa.
Harry alzò lo sguardo, i loro volti erano vicinissimi ormai… non
sentì e non vide più nulla
quando le labbra dell’altro cercarono le sue, ed era perfetto, era l’unica
cosa al mondo…
Risuonarono dei passi nel
silenzio che li avvolgeva. Entrambi si bloccarono nella posizione in cui erano
per voltarsi e per vedere che sul pavimento dietro di loro, al tenue bagliore
della luce lunare, c’era una pantofola ornata di piume di struzzo, fucsia.
Entrambi risalirono con lo sguardo. Attaccato alla pantofola c’erano la gamba e
il corpo di Dumbledore. Aveva un sorriso zuccheroso eppure maligno.
“Ehehe!” disse con tono casuale
“cercavo il bagno ma mi sono perso… Harry tu ricordi per caso dov’è?¨
Snape e Harry lo fissarono
inespressivi, come pietrificati.
“Aaah, ma certo, è da quella
parte!” esclamò Dumbledore facendo un bizzarro gesto con la mano. “Be’ io qui
sono di troppo… vi lascio soli! Severus ma che faccia che hai... e dai!
Sorridi!” e così dicendo taccheggiò per la sua strada.
Un momento. Perché Dumbledore
aveva fatto irruzione in quel modo? Il bagno? Deve esserci qualche messaggio in
codice, pensò Harry. Non poteva essere venuto lì solo per il bagno. Forse
alludeva a quella storia del basilisco che era successa nel secondo anno? No, di sicuro Dumbledore aveva bisogno di
affidargli una missione, ma non fidandosi veramente di Snape (e chi
poteva?) non aveva voluto parlare chiaramente. Allora era compito suo scoprire
cosa doveva fare. Che cosa aveva indicato? Cosa c’era nella direzione indicata
da Dumbledore?
Così pensando non si era accorto
che Snape nel frattempo si era allontanato da lui, e adesso, dopo aver
osservato il Preside che diventava una macchiolina fucsia in fondo al
corridoio, lo stava guardando.
“Dumbled… Potter!” ringhiò “200 PUNTI IN MENO A GRIFONDORO!”
Snape si voltò e sparì, col
mantello che volteggiava e lasciandosi dietro uno strano aroma di… grappa al
limone? No, era impossibile. Doveva aver lavorato a qualche pozione misteriosa
e venefica, sicuramente usando successivamente del limone per coprire l’odore
degli strani e immondi ingredienti che aveva utilizzato.
Harry rimase lì pensoso, ancora
concentrato sulla visione della pozione, quindi si scosse, tirò fuori la
bacchetta e con essa si grattò la tempia. Allora, dov’era che aveva lasciato il
mantello?
La mattina dopo, domenica, Harry
dormiva sodo. Verso le 10 fu svegliato dalla voce tonante di Ron: “Ehy ci andiamo o no a Hogsmeade di nascosto??? Chissà cosa
è successo alla clessidra… Tu non sai quanto siamo sotto!”
Harry mormorò qualcosa come “Snape.. il mantello…
Dumbledore…” ma fu svegliato del tutto dall’arrivo improvviso di Hermione:
“Harry, siamo sotto di almeno 200 punti rispetto a ieri! Sei stato tu? Ti avrò
detto mille volte di non uscire la notte! Così non vinceremo mai la coppa delle
Case! E poi …” Harry si era già quasi riaddormentato… un’ondata di sonno e di noia si stava impossessando di lui...
doveva resistere... no, non poteva… sonno… noia… “…e non vorrai mica che i
Serpeverde ce lo mettano in quel posto!”
Harry si tirò su a sedere di
scatto, e rispose: “Ehm, no. Certamente no!”
Note
[*] Non
ho proprio saputo resistere all’idea di inserire Kreacher! Prima di tutto
perché è un personaggio minore di quelli che all’inizio non amavo affatto,
mentre mi sono poi ravveduta sul suo conto, fino a considerarlo (quasi) eroico;
poi, perché mi sembrava una cosa carina permettere al povero Professor Snape di
essere riconosciuto come un Prince, almeno per una volta nella vita! E da chi
se non da Kreacher? Anche se qui però il Professore è troppo brillo per
accorgersene…
[**] Sì
lo so che le armature del castello non attaccano a caso chi passa loro davanti,
però mi hanno tanto colpito nel settimo libro… a parte l’armatura che Snape usa
per difendersi dall’attacco di McGonagall coi coltelli, dimostrando peraltro
anche una certa forza fisica (non usa la magia, stavolta!), ma anche nel pezzo
in cui Minerva stessa ordina successivamente alle armature di difendere la
scuola dall’assedio dei Deatheaters!
Grazie
a tutti per aver letto questa fan fiction, è la prima in assoluto che scrivo!
Spero
vi sia piaciuta!
In
tal caso, fatemelo sapere lasciando un commento, che sarà comunque
graditissimo!