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Autore: happley    04/08/2014    1 recensioni
Lo baciò, nonostante in quell’istante gli desse sui nervi più che mai (lui, che faceva emergere ciò che di più primitivo, animalesco ed irrazionale c’era in lui), perché cedere per primo al desiderio di fuga sarebbe stato come perdere e Manabe detestava perdere.
Matatagi/Manabe ispirata alla canzone "Animal" dei Neon Trees.
Del tipo: coppie impopolari che mi piacciono da morire! Credo che abbiano una buona chimica e in questa fic ho cercato di esprimere quella che secondo me è una caratteristica importante del loro rapporto.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Manabe Jinichirou, Matatagi Hayato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Buon pomeriggio. Non ho mai pubblicato fic su questa coppia, benché mi piaccia moltissimo e abbia più di un headcanon in proposito (ripenso alle millemila fic nate dalle discussioni con Fede, bellissime idee che mai scriveremo, aw). La storia vuole essere un Missing Moment ambientato dopo gli episodi 26-27, in nessun contesto particolare -in effetti, il contesto non mi interessava molto, l'importante era far emergere il punto focale della loro relazione: l'attrazione fisica (Manabe e Matatagi hanno più di un motivo per non starsi simpatici, ma combattere contro quest'attrazione non è facile). Il punto di vista dal quale ho scelto di raccontare è quello di Manabe.
La canzone a cui è ispirata la fic (e dalla quale sono tratte le righe qui sotto, nonché il titolo) è "Animal" dei Neon Trees.


I feel the chemicals kickin' in, it's getting heavy
And I wanna run and hide, I wanna run and hide…

the Animal inside of you
  
Mani calde, polpastrelli ruvidi tracciavano cerchi sulla sua pelle, percorrevano la linea della sua colonna vertebrale e si premevano nelle fossette alla base della schiena.
Istintivamente, Manabe chiuse le scapole ed s’inarcò sotto quel tocco, buttò la testa all’indietro e boccheggiò alla ricerca dell’aria che gli era uscita dai polmoni tutta d’un colpo.
Matatagi gli lasciò il tempo di fare un solo, profondo respiro, prima di inseguire le sue labbra e catturarle in un bacio vorace. Gli morse il labbro inferiore e glielo tirò leggermente, poi fece scivolare la lingua calda nella sua bocca, contro il suo palato.
Manabe deglutì: non sapeva cosa fare. Per quanto cercasse una soluzione, questa pareva sfuggirgli costantemente dalle dita mentre lui lottava per non perdere lucidità. In verità, non capiva nemmeno bene cosa stesse succedendo. Lui voleva soltanto che Matatagi lasciasse stare Minaho; quindi, com’erano arrivati a quel punto?
Non riusciva a darsi nessuna spiegazione razionale.  
Sapeva solo che, quando Matatagi aveva riso alla sua minaccia, gli aveva preso il colletto della maglia tra le mani, arrabbiato, e lo aveva spinto contro un muro. Aveva agito d’istinto, senza pensare che in uno scontro fisico avrebbe avuto quasi certamente la peggio.
Aveva visto Matatagi sussultare ed irrigidirsi, e aveva temuto che stesse per tirargli un pugno, invece… Invece, dal nulla ed apparentemente senza alcun motivo, Matatagi si era chinato velocemente in avanti e l’aveva baciato sulle labbra e –quel che più lo sconvolgeva- Manabe non gliel’aveva impedito. Buone intenzioni, obiezioni e, non per ultima, la sua amata logica erano andate a farsi benedire, ridotte in cenere dalla vampata di calore che gli era esplosa nel petto, diffondendosi rapidamente in tutto il corpo come fuoco nelle vene.
Il fatto che fino a poco prima stessero litigando ed odiandosi non sembrava essere di nessun ostacolo all’attrazione che li aveva spinti l’uno contro l’altro, anzi, forse era persino eccitante.
Manabe rabbrividì: no, non poteva averlo pensato davvero.
Non c’era possibilità che qualcosa del genere potesse piacergli; lui odiava Matatagi, lo odiava perché era un ragazzo arrogante, falso, e con lui non riusciva a restare calmo e composto come avrebbe voluto. Matatagi non pareva doversi nemmeno sforzare, per riuscire ad irritarlo.
“Ops” bisbigliò, “hai già finito gli stamina, Manabe?”
Manabe gli scoccò un’occhiata che avrebbe voluto essere torva ed ostile: avrebbe voluto rispondergli per le rime, ma non si fidava della propria voce.
Gli girava la testa e le sue gambe erano diventate instabili e tremule; fece per raddrizzarsi mentre riprendeva fiato, ma barcollò e Matatagi dovette reggerlo tra le proprie braccia. Lo attirò contro di sé, infilando una gamba tra le sue e annullando ancora di più -in modo quasi impossibile- lo spazio tra i loro corpi. Le sue mani gli mantenevano i fianchi, con i pollici ben impressi nelle sue fossette di Venere e le altre dita sulle ossa sporgenti del bacino. Senza forza per ribellarsi, Manabe restò appoggiato contro di lui, con i pugni stretti e il viso nascosto nell’incavo della spalla.
Sfiorò il suo collo con il naso e si rese conto che avrebbe fatto meglio ad allontanarsi subito.
L’odore della pelle di Matatagi, il suo calore, le pulsazioni rapide ed irregolari, lo eccitavano. Il fuoco sopito nel suo petto divampò improvviso e Manabe sentì una voce urlargli, da qualche parte nella sua mente confusa, di scappare e andare a nascondersi il prima possibile.
Matatagi era stranamente silenzioso (lui, che di solito non perdeva occasione di stuzzicarlo, non con un’occasione così ghiotta, un’opportunità tanto dolce), quindi forse era finita.
Forse si era stancato ed ora lo avrebbe lasciato andare.
Manabe si raddrizzò, ben intenzionato a seguire il saggio consiglio della sua coscienza.
Ma la stretta sui suoi fianchi, invece di allentarsi, si fece più stretta, più urgente.
Al di là delle lenti degli occhiali, Manabe vide il solito sorriso arrogante di Matatagi rimpiazzato da un’espressione seria, pericolosamente simile alla propria –nei suoi occhi neri come il petrolio si mischiavano desiderio e necessità di darsela a gambe.
Il suo respiro era affannato e le guance leggermente arrossate.
Si leccò le labbra secche e Manabe tornò a baciarlo ancor prima di metabolizzare ciò che aveva fatto. Lo baciò, nonostante in quell’istante gli desse sui nervi più che mai (lui, che faceva emergere ciò che di più primitivo, animalesco ed irrazionale c’era in lui), perché cedere per primo al desiderio di fuga sarebbe stato come perdere e Manabe detestava perdere.
 
(Matatagi intuì i suoi pensieri e sorrise: il sentimento era puramente reciproco.)

 
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