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Autore: SmartieMiz    04/08/2014    4 recensioni
Sono tutti liceali così differenti tra loro con le loro passioni e i loro segreti, i loro sogni e le loro incertezze; eppure sono i perdenti, gli "sfigati", solo perché non seguono la massa o perché strani, "diversi" agli occhi altrui.
Solo perché c'è chi ama la propria patria. Chi la poesia. Chi la libertà. Chi l'amore.
[AU! Lycée; e/R - Jehan/Courfeyrac - Eponine/Combeferre - Marius/Cosette + other ships]
Rating dovuto alle tematiche trattate.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Courfeyrac, Enjolras, Eponine, Grantaire, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo VI ~ Gli esiti



Nonostante tutto, era stata una bella serata. Eponine aveva parlato moltissimo con Grantaire scoprendo di essere in totale sintonia con lui ed era riuscita persino a parlare con il timido Jehan che aveva subito preso in simpatia.
«E se esistesse anche The Courfeyrac Show? Se voi foste tutti attori in mia funzione?», Courfeyrac era ancora sconvolto per il film appena visto: «‘Ferre, ammettilo! Tu sei un attore nato per distruggermi!».
Combeferre rise. «Sempre al centro dell’attenzione, tu! Potrebbe essere anche il mio show, o quello di chiunque altro».
Verso mezzanotte i ragazzi si salutarono.
«È stato un piacere averti con noi, se vuoi il mercoledì pomeriggio siamo soliti incontrarci al Café Musain per la nostra causa», disse Combeferre tutto d’un fiato quando salutò Eponine.
Eponine annuì con un sorriso appena accennato, e Combeferre rischiò di sciogliersi, ma cercò di non darlo a vedere. Courfeyrac assisteva alla scena scuotendo il capo, divertito.
«Allora ci vediamo a scuola?», chiese Grantaire a Jehan.
«Sì. Ciao, ‘Taire».
«A lunedì!».
 
Quella notte Grantaire non riuscì a dormire per due motivi. Il primo motivo era la mancanza di alcool: aveva la gola secca e il gran bisogno di bere, peccato che in casa l’ultima bottiglia di vino era esaurita; forse sua zia aveva pensato benissimo di nascondergliela, ovviamente per il suo bene.
Grantaire si faceva vedere ubriaco da sua zia di rado: preferiva uscire di casa la sera – quando poteva – e tornare tardi, per poi rientrare a casa e dormirci su.
Sua zia Agnés, una donna di quarantacinque anni, voleva molto bene al nipote, anche se aveva qualche difficoltà a dimostrarglielo. Era molto premurosa, ma a causa del lavoro non poteva controllarlo sempre. E poi sapeva bene che quel ragazzo, già ventenne, era impossibile da trattare, ma lei ci provava ugualmente.
Quando Grantaire era tornato a casa per la mezza, Agnés quasi si era meravigliata di averlo trovato così presto e piuttosto lucido: solitamente il sonno l’aveva già vinta quando il giovane tornava a casa.
«Grantaire, tesoro, dove sei stato?», gli aveva chiesto quando lo aveva visto varcare la porta di casa.
«A casa di amici», aveva risposto il ragazzo, molto vagamente: «Vado a dormire. Buonanotte».
Grantaire era andato a prepararsi per la notte, dopodiché si era buttato sul letto. Aveva chiuso gli occhi nel tentativo di prendere sonno, ma li aveva riaperti un istante dopo.
Il secondo motivo che lo teneva sveglio era Enjolras.
Quell’Enjolras era diventato la sua ossessione. La sua ossessione preferita, per l’esattezza. Il bisogno di vedere Enjolras quasi superava il bisogno di bere.
Quando aveva bevuto alla prima riunione de les Amis de l’ABC irritando ed esasperando Enjolras, si era sentito male per un po’ di giorni. L’idillio e la dolce, inaspettata sensazione che aveva provato quando Enjolras lo aveva fermato a scuola per parlargli si erano immediatamente spezzati: Grantaire sentiva di aver combinato un guaio e che se il loro rapporto aveva avuto la speranza di essere buono, ormai quella speranza era andata perduta per sempre.
Forse si sbagliava, ma Enjolras non era più come prima nei suoi confronti. L’essere freddo e senza emozioni come un marmo era una qualità propria di quel giovane Apollo, ma Grantaire avvertiva quasi delle differenze, forse minime, quando gli rivolgeva la parola.
Non sapeva cosa stava accadendo. Sapeva soltanto che aveva bisogno di Enjolras, senza nemmeno chiedersi o spiegarsi il perché, perché era diventato improvvisamente tutto così naturale, così ovvio. Lui, cinico, scettico, lui che era un totale disastro, aveva bisogno di quel ragazzo così credente, determinato, puro, appassionato, perfetto, proprio come l’uomo ha bisogno della luce, del sole, dell’acqua per vivere.
E se Enjolras era la sua luce, il suo sole, la sua acqua, Grantaire voleva vivere.
 
Quella domenica, Jean Prouvaire si svegliò di buon’ora. Al contrario di Grantaire, aveva dormito divinamente.
Per le dieci uscì di casa e si diresse al parco o meglio, al suo albero preferito del parco. Faceva piuttosto freddo, ma non così tanto da restare chiusi in casa.
Jehan amava stare all’aria aperta e anche se apprezzava ogni singola stagione trovandoci sempre del buono, per lui la fine dell’autunno e l’intero inverno erano una dura sofferenza: preferiva di gran lunga la primavera e scrivere, leggere e comporre versi in un parco o in un giardino che farlo in casa. Tuttavia, considerava preziosa e ispiratrice anche la solitudine della sua stanza.
Stava appunto scrivendo dei versi quella mattina, sentendosi particolarmente ispirato: stava lavorando su un sonetto.
Erano passate diverse ore. Gli bastò alzare un attimo lo sguardo per notare che Courfeyrac – sì, Courfeyrac! – passava di nuovo da quelle parti. Doveva abitare nei dintorni?
Courfeyrac guardò in sua direzione, assolutamente di proposito, e fece un cenno, accompagnato da un grande sorriso. Jehan rispose anche lui con un cenno, sperando vivamente – invano – di non essere arrossito fino alla punta dei capelli.
Courfeyrac gli si stava avvicinando, e Jehan stava andando in iperventilazione.
Cosa dire? Cosa fare?
Stava accarezzando l’assurda idea di fuggire quando Courfeyrac gli fu completamente vicino.
«Come va?», gli disse amichevolmente il ragazzo.
Jehan deglutì. «B-bene. Te?».
«Bene, a parte il noioso pranzo domenicale con i nonni che mi attende», rispose Courfeyrac alzando gli occhi al cielo.
«M-ma farai tardi», disse molto intelligentemente Jehan: «È quasi l’una».
«In realtà sono già in ritardo di un quarto d’ora, ma mi scoccio esageratamente. Oh, un diario! Che fai?», cambiò totalmente argomento Courfeyrac, prendendo posto accanto a lui sul prato.
Era uno scherzo, quello?
Courfeyrac non prese il diario di Jehan senza permesso come avrebbe potuto fare qualcun altro, e per questo il poeta gli fu già immensamente grato. «Io, beh… ecco… s-scrivo poesie», svelò Jehan: «e storie».
Neanche Grantaire sapeva che Jehan scrivesse poesie, anche se avrebbe potuto intuirlo abbastanza facilmente. Jehan si sentì improvvisamente come un pulcino fuori dal nido.
Courfeyrac non fece una faccia contrariata o una smorfia: sorrise ancora di più. «Ah sì, ieri sera lo avevi accennato, in un certo senso. E su cosa scrivi?», chiese, interessato.
«S-sull’amore. La primavera. I fiori. La pioggia. La solitudine. La malinconia. La vita. La morte. Su quel che mi capita», sparò a raffica l’altro.
Courfeyrac annuì con l’ennesimo sorriso. Se Courfeyrac avesse continuato a sorridere in quel modo, Jehan non avrebbe retto ancora.
La fortuna – o sfortuna? – volle che Courfeyrac si alzasse e dicesse: «Devo proprio andare se non voglio sentire i miei urlarmi contro! È stato un piacere, Jehan. Ci vediamo!».
Jehan non riuscì a dire e fare niente, se non a salutarlo con un segno della mano.
Quando Courfeyrac scomparve definitivamente dalla sua vista, Jehan riprese a respirare regolarmente. Si diede del cretino: perché quando lo vedeva si trasformava in una dodicenne alla sua prima cotta?
Cotta.
Bastò pensare a quella parola e Jehan divenne scarlatto.
 
«Courfeyrac, sei in ritardo di ventiquattro minuti», lo ammonì la madre: «I nonni stavano aspettando soltanto te».
«Mi chiedo cosa tu faccia per essere sempre così in ritardo agli appuntamenti!», sbottò suo padre.
«Scusatemi!», disse il ragazzo ansimante a tutti i presenti. Il nonno, severo, lo stava squadrando da capo a piedi. Suo padre aveva un’espressione ancora più terrificante del nonno.
In quella stanza, l’unica persona che sorrideva giovialmente era la nonna del giovane. «Suvvia, non ne fate un dramma! Bastava però avvisare, mio caro!».
Courfeyrac sorrise, precipitandosi su sua nonna e cogliendola in un abbraccio. «Ciao nonna!».
«Mio nipote adorato!».
Quando si staccò dall’abbraccio, si avvicinò al nonno che gli regalò un’occhiata fredda e si limitò a stringergli la mano.
«Credo possiamo dar inizio al pranzo», disse la madre di Courfeyrac.
Una decina di minuti più tardi, erano tutti seduti comodamente a tavola parlando di cose assai noiose.
«Dunque, madre, padre, com’è stato il viaggio in India?», chiese il padre di Courfeyrac.
«È stato in-can-te-vo-le!», rispose l’anziana signora, emozionata: «Un paese pieno di storia e cultura. Magnifico. Ne sono rimasta semplicemente abbagliata».
Parlarono per un po’. Courfeyrac non ascoltava, troppo annoiato ed intento a divorare la sua porzione di pasta.
«E quindi sei all’ultimo anno di liceo, nipote», disse improvvisamente suo nonno.
Courfeyrac tornò alla realtà. Sua madre lo guardò con disapprovazione, facendogli cenno di pulirsi la bocca.
Il ragazzo sbuffò, pulendosi con un fazzoletto: «Sì, nonno».
«Mi sembra sciocco chiedertelo, ma dopo farai Legge all’università e sarai avvocato, giusto?», fece suo nonno.
«Ma che domande! Ovvio. Porterà avanti la tradizione di famiglia e il nostro buon nome, padre», disse il padre di Courfeyrac a suo nonno.
Courfeyrac sorrise imbarazzato. «Che gran bella cosa, me ne compiaccio», continuò il nonno, poi disse: «E che cosa mi racconti, nipote?».
«Niente di interessante».
«Non si parla con la bocca piena, ma quanti anni hai?», lo ammonì sua madre.
Courfeyrac roteò gli occhi al cielo. «E la fidanzatina?», continuò a chiedere suo nonno molto sfacciatamente: «La nonna ed io vogliamo tanti bei nipotini, vero?».
Il ragazzo rischiò di farsi andare un boccone di traverso. Certo, un giorno gli sarebbe anche piaciuto essere padre, ma di certo non a quell’età.  «Suvvia, Gérard! Ha diciassette anni il ragazzo, credo sia ancora presto per parlare di figli!», disse sua nonna divertita con una risatina.
Santa nonna.
«Diciotto», precisò la madre: «Diciotto tra meno di due mesi».
«Insomma, è un vecchio decrepito!», disse ironicamente la nonna.
Il nonno sembrava non voler sviare la questione. «Allora, nipote? Come va con le ragazze?».
«Uno schifo. Per ora sto bene da solo», rispose Courfeyrac con un sorriso mellifluo.
I genitori lo guardarono torvo. «La nonna conosce una giovinetta che vive qui nei dintorni. Dovremmo fartela conoscere».
«Nonno, sono contro i matrimoni combinati», scherzò Courfeyrac, non nascondendo un’aspra ironia: «Sto bene, fidati. Ho i miei amici, che me ne faccio di una ragazza!».
Suo nonno lo guardò in volto, freddamente. «Beh, come vuoi, l’importante è che prima o poi mi darai dei nipotini, e insisto su questa cosa. Sai cosa intendo, vero? L’importante è che tu non sia frocio!».
Gli unici a ridere furono i due uomini. La madre di Courfeyrac taceva, la nonna sembrava indignata.
E poi c’era Courfeyrac che proprio non capiva cosa ci fosse di divertente nelle parole del nonno.
«Non sono gay, nonno, ma cos’hai contro gli omosessuali?», si limitò a dire.
«Lo chiedi pure?», fu suo padre a rispondere, con un sorriso idiota sotto i baffi.
Courfeyrac ne aveva abbastanza. Prima i suoi amici, poi suo nonno e suo padre. Cosa c’era che non andava in loro?
Immediatamente pensò a quello che gli avevano detto i suoi amici su Jehan. Come potevano le persone dire certe cose? Jehan era la persona più innocua e buona che conosceva.
«Preferisco astenermi dal commentare, non voglio rovinarmi il pranzo», disse la nonna, poi con un amabile quanto finto sorriso disse: «Allora? Potrei continuare a parlare del mio viaggio in India?».
 
Il giorno dopo c’era agitazione a scuola, tutti entusiasti per l’elezione dei rappresentanti d’istituto.
Grantaire era appena uscito dalla cabina apposita al voto. «Credo sia la prima volta che abbia votato in vita mia», disse il ragazzo con una risata.
Jehan sorrise. «Hai votato Enjolras?», chiese.
«Il voto è segreto, tesoro», disse Grantaire ironico, poi aggiunse sottovoce: «E secondo te chi ho votato, eh?».
«Okay, avevo indovinato».
«Merita davvero di vincere, e non lo dico perché sono di parte», parlò Grantaire.
«Ma infatti. L’ho votato anch’io. Spero vinca».
Qualche ora dopo si ebbero gli esiti. In tutto l’istituto, Enjolras aveva ottenuto trenta voti. Un pessimo risultato, ma decisamente migliore di quello di Alain, Pierre e Vincent che ne avevano ottenuti ventinove.
Alla fine vinse il gruppo di Carine, Coralie e Christine, le tre cheerleader più popolari – e vuote – di quel liceo.
Alain, adirato, camminava avanti e indietro per i corridoi.
Il pacifico e diligente Combeferre non si trattenne e rise. «Non sai come sto godendo», disse ad Enjolras.
«Sono state elette quelle tre ragazze», disse invece Enjolras, profondamente serio: «L’istituto andrà a rotoli».
«Non sono le regine del mondo, amico. Domani consegneremo il nostro programma al preside, tranquillo».
 
«Courfeyrac! Marius!».
I ragazzi si voltarono, vedendo Alain arrivare. «Alain furibondo in arrivo», bisbigliò Courfeyrac.
«Cosa gli diciamo?», fece Marius.
«Mentiamo spudoratamente, no?».
Alain si avvicinò e con un sorriso mellifluo disse: «Buongiorno, ragazzi».
«Ciao, Alain!», rispose Courfeyrac.
«Bella giornata, vero? Fa meno freddo di ieri, si sta bene!», inventò Marius, in buona fede.
«Bella giornata?», ripeté Alain, poi gli sfuggì una risata sarcastica: «Quel folle di Robespierre ha ottenuto un voto in più a noi. Mi chiedo chi siano gli imbecilli che lo votano!».
Courfeyrac trattenne una risata: se Enjolras avesse saputo che Alain l’avesse soprannominato Robespierre, avrebbe fatto i salti di gioia.
«Non lo so», fece Marius: «Eppure le vostre idee sembravano buone…».
«Lasciate stare questo fatto, ma piuttosto pensate alle idee di quello psicopatico. Cambiare l’istituto, e poi il mondo. Solo un povero pazzo può pensarlo. E poi combattiamo per la patria? Ma cos’ha in testa? E quel “non vi inciterò a votarmi perché ciò significherebbe andare contro i principi di libertà, di voto e d’espressione, ma sappiate che potete sempre contare su di me”. Insomma, che ruffianata!».
Forse Enjolras poteva essere un po’ folle nel suo buonsenso, ma non era assolutamente un ruffiano. Courfeyrac si trattenne dal dire qualcosa, restando al gioco.
«Voi avete votato noi, vero?», Alain fece finalmente la domanda che ormai si portava da tutta la giornata.
«Certo che sì!», rispose Courfeyrac.
Alain aggrottò le sopracciglia. «Già, come posso dubitare di voi!», disse, con un sorriso molto forzato e falso: «Io vado. Ci si vede».
Andò via, e Courfeyrac e Marius non riuscirono a trattenere le risate.





 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Eccomi con il sesto capitolo! Abbiamo praticamente Grantaire e le sue riflessioni su Enjolras e sì, il nostro amato 'Taire direi che è completamente andato, ma questo già lo sapevamo ♥
E poi insomma, abbiamo una scena pucciosa tra Jehan e Courf! *w* 
Inutile dire che non sopporto i genitori di Courf - ricconi snob e molto all'antica - e in particolar modo suo padre. E anche suo nonno. Al contrario, adoro sua nonna e sono lieta di annunciarvi che la rivedremo un po' più avanti u.u
Cosette tornerà presto nel prossimo capitolo! c: E anche Marius ;)
Ah, dimenticavo! E' vero che Enj ha perso :( ma almeno ha superato di un voto Alain e la sua combriccola di idioti u.u
Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono ♥
A presto! :D
SmartieMiz
   
 
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