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Autore: Cygnus_X1    04/08/2014    6 recensioni
[SOSPESA]
Zrythe non ha mai avuto una vita facile.
Quando aveva tre anni il suo pianeta è stato invaso e lei rapita e venduta come schiava dai razziatori. Per quindici anni questa è stata la sua esistenza, ma non si è mai spento in lei il desiderio di rivalsa. Ha giurato che sarebbe fuggita e si sarebbe vendicata, e sta solo aspettando la sua occasione, alimentando in segreto quegli strani poteri che si è resa conto di possedere.
Quindi, quando Ryan, un ragazzo con dei poteri simili ai suoi, le propone di portarla con sé, Zrythe accetta senza pensarci due volte. Presto però si trova al centro di un gioco pericoloso, un gioco in cui le pedine in campo sono molte più che lei e la sua vendetta...
[Soft Sci-Fi/Space Opera]
Genere: Azione, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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——[L'estraneo]——




 

«E



hi, tu!»
Deglutisco, terrorizzata. Il mio cuore accelera i battiti. Cerco di continuare il mio lavoro come se niente fosse, ma le mie mani tremano.
Sento i passi di un Serket alla mia destra avvicinarsi. Sollevo la cassa di proiettili dal nastro trasportatore e la posiziono sul carrello, guardando in basso.
I passi mi raggiungono e mi oltrepassano, e il soldato punta il fucile contro la schiava alla mia sinistra. Non so chi sia, dev’essere di un altro gruppo. La ragazza fissa il Serket terrorizzata, senza parlare. Quello le ringhia qualcosa, minacciandola, e lei indietreggia tremando. Sospiro, sollevata. Prendo un’altra cassa, e sbircio la scena da sotto i capelli.
La ragazza arretra scuotendo la testa. Il soldato la afferra per un braccio e la strattona avvicinandola al viso coperto dalla visiera del casco.
«Non ti conviene scherzare con il fuoco, ragazzina. Se ti becco a rubare ti ammazzo all’istante, chiaro?»
La schiava annuisce. Il Serket la spinge con forza indietro, facendola inciampare, e ritorna alla sua postazione.
Distolgo lo sguardo in fretta e ritorno a concentrarmi sulle casse di munizioni. Seconda regola per sopravvivere qui: non curiosare. Mi sembra quasi di sentire la voce di Eileen quando me lo ha detto. È stato durante la prima notte, io ero rannicchiata in un angolino del mio letto senza più lacrime da piangere. Lei era di fianco a me, mi si è avvicinata e mi ha sorriso.
Eileen aveva già diciassette anni quando io sono arrivata. L’hanno portata via che io avevo sei anni.
Ogni volta che penso a Eileen mi viene voglia di ucciderli tutti. Anche ora, devo stare attenta che la rabbia che provo non traspaia dal mio viso.
È per lei che devo scappare di qui. Voglio combatterli, sterminarli. Voglio vendetta, per lei, per la mia vita rovinata e per il mio pianeta. I Serket pagheranno per tutto quello che hanno fatto.

 
——[ ]——

Sento strani rumori provenire dal corridoio principale della fabbrica. Li ignoro, continuando nel mio lavoro. Mi fa male la schiena, ormai, sono stanca, ma il pranzo e la mezz’ora di pausa sono ancora lontani.
Sollevo l’ennesima cassa, e il carrello automatico si attiva. Lo guardo per qualche secondo mentre segue la striscia magnetica sul pavimento fino al deposito, ondeggiando appena. Arriva un altro carrello, e ricomincio a caricarlo.
Mi chiedo cosa diamine se ne facciano i Serket di tutte quelle munizioni. C’è una guerra in corso? Non ne ho idea. Non è che i capi si confidano con le schiave per le questioni di stato.
Il trambusto si avvicina, si sentono più chiaramente delle voci e dei passi oltre il sibilo basso dei carrelli a levitazione magnetica e gli scatti metallici e ritmici del nastro trasportatore. Chiunque sia, sta venendo verso di noi.
Sono curiosa, ma cerco di trattenermi. Probabilmente non è niente di speciale. Io ho sempre lavorato al deposito dei rottami, non so come funzionino le cose qui.
Le voci si fanno più forti e distinte, e una fiammata di rabbia mi invade e mi fa tremare le mani. Quasi mi cade la cassa che sto spostando.
Ho riconosciuto la risata sguaiata che echeggia nel corridoio. Non dimenticherei mai quella voce. L’odio che ho provato per la prima volta quando hanno portato via Eileen riemerge, come ogni volta che sento la sua voce.
Damien. Maledetto.
Prendo un respiro profondo e mi concentro sul mio lavoro, tentando di ignorare quella presenza. Non ci riesco. Sta venendo proprio qui, entra nella stanza.
Sollevo per un istante lo sguardo sotto il mio ciuffo nerastro e lo vedo. È al centro della grande stanza, in mezzo ai macchinari. Dietro di lui, una scorta di sei soldati.
Indossa la tuta da combattimento rinforzata da piastre, e porta un grosso mitragliatore appeso sulla schiena, come i suoi soldati, ma a differenza loro non ha l’elmo. Devo trattenere un’espressione di odio e ribrezzo. Ha i capelli scuri lunghi fino alle spalle tirati indietro con il gel, i tentacoli neri che si attorcigliano dietro di lui in ampie volute. La pelle bluastra del viso è tesa nella sua solita, odiosa risata, gli occhi cattivi, troppo grandi e a mandorla per essere umani, scrutano l’ambiente intorno. Il suo regno: il distretto di reclusione. È lui il comandante, è lui che si occupa di noi schiave. Siamo di sua proprietà.
Lo odio. Odio i lunghi tentacoli che mostra, fiero di essere un Serket. Vorrei così tanto che si rimangiasse il suo orgoglio insieme con una torta al cianuro.
Per distrarmi, sposto l’attenzione sul suo interlocutore.
Alzo un sopracciglio, confusa. Non dovrei fissare apertamente i Serket, se voglio sopravvivere, ma quel tizio... è strano. Decido di sfruttare i miei poteri per osservarlo più tranquillamente.
Mi concentro, come ho imparato in tutti questi anni. Distolgo l’attenzione dei soldati da me.
Guardo l’estraneo, sempre continuando a spostare le mie casse. Sono confusa. Non riesco a capire.
Il tizio non sembra essere un Serket, anche se indossa una tuta in tutto e per tutto identica a quella di tutti i soldati che ho visto finora. Il suo corpo è troppo longilineo, in confronto alla sagoma tozza e robusta dei Serket. Il colore della pelle è quello, ma potrebbe essere una maschera. Porta i capelli lunghi fino alle spalle, alla moda dei comandanti Serket, ma i tentacoli che gli partono dai lati della testa pendono inerti sulla schiena, palesemente finti.
Mentre lo osservo da distante, lui si guarda intorno, mano a mano che Damien gli indica varie cose. Quando si volta verso di me, quasi sussulto: i suoi occhi sono inequivocabilmente umani.
Distolgo lo sguardo all’istante, e mi concentro ancora di più sui miei poteri. Allontano con più forza l’attenzione di tutti da me. Però continuo a sentire i suoi occhi su di me, e comincio a essere terrorizzata.
Continuo meccanicamente nel mio lavoro, ma la mia mente è in fermento: perché un umano travestito malamente da Serket gira per il distretto di reclusione accompagnato da Damien? Perché sembro essere l’unica che se ne rende conto?
E soprattutto, perché i miei poteri con lui sembrano non funzionare?

 
——[ ]——

Mi lambicco su queste domande per tutto il tempo da quando i visitatori se ne vanno. È impossibile che non si siano accorti del travestimento. Era assurdamente finto. E i Serket odiano gli umani. Quindi, perché?
Suona la pausa, e io non ho ancora trovato una spiegazione plausibile. La guardia mi lancia una scatola che contiene il mio pranzo, e io mi siedo a terra, la schiena posata sulla base del nastro. Non mi è permesso allontanarmi dalla mia postazione di lavoro, a meno che non voglia essere fucilata, e io non voglio.
Apro la scatola. Una bottiglia d’acqua di dubbia provenienza e una bustina trasparente con dentro la mia pillola del pranzo.
Passo la mezz’ora di pausa bevendo la mia acqua e rimuginando sugli eventi di oggi. Quando la campana suona e io scatto in piedi per ricominciare, si sente nuovamente confusione in corridoio. Stavolta non sento la voce di Damien, però. Entrano dei soldati, uno dei quali prende un megafono e comincia a sbraitare.
«Oggi niente turno pomeridiano. Niente domande, ordini dall’alto. Sbrigatevi a uscire!» Come per enfatizzare l’ordine, agita il fucile in aria.
Io mi accodo alle altre schiave, guardando in basso. Non ho paura ora, sono curiosa. È la prima volta in quindici anni che succedono così tante stranezze tutte insieme.
Ci scortano fino al distretto di reclusione, e ci dividono nei vari gruppi di provenienza. Io sono l’unica del mio gruppo. La guardia mi porta fino al dormitorio e mi rinchiude là, senza darmi spiegazioni. Le altre ragazze arrivano a gruppetti, in una decina di minuti ci siamo tutte.
La guardia entra, ci ordina di disporci in fila e ci porta fuori. Le altre ragazze sono confuse quanto me.
Ci chiudono in una stanza rettangolare, vuota. Sul lato lungo, quattro porte. Qui è dove ci fanno fare la nostra doccia mensile. Perché siamo qui?
«Una alla volta in ogni stanza, a partire dalle più piccole. Avete mezz’ora a testa per lavarvi. Dovete brillare, chiaro? L’ospite vuole vedere le schiave, e non possiamo certo presentargli un branco di mocciose luride.»
Di solito ci danno cinque minuti a testa di tempo. Dev’essere una cosa importante se ci vogliono splendenti.
Le più piccole entrano nelle docce. Noi grandi ci sediamo in un angolo e aspettiamo. Non so più cosa pensare. È evidente che l’ospite fantomatico è il tizio strano di stamattina. Mi chiedo chi sia, e soprattutto come faccia a ingannare tutti in questo modo.
Contemporaneamente, sono anche preoccupata. Finora mi sono sempre difesa dai Serket con i miei poteri e l’astuzia, tenendo i capelli sporchi e una falsa cicatrice sul viso. Ma ora? Le mie sicurezze sono state abbattute in una sola volta. Mano a mano che vedo le altre schiave uscire dalle docce pulite e luccicanti, scortate dai soldati fuori dalla stanza, l’ansia cresce. Non oso nemmeno pensare a quello che succederà dopo.
La sala si svuota, e infine viene il mio turno. Entro nella stanza della doccia in una nuvola di vapore. Il soldato mi sbatte in mano un sacchetto, ordinando di mettere quel vestito una volta lavata, poi chiude la porta a chiave.
Mi infilo sotto il getto bollente della doccia. Per terra trovo anche una spugna ruvida e una boccetta di sapone. Sono secoli che non vedo del sapone, l’ultima volta è stata... non me lo ricordo, probabilmente a casa. Immersa in quella schiuma profumata, riesco quasi a rilassarmi un po’.
Mi asciugo i capelli sotto un getto d’aria in un paio di minuti, e mi vesto. Non posso fare a meno di guardarmi allo specchio: questo è il mio vero aspetto, non quello che ho mantenuto per quindici anni, per nascondermi.
Spalanco gli occhi. Quella non sono io.
La ragazza che mi fissa dallo specchio ha la pelle bianca di chi non ha mai visto la luce di un sole. Indossa una veste candida, sottile e troppo corta, che fa vedere fin troppo delle sue forme. Sulla sua schiena, sottili ali diafane e sfavillanti, simili a quelle delle libellule, eredità degli antenati Shadra e segno distintivo del sangue misto della gente di Adiannon. Il taglio sul braccio si è già ridotto a una lunga linea biancastra.
Lunghi capelli di un blu profondo circondano il suo volto affilato e scendono lucenti fino ai fianchi. Gli occhi, grandi e leggermente inclinati, sono strani: l’iride è di una via di mezzo tra il blu e l’azzurro, un colore pieno di energia. Le orecchie sono grandi e appuntite.
Non posso essere io. Mi avvicino allo specchio per guardarmi meglio.
Sono più o meno quindici anni che non mi guardo allo specchio seriamente. Sono ovviamente cambiata tantissimo.
Dannazione. Il mio aspetto attirerà l’attenzione, ovviamente. Da sgorbietto sfregiato sono diventata una ragazza non bellissima forse, ma di sicuro particolare. E non posso nemmeno nascondermi con i miei poteri.
Impreco. Ma non posso farci niente, e quindi busso al soldato per farmi aprire.

 
——[ ]——

Ignoro gli sguardi che mi rivolgono guardie e schiave. Non fanno che ricordarmi quanto sono vulnerabile ora.
Ci portano in una grande stanza, nel distretto di reclusione. Ci fanno schierare, le più piccole davanti, le più grandi dietro. Noi di diciotto e diciannove anni siamo in poche: non sono molte quelle che sopravvivono così a lungo.
Damien arriva dieci minuti dopo. Ci osserva compiaciuto. Io cerco di controllare il mio odio, e d’istinto mi nascondo dietro i miei poteri.
Lo strano tizio è con lui. Non dice niente, si limita a fissarci impassibile.
Il Serket confabula per qualche secondo con l’estraneo, poi quello si avvicina a noi e comincia a fissarci una a una.
«Care ragazze» comincia Damien. Io lo fulmino con gli occhi da dietro la mia barriera di potere. «Oggi è venuto in visita il figlio di uno dei più importanti comandanti.»
Scocco un’occhiata di nascosto all’umano travestito da Serket.
«Ha fatto richiesta di vedervi perché vuole scegliere una di voi.»
Deglutisco, nuovamente agitata. Ora capisco tutto. Damien venderà una schiava allo strano tizio... ecco il perché di tutto questo.
L’estraneo cammina avanti e indietro, scorrendo lo sguardo su di noi. Maledizione. L’ansia sta diventando insopportabile, mi rendo improvvisamente conto che sto rendendo la barriera che mi rende quasi invisibile sempre più forte.
Deve sbrigarsi. Non ce la faccio più.
Qualunque cosa è meglio di questa attesa.
Infine, l’umano travestito da Serket sceglie. E scopro che vorrei non l’avesse mai fatto.
«Voglio lei» dice, puntando la sua mano guantata su di me.
   
 
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