Capitolo III
Il
viso di Momoi
sprofondò al centro del cuscino e le labbra si schiusero,
lasciando
che un singulto flebile, soffocato dal tessuto della federa,
riecheggiasse all'interno della stanza.
Ancora non riusciva
a credere che Kuroko l'avesse presa in giro per tutto il tempo in cui
erano stati insieme, non riusciva ad accettare l'idea che l'avesse
tradita e avesse continuato a condurre una doppia vita, dividendosi
fra lei e Kagami.
Oltretutto, il fatto
che Kuroko l'avesse tradita con Kagami peggiorava ancora di
più la
situazione: era una motivazione che avrebbe potuto spingerla a
commettere quell'assassinio e si andava inevitabilmente aggiungendo a
tutte le altre questioni a suo sfavore.
Momoi si sentiva in
trappola, soffocata da una situazione nei confronti della quale era
impotente, ma soprattutto delusa da Kuroko e perseguitata da un
fastidioso senso di colpa: da quando Aomine le aveva detto della
relazione fra il suo ex fidanzato e Kagami, il dolore che da giorni
la attanagliava, a causa della morte del primo, si era visibilmente
ridotto, lasciando il posto ad una rabbia contenuta ma comunque
vigorosa e inarrestabile.
Dove aveva
sbagliato? Kuroko l'aveva mai amata per davvero o si era trattata di
una recita crudele? Nonostante fosse scossa e, fra un singhiozzo e
l'altro, riuscisse a trovare appena il tempo e la forza per
respirare, Momoi pensò che quel comportamento risultava
davvero
strano se accostato all'immagine di Kuroko: non le era mai sembrato
il tipo di persona dedita al tradimento, aveva sani principi, era
leale, gentile.
Quando la federa
bagnata di lacrime le diede la fastidiosa sensazione di essere
incollata al suo viso, si sistemò sulla schiena e rivolse
gli occhi
al soffitto bianco, inspirando profondamente nella speranza di placare
il pianto: e se Kuroko avesse avuto una relazione con Kagami non per
sua volontà, ma per cause di forza maggiore di cui non si
conosceva
ancora l'entità? Forse era un modo per illudersi, per non
fare la
figura della ragazzina ingenua, ma ormai lo aveva capito: avrebbe
dovuto cercare di indirizzare l'attenzione degli altri su Kagami, che
assieme a lei era il principale sospettato, di modo che la polizia
potesse allentare la pressione nei suoi confronti.
L'alibi di Kagami
era stato confermato, esattamente come il suo, e Kuroko aveva una
relazione con entrambi, per cui si trovavano bene o male nella stessa
posizione - ovvero molto svantaggiati rispetto a tutti gli altri -,
per cui aveva cominciato a pensare seriamente di affossare l'altro,
di metterlo in cattiva luce, pur di scrollarsi di dosso tutte quelle
indagini e uscire dal turbine di domande e lacrime che la stava
tenendo incatenata ad una vita scura, desolata e sconfortante.
Nonostante
la porta
fosse aperta già da qualche istante, Akashi se ne stava
fermo sulla
soglia e non sembrava avere intenzione di accennare neppure un passo
verso di lui.
«Come stai?» forse
stufo di quel silenzio e di quell'immobilità, Midorima
decise di
intervenire e di porgli quella semplice domanda nella speranza di
scuoterlo un po' e poter ascoltare la sua voce. Effettivamente,
Akashi si strinse rapidamente nelle spalle e varcò la
soglia,
rispondendogli non appena richiuse la porta.
«Come pensi che
stia?»
Midorima incrinò
appena le labbra e gli rivolse un'espressione crucciata, sfiatando
sommessamente dalle narici: Akashi doveva essere stanco, sicuramente
aveva passato il pomeriggio ad allenarsi per l'imminente torneo di
shogi e le notti a pensare a mille teorie e congetture.
«Hai qualche idea
particolare?» fu Midorima a parlare, mentre gli faceva strada
verso
la cucina: era da tanto che non si vedevano, ma non avevano perso la
vecchia abitudine per la quale l'ospitante preparava sempre il
tè
all'ospitato.
«Attualmente sto
tenendo sotto controllo Kise, visto che non ha un alibi.»
Akashi
rispose con la solita calma imperturbabile e scostò una
delle sedie
per prendere posto al tavolo, osservando Midorima che armeggiava con
la grossa teiera metallica.
«Kise?»
«La cosa non ti
convince, Shintarou?»
Midorima accese il
fuoco e rimase in silenzio per qualche istante.
«Beh, è vero che
non ha alibi, ma credo che anche Murasakibara ne sia sprovvisto. E
poi sembra così disinteressato ...»
«Quindi sospetti di
Atsushi?» Akashi si sforzò di pensare
all'eventualità che fosse
stato Murasakibara ad uccidere Kuroko, ma fu immediatamente scettico
nei confronti di quell'idea.
«Sì.»
«Però dobbiamo
tenere a mente che l'assassino potrebbe aver messo in scena una
farsa, per quanto ne posso sapere potresti essere anche tu, che
cerchi di farmi notare il disinteresse di Atsushi nei confronti
dell'assasinio di Tetsuya.»
Midorima avrebbe
potuto fargli notare la stessa cosa, ovvero che anche lui, - che
cercava di focalizzare l'attenzione sull'alibi mancante di Kise o sul
fatto che lui gli facesse notare il disinteresse di Murasakibara,
accusandolo -, poteva essere il colpevole, ma indugiò e
Akashi lo
precedette.
«Oppure potrebbe
essere davvero Murasakibara, anche se per ora rimango dell'idea di
Kise.»
Midorima rimase a
fissarlo per qualche istante, in sacrosanto silenzio: era strano
vedere Akashi confuso, sapere che non riusciva a sciogliere quella
matassa di fili e a giungere alla soluzione del problema.
«Hai mai pensato
...» quindi Midorima, che era stato temporaneamente
interrotto dal
fischio della teiera, decise di illustrargli un'altra teoria
«che
potrebbe trattarsi di una persona esterna?»
Akashi rimase in
silenzio e Midorima, dal canto suo, spense il fuoco e si
occupò di
versare l'acqua bollente nelle tazze, per poi mettere in infusione le
bustine di tè.
«Quando abbiamo
parlato delle chiavi ho pensato che potesse trattarsi di un
conoscente di Kuroko non necessariamente collegato a noi, oppure ad
una specie di corriere.»
«Quindi pensi che
l'assassino non sia uno di noi o che abbia utilizzato un'altra
persona per ottenere un doppione delle chiavi di Tetsuya?»
«Già, o che abbia
addirittura un complice, magari.»
Akashi non si sentì
di escludere quelle ipotesi: in particolare trovò molto
interessante
l'idea del "corriere" o del fatto che l'assassino potesse
avere un complice e quindi non agire da solo.
«Che sia una
persona interna al nostro gruppo o meno, sicuramente si tratta di
qualcuno di cui Tetsuya si fidava.»
«Infatti.»
«Shintarou, cosa
pensi di Momoi-san e di Kagami?» Akashi socchiuse gli occhie
e
avvicinò il viso alla tazza, lasciando che le volute di fumo
tiepido
gli carezzassero il viso.
«Non credo sia
stato uno di loro.»
«Già, neppure io.»
fu sollevato di scoprire che, almeno in parte, Midorima la pensava
come lui, così si concesse un momento per chiudere gli occhi
e
sorseggiare il tè caldo, nella speranza di trarre un po' di
beneficio da quell'infuso.
«Shintarou, hai
delle foto del Teikou?»
Midorima aggrottò
la fronte e abbandonò l'idea di sorseggiare il suo
tè.
«Sì, perché?»
«Ci serve una foto
con tutti noi, e dobbiamo procurarcene una di Kagami.» Akashi
si
interruppe per sorseggiare una seconda volta il tè, poi
riprese
«stavo pensando di andare a chiedere ai ferramenta dei
dintorni.»
«Non credi che
potrebbe averci già pensato la polizia?»
«Forse, ma non ho
molta fiducia nel loro operato. E poi pare che Daiki non voglia collaborare.» Akashi si alzò con calma e
incatenò i propri occhi a
quelli dell'altro.
«Allora, mi aiuti o
no?»
Midorima rimase in
silenzio per qualche istante, poi sospirò arrendevole: aveva
scelta?
Certo che no.
«Prendo le foto e
andiamo.»
Dopo
aver girato a
vuoto i piccoli quartieri periferici confinanti a quello dove viveva
Kuroko, e aver ricevuto risposte negative da ogni ferramenta,
Midorima pensò di gettare la spugna: anche se Akashi era
scettico,
probabilmente la polizia se n'era già occupata per davvero e
non
avevano detto nulla semplicemente perché non c'era niente da
dire,
non avevano ottenuto nessun risultato e nessuna informazione valida.
«Credo proprio che
me ne tornerò a casa.» ovviamente non
osò neppure estendere quelle
parole ad Akashi: era ovvio che Seijuurou volesse continuare la
ricerca e che non avesse alcuna intenzione di arrendersi, come
sempre, del resto.
«Proviamo qui.»
Akashi, però, non sembrava intenzionato a lasciarlo andare e
gli
indicò l'ennesimo ferramenta, all'angolo di un vicolo
distante di
qualche isolato dalla casa di Kuroko.
Midorima non
protestò e seguì Akashi, che improvvisamente
aveva accelerato il
passo, ma decise che, almeno per lui, quel ferramenta sarebbe stato
l'ultimo e che poi se ne sarebbe ritornato a casa.
«Buongiorno.»
Akashi si avvicinò immediatamente al bancone e
sistemò le foto dei
sospettati sotto il naso del ferramenta.
«Ci scusi per il
disturbo, ma vorremmo chiederle se recentemente uno di loro
è venuto
per doppiare una chiave.»
Il ferramenta scorse
tutte le foto con una rapida occhiata e poi sollevò il
proprio
sguardo in direzione di Akashi e Midorima.
«Mi dispiace, ma
sono stato malato e sono rientrato solo ieri; è meglio se
chiedete a
mio figlio.» l'uomo si scostò dal bancone e
sollevò la mano in
alto, quasi a voler catturare l'attenzione del figlio che molto
probabilmente si trovava nella stanza adiacente.
«Yachi? Yachi,
vieni qui!»
«Che c'è? È
successo qualcosa?» il figlio si fece subito avanti,
rivolgendo
prima una rapida occhiata al padre e poi una curiosa ad Akashi e
Midorima.
Il padre gli fece
cenno di raggiungerli e si scostò, in modo che potesse
guardare
quelle foto da vicino.
«Ti ricordi per
caso se uno di questi ragazzi è venuto recentemente per
doppiare una
chiave?»
Sia Midorima che
Akashi rivolsero la propria attenzione al ragazzo, che
aggrottò la
fronte in un cruccio confuso, forse immerso nel tentativo di
ricordare, e subito dopo, senza troppi indugi, puntò il dito
su uno
dei volti.
«Sì, mi ricordo di
lui. È venuto due settimane fa.»
Akashi fu scosso da
un fremito che normalmente sarebbe stato dettato dalla soddisfazione,
ma che in quel momento fu più che altro il frutto di una
cocente
delusione e di una notevole incredulità.
Non disse nulla e
restò a fissare quel volto per qualche istante, poi
sollevò il
proprio sguardo verso Midorima: entrambi facevano fatica a crederci.
Kagami
e Momoi erano
i principali sospettati, ma il loro alibi, come quello di Midorima,
erano i colleghi di lavoro e le loro testimonianze, per cui si
potevano considerare tutti e tre in una botte di ferro; per quanto
riguardava Akashi, seppur con lentezza, l'albergo aveva confermato
che il due febbraio, fra le sedici e le diciassette, si trovava in
camera sua; Kise, invece, diceva di essere stato in casa per tutto il
pomeriggio e di essere uscito solo la sera, per cui non c'era una
sola nota positiva nei suoi confronti, e Murasakibara ...
Murasakibara gli faceva perdere la testa: non si sapeva ancora nulla
sul suo conto, e questo perché ogni volta che si ritrovavano
faccia
a faccia cominciava a lagnarsi per i morsi della fame e ignorava le
sue domande.
Kuroko era stato
trovato morto con una corda al collo, ma non era stato strozzato da
nessuno ed era improbabile che si fosse impiccato di sua spontanea
volontà; qualcuno aveva il doppione delle sue chiavi e
restava da
capire se fosse uno fra Momoi e Kagami oppure ce ne fosse un terzo.
La situazione era
confusa e più complicata del previsto, si sentiva
appesantito da
tutto quel lavoro, stanco di pensare e ripensare senza mai trovare
una via d'uscita: voleva tornare a casa e andare a dormire, sentiva
di averne assoluto bisogno.
«Daiki?»
Quando la voce di
Akashi proruppe proprio all'interno della piccola stanza degli
interrogatori, dove Aomine pareva aver messo radici, questo
alzò gli
occhi al cielo e lasciò scivolare il busto lungo lo
schienale della sedia, sospirando spazientito.
«Ah, avevo detto ai
ragazzi di non lasciarti entrare.»
«Non è molto
gentile da parte tua.» Akashi si avvicinò alla
sedia opposta alla
sua, ma rimase in piedi e vi si appoggiò semplicemente
«come non è
gentile nasconderci il fatto che tu abbia doppiato una chiave in uno
dei ferramenta vicini alla casa di Tetsuya.»
Aomine non ebbe
neppure il tempo di capire che era giunta l'ora dell'interrogatorio
anche per lui, e quindi di insultarlo mentalmente, che i suoi
pensieri furono congelati dalle parole improvvise e inaspettate di
Akashi.
«Cosa?» Aomine
sfiatò flebilmente, sollevando lo sguardo per incontrare
quello
dell'altro.
«Lo sai benissimo.»
Akashi incrociò le braccia al petto ed inspirò
spazientito «allora?
Quale chiave hai doppiato?»
Daiki rimase in
silenzio e continuò a tenere i propri occhi puntati su
Akashi,
sbalordito da quella domanda: con quale pretesa si era messo ad
indagare? Con quale pretesa era tornato a interrogarlo? Era evidente
che stesse sospettando di lui, ma era ancor più fastidioso
il fatto
che dopo aver insistito per prendere parte alle ricerche al suo
fianco aveva deciso di agire da solo e aveva cominciato ad indagare
anche sul suo conto.
Perché al posto di
diventare professionista di shogi non aveva scelto di intraprendere
la carriera di poliziotto? Aomine avrebbe voluto chiederglielo
sedutastante, ma era talmente scosso da non riuscire a fiatare.
«Dopotutto tu
meglio di chiunque altro puoi occultare le prove, visto che ti occupi
del caso da vicino.»
«Anche tu te ne
occupi da vicino.» sfiatò poi «troppo
vicino.»
«Daiki, vorrei che
mi dicessi quale chiave hai doppiato.» risoluto come al
solito,
Akashi gli ripeté ciò che voleva sapere e non
mosse un muscolo: era
determinato a sapere e non si sarebbe arreso finché Aomine
non
avesse parlato.
«Se sei innocente
non hai ragione di preoccuparti.»
«Come fai a sapere
della chiave?»
«Cominci ad
agitarti, Daiki?»
«Non te lo posso
dire.» Aomine si alzò velocemente in piedi e
camminò a destra e a
sinistra, stuzzicandosi la narice del naso con le dita. Akashi, dal
canto suo, rimase in silenzio per qualche attimo e seguì i
suoi
movimenti con gli occhi.
«Perché no?»
«Perché no.»
Aomine sbottò, poi fermò i suoi passi irrequieti,
probabilmente
dopo essersi reso conto che non era consigliabile alzare il tono di
voce con Akashi.
«Insomma, è una
cosa privata ...» Aomine borbottò e
lasciò vagare il proprio
sguardo lontano.
«Voglio solo vedere
la chiave, di qualunque cosa si tratti, hai la mia parola che niente
uscirà da questa stanza.»
Aomine sembrò
ritrovare un po' di calma e lucidità e tornò a
guardare Akashi;
dopo qualche istante di esitazione, infine, sospirò
sonoramente e
lasciò agli occhi la libertà di vagare,
evidentemente imbarazzato.
«L'ho doppiata due
settimane fa.»
Akashi drizzò le
orecchie: le due settimane corrispondevano a quanto aveva detto il
figlio del ferramenta.
Aomine lo invitò ad
uscire dalla stanza degli interrogatori e Akashi lo seguì
senza
fiatare, fino agli armadietti.
«È questa qui.»
Akashi afferrò la
grande chiave metallica e se la rigirò fra le mani per
analizzarla.
«Non è
dell'appartamento di Tetsu, ma di quello di ... di Kise.»
L'ultimo nome
pronunciato da Aomine fu ridotto ad un sussurro, ma non
sfuggì ad
Akashi che, sapendo dell'imminente arrivo degli altri, fece
dietrofront e si diresse velocemente nella piccola saletta dove
attendevano il turno del loro interrogatorio e che ormai conosceva a
memoria.
«A-Akashi, dove
vai?»
«Vieni con me,
andiamo a verificare.»
Aomine non se lo
fece ripetere due volte e si affiancò immediatamente a lui.
«Avevi detto che la
cosa sarebbe rimasta fra noi!»
«Ho bisogno di una
prova ulteriore.»
Aomine trattenne un
insulto: avrebbe voluto strozzarlo, e quella non era la prima volta
che gli passava per la testa un'idea simile: forse, un giorno, anche
lui sarebbe diventato un assassino, e avrebbe scelto di uccidere non
per gelosia, vendetta, soldi, sadismo o rabbia, ma per esasperazione.
Quando Akashi varcò
la soglia di quella che ormai chiamavano tutti "sala d'attesa",
fu soddisfatto di trovarvi proprio Kise, oltre che Midorima e
Murasakiabara.
«Ryouta?»
Kise sollevò
immediatamente il capo e si mise sull'attenti.
«Sì, Akashicchi?»
«Cos'è?» Akashi
gli sventolò la coppia della chiave sotto al naso e Kise la
fissò
con aria trasognata, per poi rivolgere una rapida occhiata ad Aomine,
alle sue spalle, e infine soffermandosi su di lui.
«È la chiave del
mio appartamento: Aominecchi l'ha doppiata circa due settimane
fa.»
Akashi rimase in
silenzio per qualche attimo, cercando di cogliere in Ryouta anche il
più piccolo gesto che potesse comunicargli che stava dicendo
il
falso.
«Potresti farmi
vedere l'originale?»
Kise rimase in
silenzio e frugò per qualche istante nelle tasche,
finché non
estrasse un mazzo di chiavi tintinnanti e gli mostrò quella
del suo
appartamento, che Akashi poté confrontare con quella che
gli aveva
dato Aomine.
Sia la tempistica
assegnata dal figlio del ferramento sia quella di Aomine e Kise
corrispondevano, e le chiavi erano identiche, per cui Akashi le
restituì ai rispettivi proprietari.
«Visto?» Aomine
gli strappò la chiave di mano «l'interrogatorio lo
inizio da te,
oggi.»
«Come vuoi.»
Sia Aomine che
Akashi, dunque, tornarono indietro e restarono in silenzio almeno
fino a metà del tragitto.
«E così, tu e
Ryouta vi frequentate.»
«Cos-? E-ehi! Ti ho
detto che sono cose private, queste–»
Subito
dopo Akashi,
Aomine decise di interrogare Murasakibara, e quando questo si
sollevò
dalla propria sedia per raggiungere la cella dell'interrogatorio, a
Kise non sfuggì lo scambio di sguardi non esattamente docile
ed
idilliaco che ebbe con Midorima.
«Murasakibaracchi
non ti convince?» fu questo che gli chiese non appena
rimasero soli.
«No.» Midorima
inforcò gli occhiali ed inspirò appena e Kise
rimase a fissarlo
solo per qualche attimo, per poi sospirare sconsolato.
«Neanche a me.»
«Aomine,
posso
chiederti una cosa?»
Aomine ebbe
seriamente paura che anche Midorima avesse intenzione di chiedergli
qualcosa su di lui e Kise o semplicemente stuzzicarlo.
«Che vuoi?»
brontolò, battendo nervosamente l'estremità della
penna sul
taccuino.
«Volevo solo sapere
se Murasakibara parla durante gli interrogatori.»
Aomine fu sorpreso
da quella domanda e indugiò prima di rispondere, poi
finì per
sbuffare e si lasciò scivolare lungo lo schienale.
«Oh
merda, Akashi
ti ha coinvolto nelle sue indagini?»
«Diciamo di sì,
anche se i nostri sospetti sono diversi.»
«E il tuo è
Murasakibara.»
«Già.»
«Beh,
effettivamente quell'idiota non fa altro che dire che ha fame e
chiedere di uscire.» solo a pensarci gli veniva il nervoso:
gli
interrogatori di Murasakibara erano estenuanti, forse anche
più di
quelli con Akashi.
«E l'alibi?»
«L'alibi? Non ha
mai detto nulla, non si sa se ce l'ha o no.»
Midorima rimase in
silenzio per qualche attimo e congiunse le mani sotto al mento.
«Allora insistete,
perché non sono il solo a sospettare di lui.»
Nonostante fosse
rimasto in silenzio, Aomine pensò che Midorima avesse
ragione:
dopotutto i due di cui si sapeva meno erano proprio Murasakibara e
Kise, quindi era ovvio che avrebbe cercato in tutti i modi di far
parlare Atsushi, tutto a costo di proteggere Ryouta.
Angolo invisibile dell'autrice:
Questa
storia mi ha
illuso, e non poco.
A giudicare da tutte
le recensioni che aveva ricevuto il primo capitolo pensavo avrebbe
continuato ad incontrare il favore dei lettori (?), ma a quanto pare
il secondo capitolo non è stato così avvincente
(è che non posso
uccidere un personaggio ad ogni capitolo, anche perché non
è mica
un horror). Comunque ringrazio sia chi ha voluto lasciarmi una
recensione, sia chi si è limitato a leggere.
Sto
cercando di inserire più intrecci possibili per rendere il
tutto più
interessante e vi do un consiglio per le vostre indagini: non
considerate il fatto che io mi concentri più su un
personaggio
piuttosto che su un altro, semplicemente perché questi sono
i primi
capitoli: a poco a poco mi concentrerò su tutti loro *u*
Siccome
mi diverto ad arricchire la mia pagina FB, ho deciso di scrivere una
rubrica proprio su questa storia, dove raccoglierò
periodicamente
tutti gli indizi sui vari personaggi, quindi ecco il link della
prima: #
RUBRICA # Rigor Mortis
Chiedo venia per eventuali errori di battitura, ma il correttore non voleva funzionare ;-;
Alla prossima!