Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    05/08/2014    3 recensioni
"Kuroko Tetsuya, giovane promessa del basket conosciuto come: "Il sesto uomo fantasma della Generazione dei Miracoli", trovato impiccato nel suo piccolo appartamento di periferia.”: questo è ciò che i giornali riportano in una fredda mattina di febbraio.
Tuttavia basta una più attenta osservazione per capire che non si tratta di suicidio e, fin da subito, il cerchio dei presunti colpevoli si restringe attorno ai grandi talenti del basket, a coloro che più sono stati vicini a Kuroko. Adesso che il nodo di congiunzione si è sciolto, gli ingranaggi si romperanno di nuovo.
«Il nodo di congiunzione che li aveva tenuti uniti si era sciolto, distrutto in una piovosa giornata di febbraio: le anime che si erano ritrovate grazie a Kuroko sarebbero ricadute molto presto nella malattia, si sarebbero allontanate e non avrebbero più avuto occasione di riavvicinarsi.
Da quel giorno in avanti, la spaccatura che Kuroko era riuscito a riparare si sarebbe tramutata in una voragine nera che li avrebbe risucchiati tutti, li avrebbe consumati e distrutti, dal primo all'ultimo.»

Accenni: KagaKuro; KuroMomo (altri, leggeri leggeri)
Coppie: AoKise
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiseki No Sedai, Satsuki Momoi, Taiga Kagami
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo III


Il viso di Momoi sprofondò al centro del cuscino e le labbra si schiusero, lasciando che un singulto flebile, soffocato dal tessuto della federa, riecheggiasse all'interno della stanza.
Ancora non riusciva a credere che Kuroko l'avesse presa in giro per tutto il tempo in cui erano stati insieme, non riusciva ad accettare l'idea che l'avesse tradita e avesse continuato a condurre una doppia vita, dividendosi fra lei e Kagami.
Oltretutto, il fatto che Kuroko l'avesse tradita con Kagami peggiorava ancora di più la situazione: era una motivazione che avrebbe potuto spingerla a commettere quell'assassinio e si andava inevitabilmente aggiungendo a tutte le altre questioni a suo sfavore.
Momoi si sentiva in trappola, soffocata da una situazione nei confronti della quale era impotente, ma soprattutto delusa da Kuroko e perseguitata da un fastidioso senso di colpa: da quando Aomine le aveva detto della relazione fra il suo ex fidanzato e Kagami, il dolore che da giorni la attanagliava, a causa della morte del primo, si era visibilmente ridotto, lasciando il posto ad una rabbia contenuta ma comunque vigorosa e inarrestabile.
Dove aveva sbagliato? Kuroko l'aveva mai amata per davvero o si era trattata di una recita crudele? Nonostante fosse scossa e, fra un singhiozzo e l'altro, riuscisse a trovare appena il tempo e la forza per respirare, Momoi pensò che quel comportamento risultava davvero strano se accostato all'immagine di Kuroko: non le era mai sembrato il tipo di persona dedita al tradimento, aveva sani principi, era leale, gentile.
Quando la federa bagnata di lacrime le diede la fastidiosa sensazione di essere incollata al suo viso, si sistemò sulla schiena e rivolse gli occhi al soffitto bianco, inspirando profondamente nella speranza di placare il pianto: e se Kuroko avesse avuto una relazione con Kagami non per sua volontà, ma per cause di forza maggiore di cui non si conosceva ancora l'entità? Forse era un modo per illudersi, per non fare la figura della ragazzina ingenua, ma ormai lo aveva capito: avrebbe dovuto cercare di indirizzare l'attenzione degli altri su Kagami, che assieme a lei era il principale sospettato, di modo che la polizia potesse allentare la pressione nei suoi confronti.
L'alibi di Kagami era stato confermato, esattamente come il suo, e Kuroko aveva una relazione con entrambi, per cui si trovavano bene o male nella stessa posizione - ovvero molto svantaggiati rispetto a tutti gli altri -, per cui aveva cominciato a pensare seriamente di affossare l'altro, di metterlo in cattiva luce, pur di scrollarsi di dosso tutte quelle indagini e uscire dal turbine di domande e lacrime che la stava tenendo incatenata ad una vita scura, desolata e sconfortante.


Nonostante la porta fosse aperta già da qualche istante, Akashi se ne stava fermo sulla soglia e non sembrava avere intenzione di accennare neppure un passo verso di lui.
«Come stai?» forse stufo di quel silenzio e di quell'immobilità, Midorima decise di intervenire e di porgli quella semplice domanda nella speranza di scuoterlo un po' e poter ascoltare la sua voce. Effettivamente, Akashi si strinse rapidamente nelle spalle e varcò la soglia, rispondendogli non appena richiuse la porta.
«Come pensi che stia?»
Midorima incrinò appena le labbra e gli rivolse un'espressione crucciata, sfiatando sommessamente dalle narici: Akashi doveva essere stanco, sicuramente aveva passato il pomeriggio ad allenarsi per l'imminente torneo di shogi e le notti a pensare a mille teorie e congetture.
«Hai qualche idea particolare?» fu Midorima a parlare, mentre gli faceva strada verso la cucina: era da tanto che non si vedevano, ma non avevano perso la vecchia abitudine per la quale l'ospitante preparava sempre il tè all'ospitato.
«Attualmente sto tenendo sotto controllo Kise, visto che non ha un alibi.» Akashi rispose con la solita calma imperturbabile e scostò una delle sedie per prendere posto al tavolo, osservando Midorima che armeggiava con la grossa teiera metallica.
«Kise?»
«La cosa non ti convince, Shintarou?»
Midorima accese il fuoco e rimase in silenzio per qualche istante.
«Beh, è vero che non ha alibi, ma credo che anche Murasakibara ne sia sprovvisto. E poi sembra così disinteressato ...»
«Quindi sospetti di Atsushi?» Akashi si sforzò di pensare all'eventualità che fosse stato Murasakibara ad uccidere Kuroko, ma fu immediatamente scettico nei confronti di quell'idea.
«Sì.»
«Però dobbiamo tenere a mente che l'assassino potrebbe aver messo in scena una farsa, per quanto ne posso sapere potresti essere anche tu, che cerchi di farmi notare il disinteresse di Atsushi nei confronti dell'assasinio di Tetsuya.»
Midorima avrebbe potuto fargli notare la stessa cosa, ovvero che anche lui, - che cercava di focalizzare l'attenzione sull'alibi mancante di Kise o sul fatto che lui gli facesse notare il disinteresse di Murasakibara, accusandolo -, poteva essere il colpevole, ma indugiò e Akashi lo precedette.
«Oppure potrebbe essere davvero Murasakibara, anche se per ora rimango dell'idea di Kise.»
Midorima rimase a fissarlo per qualche istante, in sacrosanto silenzio: era strano vedere Akashi confuso, sapere che non riusciva a sciogliere quella matassa di fili e a giungere alla soluzione del problema.
«Hai mai pensato ...» quindi Midorima, che era stato temporaneamente interrotto dal fischio della teiera, decise di illustrargli un'altra teoria «che potrebbe trattarsi di una persona esterna?»
Akashi rimase in silenzio e Midorima, dal canto suo, spense il fuoco e si occupò di versare l'acqua bollente nelle tazze, per poi mettere in infusione le bustine di tè.
«Quando abbiamo parlato delle chiavi ho pensato che potesse trattarsi di un conoscente di Kuroko non necessariamente collegato a noi, oppure ad una specie di corriere.»
«Quindi pensi che l'assassino non sia uno di noi o che abbia utilizzato un'altra persona per ottenere un doppione delle chiavi di Tetsuya?»
«Già, o che abbia addirittura un complice, magari.»
Akashi non si sentì di escludere quelle ipotesi: in particolare trovò molto interessante l'idea del "corriere" o del fatto che l'assassino potesse avere un complice e quindi non agire da solo.
«Che sia una persona interna al nostro gruppo o meno, sicuramente si tratta di qualcuno di cui Tetsuya si fidava.»
«Infatti.»
«Shintarou, cosa pensi di Momoi-san e di Kagami?» Akashi socchiuse gli occhie e avvicinò il viso alla tazza, lasciando che le volute di fumo tiepido gli carezzassero il viso.
«Non credo sia stato uno di loro.»
«Già, neppure io.» fu sollevato di scoprire che, almeno in parte, Midorima la pensava come lui, così si concesse un momento per chiudere gli occhi e sorseggiare il tè caldo, nella speranza di trarre un po' di beneficio da quell'infuso.
«Shintarou, hai delle foto del Teikou?»
Midorima aggrottò la fronte e abbandonò l'idea di sorseggiare il suo tè.
«Sì, perché?»
«Ci serve una foto con tutti noi, e dobbiamo procurarcene una di Kagami.» Akashi si interruppe per sorseggiare una seconda volta il tè, poi riprese «stavo pensando di andare a chiedere ai ferramenta dei dintorni.»
«Non credi che potrebbe averci già pensato la polizia?»
«Forse, ma non ho molta fiducia nel loro operato. E poi pare che Daiki non voglia collaborare.» Akashi si alzò con calma e incatenò i propri occhi a quelli dell'altro.
«Allora, mi aiuti o no?»
Midorima rimase in silenzio per qualche istante, poi sospirò arrendevole: aveva scelta? Certo che no.
«Prendo le foto e andiamo.»


Dopo aver girato a vuoto i piccoli quartieri periferici confinanti a quello dove viveva Kuroko, e aver ricevuto risposte negative da ogni ferramenta, Midorima pensò di gettare la spugna: anche se Akashi era scettico, probabilmente la polizia se n'era già occupata per davvero e non avevano detto nulla semplicemente perché non c'era niente da dire, non avevano ottenuto nessun risultato e nessuna informazione valida.
«Credo proprio che me ne tornerò a casa.» ovviamente non osò neppure estendere quelle parole ad Akashi: era ovvio che Seijuurou volesse continuare la ricerca e che non avesse alcuna intenzione di arrendersi, come sempre, del resto.
«Proviamo qui.» Akashi, però, non sembrava intenzionato a lasciarlo andare e gli indicò l'ennesimo ferramenta, all'angolo di un vicolo distante di qualche isolato dalla casa di Kuroko.
Midorima non protestò e seguì Akashi, che improvvisamente aveva accelerato il passo, ma decise che, almeno per lui, quel ferramenta sarebbe stato l'ultimo e che poi se ne sarebbe ritornato a casa.
«Buongiorno.» Akashi si avvicinò immediatamente al bancone e sistemò le foto dei sospettati sotto il naso del ferramenta.
«Ci scusi per il disturbo, ma vorremmo chiederle se recentemente uno di loro è venuto per doppiare una chiave.»
Il ferramenta scorse tutte le foto con una rapida occhiata e poi sollevò il proprio sguardo in direzione di Akashi e Midorima.
«Mi dispiace, ma sono stato malato e sono rientrato solo ieri; è meglio se chiedete a mio figlio.» l'uomo si scostò dal bancone e sollevò la mano in alto, quasi a voler catturare l'attenzione del figlio che molto probabilmente si trovava nella stanza adiacente.
«Yachi? Yachi, vieni qui!»
«Che c'è? È successo qualcosa?» il figlio si fece subito avanti, rivolgendo prima una rapida occhiata al padre e poi una curiosa ad Akashi e Midorima.
Il padre gli fece cenno di raggiungerli e si scostò, in modo che potesse guardare quelle foto da vicino.
«Ti ricordi per caso se uno di questi ragazzi è venuto recentemente per doppiare una chiave?»
Sia Midorima che Akashi rivolsero la propria attenzione al ragazzo, che aggrottò la fronte in un cruccio confuso, forse immerso nel tentativo di ricordare, e subito dopo, senza troppi indugi, puntò il dito su uno dei volti.
«Sì, mi ricordo di lui. È venuto due settimane fa.»
Akashi fu scosso da un fremito che normalmente sarebbe stato dettato dalla soddisfazione, ma che in quel momento fu più che altro il frutto di una cocente delusione e di una notevole incredulità.
Non disse nulla e restò a fissare quel volto per qualche istante, poi sollevò il proprio sguardo verso Midorima: entrambi facevano fatica a crederci.


Kagami e Momoi erano i principali sospettati, ma il loro alibi, come quello di Midorima, erano i colleghi di lavoro e le loro testimonianze, per cui si potevano considerare tutti e tre in una botte di ferro; per quanto riguardava Akashi, seppur con lentezza, l'albergo aveva confermato che il due febbraio, fra le sedici e le diciassette, si trovava in camera sua; Kise, invece, diceva di essere stato in casa per tutto il pomeriggio e di essere uscito solo la sera, per cui non c'era una sola nota positiva nei suoi confronti, e Murasakibara ... Murasakibara gli faceva perdere la testa: non si sapeva ancora nulla sul suo conto, e questo perché ogni volta che si ritrovavano faccia a faccia cominciava a lagnarsi per i morsi della fame e ignorava le sue domande.
Kuroko era stato trovato morto con una corda al collo, ma non era stato strozzato da nessuno ed era improbabile che si fosse impiccato di sua spontanea volontà; qualcuno aveva il doppione delle sue chiavi e restava da capire se fosse uno fra Momoi e Kagami oppure ce ne fosse un terzo.
La situazione era confusa e più complicata del previsto, si sentiva appesantito da tutto quel lavoro, stanco di pensare e ripensare senza mai trovare una via d'uscita: voleva tornare a casa e andare a dormire, sentiva di averne assoluto bisogno.
«Daiki?»
Quando la voce di Akashi proruppe proprio all'interno della piccola stanza degli interrogatori, dove Aomine pareva aver messo radici, questo alzò gli occhi al cielo e lasciò scivolare il busto lungo lo schienale della sedia, sospirando spazientito.
«Ah, avevo detto ai ragazzi di non lasciarti entrare.»
«Non è molto gentile da parte tua.» Akashi si avvicinò alla sedia opposta alla sua, ma rimase in piedi e vi si appoggiò semplicemente «come non è gentile nasconderci il fatto che tu abbia doppiato una chiave in uno dei ferramenta vicini alla casa di Tetsuya.»
Aomine non ebbe neppure il tempo di capire che era giunta l'ora dell'interrogatorio anche per lui, e quindi di insultarlo mentalmente, che i suoi pensieri furono congelati dalle parole improvvise e inaspettate di Akashi.
«Cosa?» Aomine sfiatò flebilmente, sollevando lo sguardo per incontrare quello dell'altro.
«Lo sai benissimo.» Akashi incrociò le braccia al petto ed inspirò spazientito «allora? Quale chiave hai doppiato?»
Daiki rimase in silenzio e continuò a tenere i propri occhi puntati su Akashi, sbalordito da quella domanda: con quale pretesa si era messo ad indagare? Con quale pretesa era tornato a interrogarlo? Era evidente che stesse sospettando di lui, ma era ancor più fastidioso il fatto che dopo aver insistito per prendere parte alle ricerche al suo fianco aveva deciso di agire da solo e aveva cominciato ad indagare anche sul suo conto.
Perché al posto di diventare professionista di shogi non aveva scelto di intraprendere la carriera di poliziotto? Aomine avrebbe voluto chiederglielo sedutastante, ma era talmente scosso da non riuscire a fiatare.
«Dopotutto tu meglio di chiunque altro puoi occultare le prove, visto che ti occupi del caso da vicino.»
«Anche tu te ne occupi da vicino.» sfiatò poi «troppo vicino.»
«Daiki, vorrei che mi dicessi quale chiave hai doppiato.» risoluto come al solito, Akashi gli ripeté ciò che voleva sapere e non mosse un muscolo: era determinato a sapere e non si sarebbe arreso finché Aomine non avesse parlato.
«Se sei innocente non hai ragione di preoccuparti.»
«Come fai a sapere della chiave?»
«Cominci ad agitarti, Daiki?»
«Non te lo posso dire.» Aomine si alzò velocemente in piedi e camminò a destra e a sinistra, stuzzicandosi la narice del naso con le dita. Akashi, dal canto suo, rimase in silenzio per qualche attimo e seguì i suoi movimenti con gli occhi.
«Perché no?»
«Perché no.» Aomine sbottò, poi fermò i suoi passi irrequieti, probabilmente dopo essersi reso conto che non era consigliabile alzare il tono di voce con Akashi.
«Insomma, è una cosa privata ...» Aomine borbottò e lasciò vagare il proprio sguardo lontano.
«Voglio solo vedere la chiave, di qualunque cosa si tratti, hai la mia parola che niente uscirà da questa stanza.»
Aomine sembrò ritrovare un po' di calma e lucidità e tornò a guardare Akashi; dopo qualche istante di esitazione, infine, sospirò sonoramente e lasciò agli occhi la libertà di vagare, evidentemente imbarazzato.
«L'ho doppiata due settimane fa.»
Akashi drizzò le orecchie: le due settimane corrispondevano a quanto aveva detto il figlio del ferramenta.
Aomine lo invitò ad uscire dalla stanza degli interrogatori e Akashi lo seguì senza fiatare, fino agli armadietti.
«È questa qui.»
Akashi afferrò la grande chiave metallica e se la rigirò fra le mani per analizzarla.
«Non è dell'appartamento di Tetsu, ma di quello di ... di Kise.»
L'ultimo nome pronunciato da Aomine fu ridotto ad un sussurro, ma non sfuggì ad Akashi che, sapendo dell'imminente arrivo degli altri, fece dietrofront e si diresse velocemente nella piccola saletta dove attendevano il turno del loro interrogatorio e che ormai conosceva a memoria.
«A-Akashi, dove vai?»
«Vieni con me, andiamo a verificare.»
Aomine non se lo fece ripetere due volte e si affiancò immediatamente a lui.
«Avevi detto che la cosa sarebbe rimasta fra noi!»
«Ho bisogno di una prova ulteriore.»
Aomine trattenne un insulto: avrebbe voluto strozzarlo, e quella non era la prima volta che gli passava per la testa un'idea simile: forse, un giorno, anche lui sarebbe diventato un assassino, e avrebbe scelto di uccidere non per gelosia, vendetta, soldi, sadismo o rabbia, ma per esasperazione.
Quando Akashi varcò la soglia di quella che ormai chiamavano tutti "sala d'attesa", fu soddisfatto di trovarvi proprio Kise, oltre che Midorima e Murasakiabara.
«Ryouta?»
Kise sollevò immediatamente il capo e si mise sull'attenti.
«Sì, Akashicchi?»
«Cos'è?» Akashi gli sventolò la coppia della chiave sotto al naso e Kise la fissò con aria trasognata, per poi rivolgere una rapida occhiata ad Aomine, alle sue spalle, e infine soffermandosi su di lui.
«È la chiave del mio appartamento: Aominecchi l'ha doppiata circa due settimane fa.»
Akashi rimase in silenzio per qualche attimo, cercando di cogliere in Ryouta anche il più piccolo gesto che potesse comunicargli che stava dicendo il falso.
«Potresti farmi vedere l'originale?»
Kise rimase in silenzio e frugò per qualche istante nelle tasche, finché non estrasse un mazzo di chiavi tintinnanti e gli mostrò quella del suo appartamento, che Akashi poté confrontare con quella che gli aveva dato Aomine.
Sia la tempistica assegnata dal figlio del ferramento sia quella di Aomine e Kise corrispondevano, e le chiavi erano identiche, per cui Akashi le restituì ai rispettivi proprietari.
«Visto?» Aomine gli strappò la chiave di mano «l'interrogatorio lo inizio da te, oggi.»
«Come vuoi.»
Sia Aomine che Akashi, dunque, tornarono indietro e restarono in silenzio almeno fino a metà del tragitto.
«E così, tu e Ryouta vi frequentate.»
«Cos-? E-ehi! Ti ho detto che sono cose private, queste–»


Subito dopo Akashi, Aomine decise di interrogare Murasakibara, e quando questo si sollevò dalla propria sedia per raggiungere la cella dell'interrogatorio, a Kise non sfuggì lo scambio di sguardi non esattamente docile ed idilliaco che ebbe con Midorima.
«Murasakibaracchi non ti convince?» fu questo che gli chiese non appena rimasero soli.
«No.» Midorima inforcò gli occhiali ed inspirò appena e Kise rimase a fissarlo solo per qualche attimo, per poi sospirare sconsolato.
«Neanche a me.»


«Aomine, posso chiederti una cosa?»
Aomine ebbe seriamente paura che anche Midorima avesse intenzione di chiedergli qualcosa su di lui e Kise o semplicemente stuzzicarlo.
«Che vuoi?» brontolò, battendo nervosamente l'estremità della penna sul taccuino.
«Volevo solo sapere se Murasakibara parla durante gli interrogatori.»
Aomine fu sorpreso da quella domanda e indugiò prima di rispondere, poi finì per sbuffare e si lasciò scivolare lungo lo schienale.
«Oh merda, Akashi ti ha coinvolto nelle sue indagini?»
«Diciamo di sì, anche se i nostri sospetti sono diversi.»
«E il tuo è Murasakibara.»
«Già.»
«Beh, effettivamente quell'idiota non fa altro che dire che ha fame e chiedere di uscire.» solo a pensarci gli veniva il nervoso: gli interrogatori di Murasakibara erano estenuanti, forse anche più di quelli con Akashi.
«E l'alibi?»
«L'alibi? Non ha mai detto nulla, non si sa se ce l'ha o no.»
Midorima rimase in silenzio per qualche attimo e congiunse le mani sotto al mento.
«Allora insistete, perché non sono il solo a sospettare di lui.»
Nonostante fosse rimasto in silenzio, Aomine pensò che Midorima avesse ragione: dopotutto i due di cui si sapeva meno erano proprio Murasakibara e Kise, quindi era ovvio che avrebbe cercato in tutti i modi di far parlare Atsushi, tutto a costo di proteggere Ryouta.



Angolo invisibile dell'autrice:

Questa storia mi ha illuso, e non poco.
A giudicare da tutte le recensioni che aveva ricevuto il primo capitolo pensavo avrebbe continuato ad incontrare il favore dei lettori (?), ma a quanto pare il secondo capitolo non è stato così avvincente (è che non posso uccidere un personaggio ad ogni capitolo, anche perché non è mica un horror). Comunque ringrazio sia chi ha voluto lasciarmi una recensione, sia chi si è limitato a leggere.
Sto cercando di inserire più intrecci possibili per rendere il tutto più interessante e vi do un consiglio per le vostre indagini: non considerate il fatto che io mi concentri più su un personaggio piuttosto che su un altro, semplicemente perché questi sono i primi capitoli: a poco a poco mi concentrerò su tutti loro *u*
Siccome mi diverto ad arricchire la mia pagina FB, ho deciso di scrivere una rubrica proprio su questa storia, dove raccoglierò periodicamente tutti gli indizi sui vari personaggi, quindi ecco il link della prima: # RUBRICA # Rigor Mortis

Chiedo venia per eventuali errori di battitura, ma il correttore non voleva funzionare ;-;
Alla prossima!


   
 
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