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Autore: _S n a k e    06/08/2014    4 recensioni
In una comune giornata come le altre, arrivano due nuovi studenti alle scuola di Heartland.
Uno è un ragazzo allegro e spensierato che, grazie alla sua simpatia, conquisterà l’amicizia di Yuma&Co. Sembra un angelo…ma si sa, gli angeli hanno sempre due facce…
L’altra è una ragazza esuberante, allegra e, da certi versi, assomiglia un po’ a Yuma. Anche lei stringe buoni rapporti con il tramite astrale, ma anche con l’altro nuovo ragazzo, che le ricorda vagamente qualcuno…
Intanto, i Bariani mirano a distruggere il mondo Astrale e sottomettere la terra, affidandosi ai sadici piani di Vector, che però non ha solamente intenzione di salvare il proprio mondo...
Quando la verità verrà a galla, si avrà il coraggio di andare avanti, oppure ci si farà schiacciare dal suo immane peso, divenendo succubi del terribile potere del caos?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bekuta/Vector, I Sette Imperatori Bariani, Nuovo personaggio, Rei Shingetsu, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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STRANE VISIONI

 

 

Quel giorno, in cielo, non splendeva alcuna stella. Dell’azzurro che predominava fino al giorno prima, nulla rimaneva. Grosse nuvole cariche di pioggia puntigliavano la volta celeste, impedendo la vista del satellite lunare.

“Principe Vector”

La voce dell’anziana signora, colei che custodiva la famiglia reale da molti tempi, echeggiò nella sala in cui il ragazzino dai capelli color arancio vivo si trovava.

Era seduto su di una balconata; avrebbe potuto anche cadere e rischiare la sua vita, ma non gli interessava. Tra le sue mani un animale che aveva tutta l’aria di essere un uccellino.

Il principe lo teneva cautamente vicino a sé, scaldandolo con il calore della sua pelle.

L’anziana signora si avvicinò al bimbo, notando che quello che teneva tra le mani era proprio un uccellino. La sua ala azzurra era fasciata da un piccolo strato di tessuto bianco un po’ sporco, tipico dei vestiti che il piccolo era solito indossare.

Anna, era quello il nome della custode, sorrise mestamente; molto probabilmente il ragazzo aveva trovato la piccola creatura ferita e, quindi, aveva voluto aiutarla.

Tipico del principe, aiutare chiunque. Poteva essere sia un pregio che un difetto quello, ma preferiva non pensarci. In fondo, quel bambino era su quel pianeta solo da nove anni. Troppo pochi per comprendere come bisognava imparare a vivere.

Appena si accorse della presenza di qualcuno, l’arancio si girò, mentre l’uccellino che teneva vicino a sé volava via, verso il cielo.

“Oh, Anna” disse, scendendo dalla balaustra e rizzandosi in piedi. Si passò una mano tra i capelli color del tramonto, appiattendoli un po’. “Io, ecco…”

Cercava una giustificazione, una scusa da propinarle per non essere ancora a letto a dormire.

In lontananza si sentì un tuono, mentre alcuni lampi abbagliavano di una luce che scompariva così velocemente da parere solo illusione.

La signora lo guardò severa, per poi addolcire lo sguardo.

“Principe, domani verranno a farci visita…”

Vector non lasciò nemmeno che finisse la frase, sapeva già ciò che la bocca dell’anziana avrebbe pronunziato.

“Il principe Nash e la principessa Merag, lo so Anna!” la anticipò, sorridendo al pensiero di poter rivederli. Giocavano sempre insieme, quando si incontravano; al Principe del Regno di Poseidon non dava affatto fastidio intrattenersi con quel ragazzino che era venuto al mondo poco tempo dopo di lui.

“Visto che lo sai, vai a letto: così sarai in forze” gli disse, mentre il bimbo mostrava una smorfia contrariata.

“Uffa” sbottò il piccolo, sbadigliando. “Non avevo affatto sonno”

 

Il giorno era passato velocemente, quasi come i lampi che folgoravano la sera prima.

Era appena finita la cena, nel castello in cui risiedeva Vector. Quest’ultimo e due ragazzini, fratello e sorella, era seduti in un grande giardino compreso nel grande edificio, sull’erba ancora parzialmente umida dopo l’acquazzone del giorno prima.

“Allora, Nash, dimmi: quando tornate a Poseidon?” chiese il più piccolo fra i tre, mentre maneggiava un sasso trovato vicino a sé. Il bambino dai capelli viola guardò verso la volta celeste, con un’espressione corrucciata.

“Credo domani. So che nelle nostre terre c’è una guerra che continua imperterrita, e non credo che potremmo stare lontani da casa troppo. Il Re e i suoi eredi devono essere presenti, non possiamo lasciare il nostro Paese in balia a se stesso” spiegò il maggiore, mentre i suoi occhi blu, profondi come l’oceano, si posavano sul ragazzino che aveva di fianco. Sembrava dispiaciuto del fatto che il suo amico sarebbe rimasto per ancora così poco tempo. “Capisci?”

“Sì, certo”

Il suo viso, però, dimostrava che egli pensasse tutto il contrario; non aveva mai capito perché dei popoli dovessero combattere tra di loro, provocando morti e feriti. La conosceva bene, lui, la guerra: suo padre, oltre ad essere il Re, era a capo dell’esercito. Molte volte doveva assentarsi per lunghe battaglie o campagne militari. Sebbene non avesse buoni rapporti con il sovrano dell’isola su cui viveva, comunque erano padre e figlio. Strinse con forza il sasso che aveva in mano, facendo divenire le proprie nocche bianche.

“Che bei fiori” disse la principessa, per cercare di rompere quell’imbarazzante silenzio che si era venuto a creare. Vector si sforzò di non pensare ad altro che al poco tempo che gli rimaneva per stare con i suoi amici, lasciando la presa sul sasso e posandolo a terra.

“Lo so, sono stupendi. Li abbiamo coltivati grazie a dei semi che ci aveva donato Durbe” disse, ripensando al ragazzo coi capelli grigi che più volte era venuto a visitarlo. Era di nobili origini; destinato a diventare un cavaliere valoroso. Lo aveva conosciuto quando il padre era venuto in visita al castello insieme al ragazzino, che da subito era sembrato simpatico a Vector.

“Ah, ecco. Mi sembrava strano che tu, il principe Vector, te ne intendessi di fiori” disse Nash, con lo scopo di punzecchiare l’amico. Si levò una risata a cui tutti e tre erano partecipi.

Erano tempi d’oro, in cui i figli dei sovrani delle due terre andavano ancora d’accordo.

 

Il giorno seguente Vector passò tutto il tempo con i suoi due amici: visto che sarebbero dovuti partire al calar del sole, voleva stare con loro il più possibile.

Il sole stava già tingendo di rosso il cielo, donando alle nuvole un colorito rosa scuro. Era passata così in fretta, quella giornata. Troppo in fretta.

Erano vicino al mare. L’aria era diventata abbastanza pungente, mentre l’odore della salsedine penetrava nel naso con prepotenza. Una lieve brezza scompigliava i capelli di marinai e non, quasi carezzandoli.

“Allora, ci rivedremo?” chiese il più piccolo tra i tre, allungando una mano. Il ragazzo dai capelli viola fece lo stesso, stringendogliela in una forte presa. La bambina poggiò delicatamente una mano su quelle strette degli altri due, sorridendo. Si guardarono tutti negli occhi, con un tacito accordo che Nash riassunse in poche e semplici parole.

“Ovvio! Spero tu resterai con me, come amico, per sempre”

 

 

Vector aprì lentamente gli occhi, adattandoli gradualmente alla luce. Appena quest’ultima non fu più un problema, cercò di mettersi a sedere. Si toccò la tempia destra, digrignando i denti. Un pezzo di stoffa bagnata gli cadde dal viso, finendo sui suoi jeans blu. La prese tra le dita, soppesandola, per poi ripensare a ciò che aveva appena visto.

Non sapeva cosa fosse quella visione. Un incubo, forse? Allora il destino ci teneva, a mostrargli cazzate colossali. Insomma, lui e Nash che parlavano dei fiori del suo giardino? Con Merag ad assistere? Quello non poteva essere altro che uno stupido incubo; un mancino tirato dal suo cervello, forse. Probabilmente passare così tanto tempo a studiare Matematica aveva spossato il suo encefalo, che si era vendicato facendogli vedere quella testa di polpo di Nash.

Per un momento accantonò la faccenda di ciò che aveva visto per cercare di capire dove fosse. Si guardò intorno, cercando un qualunque indizio che gli dicesse dove potesse essere. Si trovava in una stanza bianca, seduto su un letto. Forse era un altro incubo. Probabilmente.

Non udiva nessun suono oltre al fastidioso ronzio nelle orecchie che sentiva da quando si era risvegliato. Era come se tutto fosse stato impostato sulla modalità ‘silenzio’; come su Barian, dove non esisteva nessuna anima vivente.

“Ti sei svegliato!”

Si girò, di scatto, per vedere chi fosse stato a parlare. Una ragazza dai capelli rossi si precipitò di fianco al suo letto, con un’espressione sollevata. Teneva in mano un altro pezzo di stoffa che aveva l’impressione di essere bagnato. Probabilmente il ricambio di quello che aveva tra le mani in quell’istante l’arancio.

“Che cosa è successo?” chiese. L’ultima cosa che ricordava era che Maya gli stava dando delle ripetizioni, poi si era ritrovato su quel letto.

La ragazza tirò un sospiro di sollievo vedendo il suo amico star meglio. L’espressione corrucciata che aveva assunto si dissolse, lasciando distendere i tratti del suo viso, probabilmente precedentemente tirati per la preoccupazione.

“Stavi uscendo dalla classe e sei svenuto.” disse, buttando il pezzo di stoffa nel cestino vicino al punto in cui era in piedi. “E quindi ti ho portato in infermeria. Mi hai fatto tanto preoccupare, Rei!” concluse, mentre il ragazzo faceva per alzarsi. Lei subito lo fermò; non voleva di certo che, sforzandosi troppo, svenisse nuovamente.

“Aspetta! Se non ti senti ancora bene resta pure qui a riposare” gli disse Maya.

“Sto bene, tranquilla. Ma… per quanto tempo sono stato privo di sensi?” chiese, scendendo dal letto. Maya ci pensò per qualche istante, guardando l’orologio a muro sistemato sulla parete bianca immacolata della stanza dell’infermeria in cui si trovavano.

“Circa un’oretta” rispose infine. “Non ho chiamato nessuno perché non avevo idea a chi rivolgermi”

“Quindi sei stata qui tutto questo tempo?” chiese l’arancio, stranito. Le guance della ragazza si imporporarono a velocità della luce.

“B-beh, non potevo certo lasciarti per terra da solo” disse, ridacchiando un po’ per smaltire la tensione. “Ora però è meglio che vada, Rei! Ci vediamo domani a scuola” lo salutò, dirigendosi verso l’uscita dell’infermeria.

“Ciao!” ricambiò il saluto l’arancio, sorridendo.

Ancora non capiva cosa fosse accaduto quel pomeriggio, ma era meglio non saperlo.

Non sapeva che, un tempo, era un principe buono e dedito al suo popolo e, per ancora molto tempo, ne sarebbe rimasto all’oscuro.

 

Yuma era sdraiato su quella specie di amaca che fungeva da letto. Era mezzanotte passata, e il ragazzo teneva le palpebre calate. Nonostante ciò, non riusciva a prendere sonno, per cui era rimasto sveglio fino a quell’ora. Normalmente si sarebbe assopito subito dopo essere salito in camera sua, ma quella notte non ne era stato capace. Per cui si era intrattenuto parlando con il suo amico astrale.

“I nostri nemici sono in grado di evocare numeri caos”

Yuma sospirò, ripensando al duello di quella mattina. Era vero ciò che diceva Astral, i Bariani erano più forti di quanto lui avesse mai potuto immaginare. Iniziava a pensare che forse non sarebbe stato così facile vincere quella battaglia.

“Sì, ma tranquillo Astral, vinceremo noi alla fine” lo rassicurò il ragazzo, sicuro di sé. La fioca luce che emanava lo spirito azzurro illuminava la stanza buia in cui erano.

“Lo spero” disse l’astrale. “Anche perché, se non ci riusciremo, Mondo Astrale e Terra…”

“Se la vedranno brutta” completò Yuma.

Qualsiasi persona sarebbe stata per lo meno spaventata, sapendo che avrebbe dovuto combattere contro degli alieni molto potenti. Ma per Yuma tutto era diverso.

Era un ragazzo speciale, incapace di odiare e portare rancore verso qualcuno, con la capacità di non arrendersi mai. Certo, era una dote che poteva anche sfavorirlo in alcune occasioni, ma la sua bontà e tenacità lo avrebbero aiutato a superare anche quell’ostacolo che, a chiunque altro, sarebbe potuto parere troppo grande.

Forse.

Astral guardò il suo amico chiudere gli occhi, addormentandosi. Sul suo volto un sorriso raggiante, che infondeva coraggio anche allo spirito astrale. Restò ancora per un po’ a guardare il ragazzo, che stringeva nella sua mano destra il ciondolo che gli aveva regalato il padre, la Chiave dell’Imperatore.

Sospirò, guardando fuori dalla finestra. La luna non brillava in cielo, sebbene non ci fossero nuvole. Suppose si trattasse della fase che gli umani chiamavano ‘novilunio’.

Novilunio. In giapponese era Shingetsu. Si chiese se tale collegamento avesse un qualche nesso logico. Poteva essere solo un caso, ma quel ragazzino non gli ispirava fiducia. Nessun mano poteva essere così buono ed ingenuo. Nessuno.

Dopo qualche minuto decise fosse meglio rintanarsi nella Chiave; tutte quelle riflessioni, per quel momento, servivano solo a confonderlo. Sparì in un vortice di particelle azzurrine, che vorticarono fino al ciondolo che aveva al collo Yuma.

Forse fu solo una sua impressione, ma gli sembrò che il ragazzo accentuò la sua presa sulla Chiave appena lui ci sparì dentro.

 

 

 

ANGOLO AUTORE sorella dell’autore

 

Gente! Pubblico io perché visto che ha una visita medica e mi ha minacciato detto di pubblicare al posto suo.

Credo che questo capitolo sia corto. Vabbè, dai, my bro fa il possibile, ci tiene a questa storia =) Poi, Vector e Nash vanno d’amore e d’accordo. Bello, davvero, ma non credo ricapiterà mai più XD (in realtà qui nell’angolo dell’autore avrei dovuto copiare degli appunti che mi ha dato, ma lasciamo stare che è meglio).

Nel prossimo episodio (?), forse (e dico forse perché non sono io che scrivo ^^’) ci sarà Shark che… boh, sinceramente non ricordo, ma fa qualcosa =)

Spero vi sia piaciuto il capitolo anche se è corto, spero che mio fratello si rifaccia nel prossimo!

 

Ciao a tutti!

  
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