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Autore: _Hope98_    06/08/2014    1 recensioni
"La fretta è sempre stata uno dei miei più grandi problemi. Se ne ha così tanta che non ci si rende conto che è proprio questa a portarci via il tempo. Forse è proprio questo l’insegnamento più grande che lei mi ha donato. Di sicuro se avessi saputo che quello era il nostro ultimo abbraccio l’avrei stretta di più."
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1.
Quasi Natale
 
La campanella suonò per l’ultima volta quell’anno.
Erano le 13 e 30 di un infinito martedì. Non feci in tempo ad uscire dall’aula che mi trovai completamente circondata da una grande folla di ragazzi intenti ad uscire il prima possibile dalla scuola come se fosse una gara con quelle quattro mura che li avevano tenuti prigionieri per l’intera mattinata.
In quella terribile confusione fortunatamente non mi fu difficile riconoscere gli unici volti a me familiari: Emma e Giada mi aspettavano poco più avanti. Proprio quando ero a un passo dal raggiungerle qualcuno mi chiamò dal fondo del corridoio. Quella voce l’avrei riconosciuta fra tante e mai come allora ho desiderato che non fosse lui. Si avvicinò con passo lento, la sua espressione era impenetrabile. Notai che teneva in mano qualcosa.
-È tuo giusto?. Mi chiese. Diventai improvvisamente rossa, il tono con cui mi rivolgeva la parola, la sua figura, il suo sguardo mi misero immancabilmente in imbarazzo. Gli presi il mio diario dalle mani senza neanche dirgli grazie o chiedergli dove l’avesse trovato, semplicemente mi voltai e tornai dalle mie amiche. Lui era ancora li. Immobile.
Per la prima volta dal suono della campana mi resi conto che nei corridoi ormai non c’era più nessuno. La scuola era vuota e noi eravamo gli unici ancora dentro. Io, Emma e Giada ci scambiammo uno sguardo complice e iniziammo a correre giù per le scale trovandoci dopo pochi minuti fuori dal cancello. La neve copriva ogni centimetro del marciapiede, il fresco vento invernale portava a noi il profumo che fuoriusciva dal panificio di signora Agata. Le strade erano decorate con festoni e luci rosse, bianche e verdi. I sottili raggi di sole diffondevano qualche spiraglio di luce qua e la. Le vacanze di Natale erano finalmente arrivate.
Tornai a casa, ma non c’era nessuno. La nonna probabilmente era a casa della vicina. Apparecchiai la tavola e andai in camera mia. Quando la nonna tornò aveva con se il nostro pranzo e un sorriso insolito. Mi raccontò che la donna del piano di sopra era guarita dalla malattia che pian piano le divorava gli organi e che presto sarebbe tornata quella di prima. Un caso raro aveva detto. Mi mostrai felice per la notizia e cercai di capire se ci fosse altro, ma nulla. Dopo pranzo tornai in camera. Il telefono segnava un nuovo messaggio: RICORDATI QUESTO POMERIGGIO ALLE SEI IN PIAZZA. ABBIAMO UNA SORPRESA PER TE.
Era Emma. Mi ero quasi dimenticata dell’appuntamento.
Mancavano pochi giorni a Natale e dovevamo finire gli ultimi acquisti: un libro per Giada, una sciarpa per la nonna e per i suoi una bella cornice artigianale con la loro ultima foto insieme. In poco tempo terminammo tutte le nostre commissioni. Ci sedemmo nella nostra panchina, il grande orologio della piazza rintoccava le sette. I bambini abbandonavano i loro pupazzi di neve, le luci iniziarono a lampeggiare, Mario apriva il suo chiosco, il nostro chiosco.
Io ed Emma ci eravamo conosciute li quasi sedici anni prima e da quel momento fummo inseparabili.
Giada ci raggiunse con Marco, suo cugino. Si era trasferito in paese da poco e ultimamente passava molto tempo con noi.
Parlammo per ore, cercai di sembrare il più naturale possibile, ma quella situazione mi rendeva completamente incapace di gestire il mio corpo, i miei sentimenti. Non capivo.
Inventai una scusa pur di allontanarmi il prima possibile da li, ma non fu abbastanza dato che alla fine Marco si offrì di accompagnarmi a casa. Non era tanto distante da li, forse 300 metri più su, ma quei pochi minuti che bastarono a raggiungere casa mi sembrarono un’eternità. Eppure non volevo che finisse.
L’appartamento era al primo di tre piani;due bagni, tre stanze, e una grande cucina all’americana, insomma piuttosto spaziosa seppur ospitasse solo due persone. Ogni stanza aveva il suo colore, i suoi ricordi. La nonna aveva gran gusto e la casa era arredata nei minimi dettagli, forse erano proprio quei piccoli particolari a conferirle quel carattere.
Aprii il cancelletto, salii velocemente le scale. Cosi velocemente che inciampai.
La fretta è sempre stata uno dei miei più grandi problemi. Se ne ha così tanta che non ci si rende conto che è proprio questa a portarci via il tempo. Forse è questo l’insegnamento più grande che lei mi ha donato. Di sicuro se avessi saputo che quello era il nostro ultimo abbraccio l’avrei stretta di più.
   
 
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