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Autore: Peppers    06/08/2014    0 recensioni
La Ruota del Destino gira, intrecciando i fili di tutte le esistenze nell’unico disegno della Storia. Nulla è scritto, se non che il mondo cambierà. Quando suonerà l’adunata, tutti saranno chiamati a prendere una scelta. Sarai colui che farà girare la Ruota, o assisterai inerme, travolto dal corso degli eventi? Il Destino non è il Bene né il Male. Il Destino è la Storia, forgiata dalle scelte, sia tu un contadino, un soldato o anche un dio.
Immergiti in un Impero Romano dalle tinte fantasy.
In Germania, nell’angolo formato dai fiumi Reno e Danubio, cresce la Foresta Nera, nel cui cuore vivono gli Elfi Silvani. Poche miglia più a sud, fra i Montes Alpes, sbocca Khandakhar, la città dei Nani Peaks.
Scopri la verità su ciò che gli annali elfici riportano come la Guerra del Tradimento.
Dal primo capitolo:
«Quanto pensi che impiegherà per capire?» chiese Cleygan, staccando il naso dal bocciolo.
«Credo che lo abbia già fatto» rispose tranquillo Caranthir, vedendo Nelendil che faceva un largo giro attorno al pozzo, precipitandosi nella loro direzione.
«Fine dello spettacolo, fratellino.» Il Principe lanciò in aria la rosa, disperdendola in un turbinio di lucine verdognole prima che toccasse terra. «Tagliamo la corda.»
Genere: Azione, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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PROLOGO

Un Vagabondo nella Foresta Nera


Soundtrack consigliata: http://www.youtube.com/watch?v=ed0h-WqA4G8
Azimuth conficcò il bastone sormontato da un teschio di capra sul terreno fangoso, intrecciandovi le dita nello sforzo di rimanervi aggrappato. La sua figura ammantata ondeggiava come uno straccio impigliato in un ramo, cacciando uno dopo l’altro passi incerti nella notte. Fra le nubi un tuono rombò, per poi spegnersi in un basso rantolo. Le labbra di Azimuth si torsero, muovendosi impercettibilmente all’ombra del manto, mentre le dita perdevano l’appiglio del bastone. Il vento sibilava in spirali cariche di pioggia, scuotendo le cime degli abeti e dei larici. La Foresta Nera era uno scuro groviglio di rami e foglie che ondeggiava convulsamente, gorgogliando la propria sfida al cielo.
Azimuth crollò nel fango. Disteso all’ombra del teschio di capra, impiegò un tempo interminabile per rialzarsi, guadagnare il bastone e riprendere ad avanzare, sporco e ingobbito. I piedi nudi, dalle dita prensili e stranamente allungate, strisciavano nel fango inseguendo un sentiero svanito nel nulla: la pista, supposta ve ne fossa davvero una, terminava lì, al cospetto di una macchia di frassini spogli le cui dita legnose gemevano nella tempesta. Il fiato condensava in nuvolette sfilacciate che dissolvevano velocemente, mentre gli occhi si sforzavano di seguire la linea di un’altura accidentata. Scivolò oltre i frassini, procedendo con lentezza nella foresta che tornava a infittirsi. Abeti dagli aghi riuniti in ciuffi grigi torreggiavano possenti, distendendo i propri rami sulla sua figura minuta. Un gufo ne spiava il passaggio, bubbolando nell’incavo di un tronco. Un altro tuonò ruggì sulla Foresta Nera mentre la pioggia scrosciava senza sosta, ticchettando sui tronchi e gocciolando dai rami.
Giunto in cima alla collina, Azimuth si immobilizzò. I capelli biondo slavato, raccolti in una treccia, scendevano dall’apertura scura del cappuccio fino oltre la spalla. Lasciò la presa sul bastone e ondeggiò, come disorientato. Una mano trovò il tronco rugoso di una quercia, l’altra premette contro il viso. Si piegò in avanti col respiro irregolare spezzato dai lamenti. Una raffica di vento sollevò un grumo di foglie secche e ingiallite, sfilandogli il manto dalla testa. Azimuth sembrò quasi non accorgersene. In ginocchio, nascondeva il viso con entrambe le mani. Da qualche parte nella foresta alla sua destra un animale levò alto il proprio verso nella notte, mentre da lontano giungeva debole l’eco di un tuono. Azimuth rovesciò indietro la testa albina cacciando un urlo misto di rabbia e dolore.
L’occhio destro strizzò via la lacrima che velava l’iride azzurra. L’occhio sinistro pulsava e si muoveva irrequieto vagamente accigliato, brillando di un intenso color oro.
Azimuth si affrettò a coprire la metà sinistra del volto, impedendo che potesse studiare troppo a lungo la vallata boscosa che si estendeva a i suoi piedi per molte miglia fino al fiume Henz. Aquae Mattiacae, il primo insediamento umano a nord della Foresta Nera, era un ammasso confuso di forme scure raccolte dietro un alto muro di pietra. Piccole chiatte dal basso pescaggio sobbalzavano sulle acque butterate dalla pioggia, ormeggiate ai moli che si protendevano sul fiume Henz.
Azimuth si ritrasse a forza da quella vista, batté con la schiena contro un albero e brancolò fino a trovare il bastone. Fece guizzare il teschio di capra a vuoto nell’aria, ora cacciando uno sguardo irato verso il cuore della Foresta Nera, ora cercandone disperatamente il confine nord. Cadde pesantemente in avanti, rimanendo punteggiato sulle mani e sulle ginocchia. Digrignò i denti, l’occhio dorato che fiammeggiava senza sosta. Si alzò in un balzo e, acquattato sul terreno, si mosse cautamente sulla cima della collina. Inarcò la schiena e irrigidì le braccia, alzando il bastone di traverso sulla testa.
Urlò ancora una volta, e stavolta non c’era traccia di dolore nella sua voce. Solo una collera schiumante. Poi si volse nella direzione da cui era venuto e riprese a correre, incurante dei rami che gli sferzavano il volto.
Corse per un tempo interminabile, con l’occhio dorato a guidare meticolosamente i passi nell’intreccio di radici, foglie e fango. Corse saltando i crepacci che tagliavano la foresta, schivando massi che emergevano senza alcun preavviso fra gli alberi. Corse con il manto sdrucito che ululava nelle sue decine di brandelli rappezzati.
Corse finché una lancia gli si piantò ai piedi, fendendo il cerchio di larici da una direzione che nemmeno il suo occhio dorato riuscì a cogliere.
Azimuth arrestò la corsa così d’improvviso che non riuscì a reprimere un gemito di dolore. Fece un balzo indietro, guardando la lancia infissa nel terreno molle per quasi un quarto della sua intera lunghezza. Rimase immobile, ansimante, con il bastone abbandonato al fianco e l’occhio dorato spento in un’espressione identica a quello azzurro: una smorfia mista di pena e rassegnazione. Al limitare della radura gli alberi si agitavano scossi dal vento, creando ombre che apparivano vive, contorte e mostruose.
Una di quella ombre scivolò fra i larici senza emettere alcun rumore, attendendo guardinga finché l’assoluta immobilità di Azimuth la convinse a rivelarsi.
La maglia a scaglie del cacciatore elfico tintinnava, lucida per la pioggia. Uno scudo ovale, ricavato dal guscio di una testuggine, ne proteggeva gran parte del corpo. Il guerriero si mosse lentamente verso la lancia, scoccando all’avversario un’occhiata truce da sotto un elmo conico.
Azimuth lasciò che l’altro recuperasse l’arma, né mosse un dito quando l’elfo silvano prese a girargli intorno con l’asta in carica, poggiata sull’orlo sagomato dello scudo.
«Assicurati solo di non sbagliare la mira, la prossima volta» disse senza alcuna ironia, arricciando le dita dei piedi.
«Un Peaks.» Il cacciatore elfico sputò la parola controvoglia, poi serrò le labbra. «La tempesta ti ha spinto molto lontano da casa, nano.»
Sovrastava Azimuth di una buona spanna, anche senza contare gli spallacci di piastre che ne rendevano la figura ancor più imponente. I suoi occhi scivolarono inquieti oltre la sagoma striminzita del nano, i muscoli del braccio che impugnava la lancia si tesero.
«Non temere, quelle ombre possono vomitare solo altri elfi» disse Azimuth, con voce distante. «A meno che anche tu sia da solo.»
Il cacciatore si accigliò e scosse la testa, facendo ondeggiare le ciocche verdi che grondavano oltre l’orlo dell’elmo.
«Un nugolo di lance aspettano solo un suono di corno per accorrere e crivellare il tuo corpo.»
«Allora suono il tuo corno.»
Azimuth fece un passo in avanti.
«Rimani dove sei» lo minacciò l’elfo, distendendosi in modo da poter scagliare la lancia con sufficiente forza.
«Vuoi solo spaventarmi, cacciatore.» Un tuono eruppe nella radura, smorzandosi fra gli alberi. «Quanto furiosa deve essere una tempesta per far smarrire la strada a un elfo?»
Il guerriero snudò una risata nervosa, ondeggiò appena sulle gambe e con unico movimento balzò addosso all’avversario, andò in affondo e fece roteare la lancia afferrandola dalla base del manico.
Azimuth deviò il colpo con un guizzo teso del bastone poi si chinò, schivando la punta dell’arma che falciava l’aria, e con un movimento impacciato picchiò il teschio di capra contro lo scudo dell’avversario.
L’elfo dai capelli verdi irrigidì la schiena e allargò le braccia in un gesto che sembrò dilatare la sua sagoma.
«Tutto qui ciò che sai fare, nano?»
Il Peaks gettò il bastone di traverso ai propri piedi.
«Uccidimi o scappa, elfo.»
«La paura ti sta annodando lo stomaco.»
Azimuth mosse la testa a scatti, facendo guizzare inquieta la treccia bionda. Fissava l’avversario, pur senza vederlo.
«Va via, prima che sia troppo tardi.»
«Per il dio Mithal, che ti sta succedendo?»
Il nano contrasse le labbra, indietreggiando fino al limitare della radura. L’oscurità gli drappeggiava il corpo vestito di stracci, i lineamenti appena abbozzati dal guizzare di un fulmine. Il petto si alzava e abbassava a ritmo concitato, le vene del collo si gonfiavano.
L’occhio dorato brillò in un viso albino spettrale, distorto da una brama smaniosa a stento frenata. Il cacciatore elfico aprì la bocca senza riuscire a pronunciare alcuna parola. Con un grugnito scagliò la lancia.
Quando Azimuth distese entrambe le braccia, la lancia si immobilizzò a mezz’aria, ruotando su se stessa senza riuscire ad avanzare di un soffio.
«Troppo tardi» disse, in tono doloroso.
La pioggia batteva in diagonale sulla Foresta Nera. Un tuonò rullò fra le nubi, inghiottendo nel proprio tumulto un urlo.
   
 
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