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Autore: ashtonsdimples    06/08/2014    1 recensioni
"Sentì il cuore pompare a ritmo della musica appartenente alla sua playlist preferita e, per quelle poche volte che succedeva, si sentì più vivo che morto."
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vic Fuentes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tre.
 
   
     La luce del sole quella mattina era tenue, passava dal vetro della finestra e si rifletteva sul suo viso, nel buio dei suoi occhi chiusi apparivano indistinte macchie bianche e rosse. Le palpebre erano talmente pesanti che la voglia di aprirle non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello. Ormai la primavera svolgeva pienamente il suo corso, eppure le coperte lo avvolgevano, poiché il freddo non pareva voler andarsene. Marzo era fottutamente pazzo. Vide la macchie spostarsi e prendere forma: un sole, un fiore, un petalo, una A. A per Alzati, Apri le palpebre, Anatra, Aeroplano, Aquilone, Arcobaleno, Arancione, Aquila, Alieno, Alex. All’ultimo nome scattò in avanti, restando seduto, gli occhi scuri spalancati e la consapevolezza di essere “un emerito idiota” scritta nella mente.
    Lanciò un cuscino addosso a suo fratello, che grugnì di rimando, restando nella sua posizione: non voleva saperne di alzarsi. A quel punto Vic prese un altro suo cuscino e glielo fiondò addosso, colpendolo alla testa. Si sentì trionfare, fin quando Mike glieli restituì entrambi schiacciandoglieli contro il viso, non permettendogli di respirare. Non si rese nemmeno conto dei suoi movimenti, era troppo divertito a ridere, e quando non sentì più l’aria scorrere nei suoi polmoni si contorse meglio che poté giusto per prendere quel poco di aria che gli bastava. Mike era più alto e apparentemente più grosso di lui, ma era pur sempre il maggiore ed aveva un orgoglio da salvaguardare. Facendo forza sulle braccia scansò i cuscini da dosso e prese fiato, notando l’espressione divertita del fratellino.  « Questa me la paghi » biascicò con la voce roca dal sonno, sorridendogli.
    I suoi capelli erano un ammasso indefinito di color castano, mossi da una parte ed appiattiti dall’altra. Controllò l’orologio e pensò di essere in estremo ritardo. Sua madre aveva cercato in ogni dove pur di trovargli un piccolo lavoretto. Non pensava gli servisse, dato che era convinto del successo di “A flair for the dramatic”, ma non volle deluderla proprio in quel momento. Se il cd avrebbe davvero avuto successo sarebbe andato via, avrebbe incontrato nuove persone, nuove etichette, avrebbe scritto ed inciso nuovi pezzi, avrebbe affrontato una vita completamente diversa da quella a San Diego. E sua madre sarebbe rimasta sola, senza i suoi cari figli a tenerle compagnia. Se l’immaginò durante il loro primo viaggio, all’aeroporto, con le lacrime agli occhi e le mani nelle sue guance, che augurava loro un buon divertimento e gli ricordava sottovoce di lavare i denti e cambiare la biancheria. Le fece compassione, soprattutto quando la vede in cucina a trafficare con la colazione quasi pronta al piano di sotto.
    « Victor, sei in ritardo! Ti pare il modo di presentarti così durante il tuo primo giorno di lavoro? Avanti, mangia e datti una sistemata. I signori Johnson sono davvero bravi, dovresti essere felice di lavorare per quel piccolino. Hanno anche una figlia più grande, ma non so quanti anni abbia. Magari ha la tua età! » lo incitò a prepararsi il più velocemente possibile, muovendosi dall’angolo cottura alla tavola come fosse una biglia impazzita. Sistemò il latte, lo zucchero, i toast e la marmellata uno dopo l’altro, con una velocità che a Vic sembrò impossibile. Era davvero agitata, così si avvicinò, le prese le spalle e la fece girare verso di lui. Era solo un po’ più alto di lei, pensò che effettivamente i suoi genitori non erano stati molto clementi con lui in fatto di altezza, ma le sussurrò comunque di stare calma e tranquilla, che sarebbe andato tutto bene. Dopo di che l’abbracciò dolcemente, stringendola a se. Amava quella donna più di ogni altra cosa al mondo.
    Uscì di casa ed il sole quasi non gli schiaffeggiò la faccia: che fosse seriamente arrivata la primavera? Decise di non arrivare alla resa dei conti troppo presto, d’altronde marzo era fottutamente pazzo, no? Decise di raggiungere la casa dei Johnson in bicicletta. Molte persone erano convinte che dalla bicicletta si possono vedere molte più cose, come le varie espressioni delle persone, i colori degli alberi che iniziano a fiorire, le tinteggiature delle case e i graffiti sui muri. Insomma, si potevano notare più cose e quasi nulla veniva lasciato al caso, ma Vic non ci aveva mai pensato. Quando tornava da scuola andava in bicicletta, ma andava veloce con il vento che gli faceva muovere i capelli in ogni parte, il cappellino poco saldo sulla testa e nessun pensiero in mente. Ricordava che, mentre tornava a casa, voleva arrivarci e basta, voleva essere salvo.
    Quella volta andò piano, fermandosi a guardare in ogni dove. E il mondo sembrava davvero diverso. Pensò fosse la bella giornata, le persone che facevano i fatti loro, alcuni che si salutavano calorosamente, altri che urtavano l’uno contro l’altro, certi si baciavano e altri ancora si guardavano in un finto cagnesco. Accelerò un poco, spostando lo sguardo sul cielo, anche se per una manciata di secondi: voleva vedere dove andava senza fare incidenti. Il colore era di un celeste chiaro, quasi pallido, circondato dai raggi del sole che parevano fulminarlo. Se avesse avuto tempo avrebbe volentieri fatto una foto, ma quando si ricordò del piccolo bambino che lo aspettava accelerò ancora, lasciando perdere le dicerie della gente, e cercando di raggiungere l’abitazione il prima possibile. Non si fece schiaffeggiare dal vento, non solo perché non ce n’era, ma perché il posto in cui era diretto era un po’ strano, o almeno, a lui non familiare. Le case erano grigie, spente, a volte con mattoni visibili. Sembrava un quartiere malfamato, ma sapeva bene che i Johnson non lo erano, e così si chiese se per caso non avesse sbagliato strada.
    Vide una signora accanto ad un ragazzino poco distanti da lui, così andò chiedere se fosse nella strada giusta. « Io li conosco, i Johnson. Devi andare sempre dritto, e poi giri la seconda a sinistra » rispose il ragazzino indicandogli la strada. Aveva parecchi ricci ed un sorriso che tendeva verso sinistra, i denti quasi del tutto perfetti e due occhi vivaci. Annuì, ringraziandolo ed accelerando ancora una volta.
    Suonò alla porta della famiglia Johnson, la casa all’esterno era identica alle altre, l’unica cosa diversa era la porta in un legno diverso rispetto alle altre. Si chiese se potesse essere possibile. Sua madre li aveva descritti come persone molto accoglienti, magari un po’ solitari ma comunque sembravano fatti d’oro, e insomma, era convinto fossero ricchi. Gli aprì la porta una ragazzina con dei folti capelli neri, gli occhi color nocciola ed una spruzzata di lentiggini nere sparse per tutta la faccia. Lo fece entrare, presentandosi come Rose. Il suo sorriso smagliante lo contagiò, facendogli salire il buonumore. Per quanto riguardava la casa, solo dopo essersi mosso da due passi dalla soglia capì di essersi sbagliato sin dall’inizio. Quelle case, pensò, rappresentavano perfettamente il detto: “Non giudicare mai un libro dalla copertina”. La tappezzeria era color panna, i mobili in legno perfettamente lucidati, quadri che raffiguravano natura morta, persone o animali abbellivano le mura, e non mancavano le credenze con le foto di famiglia, i piatti di porcellana e i vasi stracolmi di fiori variopinti. Era proprio una bella casa. Si convinse che lavorarci non doveva essere una tortura.
    Una donna sulla trentina, con dei folti capelli ricci color pece e due occhi azzurri gli tese la mano, che non tardò a stringere, presentandosi subito dopo. « Sei stato molto gentile a presentarti qui, Victor, ti ringrazio. Io sono Emily, e lei è mia figlia Rose, ma non è di lei che ti dovrai occupare. Lei ha quindici anni e questa sera verrà con noi. In genere è lei che accudisce suo fratello, ma ora sta crescendo, vuole uscire con le sue amiche e non voglio darle un simile peso quando noi lavoriamo » gli sorrise dolcemente, e pensò che avesse una dentatura perfetta. Si chiese se da bambina portasse l’apparecchio. « Adesso ti presento mio figlio. Non è un vero e proprio terremoto, ma penso che nel primo periodo sarà un po’ difficile neutralizzarlo » accennò una risata, continuando: « Spero che almeno tu possa trovarti bene insieme a noi. Lex? Alexander? Vieni qui amore » alzò la voce, ed un pesante rumore di passi si sentì dalle scale. Un bambino con i capelli castani, gli occhi azzurro cristallino e l’indice stretto tra i denti gli si presentò davanti, con un modellino di Batman in mano e Joker nell’altra. « Du shei Vic, velo? » liberò la voce arzilla ma tanto dolce, facendolo sorridere. Annuì, avvicinandosi, abbassandosi alla sua altezza e allungando una mano. Il bambino si pulì il dito coperto dalla saliva sulla maglietta e gliela strinse, e Vic rise. « Alex, ma ti sembra questo il modo? » sbuffò la madre, guardandolo con sufficienza. Il bambino rise, prendendola in giro.
    « Vieni con me Vic, di fashio vedele la mia cameletta e ti, ti, ti shvelo il mio segleto! » lo prese per mano senza esitazione, cominciando a salire le scale. Vic si girò verso la ragazzina e sua madre, salutandole con la mano libera. « Shai una cosa? » chiese poi, abbassando la voce: doveva essere importante. Vic avvicinò l’orecchio alle sue labbra, e sentì il bambino sussurrare: « I fantashmi eshishtono! » .



Spazio autrice:
devo ammettere che è da un bel po' che non aggiorno, ma dopo questo arco di tempo sono riuscita a buttare giù qualche riga.
Voglio premettere che d'ora in poi la storia andrà avanti sotto il punto di vista di Vic, che è il protagonista. Rivedremo Marie, non c'è da preoccuparsi, ma tra qualche capitolo.
Parliamo di questo, invece. Diciamo che da questo momento la storia comincia a decollare. Abbiamo conosciuto un nuovo personaggio, Alexander, che sarà molto importante in questa storia, molto più di quanto possiate credere. Lui dice che i fantasmi esistono, e questo dovrebbe significare qualcosa d'importante. Bisognerebbe prenderla come una cosa carina oppure no? D'altronde è un bambino che sta parlando.
Spero che focalizziate bene l'attenzione sul piccolino, e spero soprattutto che il capitolo vi sia piaciuto.
Perdonate l'attesa e gli eventuali errori, aspetto una vostra recensione. Ovviamente accetto le critiche: migliorare aiuta sempre!
Un bacio,

ashtonsdimples.
  
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