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Autore: She is made of glass    07/08/2014    0 recensioni
Mi lascio cullare dalle tue braccia, dal tuo fiato che mi arriva sulla pelle.
“Hai il sapore di qualcosa che mi piacerà per tutta la vita” dice, e mi bacia il collo, sull'attaccatura del capelli.
Lo guardo e gli permetto di vedermi. Dentro gli occhi trasparenti il male di una vita mi scivola via e le mie lacrime vanno a bagnare il suo volto.
Lo accarezzo piano, e gli lascio le mie parole lì, fra le pieghe delle labbra.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Muoio.
Muoio per ogni volta che i tuoi occhi non son me che guardano, per tutte le volte che le tue mani e le tue braccia hanno stretto corpi diversi dal mio. Corpi più esili, più desiderabili. Più belli.

 

Uno sguardo veloce lascio correre lungo tutto il locale.
Annego fra le urla e le luci della stanza, cerco di farmi largo in mezzo a questa calca indistinta che mi ritrovo addosso.
Non respiro.

 

Ti guardo da lontano: la fronte imperlata di sudore, la camicia sbottonata, sei accasciato a ridosso di una parete.
La bocca impegnata a mangiarti la faccia di una bambina.
Una scimmietta conciata a festa che ti si aggrappa al corpo accaldato. Una bambolina che barcolla sui suoi trampoli e ti si avvinghia al collo, ti risucchia la faccia.
State lì fitti a parlare piano, sulla tua faccia si tira un sorriso che nascondi nell'incavo del suo collo, e che sapore ha la sua pelle?
Le passi le mani sul corpicino esile: la schiena, i fianchi. Abbandoni le tue idee lì, su quel sedere tondo, te lo chiudi fra i palmi.

 

Riaffioro dalla marea di gente in movimento, che allegra balla e allora tiro fiato.
Mi mordo l'interno delle labbra, mi sistemo il vestito.
Sfioro le mie gambe, i fianchi tondi, mi tormento i capelli.
Mi arrivano addosso i nostri amici: sono stanchi e accaldati. Sono le 3.27 e pensano che sia l'ora di tornare a casa, di recuperare tutti e organizzare le macchine.
“Pensa a Davide."
“Pensateci voi." dico io.
“Noi prendiamo Fede e Luca, sono andati persi"

 

Gli arrivo addosso e piano lo spingo.
Barcolla e spalanca gli occhi, schiarisce la voce, s'infila la mano dentro i capelli.
“Andiamo a casa" gli dico.
Fissa la sguardo sulla gente sotto di lui che balla e urla, sospira.

 

Mi cammina affianco dentro questa notte buia.
Non mi guarda, non mi tocca.
Non siamo niente.
Tira fuori il cazzo e si mette a pisciare davanti a me, è tranquillo.
Mi giro, incrocio le braccia sul petto, respiro.
“Che hai? C'hai vergogna?" mi chiede.
La voce impiastricciata, sicura.
“C'ho che mi fa schifo vederti lì col cazzo di fuori"
“Non parevi tanto schifata quando scopavamo."
E mi pugnala.
Fra i polmoni, mi centra il cuore.
Noi facevam l'amore mormoro nei miei pensieri.

 

C'era un tempo dove tu mi guardavi.
Toccavi le mie curve e baciavi i miei sorrisi, passavi le mani sui punti del mio corpo che odiavo e li stringevi.
Mi volevi.
Cullavi i miei pensieri, smussavi i miei spigoli.
C'era un tempo dove il giorno nasceva dai tuoi occhi e io vivevo per i tuoi sospiri, per le parole che mi regalavi.
E c'è ancora oggi, un modo che hai tutto tuo nel ferirmi.
E' per i tuoi silenzi taglienti, per le tue assenze.
Per tutto il te che ho accolto dentro di me, e che alla fine mi son trovata a stingere un niente.

 

“Perchè ti amavo” gli dico.
Mi stringo fra le braccia e mi avvio alla macchina, tremo a causa di tutte le mancanze che mi hai lasciato addosso.

 

 

In macchina respiro piano, guardo il mondo scorrere dai vetri scuri.
C'è un freddo glaciale che invade il mio corpo, mi s'insinua sotto la pelle, fra le ossa.
Davide è rilassato, steso sul seggiolino comodo.
Le sue caviglie che sfiorano il mio ginocchio a ogni sobbalzo, a ogni curva.
Odio sentirmelo addosso.
M'irrigidisce questo suo movimento involontario, questo contatto scomodo che mi ritrovo a voler evitare.
E' cosciente e lo capisco da come arriccia il naso, dall'espressione che ha sul volto testo. E' per come tiene le mani sulla pancia, per le palpebre rigide.
E' per come lo amavo, per come stavo attenta ai gesti, ai particolari.

 

Mi trovo i suoi occhi addosso, mi brucia quel suo sguardo nero.
Giriamo l'ultima curva e la casa di Davide affiora nel buio.
Il suo corpo preme sul mio, le sue labbra sopra il mio orecchio.
“Rimani da me.” dice piano.
Non è una domanda, è il dominio che cerca di mettermi addosso.
Son roba sua ed è questo che vuole che sappiano gli altri. Che anche se non mi guarda, se non mi tocca, lui può avermi quando vuole.
“Scendiamo qua, grazie per il passaggio” annuncia lui.
Dentro casa sua mi comporto come se fossi a mio agio.
Lascio le scarpe nell'entrata sul tappeto ricamato, vado in cucina, mi verso un bicchiere d'acqua ghiacciata.
Sullo stipite della porta mi guarda dall'alto in basso, prepotente.
“Giulia” sussurra.
Gli dono i miei occhi, glieli punto nei suoi e mi lascio finalmente ferire.
Ancora, ancora e ancora.

 

“Davvero mi amavi?”
Sospiro, amavi, è questo che siamo? Un indicativo imperfetto?
“Amavo come mi facevi sentire quando mi guardavi, perchè tu vedevi me. Amavo sentirti addosso alla mia pelle, sentire l'odore che avevamo. Amavo ascoltare la tua voce e soprattutto i tuoi silenzi seri. Amavo quella cicatrice che hai lì, sopra il labbro e quel segno che hai fra le sopracciglia, i nei sulla schiena e la voglia color cappuccino sul fianc. Amavo baciare i tuoi sorrisi e le tue nocche sempre distrutte, le dita che spevan di fumo. Amavo i tuoi capelli. Più di tutto però amavo il nero che ti portavi dentro e quella malinconia che ti pesava addosso come un macigno. Amavo i tuoi difetti e le tue tenebre perchè quelle, Davide, avevano bisogno del mio amore.”
“E poi?”
“Poi c'è stata quella mattina che mi son svegliata e tu non c'eri ma le lenzuola sapevano di noi, allora ti aspettavo. Ti aspettavo al bar, al parco, all'ingesso della scuola. Mia mamma mi ha cambiato il letto e tu hai cambiato abitudini. Ancora oggi io mi chiedo quando è stato che abbiamo cominciato a perderci, in quale marcio istante tutto si è sgretolato.”
“Anche io ti amavo”
Rido piano.
“Io non penso.”
Si è fatto serio: le sopracciglia incurvate, gli occhi piccoli, le braccia tese.
Non credo a quello che dice perchè io lo so, lui non sa' amare. Dentro di lui c'è il ghiaccio anche nei giorni di giugno.
E' così vicino che respira il mio respiro.
“Ti ho amato, e l'ho fatto come quando si ama qualcosa che sai che perderai. Quando ti guardavo, vedevo una ragazza imprigionata a una persona che non riesce a provare un'emozione. E ho capito d'amarti quando fra le braccia non ero più te che stringevo, quando qualcuno cercava di farmi parlare ma non aveva il suono della tua voce. Ti amavo per le tue accortezze, per le guance sempre rosse e il tuo sguardo sempre un po' perso.”
“Sei stato tu ad avermi lasciato.”
“C'è stata quella mattina che mi son svegliato e t'ho baciato i capelli, la fronte, gli occhi a lungo ho accarezzato la tua schiena, ho disegnato i miei sogni sulle tue spalle e in mezzo a quelli ho visto la tua libertà. Eri così occupata ad amarmi che ti dimenticavi di vivere. Me ne sono andato perchè io sono l'incarnazione dei tuoi limiti.”
“Io ti amo ora, come sempre” gli dico.

 

 

Dopo la curva, poco al di fuori del paese, c'è una casa bianca che annega nel buio.
Dentro di essa facciamo l'amore sui letti di piume, fra cuscini di cotone e lenzuola sintetiche. Ci amiamo in silenzio, sotto strati di nero, fra le grida che emette il mondo.
Ci baciamo, ci completiamo, forme perfette che si uniscono.
Ho fra le gambe i tuoi fianchi, fra le mani i tuoi capelli.
Mi mordi il collo, le spalle, le braccia.
Dopo tutte le volte passate a far l'amore, dopo tutti gli ansimi, le spinte, le parole strozzate, fai un gesto completamente nuovo e mi sorprendi.
Sto' sopra di te mi schiacci addosso al tuo corpo. Con le braccia mi circondi la vita, le spalle, mi stringi la testa.
Mi respiri, mi assapori, siamo un pezzo unico.
Mi abbracci e t'aggrappi a me come fossi un'ancora.
Stai dentro di me immobile.
Mi lascio cullare dalle tue braccia, dal tuo fiato che mi arriva sulla pelle.
“Hai il sapore di qualcosa che mi piacerà per tutta la vita” dice, e mi bacia il collo, sull'attaccatura del capelli.
Lo guardo e gli permetto di vedermi. Dentro gli occhi trasparenti il male di una vita mi scivola via e le mie lacrime vanno a bagnare il suo volto.
Lo accarezzo piano, e gli lascio le mie parole lì, fra le pieghe delle labbra.
“Baciami i sorrisi che solo tu sai creare.” gli dico e lo bacio.
Sospira.

 

 

La mattina mi sveglio avvolta nelle sue braccia, ha il respiro pesante, i suoi piedi ancorati alle mie caviglie.
Mi alzo, rivesto il mio corpo guardo lo spazio che rimane fra le sue braccia.
Il vuoto e quel suo stringere il nulla.
Cammino veloce lontano da lui, a lunghe falcate mi allontano dalla casa bianca dietro la curva appena al di fuori del paesino.
L'alba mi stravolge assieme al fresco che sale dall'asfalto.
Vado verso la mia libertà, con in mano un cuore che ora so: un giorno sarà capace di amare qualcun altro. Nel petto i polmoni pieni del nostro odore, nella testa il ricordo te che m'ami mi cullerà tutta la vita.

 

 

 

 

 

  
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