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Autore: Rainbows_Butterflies    07/08/2014    5 recensioni
[Storia ad OC]
Dieci coraggiosi semidei, un antico potere fino ad allora ignorato, decine di ragazzi sfuggiti al controllo dei due Campi ed una profezia che promette sangue.
Quando William Harper viene convocato dal centauro Chirone, stenta quasi a crederci: Caos, il vuoto primordiale, ha deciso che, anche per lui, è giunto il momento di uscire dall'ombra ed agire.
Ma destarsi dalla sua eterna inerzia richiede il dispendio di parecchie energie, che solo una cosa può dargli.
Dal testo:
«Ares ha fatto il tuo nome. Ti vuole schierato in prima linea, per questa battaglia».
[...]«È per questo che sono qui, dunque? Perché mio padre vuole mandarmi a combattere una divinità contro cui non sarei mai in grado di vincere, neanche con settant'anni di addestramento?» chiese allora, con quanta più calma riuscì a mantenere, incrociando le braccia al petto «assurdo. Gli altri penseranno che sono un raccomandato».
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Image and video hosting by TinyPic Capitolo 5


I ragazzi si sedettero intorno ad uno dei tavoli del fast food con una mappa dell'America settentrionale di fronte e diversi bicchieri di coca-cola poggiati vicini.
Susan era l'unica ancora in piedi, e si aggirava per il luogo come una tigre in una gabbia troppo stretta.
Avevano deciso di fermarsi per qualche istante in più del previsto, giusto il tempo che la tempesta diminuisse d'intensità. Non avrebbero dovuto esserci troppi problemi se fossero rimasti ancora un po': Diomede e le sue bestie erano stati disintegrati, e loro avevano un gran bisogno di rilassare i muscoli e, soprattutto, di dare un senso a ciò che stavano facendo.
E poi, anche il gufo di Skylar aveva smesso di lampeggiare come un disperato.
«Adesso noi siamo qui», disse William, indicando un punto sulla mappa con le sopracciglia aggrottate «anche se avessimo altri imprevisti, riusciremmo comunque ad arrivare in Colorado entro sette giorni. Ma...».
«...ma abbiamo ancora quel piccolo problemino del “quale monte scalare”. Ci servirebbe almeno un anno e mezzo per beccare quello giusto», terminò Nathan, sbuffando.
I semidei sospirarono all'unisono, sconsolati.
«Potrebbero essere sul Monte Harvard o sul Blanca Peak...», tentò James, ma non ne era affatto convinto.
Rose arricciò il naso, per poi addentare il suo panino.
«È un punto morto», bisbigliò.
Ci fu un istante di silenzio.
«Sono nascosti su quello più alto», disse Jonathan, d'un tratto.
Tutti si voltarono a fissarlo.
Tutti tranne Elle, che sembrava troppo impegnata a cercare un canale interessante sulla grande televisione a cristalli liquidi posta al centro della parete sinistra.
«Come fai a dirlo?», domandò Altair, scettico.
Jonathan arrossì lievemente al sentirsi puntati addosso gli sguardi dei suoi compagni.
«Penso che sia la scelta più logica, ecco», bofonchiò lui.
«Giusto», intervenne Skylar, alzando il capo di scatto «se dovessi scegliere, anche io mi nasconderei sul luogo più alto possibile. Serve per vedere meglio cosa succede intorno. Facevano così i signori antichi, e così faceva anche l'Innominato ne “I promessi sposi” di Manzoni, e...».
James trattenne un sorriso, ed Elle alzò gli occhi al cielo.
«Puoi continuare ad essere fantastica dicendoci qual è questo luogo più alto?», supplicò Sem, accennando un sorrisino «per favore?».
Skylar si scusò, arrossendo. Era quella la pecca di essere figli di Atena: non riuscire a trattenersi, quando c'era di mezzo la logica.
«È il Monte Elbert», tagliò corto Elle, cambiando canale per la centesima volta.
William batté le mani sul tavolo con tanta forza che fece sobbalzare i suoi compagni.
«È vero», disse «torna tutto».
Somigliava vagamente ad un bambino che aveva appena scoperto un gioco meraviglioso. Era davvero inquietante, insomma.
«E anche se non fosse, non abbiamo altro da cui cominciare», sospirò Susan, smettendo finalmente di passeggiare per il fast food.
Sem lanciò un'occhiata fuori dalla finestra, dove il temporale non aveva ancora dato cenno di voler diminuire d'intensità.
«Quindi... adesso che si fa?», domandò.
Nessuno di loro stava morendo dalla voglia di tornarsene in quella jeep pericolante con quel tempo.
«Si riparte?», chiese Altair. Eccetto lui, ovviamente. Quella tempesta gli piaceva parecchio.
«No», rispose William «prima devo mandare un messaggio a Ferdinand Bristil».
Rose storse il naso e sbuffò.
«Perché proprio a lui?», chiese.
Non le piaceva affatto l'idea che William avesse un così bel rapporto con il suo peggior nemico.
«Perché è a lui che ho chiesto di tenere d'occhio il campo mentre io non ci sono, e se c'è qualche novità io voglio saperlo», replicò il figlio di Ares, accennando un sorrisetto «vado sul retro. Voi aspettatemi qui... e non fate danni, okay?».
«Vengo con te?», fece Susan. Lui annuì e le fece cenno di seguirlo.
«Come se ci fosse ancora qualcosa da rovinare», bofonchiò Nathan, un attimo prima che il ragazzo sparisse dietro la porta del fast food, seguito dall'amica.
Effettivamente, aveva proprio ragione: il fast food, dopo l'attacco di Diomede, aveva cominciato a somigliare parecchio ad una brutta rovina.


William camminava talmente in fretta che Susan aveva qualche difficoltà a stargli dietro.
«Hey, tu. Non tutti hanno le gambe lunghe come te, sai?», bofonchiò la ragazza.
Il figlio di Ares rallentò e le rivolse uno dei suoi migliori sorrisi da piantagrane.
«Scusa. A volte dimentico quanto tu sia nana, Graymark», fece.
Susan non si arrabbiò neanche, talmente era abituata ad essere punzecchiata da lui.
«Allora?», domandò, invece.
«Allora cosa?», chiese William, cominciando a frugare nelle tasche del suo giubbotto mimetico alla ricerca di una dracma da utilizzare come tributo ad Iride.
Susan gli si avvicinò ed incrociò le braccia.
«Mi ricordo cosa ti ha detto Chirone, prima che ce ne andassimo», disse.
«Mi hai seguita sul retro di un fast food per parlarmi di Chirone? Sul serio?» sorrise William.
«Ti ha chiesto se avevi preso qualcosa. Sembrava importante», lo ignorò lei «cosa intendeva?».
«Ah, quello», commentò William, irrigidendo le spalle «parlava dei denti».
Susan credette di non aver sentito bene.
«I denti?», rispose, sbattendo le palpebre «quali denti?».
William lasciò perdere le dracme e le mostrò la collana che portava al collo, nascosta sotto la maglia del campo. Somigliava vagamente ad una di quelle che indossavano gli uomini primitivi.
Vi erano le solite otto palline di terracotta provenienti dal Campo Mezzosangue - sei delle quali erano identiche a quelle che portava lei -, ma tra l'una e l'altra erano incastrati cinque oggetti pericolosamente simili alle zanne di un drago.
«Quelli sono...», cominciò, arricciando il naso.
«Sparti», concluse William «guerrieri che sorgono dalle ossa, sì. Ares li ha consegnati a Chirone e lui li ha dati a me. Ha detto che Ares pensava che, forse, ne avremo avuto bisogno».
«Tuo padre, ultimamente, ti fa un sacco di regali», osservò Susan, incerta.
«Già», sbuffò il ragazzo «la cosa si sta facendo snervante. Non mi piace usare la sua roba, mi fa...» esitò, come in cerca delle parole adeguate «...perdere la testa».
Susan lo scrutò attentamente in viso, corrucciando le sopracciglia.
«In che senso?», chiese, perplessa.
«Nel senso che mi fa arrabbiare», rispose lui, abbassando il tono della voce, come se non volesse farsi sentire dagli altri «non riesco a pensare lucidamente, come se tutto quello che volessi, in quei momenti, fosse sterminare ogni più piccola forma di vita presente sulla faccia della Terra. A volte, ho pensato di poterlo fare sul serio».
Susan si sentì improvvisamente a disagio. Ares aveva sempre avuto pessimi effetti sulle persone, e William era già un tipo abbastanza nervoso di suo, non era affatto necessario il suo contributo.
«Perché ti sei portato dietro gli sparti, allora?», chiese.
William sembrava persino più a disagio di lei. Tornò a tormentarsi le tasche del giubbotto, e questa volta ne estrasse una dracma d'oro. Se la rigirò tra le mani con fare pensoso.
«Mi fido di Ares abbastanza da credere che ci serviranno sul serio», disse, evitando accuratamente di guardarla «ho chiesto a Jonathan di venire con noi per un motivo preciso. Due, in realtà».
Lei rimase in silenzio, in attesa.
«Lui è figlio di Ecate, ha la magia dalla sua parte», spiegò il ragazzo, passandosi una mano tra i ricci biondi, come faceva sempre quando era agitato «può controllare la Foschia molto meglio di me, conosce incantesimi e cose che altri semidei possono solamente sognarsi. Ho pensato che, se avessi... uhm, dato troppo di matto, lui avrebbe saputo cosa fare. Magari conosce un modo per fermarmi senza uccidermi, prima che io finisca, che ne so, per radere al suolo qualche città».
«Non ti avremmo lasciato fare una cosa del genere anche senza Jonathan, lo sai», replicò lei.
«Hai mai cercato di fermare un figlio di Ares in modalità “uccidi”, di recente?», chiese William, scettico.
«E tu ti sei mai preso uno dei fulmini di Altair in piena fronte, di recente?», commentò Susan.
William accennò un sorriso, e Susan si ritenne soddisfatta del suo operato.
«E il secondo motivo, qual è?», domandò poi lei, ammorbidendo i toni.
«Non mi piace vedere le persone sole», rispose, poi arrossì «dei, non farmelo ripetere mai più».


Rose, Altair e Sem, nel frattempo, avevano cominciato a girare l'intero fast food alla ricerca di qualcosa di utile per il viaggio.
Per la loro felicità, Diomede si era dato parecchio da fare con la roba da mangiare, là dentro.
Certo, era tutto cibo spazzatura, ma almeno non sarebbero morti di fame. Probabilmente, non avrebbero più dovuto fermarsi da nessuna parte, prima di arrivare in Colorado.
Meglio, perché Altair non aveva alcuna voglia di dover combattere di nuovo contro un gigante dai piedi puzzolenti che detestava lui e la sua intera famiglia.
Il ragazzo si diresse verso la friggitrice e cominciò a riempire qualche sacchetto di carta con delle patatine fritte.
Gli piaceva il cibo dei fast food. Gli faceva tornare in mente sua madre, Sharifa Ibdan-La.
Aveva cercato di convincerla a trasferirsi a Nuova Roma insieme a lui diverse volte, ma lei continuava a rifiutarsi. Litigavano spesso per quel motivo. Altair, per riappacificarsi con lei, la portava sempre a mangiare in posti quello.
Non era di certo il massimo della raffinatezza, lo sapevano entrambi, ma era la maggiore idea di lusso che potevano permettersi, e a loro andava bene così.
Alzò lo sguardo dalle sue patatine solo quando Rose, a pochi metri da lui, scivolò silenziosamente verso la cassa e Sem inarcò un sopracciglio con fare circospetto, smettendo di fare ciò che stava facendo e drizzando la schiena.
Rose rimase qualche secondo a studiare l'oggetto, come se stesse cercando di capire in che modo aprirlo senza fare troppi danni. Evidentemente non ottenne il risultato sperato, perché afferrò la sua spada e, con un gesto deciso, lo scassinò.
Lo sportellino della cassa si aprì con uno scatto, e qualche dollaro svolazzò fuori.
Neanche un ladro esperto avrebbe potuto fare una cosa del genere con tanta semplicità.
Rose tuffò una mano tra le monete e se le infilò in tasca con noncuranza, poi passò alle banconote.
Cominciò a contarle, così, per il puro gusto di vedere quanti dollari stesse rubando a Diomede.
Sem incrociò le braccia e la guardò storto.
Fino a quel momento, il ragazzino se ne era rimasto tranquillo insieme a loro, mangiucchiando un panino al bacon e mettendosi, di tanto in tanto, qualche oggetto dall'aria utile nello zaino.
«Che c'è?», domandò lei, inarcando le sopracciglia.
«Tutto questo è rubare», affermò il dodicenne, assottigliando gli occhi azzurri, del colore del mare in tempesta.
Sembrava quasi che se ne fosse reso conto solo in quel momento e che... be', che la cosa non gli piacesse neanche un pochino.
Ad Altair, adesso impegnato a riempire il suo zaino con panini di ogni tipo, venne quasi da ridere.
Rose sorrise e scompigliò i capelli del figlio di Poseidone con una mano.
«Certo», disse « ma non c'è proprio niente di male a rubare ad uno che ha tentato di darti in pasto ai suoi animali da compagnia».
«È comunque rubare», ripeté Sem, calcando volontariamente sulla parola “rubare”.
Altair si tirò in piedi e li raggiunse, scompigliando anche lui i capelli del ragazzino, che lo fulminò sul posto con un'occhiataccia degna di Giove in persona.
«Che ti aspettavi da una figlia di Mercurio? Una sana educazione alla convivenza civile?», disse Altair, in un sorrisetto buffo «rubare è la sua specialità».
«Ermes», precisò Rose, agitando una banconota sotto il naso del ragazzo «mio padre è Ermes, non Mercurio».
Altair le rivolse un sorrisetto storto.
«È la stessa cosa, Miss Stevens», disse.
«Romani», sbuffò Rose, voltandogli le spalle e fingendosi offesa «prima o poi, direte che anche il Sole e la Luna sono la stessa cosa».
Altair ridacchiò sotto i baffi e rivolse un occhiolino a Sem.
«Ragazze», disse, come se la cosa spiegasse ogni cosa.


Jonathan tirò fuori un grosso tomo impolverato dal suo zaino e lo poggiò sul tavolo. Gli lanciò un'occhiataccia, come se il libro potesse morderlo da un momento all'altro.
«D'accordo», disse «intanto che aspettiamo quei due, io mi metto al lavoro».
Skylar e James si strinsero intorno a lui, un po' per curiosità ed un po' per solidarietà.
«Il rito», ricordò Skylar.
«Pensi che si tratti davvero di una di quella roba magica?», chiese James, perplesso.
Jonathan fece spallucce.
«Non ne ho idea», rispose, sincero «gli somiglia parecchio, ma questa “roba magica” è tantissima. Oppure, magari, stavano solo tentando di aprirsi un passaggio attraverso la montagna».
«Possiamo darti una mano?», propose Skylar, dopo un istante di esitazione.
Non voleva sembrare invadente o appiccicosa, e nemmeno voleva che Jonathan s'irritasse e tornasse a chiudersi in se stesso come aveva fatto fino ad allora. Voleva solo avere qualcosa da fare mentre aspettava che tutti fossero di nuovo pronti per la partenza, giusto per togliersi dalla testa altri pensieri non troppo piacevoli.
Anche se la sua collana aveva smesso di brillare, lei continuava ad avere la sensazione che avrebbero dovuto filarsela da quel posto al più presto.
James sembrava nervoso quanto lei, a giudicare dalla maniera frenetica con la quale continuava a strofinarsi le mani sui calzoni.
Jonathan annuì, cominciando a sfogliare le pagine ingiallite e grinzose libro.
Le sue dita erano affusolate ed un po' callose sui polpastrelli, come se avesse passato la vita a sfogliare pagine come quelle. Era concentrato, con gli occhi scuri nascosti dietro il suo solito paio di occhiali, le sopracciglia corrucciate e le spalle tese.
Skylar pensò che facesse un po' impressione, toccare un libro come il suo: antico, potente e terribilmente fragile. Se non fossero stati attenti, avrebbero rischiato di romperlo? Lei era brava a rompere le cose. Non voleva pensarci.
«Se riuscite a vedere un simbolo come questo, potremmo aver trovato la risposta», Jonathan indicò una sottospecie di “u” rovesciata disegnata a lapis su un angolo di una pagina.
Gli altri due annuirono.
Anche se le scritte erano in greco antico e non in inglese, James cominciò a distrarsi quasi subito: il suo disturbo da deficit dell'attenzione non lo risparmiava mai, neanche nei momenti più seri.
Invece che concentrarsi sui rituali, si concentrò su Skylar.
Era stata la prima ragazza del gruppo con cui avesse parlato serenamente, per non dire l'unica, senza sentirsi come un pesce fuor d'acqua o senza inciampare nelle parole come un idiota.
Gli era simpatica, e la trovava anche piuttosto carina. Come ogni figlia di Atena, possedeva dei lunghi ed indomabili capelli biondi ed un paio di scintillanti occhi grigi. Gli ricordava un po' Will, ma in versione femminile, più fragile, più graziosa e molto meno disinvolta.
Era davvero carina.
Appena formulò quel pensiero, si sentì subito terribilmente in colpa e si obbligò a tornare a fissare il tomo di Jonathan.
L'ultima ragazza che aveva definito “carina” era morta tra le sue braccia per salvarlo, dicendogli che lo amava.
Quando si riscosse, Skylar e Jonathan lo stavano fissando.
«Va tutto bene?», chiese Jonathan, con una mano sollevata a mezz'aria, come se si fosse interrotto proprio mente stava per voltare una pagina «sembra che tu abbia appena visto un fantasma».
James annuì velocemente.
«Sono un po' in ansia», rispose «credo che dovremmo andarcene da qui».
Non era esattamente la verità, ma non era neanche una bugia.
Jonathan, per tutta risposta, chiuse il suo libro con uno scatto e se lo infilò di nuovo nello zaino.
«Bene, allora spero proprio che William e Susan si sbrighino con quel messaggio-Iride», disse, lanciando un'occhiata verso la porta che dava sul retro del locale.
Skylar si limitò a scrollare le spalle.


Nathan ed Elle si ignoravano bellamente a vicenda, nonostante stessero facendo esattamente la medesima cosa. Ovvero, assolutamente niente.
Si erano posizionati di fronte al televisore, in attesa che tutti si decidessero a partire di nuovo.
Elle era seduta con eleganza, le gambe unite e la schiena ritta. Gli angoli delle labbra erano piegate all'ingiù, come se quel posto stesse cominciando a farle davvero schifo.
Somigliava ad una giovane regina molto annoiata.
Nathan, invece, era stravaccato sul suo sgabello in maniera scomposta, con i gomiti puntellati sulle ginocchia ed i capelli scuri in disordine, come avrebbero potuto essere le piume di un corvo investite da una corrente d'aria fredda ed inaspettata.
Giocherellava con il telecomando, facendolo dondolare in aria tra l'indice e il pollice della mano destra, anche lui palesemente seccato.
Entrambi fissavano lo schermo come se li stesse prendendo intenzionalmente per i fondelli.
In quel momento, stava andando in onda un documentario su Animal Planet.
«I cavalli sono animali erbivori. Bestie amichevoli ed eleganti», diceva la profonda voce maschile in sottofondo, mentre la telecamera inquadrava questo e quell'altro esemplare dal manto lucido.
«I mortali non sanno proprio un accidente» sbuffò Nathan, inarcando un sopracciglio «tsk, se solo avessero incontrato le cavalle di Diomede, non la penserebbero così».
«I mortali sanno quello che vogliono sapere, è così che opera la Foschia», replicò Elle «ed è molto meglio per tutti».
«E cosa pensi che abbia mostrato la Foschia, genio, a quelli che erano qui?», chiese lui, scettico.
«Che vuoi che ne sappia?», sbuffò Elle, infastidita da tutte quelle chiacchiere «di certo non la verità».
Nathan si voltò verso di lei. Probabilmente avrebbe detto qualcosa di odioso e di pungente, se il documentario non si fosse improvvisamente interrotto.
L'immagine si bloccò nel bel mezzo di un felice accoppiamento tra equini, ed in sovrimpressione apparve la figura di una donna dai capelli ricci, il trucco pesante e la giacca blu notte.
«Che palle», commentò Nathan, in uno sbuffo.
«Stai zitto», lo rimbrottò Elle.
«Interrompiamo il programma per una notizia appena giunta in redazione», annunciò la donna vestita di blu, portandosi un grosso microfono vicino alla bocca «pare che un noto fast food a poche ore di distanza da New York sia stato teatro dell'ultima scena di rapina e omicidio da parte di un gruppo di giovani, presumibilmente tutti in età da scuola: il più grande sui diciannove o vent'anni anni e il più piccolo sui tredici, forse addirittura dodici».
Nathan si batté una mano sulla fronte.
«Oh, fantastico», commentò «com'è che avevi detto tu? “I mortali sanno quello che vogliono sapere, ed è molto meglio per tutti”. Come no! Adesso siamo tutti dei criminali».
Elle si limitò a mordersi il labbro inferiore e ad irrigidire la schiena.
I mostri le andavano pressoché bene, ma quel genere di guai non le piaceva per niente. Non ci teneva ad essere arrestata dalla polizia.
«La baby gang formata, a detta dei sopravvissuti che hanno subito informato la polizia, da un totale di una decina di ragazzi e ragazze armati di pistole, avrebbe ingaggiato una dura lotta con il titolare e con le cameriere indifese, costringendo questi ultimi a consegnare tutti i ricavi, salvo poi ucciderli senza pietà. Neanche le loro suppliche hanno potuto fermare i cuori di pietra dei ragazzi», continuò la telecronista, con aria terribilmente affranta, quasi fosse stata lei stessa ad essere stata uccisa «la polizia di New York è ora in viaggio per raggiungere la scena. Si raccomanda alla popolazione di prestare la massima attenzione e di riferire ogni movimento sospetto alla polizia, poiché nessuno è in grado di sapere dove colpiranno la prossima volta. Vi forniamo ora una serie di identikit che ritraggono i giovani criminali implicati nella faccenda».
Nathan ed Elle schizzarono su dalle loro postazioni in contemporanea, ed i loro compagni si voltarono a guardarli come se fossero improvvisamente andati fuori di testa.
«Ragazzi, abbiamo un problema!», annunciò Nathan.



Angolo di Butterflies:
Ma salve!
Che dire, niente mostri in questo capitolo, per la gioia dei nostri semidei.
Da una parte, diciamo che è un capitolo un pochino più leggero degli altri, ma anche un po' più serio. Ci sono meno battute, e cominciamo a scoprire alcuni dei problemi personali che affliggono questi poveracci (?).
Adoro questo genere di cose, lol: nei libri di zio Rick, quei disgraziati dei mezzosangue vivono - finché vivono - immersi nei problemi (vedete Piper e il rapimento di suo padre; Frank e la sua vita legata a quel legnetto bruciacchiato; Hazel e il piccolo problema in perfetto stile “Metal Detector” - senza contare il fatto che è morta e poi risorta, ovviamente -; Percy con quella serie di adorabili profezie che gli tramutano la vita nel suo Tartaro personale; Annabeth e la sua storia difficile con suo padre e il ragazzo di cui era innamorata che si trasforma nel capo dei Titani; Talia che per un po' è stata un albero; Nico che viene da un'altra epoca e ha perso sua sorella... per non parlare di Leo: la sua vita è un disastro – tesoro mio ç.ç -. Insomma, avete capito u.u)
Quindi, dopo questa “cosa” più lunga dell'intero capitolo:
I vostri semidei hanno situazioni in sospeso da risolvere? Segreti da svelare? Genitori divini da incontrare? Armi o regalini vari da ricevere? Difetti fatali da dichiarare? Qualunque altra cosa da aggiungere alla scheda iniziale? Se sì, sapete dove trovarmi u.u
Un'altra cosa: le coppie. Oddei, sono un disastro in questo campo. Se quelle che si stanno creando - si stanno creando? - non vi piacciono, datemi voi un'opzione xD
N.B. Ci sono sei maschi e quattro femmine. Escludendo Sem che ha dodici anni, uno degli altri ragazzi mi rimane single ç.ç chi Ade gli rifilo?
  
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