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Autore: Selhen    08/08/2014    3 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando il giorno precedente avevamo saccheggiato con Dahn la tribù Mau a Morheim, eravamo riusciti a dividerci quello che era stato un bel sostanzioso bottino. Ne avevamo fatto pervenire un terzo a Lacie, della quale mi erano arrivate notizie tramite il mio migliore amico. Lacie era stata colpita da una banale fattura che un guaritore dell'anima aveva saputo eliminare senza problemi. Stava bene, e anche lei era riuscita ad arricchirsi parecchio.
Quanto al mio ultimo incontro con Velkam, erano passati tre giorni. Da allora quel bacio era stata la mia continua ossessione. Che fosse giorno, o notte, quella scena mi riaffiorava prepotente nella mente e nello stesso momento qualcosa dentro di me si agitava.
Era sera inoltrata e tra le ombre di Pandemonium il mio cuore faceva le capriole nell'impazienza di rivedere quell'elisiano. La luna immensa e imponente cominciava a risplendere illuminando coi suoi raggi pallidi e argentei le guglie degli edifici e i grigi muri in pietre della città.
Avevamo scelto la notte come nostra complice, quando nessuno sarebbe stato nei dintorni di Kamar intento ad adempiere a qualche missione.
Le alte colonne che circondavano il lago della piazza gettavano la loro cupa ombra all'interno del lago, e il cullante sbatacchiare dell'acqua al vento era l'unico rumore che potevo percepire intorno a me.
Solo ogni tanto, come lontani e spuntati da chissà dove, avvertivo dei passi leggeri  perdersi per chissà quale destinazione. Qualche Daeva frettoloso attraversava la piazza intento nei suoi affari e da essa presto spariva. Era ora di cena, a Pandemonium, e tutti sembravano essersi rintanati nello loro case a Pernon. Perfino i mercanti avevano ritirato le loro merci e avevano abbandonato le loro postazioni di vendita. La giornata moriva, e con essa, Pandemomium sprofondava nel silenzio e nell'oscurità. Un'oscurità che era vita per noi, e che alimentava e plasmava la nostra natura guerriera possente e diafana, come la mia.
Sollevai il viso a incontrare coi miei occhi scarlatti il bianco latteo di quella luce discreta. La luna, silenziosa, ricambiò il mio sguardo con una carezza luminosa. Impallidì ancora di più il mio viso, e fu testimone di una lacrima che scivolò lungo la mia gota per andare a inzuppare i miei vestiti.
"Perchè?", chiesi in un sussurro, più a lei che a me stessa.
Sorrisi tra le lacrime. Selene, il corpo celeste da cui prendevo il nome, era molto più simile a me di quanto mai avessi immaginato. Portavamo perfino lo stesso nome.
Selhen, perchè sei bianca e bella come la luna... mi aveva dolcemente spiegato una volta mia madre osservandomi con occhi pieni di orgoglio.
Non rivedevo mia madre da tempo immemorabile. Da quando se n'era andata, di sua volontà, rinunciando a che la sua anima venisse legata a un obelisco della resurrezione, perchè lo stesso destino era toccato a mio padre.
Anche lei, come me, era innamorata della luna. Della pallida e candida luna. Bella, selvaggia e silenziosa.
Così simile a me da morire ogni notte per il sole. Da inseguirlo instancabilmente nel cielo consapevole di non raggiungerlo mai.
Era Velkam il mio sole.  Era lui il mio sogno impossibile e recondito. La mia più assurda e stupida ossessione.
Ed era proprio per lui che quel pomeriggio io e Dahniel avevamo avuto una lite furiosa.

"Sei testarda, cocciuta! Maledizione!", aveva imprecato con un urlo così disumano che non avevo potuto far altro se non stringermi nell'angolino della poltrona su cui stavo seduta.
Dahniel era nel pieno di una crisi di astinenza. I suoi occhi iniettati di sangue mi tenevano inchiodata al mio posto, col respiro irregolare e il terrore nell'espressione. La sua fronte pallida era imperlata di sudore mentre a passo svelto si avvicinava a me e mi spingeva contro lo schienale con una mano serrata sul mio collo.
"Sappi, Selhen...", aveva sibilato spingendo contro la mia carotide quasi fino a togliermi il fiato, "che se perderai la vita per un... uno schifoso elisiano come lui, sarò io stesso ad ammazzarlo con queste mani".
I suoi denti famelici rilucettero sinistri alla luce di una torcia mentre le sue dita, nel movimento improvviso con cui le spostò, andarono a procurarmi con le unghie un profondo taglio sul collo che iniziò a sanguinare.
Mi ero accorta di star sanguinando solo quando mi massaggiai il collo col cuore in gola dalla paura.
"Dahniel, la fiala...", pigolai terrorizzata. "Non sei in te...".
"Zitta!", aveva urlato con chiara disperazione nella voce. Era caduto in ginocchio strappandosi i capelli e aveva poi, con un movimento brusco, distrutto il vaso che gli stava più vicino.
Mi strinsi nelle spalle spaventata al fracasso della ceramica infranta e le lacrime avevano cominciato a rigarmi il viso.

La discussione era nata quando avevo accennato a Dahniel che quel giorno avrei rivisto Velkam. Ma probabilmente avevo scelto il momento più sbagliato per ricordarglielo. In quell'ultima ora aveva dato facilmente in escandescenza ed era stato nervoso e intrattabile.
Eppure, a lui non riuscivo a nascondere nulla. Era sempre stato dolce e comprensivo. E la prima volta in cui glielo avevo confessato non era stato così duro nei miei confronti, ma forse, solo perchè aveva abbastanza polvere in circolo da placarne i sensi e le ire.
In quell'ultimo periodo avevo frequentato così tanto Dahnael da aver capito che, proprio come mi aveva spiegato la prima volta che mi aveva parlato della sua dipendenza e della sua maledizione, più il tempo passava, e ancor più devastanti erano le crisi d'astinenza che lo colpivano. L'odella lo rendeva giorno dopo giorno suo schiavo.
Con quei pensieri desolanti continuavo a rimirare l'acqua del lago, fin quando, in lontananza non udii i rintocchi della mezzanotte.
Balzai in piedi, e il mio cuore sussultò ad ogni suono chiaro e definito. Era il momento.
Mi specchiai nell'acqua e la tremolante sagoma della luna fu coperta dal mio viso che si sporgeva sull'acqua. Mi scoprii stanca e sfiancata.
I miei occhi erano arrossati e gonfi. La lite con Dahnael e il pomeriggio di pianto mi avevano estenuata. Non avevo immaginato che il mio primo incontro con Velkam avrebbe potuto avere il sapore delle lacrime.
Mi gettai la bisaccia a tracolla e salii le scale accostandomi, per un momento, a una delle alte colonne. Nascosi il viso tra i capelli poggiando la fronte sul freddo marmo di essa, poi presi un profondo respiro e mi incamminai, molto lentamente, per la strada del mercato. Attraversai senza fretta il grande e deserto ponte di Vifrost e raggiunsi la postazione del teletrasporto dove Doman sonnecchiava.
"Ehi", dissi con voce delicata per non spaventarlo.
Il teletrasportatore battè le palpebre e scosse il capo giustificandosi "Oh, sì sì... dove?", aveva farfugliato confuso con la voce impastata di sonno.
"Sarpan", dissi accennando un sorriso che non si estese agli occhi posando tra le sue mani la quota di kinah richiesta.
Il portale mi comparve davanti attendendo solo che mi ci lanciassi dentro.
Quella dimensione... solo quella dimensione e pochi passi di distanza mi separavano da Velkam. Almenocchè lui... non mi avesse presa in giro.
Quella possibilità mi attanagliò subito l'animo. E se si fosse solo preso gioco di me? Fino a quel momento?
E poi, potevo io confidare nella parola di un elisiano, quando era proprio la sua razza a volerci sterminati uno ad uno?
Senza pensare oltre mi gettai nel cerchio di luce e mi sentii leggera finchè i miei piedi non toccarono la dura pietra della piattaforma di Sarpan.
Mi guardai intorno in un atteggiamento furtivo che mi venne quasi naturale poi scesi dalla piattaforma attenta a che i miei tacchi non facessero tropo rumore.
Per l'occasione avevo decorato i miei capelli candidi con un cerchietto rosso che ben si intonava con i miei occhi e un vestito nero in pelle Uno dei miei ultimi acquisti elisiani fatto a Pernon da un mercante shugo itinerante.
Il ticchettio insicuro dei miei tacchi rintonò nella piazza buia e deserta. Le luci delle torce, sinistre, gettavano ombre scure ad ogni mio passo.
Sollevai gli occhi al cielo, come a cercare dalla luna un misterioso incoraggiamento. La sua figura diafana e silenziosa placò il mio animo quando mi addentrai in uno dei portici e sbucai su una seconda piazza ancor più quieta della precedente.
Silenziosamente, col cuore che batteva un po' più forte, svoltai l'angolo. Banchi e banchetti deserti erano riposti alle pareti della fortificazione, piccoli tavolini che all'alba sarebbero stati occupati dalle varie e singolari mercanzie degli shugo.
Le mie pupille si ingrandirono, abituandosi con fin troppa facilità al buio pesto, accennai qualche altro passo incerto, poi lo scorsi, un movimento fulmineo.
Sussultai quando mi ritrovai una mano posata sulle labbra che mi impedì di urlare. Ne riconobbi il profumo all'istante.
"Shhh", percepì in un sussurro al mio orecchio. Poi la mano si scostò e finalmente potei voltarmi.
Era Velkam. Con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra carnose.
Tendevo spesso a dimenticare che i cacciatori e gli assassini erano in grado di sparire. Era stato così che Velkam era riuscito ad avvicinarmi così tanto senza che io me ne rendessi conto.
Incerta ricambiai quel sorriso. Ero totalmente in imbarazzo che non avevo idea di cosa avrei potuto dire in quel momento.
"Da questa parte", aveva detto lui sottovoce prendendomi per mano e conducendomi fuori dalle mura,  oltre il ponte della fortificazione, per rifugiarci in una macchia d'alberi poco oltre i confini dell'immenso palazzo di Kamar.
Quando fummo abbastanza al sicuro perchè nessuno potesse vederci ritornai a respirare.
"Non credevo di trovarti qui per davvero", dissi alla fine sollevando lo sguardo verso il cielo mentre gli parlavo.
Dei candidi raggi lunari filtravano oltre i rami degli alberi investendo delicati entrambi i nostri volti.
Velkam era ancora in piedi. Aveva deposto vicino un masso arco e faretra e aveva approfittato della mia disattenzione per fissarmi.
"Neanch'io", aveva detto infine sarcastico.
A quella risposta distolsi gli occhi dal cielo e tornai ad osservarlo. La tenuta in pelle era la stessa di tre giorni prima. Di diverso c'era solo un taglio sull'avambraccio, vivido e fresco.
Corrugai la fronte senza capire. "Cosa hai fatto al braccio?", gli chiesi avvicinandomi.
Il flebile calpestio dell'erba accompagnò i miei passi quando presi il suo braccio caldo e muscoloso tra le mie mani gelide e delicate.
Scottava, segno che in quella ferita cominciava a diffondersi l'infezione.
"Questo pomeriggio a Gelkmaros... mi sono imbattuto in uno dei...", sorrise nervosamente. "In uno dei tuoi...", concluse incerto.
Allargai appena le labbra, in un gesto di comprensione, e annuii. Non mi andava nemmeno di sapere come fosse finita tra i due.
"Il tipo è riuscito a filarsela", aveva continuato senza che glielo avessi chiesto, quasi come a voler rassicurarmi.
Accarezzai assorta i contorni della ferita e ripensai al pomeriggio in cui ero stata io stessa a medicarlo. Medicare un elisiano potenziale assassino dei miei conoscenti, compagni, e amici di legione. Che blasfemia!
Senza pensare oltre mi chinai silenziosa a rovistare nella mia bisaccia per ripetere quell'operazione ma lui mi fermò con una mano sul polso.
"Guardami", disse soltanto.
Deglutii rimanendo per un attimo con le mani ferme ancora dentro la bisaccia e il viso chino sopra di esse, poi, molto lentamente sollevai lo sguardo sul suo, bruciante.
"Sei in pessimo stato", disse solamente.
Esitai. Aveva capito che c'era qualcosa che mi tormentava.
"Non sono io ad aver bisogno di cure oggi".
Scossi il capo con vigore e mi ostinai a tirar fuori dalla borsetta le erbe medicinali senza aggiungere nulla.
"No", disse lui secco ma con tono pacato bloccandomi nuovamente.
"Selhen...", mormorò.
Una marea di emozioni contrastanti mi invase quando sentii quel tono carezzevole pronunciare il mio nome. Quella cadenza strana e melodiosa, quell'accento lontano a cui a volte non avevo neanche fatto caso.
 E a quel nome, con le emozioni vennero i ricordi di quel pomeriggio, emersero i sentimenti di quegli ultimi tempi. L'incertezza e lo smarrimento di quel momento. Cosa provavo per Velkam in quell'esatto momento?
Non ne ero innamorata, no? Non potevo esserne innamorata!
Il frinire delle cicale alla calura di quelle notti estive interruppe il mio silenzio. Riempì lo spazio di tempo che io impiegai prima di parlare.
"Non... non è nulla", balbettai afferrando convulsamente il barattolino dentro la borsa nella quale avevo affondato le mani.
"Non è vero...", mormorò placido posandomi un dito sotto il mento perchè sollevassi il viso a guardarlo negli occhi.
"Sono solo... problemi asmodiani", ironizzai con un tono che era tutt'altro che leggero.
"Non deve essere così tanto irrilevante se stai così a pezzi".
Come aveva fatto con quel buio ad accorgersi di me e dei miei occhi gonfi?
Gettai uno sguardo nervoso al cielo.
"Cosa c'è?", chiese alla fine col tono dolce e l'accento come sempre melodioso.
Cercai di reprimere delle nuove lacrime. I miei occhi tornarono minacciosamente lucidi mentre stringevo così forte i denti da impedirmi uno scoppio improvviso di pianto.
Era stata un'orribile giornata, la crisi di Dahn, il graffio sul collo che ancora bruciava. La consapevolezza che il mio migliore amico poteva diventare pericoloso da un momento all'altro e che a volte il ritardo nella somministrazione di quella sostanza, per di più pericolosa, avrebbe potuto far scattare una scintilla di odio... tutto mi disruggeva. E poi... quando sarebbe dovuto giungere il momento che più avrebbe potuto farmi felice...  quando mi ritrovavo di fronte a lui, ecco che invece non potevo, essere felice. Non dovevo esserlo!
La bellezza di Velkam mi spiazzò ancora e quei suoi occhi verdi così veri e sinceri mi fecero capitolare all'istante.
Scoppiai in un fragoroso pianto che mi costrinsi a fermare per evitare che qualcuno potesse sentirci, ma se anche ero riuscita a placare e a tenere a freno i singhiozzi, così non era stato per le lacrime che continuavano, copiose, a rigarmi il viso.
Scivolai piano lungo la corteccia di un grande platino e mi ci appoggiai sedendomi a terra.
Quando Velkam mi si inginocchiò di fronte, per guardarmi negli occhi, non ebbi neanche la forza di oppormi a quella richiesta.
"Spiega", disse soltanto con un'autorevolezza nella voce degna di un governatore elisiano.
"Si tratta del mio migliore amico...", cominciai incerta prima di bloccarmi nuovamente disillusa. "Oh inutile, non capiresti... elisiano", sputai col tono più velenoso che potesse riuscirmi.
Velkam non demorse. Il suo sguardo, incatenato al mio, era rimasto ancora autorevole. "Mettimi alla prova".
Decisi che avrei provato a fidarmi di lui, ancora una volta. Fino a quel momento Velkam non mi aveva dato modo di dubitare delle sue azioni.
Ancora una volta la cosa mi suonò strana. Ripensai alle parole che Shad mi aveva detto quel giorno a Kamar, rimeditai sulla risposta di Velkam?
A chi avrei dovuto credere? Velkam, da elisiano che era, aveva mantenuto la parola ancor meglio di Shad, dal quale invece ero stata continuamente ferita e tradita.
Acconsentii a spiegargli ogni cosa quando lui, appoggiatosi a un tronco di fronte al mio, si dispose all'ascolto.
Raccontai di Dahn, della maledizione, della droga e della sua dipendenza.
"Lui... è importante per me", gemetti alla fine asciugandomi una lacrima col dorso della mano.
Quando ebbi terminato il racconto il silenzio calò nuovamente tra noi, rotto dal canto dei grilli e delle cicale tra le fronde.
Nella penombra, coi miei occhi felini in grado di vedere anche in condizioni di più scarsa visibilità, intravidi Velkam corrucciarsi ad un pensiero. Il cacciatore annuì distrattamente.
"Ho sentito di un caso simile al tuo anche dalle mie parti... ed è capitato a Tiamaranta anche quella volta", fece una pausa. "Ho paura che si tratti di un nemico comune o di un esemplare delle due razze fuori controllo".
Il tono pragmatico con cui analizzò la situazione riuscì quasi a darmi nuova speranza.
"Forse potremo...", continuò incerto, "indagare sulla questione nel tempo libero", esitò ad aggiungere insicuro.
Avevo sollevato lo sguardo speranzosa di sentirgli qualcosa del genere, e quella speranza, quella dolcezza...
Balzai in piedi senza neanche pensarci e mi gettai al suo collo.
"Grazie", dissi solo piangendo di gioia.
Percepii la sua mano accarezzarmi i capelli mentre lo stringevo. Il suo respiro era calmo e cullante.
"Perchè?", singhiozzai, "Perchè fai tutto questo per me?".
Sospirò serrando la stretta. "Non chiedermelo...", sussurrò. "Non perchè non ne hai il diritto, solo...", si interruppe, "non conosco neanch'io la risposta".
Mi distanziai per guardarlo negli occhi dopo aver asciugato gli occhi alla meno peggio. Il trucco doveva essere completamente sbavato e il mio aspetto mostruoso e cadaverico.
"E tu?", proseguì con tono più sicuro, "Tu perchè mi hai chiesto di rivederci?".
Non risposi a quella domanda spiazzante. Avrei potuto rispondere solo in una maniera.  Ma non ero certa che a lui sarebbe stata cosa gradita.
Esitando pensai che dopotutto era stato lui a chiederlo e a pretendere una risposta, e d'istinto lo feci. Mi slanciai verso di lui e premetti le mie labbra sulle sue.
Emozioni del tutto nuove mi travolsero a quel nuovo bacio a cui lui, rigido, non contraccambiò subito. Colto di sorpresa era rimasto immobile senza la minima idea di come reagire.
Non desistetti, ma serrai ancor più la stretta attorno al suo collo e finalmente quel bacio si sciolse.
Non c'era più alcuna inibizione che ci impedisse di scambiarci nel buio di quella notte di luna piena, una reciproca promessa.
Quel bacio concitato, disperato, era meglio di tutte le parole che insieme avremmo potuto pronunciare.
Mi abbandonai completamente tra le sue braccia. Lui appoggiato contro un rigido tronco, io con una mano tra i suoi capelli e una in direzione del suo cuore. I nostri respiri si fusero, le nostre salive si confusero, mentre i nostri cuori, destinati a non amare mai quello che eravamo l'uno per l'altra, perdevano pericolosamente la cognizione di ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
La luna, Selene... dall'alto di quel cielo buio e senza nuvole era l'unica testimone di quello che all'ombra della fortezza di Kamar adesso sbocciava tra noi.
Un seme maligno, insidioso, velenoso ma così dolce, a cui forse, come a una dipendenza, non avrei più rinunciato. Quel bacio era veleno per me, si insinuava nelle mie membra, in ogni parte della mia mente, mi uccideva con l'assurdità della sua stessa esistenza ma come un antidoto mi guariva da tutto ciò che ero sempre stata senza di lui.

 

[Ohw... io amo le storie d'amore impossibili. Non si era capito vero? <.<
No ma ditemi, non sono teneri? Che ne pensate di questa struggente e travagliata storia d'amore?
Avevo provato a scrivere questo capitolo ieri ed ero completamente bloccata e a corto di idee. Una chiacchierata con la mia migliore amica, che ringrazio immensamente, ha chiarito molte mie idee e mi ha dato l'input per proseguire questa bella fic per tutti voi che mi seguite. Siete meravigliosi **
Grazie anche a chi ha messo la mia storia tra le preferite. (ga6ri3lla e hopeless99). Un pezzetto di questa storia è anche vostra <3
Vi amo tutti e sono davvero curiosa di leggere le vostre recensioni, se solo me le faceste ç_ç
Voglio i vostri consigli, le vostre idee e anche le vostre critiche u.u
Bacio. Al prossimo capitolo!]
P.s. love you Razielletta95 perchè mi recensisci sempre u.u

  
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