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Autore: trullitrulli    11/09/2008    2 recensioni
Il suo unico talento era uccidere; amava sentire le ossa cedere, il sangue stillare dalle suture con l'imposizione delle sue mani. Una schiava di razza nobile gli cambierà la vita con un incantesimo, la sua maledizione...questa è la loro storia.
Genere: Romantico, Commedia, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma, Vegeta
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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L’acqua cominciò a raccogliersi in gigantesche pozze, a ogni goccia caduta sulla loro superficie un’increspatura circolare si allargava agitandone la superficie e poi si perdeva tra i flutti.
Una fitta e sottile pioggia che minacciava di trasformarsi in aghi di ghiaccio prematuramente, in considerazione della stagione imperversava sul campo.
L’erba umida si era appiattita sotto i passi sveltiti degli uomini.
L’accampamento era animato da soldati che correvano e urlavano ai sottoposti di salvare il salvabile
dall’acquazzone: di riparare i tendoni squarciati con pezzi di stoffa di fortuna, a volte strappate dalle vesti stesse, e di mettere al riparo gli animali che inquieti scalpitavano e nitrivano ogni qual volta saettava a distanza ravvicinata una fascio zigzagante di luce bianca.
Un tuono risuonò come un rimprovero per la valle, come a voler mettere a tacere il vocio umano, le grida e il rumore dell’acqua sotto gli stivali di ferro.
Le pozze si allargavano a tal punto che entravano anche nelle tende, rendendo la terra umida e fangosa.
In breve tutto l’accampamento, le strade e molti alloggi, furono invasi dall’acqua stagnante.

 

 
Dalla finestrella si riusciva a vedere un quadrato di nubi illuminate dall’occasionale bagliore di un lampo seguite da un boato assordante e inquietante.
Le gocce strisciavano per l’accidentata e grezza superficie della pietra con cui era stato edificato il capanno fino a raggiungere il suolo e andare ad allargare una chiazza di terreno bagnato.
Anche dal soffitto gocciolava acqua piovana che strascicava silenziosa sulle assi di legno che reggevano il soffitto per poi cadere lanciando un lieve barbaglio di luce e atterrando disgregandosi in mille stille d’acqua sulla fronte del prigioniero.
Le più grandi si raccoglievano a formare uno scorso d’acqua che andava a ripulirli il viso dal sudore percorrendo pigra i suoi lineamenti, scivolando lungo la spaziosa fronte, raggiungendo le narici e poi scendendo sempre più giù fino ad incontrare il vuoto lasciato dalle sue labbra semi dischiuse e andando a infilarsi dentro la bocca scivolando sul labbro superiore.
Questa volta sembrò avvertirne il passaggio.
Si leccò la bocca per assaporare meglio l’unica acqua che avesse bevuto in un giorno.
Aveva il palato secco e gli occhi impastati dal sonno.
Il suo corpo fu scosso da una violenta tosse; strizzò gli occhi ancora sonnacchiosi.
Poi li schiuse.
Non cambiò molto; era buio, la pessima visuale lo portò a credere che fosse notte fonda, ma il barbaglio dell’ennesimo lampo lo fecero sobbalzare e scattò in avanti allarmato venendo però bloccato da un paio di catene tese.
Strano.
Gli sembrava di essersene liberato da un bel po’, che la vendetta consumatasi nella foresta fosse stato solo un sogno?
Istintivamente la mano andò a cercare l’elsa della spada, trovando però, solo il foro del fodero.
Cercò con lo sguardo, inquieto, la sua arma, ma la visibilità era scarsa.
Fortunatamente un lampo venne in suo aiuto e illuminando ancora una volta l’ambiente gli permise notare uno scintillio in un angolo.
Li giaceva, buttata malamente, la sua spada sanguinolenta, macchiata del liquido vitale delle sue vittime. Pareva luccicare colpito dalla luce delle saette.
Vegeta diede un occhiata ai vincoli ad anelli e gli diede un paio di strattoni per provarne la resistenza.
Una volta assodato che non poteva romperle con il solo uso della forza decise di passare al metodo più veloce ed efficace.
Si mise a fissare intensamente la sua mano come a volerla bucare col pensiero, con i muscoli delle tempie e delle braccia tesi nello sforzo e una goccia di sudore che gli scendeva lungo la fronte.
Iniziò, senza allentare i muscoli a schioccare le dita.
I primi tentativi furono vani e ognuno seguito da un intermezzo vuoto in cui si mordeva collerico il labbro cercando di combattere con la stanchezza e con il nervosismo.
In breve le spaziature che seguivano i sordi schiocchi divennero più brevi, una vena sulla tempia stava spasmodicamente cominciandogli a pulsare.
Uno degli schiocchi produsse una scintilla, il seguente una manciata di stille di fuoco, il successivo creò una fiammella insignificante che, come se le  sue dita fossero state intrise di rum avvampò sul palmo, sul dorso e sulle nocche della mano.
Avvicinò più che potè il polsi attendendo che il fuoco liquefacesse il metallo.
Non essendo l’effetto immediato tentò di accostarle ancora di più, ma anche quando i bracciali di ferro furono uniti e il calore più vicino che mai al metallo le lingue di fuoco che ardevano senza carbonizzargli la carne non scalfivano la lega.
Digrignò i denti contrariato all’idea di dover aspettare che quei pezzenti gli portassero da mangiare quando la porta produsse uno schianto al contatto con la parete..
Presupose che il motivo di tale frastuono fosse stato un allentamento della serratura e il vento che aveva violentemente sbattuta la porta contro il pietroso muro.
Due ombre incappucciate stavano oltre la soglia ostentando presunzione.
Sentiva le loro risate sguaiate e zotiche che li accompagnavano mentre camminavano verso di lui.
Celò la fiamma dentro il suo pugno sperando che la luce delle torce che avevano appiccato eclissasse quella tenue della sua mano.
-Ma guarda… si è svegliato finalmente- disse indicandolo con il pollice e poi regalandogli uno sputo che il terriccio assorbì vicinissimo a lui.
La mano stregata gli fremeva, smanioso quant’era di affondare le sue dita arroventate nel suo collo e strapparli la carne della gola con le unghie.
Simulò impotenza costringendosi a trattenersi e serrando nel suo pugno la fioca fiamma.
Spavaldo e incoraggiato dal fatto che non reagisse e che si limitasse, per ora, a guardarlo con una tonalità  di livore nello sguardo, e il modo in cui stringeva i pugni, che lui interpretò come segno di ira per la consapevolezza di essere soggiogato alle catene, si avvicinò ulteriormente arrivandogli a qualche centimetro dal naso.
Tutta la sua visuale comprendeva la faccia, piuttosto magra, del soldato che aveva avuto la spiacevole idea di provocarlo.
-Demone eh?- continuò.
Vegeta si sforzò di ricordare quanto fossero lunghi i vincoli senza distogliere gli occhi, che rimasero piantati in quelli della malcapitata futura vittima, tradendo il disgusto per il fetido odore muschiato che emanava.
-Tz-
L’altro stava con la spalla appoggiata alla porta e si godeva la scena con la mantellina che grondava acqua.
-Poveretto…mi fa quasi pena- disse all’amico che rise sotto i folti baffi.
Aspettava pazientemente che fosse oltrepassato il limite del sopportabile; la sua piccola vendetta sarebbe stata consumata con più gusto, condita con la soddisfazione dell’espressione atterrita dell’altro.
-Non ti preoccupare- lo incoraggiò ironicamente –vedrai che saremo clementi con te e ti concederemo un trapasso veloce e indolore- si rivolse di nuovo a lui ritornando vicino come lo era prima.
-Scenderai negli inferi senza troppo dolore e dovrai ringraziare solo me- disse accarezzandosi l’elsa della spada e occhieggiando volutamente la sua abbandonata al muro.
La sua voce era un penoso sibilo che voleva istigargli timore e angoscia, ma prima che potesse aggiungere ciò che aprendo la bocca e prendendo fiato si apprestava a dire, cinque unghie di dita forti si andarono a conficcargli nel gozzo come se gli stessero tentando di strappare la faringe.
Al posto delle irrisorie e scipite minacce uscì un verso che sembrò quello di un verro impaurito.
Vegeta avvicinò con studiata e voluta lentezza la mano stregata fiammeggiante la cui luce scarlatta si rifletteva nelle sue iridi nere facendolo somigliare in tutto e per tutto a un demone.
Il ghigno di compiacimento mise in mostra i denti già pregustando il piacere della paura altrui.
L’altro aveva smesso quel suo improponibile e irriverente sorriso per adottare un’espressione spaurita.
-Lascialo, lo strozzi!-
Un urlo soffocato e acuto deliziò l’udito di Vegeta, ne voleva ancora, con la stessa intensità con cui desiderava acqua e cibo negatoli da due giorni.
-Mollalo lo strozzi!- ripetè.
Solo allora Vegeta sembrò accorgersi sella sua presenza.
Sollevò il soldato da terra girandolo per mostrare al compagno della vittima il suo volto esanime di un pallido blu.
-Finirai come lui, insieme a tutti gli altri, morti come cani, solo per una mano- sibilò con espressione impietosa riuscendo perfettamente nell’impresa di spaventarlo.
Il milite morente trovava ancora la forza di scuotere la testa e dimenare la braccia per opporsi alla sua presa, mentre Vegeta gli soffocava le urla in gola.
Un nugolo di soldati accorse in aiuto degli impavidi  militari che avevano più  stupidamente che coraggiosamente affrontato il principe dei demoni che erano i Sayan.
Otto spade alla gola, un coltello al ventre, due catene ai polsi e la stanchezza che quasi gli impediva di tenere vivo il fuoco che minacciava di ustionare la faccia della vittima erano un pretesto sufficiente per ignorare ciò che l’orgoglio gli suggeriva.
Mollò la gola del soldato che tossì convulsamente e svenne.
Portarono via il corpo malconcio tenendo d’occhio Vegeta che indifferente osservava le nuvole perdere il loro grigiore, e il restante quadrato di mondo che gli era concesso.
Colui che pareva il capo del gruppetto che aveva eluso il massacro intimò di voltarsi.
Ostentando durezza nello sguardo si voltò.
-Domani verremo a prenderti, per oggi non ti sarà concesso il cibo, non me ne frega se non hai mangiato per giorni, puoi anche crepare per quel che mi riguarda, così avremo un problema in meno-
Vegeta sorrise sardonico e mordace, non bastava quello a spaventarlo; aveva retto a intemperie peggiori, marce sfiancanti, privazioni di cibo e acqua insostenibili per chiunque altro.
Il capo se ne uscì borbottando qualche imprecazione e domandandosi perché la principessa si ostinasse a
tenerlo ancora in vita.

 

***

 
Il mormorio del vento era l’unica voce udibile a metri di distanza.
Seduta con le ginocchia raccolte al petto e cinte dalle braccia nude osservava il campo a distanza.
Con lei, a osservare la vita di uomini dediti alla guerra o costretti a sopportarla, c’era un infante.
Si domandava, a distanza di qualche giorno dalla riunione con i suoi cari, come potessero contadini che non avevano impugnato altro che una zappa sostituire i loro strumenti con armi di tale mole che richiedevano certo una predisposizione naturale alla violenza ed esperienza per essere utilizzate alla meglio.
E al contempo si chiedeva cosa fossero oltre a combattenti i soldati arruolati e pagati che non vivevano nient’altro che di guerra, cosa piuttosto potessero essere se di conflitti non ce ne fossero stati.
Dende la osservava di sottecchi senza che lei se ne accorgesse.
I soldati avevano preso anche la città nella stessa notte, le famiglie erano rimaste senza tetto si erano uniti all’esercito e li seguivano mestamente.
I soldati e il re avevano accolto la loro presenza dispensando loro cariche in cui potessero rendersi utili e concedendo carri e cavalli perché non si sfiancassero durante i prossimi cammini.
Fu una coincidenza fortunata il ritrovamento di Dende.
-Angelo?-
-Si?-
Bulma da giorni era in uno stato di apparente pace, si domandava se davvero fosse così o se l’apparenza fosse ingannevole.
-A che pensi?-
Distese le gambe e poggiò le mani sull’erba.
-Ai guerrieri un po’ tristi e infelici che consolavo-
-Cosa facevi per consolarli angelo?-
Bulma aveva cominciato ad apprezzare il suo nuovo nome: le accarezzava l’ego e rendeva felice il suo piccolo amico.
-Tante cose…ero una schiava…lavoravo per lui…-
A Dende non sfuggì l’utilizzo del singolare.
-Lui chi?-
-Il mio padrone…o meglio EX padrone- precisò con una punta di compiacimento.
Dende era ben conscio della fine che i soldati facevano in guerra perciò la domanda gli sorse spontanea.
-è morto?- chiese in un sussurro, timoroso di pronunciare quella parola troppo alla leggera.
Bulma sorrise consolata dal pensiero che presto l’avrebbe rivisto.
-No Dende, è vicino, molto vicino-
Dende era un bambino intelligente, troppo intelligente per non porsi delle domande e rispondersi con sagaci intuizioni.
-Si tratta del demone chiuso nel casale che ha quasi ucciso quel militare?-
Bulma lo osservò stranita per un attimo, non era raro che il piccolo manifestasse segni di intelligenza superiore alla norma di tutti i bimbi della sua età.
-Si- si risolse a dire lei.
-Eri serva di un demone?-
Forse era questo Vegeta:…un demone...un’anima vendicativa che si dissetava con il sangue, ma che importava
a lei.
Ora come prima le sembrava solo uno spirito triste e rabbioso per essere stato usato, per la vita che gli era stata portata via, bisognoso delle cure benefiche che l’amore di un angelo può dare.

 

Questo capitolo è stato pubblicato nella più totale incertezza sulla qualità del risultato, non ne sono molto soddisfatta, inoltre l'ho scritto più per noia che per vera ispirazione .
Scusate per il ritardo e la continua eccessiva lunghezza dei capitoli^_^' .

  
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