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Autore: HannibalLecter    08/08/2014    0 recensioni
A lei piace lui e lei piace a lui.
A lui piace lei e lui piace a lei.
Perfetto no?
Peccato che entrambi si ostinino ad ignorare questa faccenda continuando tranquillamente il loro percorso che si snoda lungo due rette parallele destinate a non allontanarsi mai ma neanche ad incrociarsi mai, o forse no?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Maledette Louboutin.
Strinsi i denti e continuai a camminare imperterrita.
Il mio cappottino blu elettrico era un vero gioiellino ed era stato un affare dato che lo avevo scovato all'ultima svendita della Rinascente nel reparto Armani, ma in quel momento avrei di gran lunga preferito il mio caldo e poco chic parka verde militare.
Sbuffai e una nuvoletta di vapore uscì dalla mia bocca.
Non si era mai visto un febbraio così freddo e io odiavo le temperature polari.
In verità odiavo i collant quindi di conseguenza odiavo la stagione invernale. Perché dovevo rinchiudermi in quelle specie di sacchetto sottovuoto? In più essendo maldestra finiva che prima di riuscire ad indossarne un paio ne rompevo altri tre.
Probabilmente alla mia morte la Golden Point mi avrebbe dedicato una targa commemorativa: a Ginevra Visconti, che non si arrese mai di fronte ad una calza smagliata.
Finalmente vidi la tanto agognata scritta luminosa che ad intermittenza si accendeva e si spegneva.
Il 'Milky Way' era il locale preferito delle ragazze, al piano terra un lungo bancone a forma di esse allungata offriva i migliori cocktails della città, almeno secondo Chiara, intorno ad esso c'era un ampio semicerchio formato da tavolini bianchi e al centro la pista da ballo che aveva un pavimento costellato da migliaia di stelle fluorescenti. Tutto il locale era provvisto di particolari luci che avevano il potere di far risaltare il colore bianco trasformando ogni ragazzo con camicia bianca in fantasma.
Salutai Frank, il buttafuori, e rassegnata superai la soglia dell'entrata e mi trovai immersa nella solita nuvola di musica tum-tum-tum che aveva il potere di stordirmi ancora meglio di quanto facessero quattro mojito.
Dieci minuti più tardi, dopo aver minacciato di morte la ragazza del guardaroba nel caso qualcosa o qualcuno avesse rovinato il mio prezioso cappotto, stavo sgomitando tra la folla lanciata in danze sfrenate, sempre se così si potevano chiamare, e cercavo, allungando il collo, di individuare la chioma bionda di Veronica che solitamente pareva bianca grazie ai giochi della luce.
Una mano strinse il mio polso e io mi voltai improvvisamente e sospirai di sollievo nel vedere il sorriso di Cecilia e il suo volto lentigginoso colorato dalle luci stroboscopiche.
Chiara mi obbligò a sedermi vicino a lei e iniziò a raccontarmi dell'ennesimo litigio che aveva avuto con il suo compagno di tirocinio. 
Chiara, Veronica, Cecilia e Ginevra.
Formavamo un quartetto dalla terza elementare e tranne rari casi non ci eravamo mai divise.
Chiara con i suoi capelli color ebano e gli occhi cioccolato era un quasi avvocato grintoso e pieno di voglia di farsi valere.
Cecilia, centinaia di lentiggini accompagnate da capelli biondo scuro e occhioni azzurri, era una dolce maestra che adorava i bambini della scuola elementare nella quale insegnava, i quali ovviamente ricambiavano ricoprendola di disegni nei quali raffiguravano la loro piccola maestra come un gigante più alto di alberi e case. Cecilia faceva coppia fissa con Alberto da anni ed erano semplicemente perfetti insieme.
Veronica con il suo metro e ottantadue di figaggine allo stato puro si divertiva ad illudere tutti i poveri malcapitati che avevano l'infelice idea di mostrare occhi da triglia lessa di fronte ai suoi capelli da finlandese e alle sue gambe chilometriche. Veronica lavorava in una casa di moda e stava imparando a cucire e a creare lei stessa dei vestiti.
Era veramente brava, l'anno scorso per il mio compleanno mi aveva regalato un vestitino color carta da zucchero realizzato da lei e pensato proprio per me ed è inutile dire che mi stava benissimo.
Ogni settimana ci incontravamo per aggiornarci e ogni sette giorni mi ritrovavo a pensare a quanto la mia vita fosse piatta e monotona. 
Che cosa potevo raccontare? Isidoro aveva avuto il raffreddore e quando ero corsa dal veterinario al posto dell'anziano e gentile Dottor Forti avevo trovato il più giovane e maleducato Dottor Severini che mi aveva sgridato perché Isidoro stava benissimo e io gli avevo solo fatto perdere del tempo prezioso. Alfie mi aveva portata a vedere una partita di rugby e io ero andata solo perché mi aveva offerto il gelato e mi aveva detto che i giocatori era sicuramente un panorama più stuzzicante di Bruno Vespa a 'Porta a porta' ed effettivamente aveva ragione e ciò è testimoniato dal fatto che entrambi abbiamo sbavato per due ore di fronte a bicipiti e pettorali scolpiti.
«Su Gin raccontaci la tua disavventura settimanale»
Sorseggiai tristemente il mio cocktail. Anche quella era una tradizione; solitamente ogni settimana mi capitava un episodio che confermava il mio essere nata di venerdì 13 e che faceva morire dalle risate le mie amiche.
Sono molto superstiziosa e sono convinta che ci siano dei riti scaramantici in grado di eliminare o perlomeno arginare la mia sfiga cronica. Ad esempio non mi vesto mai di viola perché sono convinta sia un colore attira iella e non oso neanche portare un mini ombrellino da cocktail all'interno di casa mia per timore di attirare disgrazie o di provocare l'ira di qualche entità superiore tipo Zeus che mi possa colpire con fulmini e saette.
«Questa settimana non è successo nul-»
Non riuscii a finire la frase perché qualcuno mi afferrò per i capelli e tirò facendomi gemere di dolore.
«Brutta puttana che non sei altro! Credi che non ti abbia visto l'altro giorno con Federico?? Cosa credi di fare? Lui è mio e tu sei solo una sgualdrina che si è scopato una volta o due»
Prego? Da quando io mi facevo un certo Federico senza esserne al corrente? Era avvenuto mentre mi trovavo in una stato di incoscienza? Avevo una gemella segreta che vagava a piede libero per il globo ed andava a letto con un certo Federico? Era una Candid Camera? Se sì, dove si celava la telecamera? 
Federico, Federico, Federico. 
Ma certo!
Mi voltai lentamente cercando di sfuggire alla presa ferrea dell'arpia che rischiava di estirparmi un terzo dei capelli.
«Cara mi dispiace così tanto deluderti, il rapporto che c'è tra me e Federico è molto più profondo di quello che tu credi» Vidi la fronte della tipa invasata aggrottarsi e il suo sguardo si fece ancora più cattivo.
No vi prego, tutto ma calva no.
«Vedi io e lui ci conosciamo da sempre e il nostro legame è solido e indissolubile, quindi nonostante tutto lui non potrà mai e poi mai disfarsi di me o sostituirmi» 
Lei come risposta mi tirò i capelli guardandomi in un modo molto crudele.
Dove si trovava il negozio di parrucche più vicino? Ormai doveva avermi strappato quasi tutti i capelli grazie alla forza bruta di cui la squilibrata era dotata.
Una voce alle mie spalle mi raggiunse: «Hei Gin, cosa ci fai qui?» e dopo un attimo «Gaia lascia subito i capelli di mia sorella! Sei impazzita per caso? Cosa pensavi di fare?»
Un sorrisino di scherno si fece strada sul mio volto mentre la presunta Gaia mollava finalmente  la presa sui miei capelli e allontanandosi di un passo mormorava incredula: «Sorella?»
Federico avanzò e mi passò un braccio intorno alle spalle stringendomi contro il suo corpo con fare protettivo.
«Eh già! Pensa un po': ho un rapporto incestuoso con mia sorella. Che scandalo! Gin mi sa che questa è in overdose di 'Game of Thrones' come te. Gaia vattene e non osare più avvicinarti né a me né a Ginevra»
Quella, offesa, girò i tacchi e sparì, confondendosi tra la folla di ragazzi che occupava la pista.
Veronica scoppiò a ridere: «Stavi dicendo tesoro?»
Mi massaggiai il cuoio capelluto e scoccai un'occhiata di fuoco a mio fratello che in quel momento si stava accomodando sul divanetto di pelle bianca accanto a Veronica.
«Gin perdonami, sai che non è colpa mia...»
Cecilia tossì per attirare l'attenzione: «Non per smentirti ma ricordi la pazza che le ha rapito Isidoro?»
Federico sbuffò e agitò una mano: «Un incidente»
Mi trattenni e mi aggrappai alla sedia per evitare di saltare al collo di quell'imbecille con cui avevo la sfortuna di condividere il patrimonio genetico.
Non avevo ancora metabolizzato del tutto quella faccenda e di conseguenza il riportarlo alla mente in quel momento non mi aiutò certo a perdonare Federico.
Isabella, un'altra ex fidanzata invasata da lui illusa e abbandonata, aveva deciso di sfogare tutta la sua sete di vendetta sul mio povero gatto, che di fatto nella disputa c'entrava ben poco. Quando, dopo due settimane di disperazione, scoprimmo che il povero Isidoro era suo ostaggio ormai era troppo tardi. Ancora oggi dò la colpa della sua stupidità a quell'incidente e alla terribile tinta fucsia a cui fu sottoposto dall'arpia. Ci sono traumi che lasciano segni indelebili e dopo essere stato trasformato in un gattino gusto fragola Isidoro non è più stato lo stesso, certo bisogna dire che non è mai stato un Einstein felino ma quell'incidente gli diede il colpo di grazia e lo condannò ad un'esistenza dominata dall'idiozia e dall'ottusità. Un gatto che dorme a pancia in su e che mangia solo gelato allo yogurt e carote non può essere definito normale giusto?
Sfuggii all'abbraccio stritolante da fratello maggiore con modalità cane da guardia ON e sorseggiai il cocktail di Cecilia.
Sbuffai nel rendermi conto che come sempre la nostra amica maestra aveva optato per un rassicurante mix di succo e frutta.
Avevo bisogno di un po' di alcool e ne avevo bisogno immediatamente.
«Torno subito»
Mi alzai velocemente prima che qualcuno si proponesse di accompagnarmi e mi feci strada attraverso la sala che con l'avvicinarsi della mezzanotte stava diventando una sorta di bolgia infernale. La coda infinita che si snodava di fronte al guardaroba mi fece desistere dal proposito di recuperare il mio cappotto e così sfidando il gelo uscii dalla porticina laterale che conduceva ai parcheggi sul retro.
Sfilai una sigaretta dalla clutch blu elettrico e l'accessi nervosamente con le mani che mi tremavano a causa della temperatura polare di fine gennaio. Non ero una grande fumatrice ma a volte sentivo il bisogno vitale di farlo e questa voglia improvvisa poteva venirmi una volta al mese come sette volte in un giorno ma solitamente significava che presto sarebbe successo qualcosa di nuovo e diverso che avrebbe spezzato l'equilibrio a cui io tanto tenevo.
Gli anziani hanno mal di ossa prima che il tempo cambi in modo repentino e io avevo l'abitudine di fumare prima di imminenti cambiamenti.
Con la mano libera mi strofinai velocemente le braccia nude cercando di scaldarmi ma tutti i miei tentativi risultarono vani al cospetto del clima groenlandese.
«Gin?»
Mi voltai di scatto e rimasi senza parole di fronte a un paio di titubanti occhi color caramello.
Ci fissammo per un lungo istante come per studiarci a vicenda e vedere quanto fossimo cambiati in sette mesi. Riconobbi la sua espressione, la usava sempre quando era imbarazzato e a disagio, si mordicchiava l'interno della guancia destra e aggrottava leggermente la fronte. Aveva i capelli leggermente più lunghi e il viso ombreggiato da una barba appena accennata che non ricordavo, indossava il cappotto grigio che gli avevo regalato io due anni prima e mi fece sorridere il ripensare alle sue proteste quando aveva scartato il mio dono perché lui si definiva, secondo le sue testuali parole, un tipo da giubbotti e non da cappotti per checche.
«Ciao Nicola» il mio sussurro fu accompagnato da una lieve nuvoletta formatasi nell'aria di ghiaccio.
Abbozzai un timido sorriso perché, nonostante la fine turbolenta del nostro rapporto, il rivederlo non mi faceva male, anzi mi lasciava indifferente, al massimo mi sentivo curiosa.
«Come stai?»
Come stavo? Bene.
Allora cosa ci faceva da sola, senza cappotto, con una sigaretta stretta spasmodicamente tra le dita tremanti nell'oscurità di una notte invernale?
L'uomo è nato testardo e dotato della stupida tendenza a mostrarsi sempre forte ed invincibile per paura di leggere delusione o pena negli occhi degli altri se solo confessasse le proprie debolezze.
«Benissimo, tu?»
Nicola fu bravo a mascherare i suoi pensieri e spostò il suo sguardo sulla sigaretta ormai consumata stretta tra le mia dita.
«Abbastanza bene. Fumi ancora quando sei nervosa?»
Prego? Io non ho mai fumato perché ero nervosa, al massimo sono irrequieta o inquieta e allora sento uno strano nodo allo stomaco e ho bisogno della sensazione del fumo che mi gratta la gola.
«A volte, ma non per il nervoso»
Lui sorrise come fanno a volte gli adulti di fronte alle bugie impacciate dei bambini.
«Eviti il mio sguardo e continui a muoverti in un modo tutt'altro che tranquillo e rilassato»
Non ero indifferente, non ero curiosa, ero solo piena di odio, un odio cieco e profondo indirizzato solamente a me stessa perché ero io la colpevole, ero io che avevo abbassato le mie barriere restando indifesa e permettendo a Nicola di conoscermi così a fondo da saper derivare il mio stato d'animo da un mio minimo movimento.
«Cosa vuoi ancora da me?»
Il mio tono di voce era sembrato esasperato ma non potei farci niente, ogni secondo che passava rendeva più doloroso lo stare lì di fronte a colui con cui avevo condiviso tutto per tre anni.
«Niente» e a quelle mi parole mi odiai ancora di più perché provai una leggera delusione «volevo solo sapere se stavi bene e se eri andata avanti con la tua vita come ho fatto io. So che non ci siamo lasciati nel migliore dei modi ma spesso mi vieni in mente e non provo altro che rimpianto. Desidero solo che tu sia felice»
«Sono felice, ora puoi andartene»
Sostenne il mio sguardo per qualche secondo, poi, senza aggiungere nulla, mi diede le spalle e se ne andò.
Ero stata acida e scorbutica ma quello era sempre stato il mio scudo protettivo, la barriera di ghiaccio che mi tutelava da tutto il male che le altre persone avrebbero potuto farmi.
Gettai il mozzicone della sigaretta per terra e rientrai nel locale imponendomi di scrollarmi dalla mente la recente conversazione con Nicola.
Dopo aver recuperato un mojito mi diressi verso il nostro tavolino che durante la mia assenza si era affollato. Cecilia era seduta sulle ginocchia di Alberto, che le cingeva delicatamente la vita in un mix di possessività e tenerezza. Chiara stava chiacchierando amabilmente con uno sconosciuto che sembrava più interessato alla sua scollatura che alle sue parole mentre Veronica, stretta tra Federico e il suo migliore amico Luca, sbuffava, annoiata dalle solite tipiche conversazioni maschili incentrate solo sul calcio e sulle donne.
Il resto della serata si rivelò privo di nuove sorprese e passai due ore a ballare con Veronica e ad allontanare le mani polipose di un tipo con i capelli rossi che sembrava Ron Weasley e dimostrava quindici anni.
Quando tornai a casa mi lanciai sul letto vestita e fissando il soffitto pensai a quanto dovesse essere bello trovare qualcuno ad aspettarti ogni volta che tornavi a casa. A sedici anni quando, dopo essere uscita, tornavo a casa trovavo il papà addormentato sul divano in attesa del mio ritorno, a diciotto anni trovavo il cancello di casa socchiuso e la luce piccola dell'atrio accesa mentre i miei dormivano già nel loro letto, ora di anni ne avevo ventitré e quando tornavo trovavo il cancello chiuso, le luci spente e Isidoro immerso nel mondo dei sogni. Mi misi il pigiama, impostai la sveglia e senza neanche accorgermene scivolai quasi subito nel sonno.

Tic, tic, tic, tic, tic.
Stavo digitando sulla tastiera del computer alla velocità della luce per cercare di concludere in fretta e andarmene a casa.
Lavoravo per una nota rivista di cinema e la cosa strana era che i film che sbancavano il botteghino erano quelli che nessuno di noi voleva vedere e recensire. Quando usciva un film d'autore i miei colleghi si avvalevano di ogni tipo di inganno o sotterfugio pur di assicurarselo e dopo esserci riusciti andavano in giro sbandierando che mentre loro si occupavano di film di Lars Von Trier a te, povero sfigato, era stato assegnato l'ultimo film demenziale con Adam Sandler. Questa volta il kolossal hollywoodiano era toccato a me, due ore di pisolino mentre sullo schermo infuriava una battaglia tra robot. Adoravo il mio lavoro e il genere che preferivo erano in assoluto i cartoni animati, questa mia predilezione era condivisa anche da Francesco, mio grande amico fuori dall'ufficio ma mio nemico numero 1 in ambito lavorativo. Quando era uscito Rapunzel tra noi era scoppiata una specie di guerra fredda che si era conclusa solo dopo due settimane di stretto corteggiamento rivolto ad Alfredo e aveva sancito la mia vittoria e la sua sconfitta schiacciante.
«Gingin, aperitivo?»
Tic, tic, tic, senza staccare gli occhi dallo schermo del computer mugugnai un lamento incomprensibile.
«Ok, aspetta che cerco su Google Translate il significato di questo tuo borbottio stile uomo primitivo ancora ignaro dell'esistenza di un linguaggio comunicativo composto di parole e non di grugniti»
Ormai la concentrazione mi aveva abbandonata e così smisi di scrivere e guardai scocciata Francesco.
«Allontanati oppure potrei far apparire magicamente la mia clava e sperimentare la sua potenza sulla tua testolina»
Francesco si sedette elegantemente sul bordo della mia scrivania e passò un dito sulla mia fronte aggrottata.
«Su, su zitellina acida e rugosa, alza il tuo nobile didietro e seguimi»
Allontanai la sua mano e mi alzai dalla poltroncina da ufficio color bouganville, gentile concessione di Alfie. Alfredo era un ottimo superiore ma aveva delle piccole manie, ad esempio assegnare ad ogni dipendente un colore che lo rappresentava e fornirlo di conseguenza di arredamenti, cancelleria e computer in tinta. A me il rosa piaceva ma girare con un portatile fucsia non riempiva il mio animo di gioia incontenibile.
«In una sola frase hai inserito due ordini e un'offesa, quindi ora, piena di disdegno, raccoglierò i miei effetti personali e senza degnarti di uno sguardo me ne andrò»
Ovviamente come sempre non riuscii a mettere in pratica il mio proposito perché scoppiai a ridere di fronte alla faccia da cane bastonato di Francesco.
Gli spettinai i capelli con fare affettuoso e gli diedi un buffetto: «Andiamo prima che cambi idea»
Lui, felice che avessi acconsentito, stoicamente sopportò che lo spettinassi e non mi insultò come faceva con chiunque osasse anche solo sfiorare la sua preziosa chioma impomatata .
Venti minuti più tardi stavamo sorseggiando due martini appollaiati su sgabelli cromati che per altezza sfidavano la Tour Eiffel.
«Allora dimmi un po', chi è Febbraio?»
Francesco era un gran bel ragazzo, alto, fisico asciutto, fascino nordico ereditato dalla mamma finlandese ed un'ottima posizione sociale. Come ben si sa però non è tutto oro ciò che luccica e così Francesco nonostante il fisico prestante, la mente sveglia e il conto in banca aveva un piccolo difetto: era un grandissimo stronzo. Le donne, si sa, impazziscono per gli uomini che le trattano come zerbini e così il mio caro amico era letteralmente preso d'assalto da ammiratrici e spasimanti. Francesco, che è tutto tranne che stupido, aveva deciso di cogliere la palla al balzo e così ogni mese sceglieva una nuova ragazza da scaricare scaduti i trenta giorni. Ogni mese mi informavo sulla ragazza corrente perché avevo la vana speranza che incontrasse qualcuna in grado di andare oltre il suo muro fatto di boria e superbia e che riuscisse a durare più di un mese.
Francesco sbuffò e bevve un sorso del suo aperitivo.
«Tania, una russa alta due metri, oca come poche»
Ecco, ogni volta però le mie aspettative venivano puntualmente deluse.
«Cambiando discorso, questo weekend sei libera?»
Febbraio, giorni di carnevale, messaggio dimenticato di mamma...compleanno di papà!
«Oh no! Mi ero completamente scordata che mio papà compisse gli anni. In questo periodo sono nella tenuta in Toscana quindi dovrò star via due giorni interi. Mi dispiace Fra, ti prometto che sabato prossimo sono tutta tua»
Francesco mi rassicurò dicendo che non c'era problema e che avrebbe rimandato il mio rapimento al fine settimana successivo.
Ci salutammo affettuosamente e una volta arrivata a casa chiamai Federico.
«Eila' sorellina, tutto bene?»
Mi accoccolai in poltrona e abbandonai il capo contro il bracciolo rivestito di morbida pelle bordeaux.
«Fede cosa regaliamo a papà? Quest'anno ne compie cinquanta e il fatto che abbiano deciso di festeggiare in Toscana mi fa presagire con terrore un grande ritrovo di amici e parenti»
Dall'altro lato della cornetta si sentì un gemito strozzato.
«Oh no, zia Adelaide no!»
«Vogliamo parlare del prozio Ferdinando? L'ultima volta che ci siamo visti non abbiamo fatto altro che litigare perché lui sostiene che la donna dovrebbe stare a casa ad occuparsi dei figli e non lavorare ed essere indipendente»
Ed al tempo della discussione ero fidanzata, se ora avesse scoperto che ero vivevo da sola e lavoravo gli sarebbe venuto un infarto o mi avrebbe bruciato sul rogo come eretica.
«Ho una soluzione; arriviamo sabato nel pomeriggio e partiamo domenica dopo pranzo così limitiamo la tortura. E come regalo un bel viaggetto farà bene ad entrambi»
Giusto, almeno avrebbero lasciato stare la loro idea di vivere in modo sano e amico dell'ambiente per un po'.
«Perfetto, domani vado in agenzia viaggi. Ci vediamo sabato ok? A che ora passi a prendermi?»
Dopo esserci accordati su orario e luogo ci salutammo e io accessi il mio portatile in stile Barbie e controllai le mail.

Da: alfredo.arnaboldi@gmail.com
A: ginevra.visconti@gmail.com
Oggetto: cambio di progetto!

GIN!
Ho scoperto il paradiso terrestre!
Non ti anticipo nulla perché non voglio rovinarti la sorpresa ma ti dico solo due parole: meraviglie scontate.
Quando ho scovato questo posto sono quasi svenuto dall'emozione (so che starai pensando che sono il solito esagerato ma...tu non lo hai visto quindi non puoi capire, non ancora).
Domani mattina sono via quindi ti aspetto direttamente qui (via Trento 13, non farti ingannare dall'aspetto esteriore, ricorda: mai giudicare un libro dalla copertina) alle 17.00.
Baci tesoro,
Alf

Alfie mi inviava almeno due email del genere al giorno e amava infarcirle di punti esclamativi e parentesi nelle quali si divertiva a prevedere le mie reazioni.
Sorridendo spensi il computer e dopo aver acciuffato Isidoro mi diressi verso il mio lettone.

  
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