Dicono che l'amore sia
cieco ma io aggiungerei che sono le persone a volte ad essere
più cieche delle talpe. I film e i libri ci mostrano
centinaia di esempi di donne e uomini che finché non
sbattono letteralmente contro il loro innamorato o innamorata non si
rendono conto della pena che stanno provocando ai loro poveri
spasimanti. Un esempio? Elizabeth Bennett, passino tutti i pregiudizi
che le coprono gli occhi e le impediscono di vedere fin dall'inizio che
Mr. Darcy è un uomo da sposare senza indugiare, ma chiedersi
se lui l'amerà ancora dopo che ha dilapidato metà
del suo patrimonio solo per salvare la sua sciocca sorella mi sembra
veramente da ottusi. Se fossi stata io Lizzy sarei fuggita fin da
subito nella meravigliosa Pemberley con l'altrettanto meraviglioso Mr.
Darcy.
La protagonista del film non aveva ancora capito che il suo vicino di
casa che la riempiva di regali, la invitava sempre a cena e le teneva
il gatto quando andava in vacanza era irrimediabilmente cotto di lei
con tanto di sguardo da pesce lesso innamorato. Io non avevo mai
trovato un uomo che mi ricoprisse di doni, mi preparasse anche solo la
colazione o mi tenesse quel grassone di Isidoro altrimenti sarei
già sposata e circondata da tanti bimbetti saltellanti.
Sbadigliai per la
centesima volta e, cercando di fare meno rumore possibile, mi chinai
alla ricerca della mia borsa, nascosta nei meandri più
irraggiungibili dello spazio sotto la mia poltrona. Il buio della sala
del cinema non aiutava e così cercando alla cieca afferrai
quella che credevo essere la mia borsa. Tastai sospettosa, da quando
avevo una borsa di forma cilindrica? Alzai gli occhi imbarazzata e
incontrai lo sguardo accigliato del ragazzo seduto vicino a me e
spostai lentamente lo sguardo sulla mia mano che circondava la sua
caviglia. Ringraziai tutti gli dei dell'Olimpo per
l'oscurità della sala che impediva che il mio viso paonazzo
venisse ammirato da tutti.
«Oddio scusi, è stato un errore io...»
Feci per alzarmi in piedi ma urtai il bicchiere di coca cola della
ragazza seduta accanto a me e quella scattò in piedi
imprecando e guardandomi furiosa mentre io cercavo disperatamente la
mia borsa e dei fazzoletti per aiutarla.
«Signorina, si toglie di mezzo?»
Mi voltai di scatto e incontrai lo sguardo stizzito del grasso signore
della poltrona dietro alla mia.
Trovata! Afferrai velocemente la borsa, scovai i fazzoletti, li
consegnai alla ragazza farfugliando delle scuse e mi diressi
velocemente verso l'uscita.
Cosa avrei scritto di quel film? Che era una schifezza infarcita di
romanticismo scaduto, creata per far scucire a della povera gente
ignara i soldi del biglietto. Dovevo trovare un rimedio al
più presto, la sfiga che mi perseguitava fin dalla culla
unita al mio essere spesso maldestra formava un mix micidiale che un
giorno o l'altro mi sarebbe stato fatale. Forse la soluzione era
chiudersi in casa con una scorta di vaschette di gelato e una pila di
dvd. No, ci avevo già provato e non avevo funzionato.
Ricordo come se fosse ieri l'episodio della vasca da bagno, era stata
una vera e propria serie di sfortunati eventi. Ero arrivata a casa
distrutta dopo un giorno in università e mi ero concessa un
lungo bagno caldo con tanto di schiuma e Debussy di sottofondo. Non so
come mi addormentai e fui svegliata dai colpi insistenti alla porta
d'ingresso. Io mi ero svegliata all'improvviso e avevo fissato confusa
il mio bagno allagato. I momenti successivi furono un susseguirsi di
episodi degni di Paperissima. Io uscii di corsa dalla vasca e mi
precipitai ad aprire la porta, sulla soglia della quale mi attendevano
cinque vicini inferociti. Uno di loro mise il piede nell'atrio,
scivolò sul pavimento bagnato e pensò bene di
aggrapparsi a me, che infreddolita e in accappatoio stavo cercando di
giustificare il perché si fossero trovati improvvisamente i
soffitti grondanti d'acqua. Finimmo entrambi in ospedale. Lui nel
reparto geriatria con il femore rotto e io con il braccio ingessato.
Inutile aggiungere che pagai i danni e cambiai appartamento.
Però, a dispetto di tutto, rimasi in contatto con il povero
Signor Arturo che andai a trovare spesso durante la sua convalescenza e
le mie visite continuarono anche quando il suo femore si
aggiustò e lui poté tornare ad andare a ballare
il liscio la domenica pomeriggio.
Pescai il telefono dalla tasca interna della mia borsa di Mary Poppins
e lo controllai velocemente.
Due messaggi non letti, una chiamata persa a una mail.
Lessi distrattamente i messaggi; Chiara che mi ricordava l'appuntamento
di quella sera con le ragazze e mia madre che mi ordinava di chiamare
una misteriosa zia di nome Agata per farle gli auguri e mi lasciava il
numero della neo novantenne.
La mail era di Joanne, la mia amica francese, che mi rimproverava per
il ritardo con cui rispondevo ai suoi messaggi e mi invitava da lei a
Lione per il ponte di Carnevale. Pfff, come se a me fosse concesso di
stare a casa per travestirmi da unicorno e girare per le strade a
spargete coriandoli multicolore.
La chiamata persa era di Alfredo, il mio capo, che mi affrettai a
richiamare.
«Cipollina perché non sei seduta su una poltrona
intenta nella visione della nuova commedia romantica con Jennifer
Aniston?»
Cazzo! Perché doveva sempre essere così preciso?
Tossii imbarazzata.
«Pandorina non c'è bisogno che ti faccia venire un
attacco improvviso di bronchite: so perfettamente che quel film
è una palla al piede. Ecco perché ti ho chiamata,
volevo salvarti da una morte causata da noia acuta. Non ringraziarmi
cara, come ricompensa accetto volentieri il tuo supporto per un
pomeriggio di shopping! Come sono generoso, oltre che incredibilmente
bello e talentuoso»
Sbuffai di fronte a quel commovente sfoggio di modestia e
umiltà.
«Alfie piuttosto che sorreggere per un intero pomeriggio pile
e pile di maglioncini rosa confetto e pantaloni giallo canarino torno
in sala e finisco di vedere il film»
Sentii un risolino dall'altra parte della cornetta.
«Bene, stavo pensando a chi affidare l'articolo sul nuovo
film strappalacrime basato su una storia di Nicholas Sparks ma dato che
ti sei proposta come volontaria posso dire conclusa la mia
ricerca!»
Oh no! Nicholas Sparks e le sue storie zuccherose mi facevano venire il
voltastomaco. Una volta avevo provato a guardare con le ragazze 'Le
pagine della nostra vita' ma neanche la meravigliosa visione di Ryan
Gosling era riuscita a trattenermi su quel divano per più di
dieci minuti.
«Brutto traditore frou frou! Quando vuoi andare?»
Quella settimana dovevo scrivere due articoli, vedere due film, andare
ad un party di beneficenza organizzato dall'associazione attori
italiani e presenziare alla festa di benvenuto del nuovo misterioso
collega che sarebbe giunto a fine settimana. Alfie ogni volta che lo
riempivo di domande sul nuovo arrivato mi rispondeva con uno strano
sorrisino e un irritante 'aspetta e vedrai'.
«Giovedì pomeriggio? Così mi compro un
completo nuovo per venerdì sera e ne approfitto per
assicurarmi che tu venga vestita in modo adeguato. Sai topolina cosa ho
visto ieri? Una cosa meravigliosa e stupefacente: saldi da
Dolce&Gabbana! In vetrina c'era un incantevole abitino di pizzo
rosso che su di te starebbe divinamente»
Alzai gli occhi al cielo. Pallida com'ero il vestirmi di rosso non
faceva altro che mettere in evidenza il mio incarnato da Dracula.
Quando Alfie iniziava a blaterare di saldi e vestiti il mio cervello si
scollegava. Mi piaceva fare shopping ma dove volevo io, nei negozi che
volevo io e per comprare qualcosa che volevo io e non il mio adorato
capo gay. Alfie aveva uno stile tutto suo e cercava di convertire tutti
alla sua personalissima concezione di eleganza. A Natale mi aveva
regalato un cappottino color azzurro puffo che avevo messo una volta
solo per farlo contento.
«Va bene, comunque adesso vado a pranzo e poi passo in
ufficio ok?»
«Perfetto, così mi racconti di quanto fosse
entusiasmante il film. A dopo carotina!»
Riposi il telefono e mi guardai attorno. Quel giorno per pigrizia avevo
deciso di non attraversare la città per andare al solito
piccolo cinema di fiducia ma di affidarmi alla più vicina
multisala che si trovava in un grande centro commerciale inaugurato da
poco.
Dopo aver mangiato una piadina al volo e aver chiamato la mia presunta
zia Agata, che era convinta mi chiamassi Ermengarda, tornai in ufficio.
Una volta entrata nell'atrio scambiai due parole con Carmen, la
segretaria, mia fonte di pettegolezzi e scoop sui membri della
redazione, e mi diressi agli ascensori. Ogni mattina mi promettevo che
avrei iniziato ad utilizzare le scale per arrivare al terzo piano ma
poi ogni giorno arrivavo di fronte alla scalinata e i miei buoni
propositi si smaterializzavano. Vidi di sfuggita le porte
dell'ascensore chiudersi e senza pensarci due volte mi lanciai in una
folle corsa. Non so grazie a quale miracolo riuscii ad entrare
nell'abitacolo un secondo prima di finire schiacciata tra le due porte
metalliche come una foglia d'insalata in un sandwich. Non avevo ancora
tirato un sospiro di sollievo quando mi resi conto con sommo orrore che
la mia cartelletta era rimasta incastrata. Cazzo la cartelletta no!
Lì dentro c'erano tutte le bozze degli articoli che avrei
dovuto scrivere nelle prossime due settimane e piuttosto che perderli
mi sarei trasformata in Hulk e avrei separato con la mia super forza
bruta le due porte per liberare la mia preziosissima cartellina.
Iniziai a tirare con tutte le mie forze ma quella non ne voleva sapere
di muoversi. L'ascensore non si muoveva perché probabilmente
aveva rilevato che le porte non erano chiuse correttamente.
Non mi persi d'animo, ignorai il signore alle mie spalle, si,
perché non ero sola, e mi appesi alla cartelletta tirando
verso di me. Niente. Sull'orlo di una crisi di nervi mi voltai per
chiedere al signore se poteva in qualche modo aiutarmi ma rimasi a
bocca aperta. Perché ogni volta dovevo rendermi ridicola
davanti a dei novelli Jude Law? Perché le mie avventure
degne di un film di Fantozzi dovevano avvenire sotto gli occhi di
questo meraviglioso esemplare di uomo simile al Tom Cruise dei tempi
d'oro di Top Gun? Perché ero sfigata ed evidentemente da
piccola avevo in qualche modo offeso qualche divinità ed ora
ero destinata ad anni di sventura peggio del povero Ulisse costretto a
vagabondare per i mari per dieci interminabili anni. Il ragazzo, eh si
perché oltre che incredibilmente figo era anche giovane, mi
sorrise e pigiò un tasto sulla pulsantiera dorata
dell'ascensore. Le porte si spalancarono e la mia cartellina
scivolò a terra. Meraviglioso, non solo ero sembrata pazza
ma anche scema. La raccolsi e dopo essermi assicurata che il suo
prezioso contenuto fosse al sicuro mi rialzai stringendomela al petto.
«Grazie mille»
Quegli occhi verdi mi fissavano curiosi e mi sembrava di essere tornata
ai tempi dell'esame di maturità tanto mi sentivo in
soggezione. Suvvia Ginevra svegliati! Quando mai ti sei fatta
intimorire da un ragazzo per quanto belloccio sia? Mai. Mi riscossi e
lo osservai a mia volta senza mostrare il mio imbarazzo.
Lui sorrise un'altra volta come se in me avesse visto qualcosa di buffo
e mi porse la mano.
«Di nulla. Io sono Alessandro Grimaldi, piacere»
Simulando una sicurezza che non possedevo gli strinsi cordialmente la
mano. Me la strinse energicamente e con ciò segnò
un punto a suo favore perché non sopportavo le persone che
me la stringevano debolmente o lasciavano la mano molle e passiva.
Ovviamente oltre che dolorosamente bello aveva anche una voce calda e
suadente che sembrava avvolgerti e prometterti mille sottintesi.
«Ginevra Visconti»
In quel momento l'ascensore ci annunciò con un rapido
scampanellio che eravamo giunti a destinazione e le porte si aprirono.
Mi riscossi e uscii decisa dall'abitacolo diretta al mio ufficio
cercando di scrollarmi dalla mente un paio di occhi verdi corredato da
una sensuale voce roca.
Non feci in tempo a salutare Francesco e ad appoggiare la borsa sulla
scrivania che in un turbinio arrivò Alfie che mi
afferrò per un polso e mi spinse a forza nel suo ufficio.
«Lo sai vero che se il tuo essere dell'altra sponda non fosse
così palese gli altri potrebbero pensar male? È
più il tempo che passo chiusa con te nel tuo ufficio che
quello che passo alla mia scrivania, non che mi dispiaccia»
Alfie si spaparanzò comodo sulla sua poltrona girevole da
boss e con fare cospiratore aprì il cassetto della sua
scrivania e ne estrasse un fascicolo. Non appena lo ebbi sotto il naso
scoppiai a ridere. Altro che fascicolo di documenti quella era una
copia dell'ultimo Vogue USA. Quell'uomo era assurdo, lo conoscevo da
sette anni e riusciva ancora a sorprendermi.
«So che mi stai lanciando un messaggio ma non è
detto che io voglia coglierlo»
Lui continuò imperterrito a sfogliare le pagine patinate
fino a quando una sua esclamazione di vittoria rese manifesto il fatto
che la sua ricerca si era conclusa con successo. Ruotò la
rivista e picchiettò con fare insistente su una fotografia.
Sospirando abbassai lo sguardo e rassegnata guardai la modella che
indossava un abito color verde bosco lungo fino alle caviglie.
«Venerdì indosserai questo»
Questo è un esperimento o meglio una sfida con me stessa, devo riuscire a portare a termine almeno una storia senza abbandonarla alla sua triste sorte dopo soli sette capitoli, spero di farcela!
S.