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Autore: bloop    08/08/2014    3 recensioni
Cosa succede quando Roma incontra la Romagna? E quando un turista - prendiamone ad esempio uno qualunque, chiassoso ed espansivo - si prende una cotta per una barista, ma ha solo tre settimane di tempo a disposizione da trascorrere con la sua bella?
Aggiungiamoci una piccola migliore amica intenzionata ad evitare cuori spezzati, un silenzioso migliore amico che non riesce a stare zitto davanti ad un'ingiustizia, un ragazzo fin troppo socievole e innamorato e concludiamo con una coppia di gemelli eterozigoti dotati di lingua pungente.
Ventuno cappuccini del buongiorno al Bagno Girasole basteranno ad intrecciare tutte queste vite? Scommetto che avete già intuito la risposta.
«È carino».
«Ninì...»
«Sì?»
«Vacci piano».
«Non vado proprio da nessuna parte, sto solo dicendo che è carino. Non ho intenzione di farci cose né di innamorarmi o di sposarlo o...»
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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-Come ti sconvolgo la vita in tre settimane-



3. Giorno terzo

 
«Il mio mal di testa mi dice che ieri sera ho fatto qualche epica figura di merda». Erano le dieci e venti quando Sebastiano, i capelli biondi anche più disordinati che mai, entrò al bar del bagno Girasole. Nonostante le profonde occhiaie e l'aria di uno appena sveglio, Anita non riuscì a non trovarlo esageratamente figo. Magari per via di quelle mani, o di quelle braccia, o delle spalle, o... be', persino la schiena che aveva avuto modo di sbirciare la mattina precedente non era niente male.
La ragazza ridacchiò e scese con un saltello dal mobile su cui era seduta per avvicinarsi al cliente dall'altro lato del bancone.
«Hai solo cercato di convincere il tavolo a camminare fino alla tua stanza»; e volevi portarci anche me, aggiunse mentalmente, arrossendo al solo pensiero. Non riusciva a levarsi quella frase dalla testa, anche se sapeva che in tutta probabilità si trattava solo del delirio di un ubriaco; se l'era ripetuta un'infinità di volte con la voce profonda di Sebastiano e ogni singola volta aveva avvertito le farfalle nello stomaco.
«Pesante» commentò il ragazzo con fare divertito, mentre si sedeva su uno degli sgabelli, «Ma ho fatto di peggio» aggiunse, facendole l'occhiolino.
Anita socchiuse gli occhi con fare incuriosito. «Quanto peggio?»
Sebastiano scoppiò in una fragorosa e improvvisa risata, «Non vuoi saperlo davvero».
La ragazza voleva saperlo davvero, invece, ma decise di non insistere. Fece quindi una smorfia dispiaciuta, ma si riprese subito mostrandogli un sorriso smagliante, «Cosa posso fare per te?»
«Dipende, a cosa sei disposta?»
Solo quando le sopracciglia di Anita schizzarono verso l'alto e il suo viso assunse un'espressione sconcertata, Sebastiano si rese conto di aver leggermente superato il limite. Dunque scoppiò di nuovo a ridete, alzando le mani in segno di resa e «Suonava marpione?» domandò retoricamente.
Anita soffiò una risatina e alzò gli occhi al soffitto.
«Giusto un pochino» rispose, accennando poi con la testa al suo capo, «Allora, cosa ti porto?»
Il ragazzo indugiò qualche istante, pensieroso, mentre osservava le guance arrossate e gli occhi verdi della barista, poi si decise a darle una risposta, sperando di poter salvare quel minimo di dignità che forse – ma non ne era certo – aveva conservato.
«Mi fai un espresso? E prendo un bottiglia d'acqua, grazie».
Lei stava già battendo il prezzo, quando: «Piccola?» chiese.
«Grande».
«Prendila nel frigo laggiù, intanto faccio il caffè». E mentre Sebastiano si alzava con pigra lentezza, Anita gli voltò le spalle e si morse il labbro inferiore, intenerita: okay, aveva appena tentato un abbordaggio da bettola di quarta categoria, ma era così carino con il volto tutto arrossato dall'imbarazzo! E quella risata, poteva giurarlo, era tra i suoni più belli che avesse mai udito. Avrebbe dovuto dirlo ad Agnese, sicuramente avrebbe apprezzato – anche se in tutta probabilità mai quanto lei.
Mentre con movimenti meccanici preparava il caffè, gli occhi di Anita seguivano con apparente noncuranza i passi di Sebastiano che tornavano nella propria direzione. Sostenne lo sguardo azzurro e limpido del ragazzo, finché lui non si sedette e «Quant'è?» chiese, una mano già nella tasca alla ricerca del portafogli.
«I tuoi amici sono giù in spiaggia» gli comunicò la ragazza, posizionandogli davanti piattino, tazzina, cucchiaino e «Zucchero?».
«Sì» rispose lui prontamente. «Sono scesi tutti? Chi c'è?»
Anita non dovette pensarci su molto, aveva chiara in mente l'immagine del passaggio di Elisabetta con degli shorts talmente short che se anche non li avesse messi il risultato sarebbe stato lo stesso. Rispose alla domanda, quindi, e subito ne pose una nuova: «Non va d’accordo con nessuno o sembra a me?»
Sebastiano ridacchiò, mescolando col cucchiaino il caffè in cui aveva versato una bustina di zucchero, «Decisamente no, no. Si nota così tanto?»
Anita annuì e si chinò in avanti appoggiando gli avambracci sulla superficie del bancone, «Lei è...?»
«La gemella di Tommi» la precedette lui, un sorriso sornione stampato sulle labbra. Alzò la testa per guardarla negli occhi; «Da quando si è tagliata i capelli sono praticamente identici, ecco perché lui non si rade mai. Avete lo stesso taglio» osservò poi, perdendosi nell'osservare la ragazza che gli stava di fronte, ben più vicina di quanto si aspettasse, ma meno di quanto avrebbe voluto. Lei arrossì violentemente, accorgendosi di essersi avvicinata tanto, e si allontanò di un passo, mentre lo sguardo schizzava tutto intorno alla ricerca di qualcosa da fare per levarsi d'imbarazzo.
Sebastiano abbassò di nuovo il capo e sorrise sovrappensiero al caffè ancora nella tazzina.
 
Proprio davanti al bagno Girasole, ma in una strada traversa, via Pasubio, da ormai qualche anno era stato allestito un B&B. La titolare si chiamava Monica Mazza, vantava trentasette anni e un fisico da paura, oltre che un migliore amico gay e una casa di due piani in cui, per l'appunto, al secondo affittava camere. I prezzi erano economici, la casa era carina e a due passi dal mare, l'ingresso era separato da quello dei padroni di casa e, al momento di organizzare la vacanza, a Tommaso quella sistemazione era sembrata l'opzione migliore in assoluto. Aveva capito di aver preso la decisione giusta quando Elia aveva attaccato bottone con la padrona di casa ed Elisabetta aveva cominciato a lamentarsi di “'ste romagnole con le tette di fuori, come se ce le avessero solo loro”. («Be', in questa casa l'unica ad averle è Monica, no?» aveva commentato Sebastiano in risposta, ottenendo le risate di tutti e un'occhiata gelida dalla ragazza.)
«Ho voglia di scopare». Tommaso annusò la maglietta nera che aveva indossato il giorno precedente, cercando di decidere se potesse essere usata di nuovo o meno, e alla fine decise che, sì, si poteva fare.
Leonardo, ancora disteso a pancia in sotto sul letto, allontanò la faccia dal cuscino quel tanto che bastava a commentare un disinteressato «Sai che novità» e affondarcela nuovamente.
L'altro sbuffò e si osservò distrattamente allo specchio; la barba iniziava ad essere lunga e, sì, gli faceva caldo, ma l'idea di avere la stessa identica faccia di sua sorella non lo allettava per niente. Quando almeno lei aveva i capelli lunghi, i loro lineamenti delicati fin troppo simili non lo infastidivano. Dio solo sapeva come le era venuto in mente di farsi un taglio praticamente identico al suo. Si tastò il pomo d'Adamo, sovrappensiero, prima di ripetere: «Ho voglia di scopare, Leo».
A quel punto il suo amico rise e rotolò supino. «Spero che non sia una proposta indecente, Villa, perché tra me e te non può davvero funzionare».
Tommaso fece schioccare la lingua contro il palato con disappunto. «Non ti piaccio? Che ne dici di mia sorella?»
L'altro rise brevemente. «Dico che piuttosto sto senza», poi ci pensò su e aggiunse: «Per la cronaca, come fratello fai schifo». Era risaputo che Leonardo Calicchia fosse parecchio geloso delle sue sorelle minori e all'apparenza, oltre tutto, disprezzava tutti i fratelli non altrettanto protettivi.
Tommaso sbuffò e strinse le labbra in una smorfia di sufficienza che prendeva spesso forma anche sul viso della sua gemella. «Non fare lo stronzo, sai che non lo farei mai» bofonchiò contrariato. «Almeno per rispetto ad Elia».
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo d'intesa che, senza bisogno di dire nulla di più, diede il via ad una spontanea risata chiassosa. Per quanto tra Leonardo ed Elisabetta la sintonia fosse del tutto assente, tra lui e Tommaso c'era un'intesa che nessuno dei due riusciva ad ottenere con nessun altro. Ai tempi del liceo avevano fatto le peggiori litigate, qualche volta Villa era riuscito a far perdere le staffe Leonardo tanto da arrivare alle mani – piccola vittoria di cui ancora andava vantandosi alle occasionali rimpatriate con i compagni delle superiori. Poi però qualcosa tra di loro era cambiato in meglio e ora eccoli lì, a condividere una delle tre - perché Elisabetta aveva voluto la singola –stanze di un B&B di Cesenatico, scambiandosi confidenze e ridendo assieme senza un motivo vero e proprio.
Dopo tutto era palese che Elia avesse un debole per Elisabetta e lo era altrettanto che lei si divertisse a stuzzicarlo, ma non nutrisse alcun interesse nei suoi confronti. «Fa già abbastanza la troia per conto suo, figurati se la offro a qualche altro amico».
«Che uomo magnanimo».
«Vero? Me lo dicono sempre tutti. Comunque continuo ad aver voglia di...».
«Scopare?»
«E parecchia, anche». Tommaso si tirò indietro i capelli lasciando poi che ricadessero disordinatamente sulla fronte. «Dovrei tagliarli?»
«Fa' un po' come ti pare».
«Dovrei tagliarli. Quando torniamo a Roma, però. Ehi, non siamo venuti fino a qua per vedere il mare ed evitare che Castelli e Bracaglia vadano in coma etilico, no?»
Leonardo ridacchiò e rotolò di nuovo a pancia di sotto. Il resto della compagnia era in spiaggia e Tommaso già pronto, sapeva di doversi alzare e preparare al più presto, ma era deciso a rimanere a letto il più possibile – era pur sempre in vacanza, in fin dei conti. «Davvero?»
Il suo amico scrollò le spalle, per poi inginocchiarsi a cercare le infradito che aveva scalciato sotto il letto la sera prima. «Tu sì, ti abbiamo portato solo come baby sitter» disse con un tono così serio che, se solo Leonardo non l'avesse conosciuto, ci avrebbe creduto; «ma noialtri vogliamo goderci la Riviera Romagnola».
Sapeva già quale sarebbe stata la risposta, quando domandò: «E quindi?»
«Quindi stasera si scopa!»
Poi la porta della stanza si aprì e una ragazzina dai capelli lilla e il volto cosparso di lentiggini rimase a fissarli a bocca aperta.
 
Agnese sistemò il lenzuolo sul secondo letto nella stanza doppia e osservò il proprio lavoro con aria soddisfatta. Da quando sua zia le aveva proposto una discreta paghetta per rifare i letti dei clienti nel suo B&B aveva cominciato ad impegnarsi seriamente nelle faccende domestiche ed era diventata brava – almeno finché non le si chiedeva di mettersi ai fornelli. Aveva rifatto i letti senza toccare nessuno degli effetti personali dei clienti, sostituito il rotolo di carta igienica finito con uno nuovo, rimboccato il sapone nel dosatore sul mobile del bagno e... be', sperava solo che sua sorella avesse almeno finito di sistemare la camera singola, nel frattempo. A quel punto non rimaneva loro che rifare i letti e aggiustare eventuali disastri nell'altra doppia occupata e poi andarsene in spiaggia.
Uscì quindi nel corridoio, lo attraversò fino in fondo e parlò varcando la soglia: «Alice, a che punto s-... oh».
La scena che si trovò davanti era piuttosto... bizzarra. Un ragazzo moro se ne stava inginocchiato sul pavimento, un altro – in mutande – steso su un letto, mentre Alice, immobile e con il cilindro di cartone del rotolo di carta igienica finito in una mano, li guardava sconvolta. A completare tutto ora c'era lei al suo fianco e probabilmente aveva in volto la medesima espressione spaesata. Agnese fu comunque la prima a riscuotersi da quello stato di shock e, non senza arrossire nel rendersi conto che quello con solamente i boxer altri non era che Leonardo, si scusò e trascinò fuori sua sorella, chiudendosi la porta alle spalle.
Una volta ripresasi, Alice strinse le labbra e poi, con stizza, si rivolse alla sorella maggiore: «E quelli chi diavolo sono?» sussurrò.
Agnese si strinse nelle spalle e diede la prima risposta che le passò per la testa: «Tommaso e Leonardo, dei ragazzi di Roma», poi ci ripensò: «Ma che domanda è? Sono gli ospiti della zia!»
Alice alzò un sopracciglio con fare di superiorità. «Questo l'avevo capito, ma la zia ha detto che erano già usciti tutti». L'obiezione era lecita.
La maggiore ci pensò su qualche istante, poi annuì dando voce all'unica spiegazione che le fosse venuta in mente: «Credo che l'abbia fatto apposta».
Ebbene sì, tra le qualità di cui Monica Mazza amava far mostra c'erano anche le sue due nipoti di rispettivamente quindici e vent'anni, che non aveva esitato ad indirizzare alle camera dei prestanti turisti romani che ospitava nel proprio bed and breakfast. Da quando le ragazze si erano offerte per darle una mano con le pulizie, lei continuava a cercare di far conoscere loro i clienti più carini, indirizzandole nelle stanze nei momenti meno opportuni.
«Be', sai una cosa?» sbuffò a quel punto Alice, che al contrario di Agnese aveva ben poca pazienza. «Ci va lei a fare i letti. L'ultima cosa che voglio è passare per ladra o per la cameriera di qualcuno» annunciò stizzita.
La sorella abbassò lo sguardo e si morse l'interno della guancia; non sapeva se scoppiare a ridere, darle ragione o arrabbiarsi per quell'eccessiva permalosità. Alice era una persona estremamente orgogliosa, non era stato semplice convincerla che nel rifare i letti di qualcun altro non c'era nulla di male o umiliante. Evidentemente, però, l'idea non le era entrata bene in testa. «Non fare la melodrammatica» le redarguì. Se qualcuno doveva sentirsi in imbarazzo, quella era lei: era appena entrata senza bussare nella stanza dei ragazzi con cui aveva passato la sera precedente sorprendendone uno in mutande – il che, okay, non era molto differente dal vederlo in costume, ma non riusciva a non sentirsi al disagio ripensandoci. E sarebbe stato meglio non pensarci, in effetti.
Quando la porta si riaprì e Tommaso uscì in corridoio sfoderando un sorriso sornione, le due Marchegiani stavano ancora discutendo sulla necessità di vergognarsi dell'accaduto o meno; tacquero non appena si accorsero di avere compagnia, però.
«Ehilà, 'nvedi chi c'è qua!» le salutò il ragazzo. «Io sono Tommaso Villa» si presentò, porgendo una mano ad Alice, che lo guardò con disappunto e fece un passo indietro.
«Io ho quindici anni, pedofilo».
«Cice!» sbottò la sorella, per poi rivolgere uno sguardo di scuse all'altro. Tommaso tuttavia non sembrava essersi offeso; anzi, rise allegramente e incrociò le braccia, squadrando la ragazzina con fare colpito. «Wow, fata turchina, hai un bel caratterino» commentò.
«Già», Alice fece una smorfia contrariata e «Me ne vado a casa, Toby» annunciò.
Agnese respirò a fondo, lentamente, poi annuì. «Sì, qui finisco io. Ci vediamo a pranzo?»
«Fai come ti pare» rispose lei in tono noncurante; poi se ne andò, senza degnare Tommaso di un secondo sguardo e ignorando del tutto il suo cortese saluto.
Una volta la chioma lilla della ragazzina fu sparita fuori dall'uscita di servizio, niente impedì a Tommaso di ridere forte e commentare: «Un tipetto eccentrico, eh?»
Lei si passo un mano sul viso, combattendo con l'istinto di nascondersi dietro le mani per la vergogna. Aveva ormai superato il periodo di conflittualità con sua sorella minore, ma certe volte lei ancora la metteva a disagio con la propria “nuova” personalità da adolescente alternativa e ribelle. Potevano passare i capelli lilla e il vestiario vagamente goth anche in estate, ma dubitava che sarebbe mai riuscita ad abituarsi alla sua sfrontatezza. «Decisamente. Scusala, mia sorella è un po'... prevenuta».
Il ragazzo si strinse nelle spalle e sorrise comprensivo. «Ce l'hai presente la mia, di sorella? È un gatto attaccato a... be', hai capito.»
Agnese rise di cuore, pensando che in effetti non aveva tutti i torti, ma quasi si strozzò quando Tommaso, accennando alla porta ancora chiusa domandò, strizzandole l'occhio: «Piaciuta la visuale?» E non avrebbe saputo dire se si riferisse al proprio sedere in bella vista, mentre era piegato per guardare sotto al letto, o al suo amico in mutande, ma in ogni caso lei pensò bene di arrossire e nascondere il viso tra le mani per la vergogna.
Fortunatamente non ebbe bisogno di rispondere, perché a quel punto Leonardo uscì dalla stanza del tutto rivestito, con le converse ai piedi e le mani a sistemarsi i capelli bruni che proprio non ne volevano sapere di non ricadere sui suoi occhi. Indossava gli occhiali da vista, notò Agnese, e sembrava in imbarazzo quanto lei. «Ehm, ciao» salutò. «'nnamo?» aggiunse poi in fretta, rivolto all'amico.
Tommaso annuì. «Vieni anche tu in spiaggia?» domandò ad Agnese, la quale abbozzò un sorriso e confermò, specificando che prima però avrebbe dovuto finire di sistemare le camere, com'era suo compito fare.
«E che problema c'è? Ti diamo una mano!»
 
***
 
Giunta la sera, come ogni volta che ne aveva la possibilità, Anita scese in spiaggia. Quella mattina aveva lavorato, al pomeriggio studiato, poi indossato shorts e canotta e ora, la macchina fotografica al collo, aveva finalmente tempo per dedicarsi ad alcune delle cose che più amava.
Se qualcuno le avesse chiesto cosa la spaventasse di più al mondo, lei avrebbe dato una risposta a cui non era semplice credere, trattandosi proprio di lei: il mare. Le motivazioni per cui la gente tendeva a prendere questa ammissione poco sul serio erano diverse: Anita era nata e cresciuta a Cesenatico; aveva imparato prima a nuotare e solo poi a camminare; in spiaggia aveva passato tutte le sue giornate, i suoi momenti più felici e i più tristi. Aveva dato il suo primo bacio sul molo, una notte, a qualcuno con cui non parlava più da anni ormai. Ci aveva vissuto tutti i momenti migliori e peggiori della sua adolescenza. Ed era vero, Anita amava follemente il mare e tutto ciò che lo riguardava, ma allo stesso tempo era terrorizzata da quella massa d'acqua incontrollabile e minacciosa. La turbava. Non le piaceva sapere che se solo il mare si fosse arrabbiato un pochino, nulla tutte le sue forze non sarebbero valse a nulla. La faceva sentire piccola e insignificante, indifesa, specie quando scendeva l'oscurità e l'acqua se ne impossessava, assumendo sembianze ancora più sinistre.
Questo non le impediva però di rifugiarsi in spiaggia ogni sera, al tramonto, per godersi i giochi di luce, i riflessi, i colori, la temperatura più bassa e la maggiore tranquillità. Così Anita correva, con la macchina fotografica fedelmente legata al collo, pronta a catturare un'immagine particolarmente bella o significativa. Non si definiva una fotografa, faceva fotografie e basta, per passione, senza fini secondari o vane speranze. Scattava per sé, per ricordare, riflettere e cogliere, a modo suo, quell'attimo di cui tanto parlavano tutti – se davvero era così prezioso, era giusto conservarlo.
E nel frattempo correva, Anita. Per sfogo, soprattutto, perché niente l'aiutava a sfogare tutte le frustrazioni e rilassare i nervi tesi come la corsa. Concentrarsi sul percorso, sul paesaggio, sul proprio respiro e sul battito cardiaco le svuotava la mente, quand'era necessario. La stanchezza fisica faceva impallidire quella mentale e le permetteva di crollare in un sonno ristoratore non appena riusciva a stendersi nel proprio letto. E poi le piaceva, motivazione che da sola bastava a giustificare il fatto che lo facesse.
 
«Ricordami come mi hai convinto a venire con voi» stava ansimando Sebastiano contrariato, tra uno sbuffo e l'altro, affannato. Non che non fosse un tipo sportivo, capiamoci: lui amava lo sport. Amava guardarlo, soprattutto, e di tanto in tanto non sapeva proprio di dire di no a due tiri a calcio con Tommaso. Solo che Sebastiano era e sempre sarebbe stato pigro. Iperattivo ma pigro. Bisognava che fosse davvero davvero davvero motivato perché impiegasse le sue eccessive energie in qualcosa di produttivo. Di fatto in quel momento non lo era e non avrebbe saputo spiegare il perché si fosse lasciato convincere ad andare a correre da Elia e Leonardo.
«Perché siamo i tuoi migliori amici?» azzardò il primo, che nonostante il ritmo sostenuto della corsa non sembrava affatto affaticato.
Sebastiano parve pensarci su per un istante, ma non era certo che la lealtà fraterna che lo legava agli altri due fosse abbastanza per costringerlo ad una simile... «Tortura!».
Fu Leonardo a dare una risposta più plausibile, con una frase incisiva in perfetto stile Calicchia: «Villa Uno e Due stanno litigando».
E, sì, in tutta probabilità la verità era proprio quella. Quando tra i gemelli la tensione sfociava in vero e proprio scontro era inutile cercare di placare le acque, oltre che eccessivamente stressante assistere alla scena. Era stata la forza della disperazione a spingere Sebastiano a seguire i due amici nella loro corsa sulla spiaggia. Nonostante questo, però, lui continuava a pensare di star sprecando fiato. Era inutile correre lungo la riva senza una vera motivazione né uno scopo. A cosa serviva?
Così, mentre Elia elencava possibili lati positivi a profusione – l'aria fresca, il paesaggio, il tramonto, la tranquillità, la possibilità di rimorchiare, il silenzio... –, Leonardo ancora una volta mise fine al dibattito con lapidaria freddezza: «L'idea era quella di farti stare zitto, Seba».
L'interpellato scoppiò a ridere rumorosamente, con somma esasperazione dell'amico. Da quando Sebastiano aveva adocchiato la barista del bagno Girasole, in pratica non lo si sentiva parlare d'altro. E se lui fosse stato un tipo come Leonardo non ci sarebbe stato davvero nulla di male in questo, ma si dava il caso che Sebastiano Castelli fosse logorroico quando era su di giri – in maniera positiva o negativa: in entrambi i casi non faceva che straparlare.
Quando Elia aveva espresso il desiderio di scendere in spiaggia e correre, Leonardo aveva accettato al volo, sperando così che il fiato corto potesse chiudere il becco del loro amico, ma non era stato così. Certo, ansimava e respirava affannosamente, ma questo non gli impediva di sprecare ossigeno lamentandosi della «...faticaaaa».
Se solo non fosse stato terrorizzato dall'acqua lo avrebbe volentieri affogato. «Gesù, Castelli, stai zitto!» Il suo piccolo sfogo non ottenne altro risultato se non quello di far ridere fragorosamente il suddetto Castelli, questa volta adorabilmente appoggiato dal compare Bracaglia. Degli idioti. Era circondato da idioti.
Sebastiano non avrebbe proprio saputo spiegare perché Leonardo se la prendesse tanto – cos'era tutta questa voglia di silenzio? Erano in vacanza in Riviera, insomma! Avrebbero dovuto fare casino e divertirsi, altro che correre e cercare quiete. Certe cose proprio non riusciva a concepirle.
«Hey, Seba» lo richiamò d'improvviso Elia, con quel sorriso malandrino che altro non significa che non “ne ho in mente una delle mie”. «Hai visto là, la fotografa?»
E, no, lui non l'aveva vista, ma finse il contrario, mentre ancora la cercava con lo sguardo lungo la riva non poi così deserta.
«Facciamo i fotobomber
L'inconfondibile sbuffo di Leonardo fece da sottofondo alla crescita dell'entusiasmo di Sebastiano che «Cazzo sì!» esclamò, come se non avesse mai udito idea più geniale di quella.
«Sapevo di poter contare su di te».
«Coglioni».
«Sempre, Bracaglia, sempre. Ma dov'è la tipa?»
«Laggiù. Dai, corri, prima che si sposti».
«Sto già correndo!»
«Daje!»
E je dava, Sebastiano: je dava, ma non l'aveva vista davvero, questa fotografa. Dunque fu solo sulla fiducia che seguì Elia in una corsa accelerata – e fin troppo faticosa – che li portò a calpestare proprio l'onda che la ragazza stava cercando di immortalare nella luce particolare di quel momento.
«Ma vaffanculo!» la sentirono sbottare, mentre si affrettava ad asciugare la macchina fotografica dagli schizzi d'acqua. «Non so nemmeno io quante estati ho lavorato per... oh».
La lamentela si interruppe assieme alle risate sguaiate di Sebastiano ed Elia, quando i loro sguardi si incontrarono. Così, mentre Elia riconosceva Anita e si premurava di scusarsi un numero irragionevole di volte per il brutto scherzo, l'altro era arrossito e si era paralizzato sul posto, senza sapere come comportarsi.
Che grandissima figura di merda, era l'unica cosa che riusciva a pensare. E di fatto, quando lei lo guardò sorridendo timidamente, fu questo che Sebastiano disse, facendola ridere.
«Non importa» cercò di tranquillizzarlo, senza smettere di sorridere tra sé. «È solo qualche goccia, nulla di grave». In realtà, be', aveva perso qualche anno di vita nel momento in cui l'acqua salata era – seppur in minima parte – entrata in contatto con la sua Nikon (il cielo solo sapeva quanti mesi di lavoro era costato quell'affare), ma tutto d'un tratto la faccenda non le sembrava più così grave. Arrossendo un pochino, si ritrovò ad ammettere che la mortificazione di Sebastiano in quel momento era una delle cose più tenere che avesse mai visto – come avrebbe potuto non perdonarlo?
Seguirono troppi secondi di silenzio, durante i quali Anita e Sebastiano si guardarono sorridendo timidamente ed Elia trattenne le risate alla vista di quel quadretto da commedia romantica, salvo poi interrompere il momento con un «Vado a cercare Calicchia, non si sa mai che sia morto di paura in riva al mare solo soletto...».
 
Vista da lontano la scena era ancora più tragicomica che da vicino, secondo Leonardo. Ci mancava solo incontrare la biondina del bar. Non che non gli stesse simpatica, precisiamolo: al contrario, sembrava un ragazza a posto, anche piuttosto carina, ma che Sebastiano si prendesse una sbandata per una ragazza che dopo tre settimane non avrebbe probabilmente mai più rivisto era davvero l'ultima cosa di cui avevano bisogno. Un po' perché, con gli ormoni a mille, Castelli avrebbe monopolizzato la vacanza in funzione del suo flirt, rincitrullendoli di chiacchiere su quanto quell'Anita fosse fantastica, e poi, oltre tutto, una volta tornati a Roma non avrebbe fatto altro che lamentarsi della sua mancanza. Per di più non sarebbe stata tutta scena: ci avrebbe sofferto davvero, perché Sebastiano era proprio quel tipo di ragazzo.
«Tu lo sapevi che era lei?» gli domandò un ridacchiante Elia, raggiungendolo. Leo pensò per un attimo di chiedergli per quale stupidissimo motivo avesse deciso di lasciarli soli, nonostante le sue rinomatissime abilità da terzo incomodo più fastidioso che infastidito; ma non lo fece. Ormai il danno era fatto, no?
«Certo che no»; in quel caso avrebbe cambiato strada, anche se sarebbe servito a poco.
 
«Scendi spesso in spiaggia a fare jogging?» chiese Sebastiano; stavano correndo di nuovo, questa volta l'uno accanto all'altra.
Anita procedeva con passo un po' più lento dei ragazzi, fortunatamente, ma se anche così non fosse stato, tutto d'un tratto Seba si sentiva molto più motivato “a sprecare fiato con quella tortura”. Una tortura non più così spiacevole.
Anita sorrise, sforzandosi di guardare avanti a sé; lo sguardo azzurro del ragazzo continuava a cercare il suo ed era solo per imbarazzo che cercava di fuggirlo. Imbarazzo, ma anche orgoglio: non poteva essere così sciocca da prendersi una sbandata per un cliente che sarebbe tornato a casa nel giro di poche settimane. Si sarebbe fatta del male da sola.
Anche se... avrebbe mentito dicendo che il palese interesse di Sebastiano nei suoi confronti non la lusingasse nemmeno un pochino. La lusingava parecchio, specie vista la reciprocità del sentimento. «Sì, ogni sera. Mi rilassa, è un buon modo per staccare la spina a fine giornata. Tu?»
«Hai ragione. Anche... anche io adoro correre. Io e i ragazzi lo facciamo continuamente. È forse l'unica cosa al mondo di cui non potrei mai--» si interruppe, trovandosi a corto d'aria. Siccome il karma non si dimentica mai dei bravi ragazzi in cerca di attenzioni, fu costretto a fermarsi e a piegarsi su se stesso, in preda ad un attacco di tosse.
Se in un primo momento Anita si preoccupò di quel piccolo scompenso, quando Sebastiano si raddrizzò e la guardò con aria dispiaciuta e vergognosa, non poté che scoppiare a ridere di cuore.
«Non è vero, sono un cazzone» ammise, il respiro ancora accelerato. «Non lo faccio mai. Ma per te inizierei» ammise in tono scherzoso, ma non senza farle l'occhiolino.
A quelle parole lei non fece che ridere più forte, fu incapace però di non arrossire. Era una situazione davvero fuori dal comune, almeno per una come lei. Probabilmente non le era mai successo che un ragazzo le facesse così palesemente il filo e non sapeva con esattezza come avrebbe dovuto comportarsi. Continuava a ridere, guardandolo, mentre lui ridacchiava a ricambiava con lo sguardo acceso di soddisfazione: sembrava che non desiderasse altro che farla divertire.
Quasi automaticamente, mentre ascoltava il proprio cuore battere forte e le farfalle – maledette – agitarsi nel suo stomaco, Anita compì un'azione che normalmente riservava alle persone che più amava: alzò la macchina fotografica e gli scattò una foto a tradimento, prima che lui potesse rendersene conto.
«Hey!» protestò lui, coprendosi con le mani gli occhi feriti dal flash; «vuoi accecarmi?» la accusò, ridacchiando.
In tutta risposta lei ne scattò un'altra e poi un'altra ancora; forse era sciocco da parte sua, ma non aveva intenzione di dimenticarsi di lui tanto presto. Sì, era uno sconosciuto e, sì, era probabile che nel giro di un mese lui non avrebbe più nemmeno ricordato il nome di Anita, ma era sicura che in lui ci fosse qualcosa di speciale, che valeva la pena di essere conservato nella memoria. Magari lei non era altrettanto speciale, ma al momento non le importava: Sebastiano era uno di quegli attimi che andavano colti.
 
«È carinissimo, Agne.»
«Non così tanto. Ha quella forte sporgente che... nah
«Non è vero!»
«E poi è biondo».
«E allora? Anche io sono bionda».
«Ha gli occhi azzurri».
«L'hai osservato bene, eh?»
«Per forza, Ninì, mi hai mostrato le foto così tante volte a cena che...»
Anita ridacchiò, rotolando a pancia in giù sul letto.
«È carino» ripeté con un tono sognante che ad Agnese piacque poco. Aveva sempre nutrito un certo spirito di protezione nei confronti della migliore amica, il che comprendeva anche una puntuale diffidenza (mista a gelosia, forse) nei confronti delle sue nuove fiamme. Sebastiano Castelli non sarebbe stato esente da quel trattamento.
«Ninì...»
«Sì?»
«Vacci piano».
«Non vado proprio da nessuna parte, sto solo dicendo che è carino. Non ho intenzione di farci cose né di innamorarmi o di sposarlo o...»
Magari lei, ma lui? Non si conoscevano nemmeno, Agnese proprio non riusciva a fidarsi di uno sconosciuto, per quanto sembrasse simpatico. Si morse la lingua per non essere troppo pessimista. Anita meritava un ragazzo a posto, uno che le volesse bene davvero e non che si prendesse gioco di lei. Forse si lasciava troppo condizionare dalle proprie esperienze, ma Agnese non voleva che anche la sua amica avesse un Davide – uno solo era abbastanza per tutta Cesenatico e dintorni. «Lo so, lo so. Dico solo che non mi convince» cercò così di ammortizzare il proprio brutto presentimento.
«Ti piacerebbe, se solo cercassi di conoscerlo. È simpatico e non fa che imitare i suoi amici».
«Uh, un imitatore». Anita aveva toccato il tasto giusto: Agnese provava una naturale simpatia verso chiunque potesse capire la sua ossessione per gli accenti e i dialetti – e chi avrebbe potuto meglio di un imitatore? Ma no, no, si disse; doveva mantenere la propria posizione. «Lo terrò d'occhio».
«Che paranoica che sei».
«Ma sta' zitta».
Anita rise di cuore, amava passare il tempo così, a chiacchierare con Agnese e raccontarsi tutto quello che passava per la testa. Purtroppo per Agnese, però, l'unica cosa che passava per la testa di Anita era Sebastiano Castelli e lei non riusciva a non pensare a cosa sarebbe successo una volta che lui fosse ripartito. Sospirò e semplicemente sorrise, perché non riusciva a non trovarla carina in quelle condizioni, mentre straparlava sdraiata sul letto e continuava a raccontarle la stessa cosa; ormai sapeva a memoria le battute che Sebastiano le aveva rivolto in spiaggia ed era inutile implorarla di smettere, perché lei si sarebbe imbronciata, sarebbe rimasta in silenzio qualche minuto e poi avrebbe ripreso a macchinetta.
Agnese non riusciva ad impedirsi di pensare alle mille eventualità che avrebbero potuto verificarsi - se la faccenda si fosse complicata? E se Anita di fosse lasciata coinvolgere troppo? E se il giorno dopo Sebastiano non le avesse nemmeno rivolto un'occhiata? E se, ancora, invece avessero iniziato a piacersi davvero? Come sarebbe andata a finire? Più si diceva di non essere pessimista e meno riusciva a farlo. Sembrava che le cose proprio non potessero andare bene, per quanto si impegnasse a vedere la faccenda da angolazioni diverse. La parte più frustrante era non sapere come si sarebbe evoluto il tutto.
Sospirò mentre la sua amica ancora ridacchiava e raccontava. Avrebbe voluto essere capace di prenderla così serenamente anche lei.
«Agne, ma mi stai ascoltando?» chiese Anita, mettendosi a sedere a gambe incrociate sul materasso, l'espressione corrucciata dipinta in viso e gli occhi curiosi che scrutavano l'amica. Agnese era così, quando partiva a pensare si chiudeva in una bolla e non c'era più per nessuno. Schioccò le dita davanti agli occhi della giovane e ridacchiò quando quella la guardò spaesata.
«Cosa? Che?» domandò, per poi intuire da sola cosa stesse succedendo: «Sì, certo. Sebastiano è carinissimo – Tirò ad indovinare. – Anche se ha quella fronte...»
Anita si imbronciò e promise di chiudere il becco.
«E Leonardo?»
«Quello che non parla?» La ragazza sbatté le palpebre qualche volta, per prendere tempo. Non che non fosse chiara l'insinuazione della sua amica, stava solo cercando di eluderla. «È sicuramente più bello di Sebastiano.» Nemmeno poco.
E fu a quel punto che Anita esplose in una risata gioiosa, sincera, alla quale subito si unì Agnese.
«A me piace, fronte sporgente o no! È carino».
Agnese la guardò scettica e fece schioccare la lingua contro il palato, trattenendosi dal ribadire quanto fosse buffo quel ragazzo, tanto Anita non l'avrebbe minimamente ascoltata. «Domani non lavori, Ninì?» cambiò argomento.
«Inizio più tardi e faccio la serata, abbiamo dei clienti che ci hanno chiesto di organizzare una cena...» sbuffò, come a dimostrare che avrebbe preferito iniziare la mattina e finire nel pomeriggio, per poi uscire con Agnese.
L'altra si imbronciò. «Quindi niente cappuccino del buongiorno?» E niente studio in spiaggia, indovinò. «Questo non ti basterà a liberarti di me, lo sai, sì?»
 


Bloop's corner:
Buonasera! Qui è Mich, che si è appena svegliata (in pratica, in teoria è in piedi dalle dieci, ma il cervello si è svegliato solo ora). Se qualcuno ci stava aspettando, chiedo scusa per il ritardo in cui aggiorniamo: il tempo scorre più svelto del previsto e non ci eravamo accorte che ne fosse passato così tanto. Senza contare che finalmente eravamo un po' in vacanza, quindi... va bbbbene.
Chi aveva predetto che i ragazzi e le ragazze si sarebbero incontrate più spesso aveva, ovviamente, ragione: rieccoli qua. Si stanno incontrando più o meno ovunque. xD
Honestly, non ho molto da dire. Ringrazio di cuore chi ha dato e darà fiducia alla nostra storia, che speriamo di aggiornare un po' più di frequente, visto che la stesura sta procedendo bene. I prossimi capitoli, vi avviso, saranno più lunghi - almeno secondo i miei calcoli. Grazie, dicevo, a tutti quelli che ci hanno dato e ci daranno fiducia, sperando che qualcuno ce ne dia. Grazie in particolare a Yeli_, per le sue recensioni. <3
Be', vi auguro una buona serata e un buon proseguimento di vacanza! 

Mich
   
 
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