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Autore: Il Saggio Trentstiel    08/08/2014    5 recensioni
«Stavo pensando...» riprese Castiel, stavolta con vago imbarazzo «Visto che domani abbiamo poche ore di lezione, ti andrebbe di venire a pranzo a casa mia? Insomma, potremmo studiare, scegliere le canzoni da proporre al club...».
Sorrise incerto in attesa della replica di Dean. Replica che sembrava fare fatica ad arrivare.
«D'accordo, perché no?».
O forse no. Un'altra maledizione mentale agli avventati geni Winchester e via, Dean si era lanciato senza paracadute.
Dovette però ammettere, remore a parte, che il sorriso radioso di Castiel al suo assenso lo aveva ripagato. Forse. Chissà perché, poi.
«Se è per ringraziarmi, sappi che non è necessario: non merito-» «Ringraziamenti,» completò Castiel per lui «lo so. Sai, con questo atteggiamento saresti un supereroe perfetto, Dean».
Recuperò il proprio zainetto e salutò Dean con un cenno e un sorriso.
«SuperDean» mormorò questi a se stesso «Suona bene!».

Dean ha una vita soddisfacente e soprattutto normale: questo prima di incontrare Castiel.
Castiel, con i suoi occhi rubaluce, la sua passione per il canto e la sua completa ignoranza in materia di musica rock. E Dean non può rimanere a guardare (ascoltare?) mentre il suo rock viene ignorato e messo da parte.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Charlie Bradbury, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Titolo: Rock lessons
Titolo capitolo: Trading thoughts across from the room
Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Castiel, più altri a sorpresa
Conteggio parole4790
GenereCommedia, Romantico
Rating: Arancione
AvvertimentiHighschool!AU; Lime









 Succede spesso, molto più spesso di quanto non si creda, di imbattersi costantemente nella persona che si vuole a tutti i costi evitare. La cosa ha un che di perverso ma logico, un ennesimo corollario non scritto alla Legge di Murphy.
Dean aveva passato il resto della settimana a evitare in tutti i modi Castiel ma, ovviamente, il ragazzo dagli occhi blu sembrava essere ovunque. In palestra, nei bagni, nelle aule – perché Dean aveva scoperto di condividere anche due corsi con lui –, lui c'era sempre.
Trovarselo inaspettatamente davanti in continuazione aveva spinto Dean a diverse e disonorevoli fughe oltre a elevare il suo livello di irritazione, con grande scorno dei suoi amici.
«Si può sapere cos'hai?» sbottò infine Sam quel venerdì.
Il fratello si era infatti lanciato in una sequela di improperi che avrebbero annichilito perfino Bobby – beh, forse no, magari l'avrebbero reso orgoglioso – perché l'antina del suo armadietto cigolava. Per la cronaca, il giorno precedente aveva abbandonato la mensa di gran carriera – non ho fame, va bene? – lasciando di stucco tutti i loro amici. Certo, nessuno di loro si era accorto di Castiel che, seduto come sempre da solo, aveva lanciato un'occhiata al loro tavolo e incrociato lo sguardo di Dean.
Sam aveva tentato di trovare una spiegazione logica ma, strano a dirsi, non gliene era venuta alcuna in mente. Alla fine dunque aveva optato per un approccio meno logico e più dialogico.
«Sei irritabile, pronto a scattare e ti comporti in maniera assurda,» enumerò «se fossi un bastardo ti domanderei se hai il ciclo, Deanna».
«Fino a prova contraria sei tu la donna, Samantha» sibilò Dean, sbattendo l'antina dell'armadietto con molta più forza del necessario e attirando diversi sguardi su di loro. Prima che Sam potesse bloccarlo o dire alcunché, levò una mano e inspirò profondamente.
«Ho solo bisogno di tranquillità. Il rientro a scuola è sempre traumatico» mentì di getto. Sam non si lasciò però convincere così facilmente.
«No, Dean, sei troppo turbato».
Il fratello roteò gli occhi e ostentò un sorriso tanto ampio quanto falso.
«Contento? Ora, se non ti dispiace, me ne vado in bagno».
Ciò detto voltò le spalle al fratello e si allontanò lungo il corridoio continuando a sorridere come un invasato.
Sam rimase immobile per diversi istanti prima di lasciarsi andare a uno sbuffo irritato. Lo faceva imbestialire la tendenza di Dean a tenersi tutto dentro, dalle stupidaggini alle cose più serie, ma soprattutto detestava l'idea di non poterlo aiutare come lui invece aveva fatto da sei anni a quella parte.
Si passò una mano tra i capelli e si morse un labbro con fare pensoso: forse la telefonata da parte del nonno – di Samuel, per l'amor di Dio – aveva turbato tanto lui quanto Dean, solo che suo fratello aveva un modo sbagliato di affrontare la cosa.
Riscossosi, Sam promise solennemente a se stesso che avrebbe fatto di tutto per aiutare il fratello maggiore, anche a costo di cavargli fuori le parole con la forza. No, forse la forza non era la scelta migliore, ma magari una lieve opera di convincimento non proprio ortodossa...
Con questi pensieri turbinanti in mente, Sam abbandonò il corridoio proprio nell'istante in cui Dean faceva il suo ingresso in uno dei bagni della scuola.
Il ragazzo storse il naso per l'odore sgradevole che regnava costantemente in quel luogo e si avvicinò a uno dei lavabi.
Si guardò nello specchio e tentò di sorridere in maniera convincente al proprio riflesso, con risultati pessimi. Sembrava diventato incapace di incurvare le labbra all'insù in maniera spontanea e sincera, e di questo doveva ringraziare... Chi, esattamente?
Non richiesti gli occhi magnetici di Castiel fecero capolino tra i suoi pensieri, scatenandogli un'ennesima ondata di irritazione e costringendolo a sbollirla sciacquandosi energicamente il volto con l'acqua fredda.
Odiava il fatto che Castiel comparisse nella sua mente a scadenze regolari, odiava i comportamenti idioti che aveva messo in atto durante l'ultima settimana e, più di tutto, odiava la sensazione fastidiosa che lo pervadeva ogniqualvolta incontrava Castiel. Non era paura – Dean Winchester non aveva paura di nulla! – eppure tutte le volte fuggiva con la coda tra le gambe.
Chi era quel Castiel, uno stregone? Una creatura soprannaturale? Questo avrebbe perlomeno spiegato quegli occhi inquietanti e quella voce innaturalmente perfetta.
Ah, la voce di Castiel. Altro tasto dolente. Da quando aveva ascoltato – origliato – il suo duetto con Anna, Dean non riusciva a togliersela dalla testa. Cantava divinamente ma cantava canzoni che avrebbero dovuto procurargli l'orticaria. E l'utilizzo del condizionale passato non gli piaceva affatto.
Una delle porte dei cubicoli alle sue spalle si aprì e Dean lo sapeva, lo sapeva cazzo, che lui era arrivato.
«Dean».
Per l'appunto. Dean rimase a capo chino sul lavabo, l'acqua scrosciante a pochi centimetri dal suo naso e le palpebre socchiuse. Non c'era stata alcuna intonazione particolare nella voce di Castiel: non suonava sorpresa o irritata o felice. Sembrava piuttosto voler dire “ho preso atto della tua presenza”. Una cosa simile non avrebbe dovuto creare – di nuovo il maledetto condizionale passato – problemi a Dean.
«Dean?».
Ecco, quello era un tono interrogativo. Una cosa da cui non sarebbe potuto scappare come le volte precedenti.
Richiuse il rubinetto con deliberata lentezza e si raddrizzò, l'orribile e falso sorriso di nuovo sul suo volto.
«Castiel! Ero un po' distratto!».
«Ti capita spesso, ultimamente».
Se l'udito non lo ingannava, Dean aveva sentito distintamente il rumore lontano di qualcosa che si infrangeva al suolo con violenza.
Eppure Castiel non sembrava arrabbiato. Era il ritratto della serenità mentre si lavava con cura le mani, mentre si raddrizzava il colletto della camicia e mentre porgeva un fazzolettino a Dean con un sorriso.
Aveva capito che lo stava evitando da giorni? Nascondeva dietro quella facciata tutta pacatezza e sorriso la sua irritazione o il suo dispiacere? E soprattutto, domanda da un milione di dollari, cosa gliene importava?
Dean accettò il fazzoletto e si tamponò il volto premurandosi di coprirsi gli occhi più volte. Sentiva su di sé lo sguardo di Castiel e non voleva essere costretto a perdere la ragione a causa dei suoi occhi.
Neanche quando lo ringraziò con un cenno lo guardò in volto, preferendo concentrarsi sul cestino della spazzatura in cui lanciò con precisione il fazzoletto appallottolato.
«Bel tiro,» si complimentò Castiel «hai intenzione di entrare nella squadra di basket?».
«Cosa? Oh, sì, certo» replicò in fretta Dean, non aspettandosi che l'altro potesse tentare di mettere in piedi una conversazione «Ho i provini oggi pomeriggio» aggiunse poi senza un motivo apparente.
Castiel annuì appena e si passò una mano tra i capelli. Brutto segno. Quando era Sam a compiere quel gesto, la maggior parte delle volte stava a indicare il suo nervosismo o il suo disagio, ma magari per Castiel aveva tutt'altro significato...
«Senti...» esordì Castiel con fare esitante, cosa che confermò le supposizioni di Dean su nervosismo e disagio «Vorrei farti una domanda, se per te non è un problema».
Dean osservò l'altro con attenzione, complice il fatto che questi stesse guardando da un'altra parte: in quel momento gli sembrava molto più fragile e umano di quanto non fosse apparso nei giorni precedenti, sempre con quella cortina di imperscrutabilità cucita addosso. Però col cavolo che gli avrebbe permesso di fargli chissà quale domanda imbarazzante, era fuori discussione!
«Spara».

Ok, si era fottuto con le sue mani. Ottima mossa, Dean Winchester.
Castiel tornò a dedicare la sua completa attenzione al suo interlocutore il quale, non appena gli occhi blu dell'altro ebbero incrociato i suoi, avvertì come una scossa elettrica lungo la spina dorsale. Roba da manicomio.
«Non voglio essere indiscreto,» cominciò cautamente Castiel «dunque sentiti libero di non rispondermi».
Dean annuì appena, suo malgrado incuriosito e gli fece cenno di proseguire.
«Come mai non ti sei iscritto al Glee Club?».
Il silenzio tombale che seguì quella domanda fu quanto di più logico la mente di Dean potesse concepire.
Ricapitolando, si trovavano in un maleodorante bagno scolastico, non si conoscevano quasi per nulla, sembravano essere agli antipodi per più di un motivo e stavano parlando di un Glee Club. Se si era ritrovato in situazioni più assurde prima di quel momento Dean non lo rammentava, ma ne dubitava fortemente.
Nulla, se non forse un briciolo di civiltà, gli impediva di invitare Castiel a farsi gli affaracci suoi e allontanarsi in fretta da quel luogo – e da quella situazione – così fastidioso.
Dischiuse appena le labbra e fu allora che scoprì di non avere una risposta soddisfacente per quella domanda. Né una scusa plausibile. Neanche un modo accettabile di mandare l'altro a quel paese.
Castiel sorrise e scosse impercettibilmente il capo.
«Scusami, sono stato troppo invadente».
«No...» Dean parve ritrovare l'uso della parola «È solo che... Quelle cose non sono nelle mie corde...».
Banale e insincero, ma in fondo neanche lui sapeva cosa avrebbe voluto effettivamente rispondere. L'espressione di Castiel però piuttosto che sancire la fine di quell'imbarazzante scambio di frasi sembrava invitarlo a proseguire. Dean si schiarì la voce.
«Insomma... Credo che la musica che farete non sarà esattamente il mio genere».
Un lampo di divertimento attraversò gli occhi di Castiel che, incrociate le braccia e inclinato il capo da un lato, replicò con fare provocatorio.
«Come puoi saperlo?».
Oh, semplicemente ho spiato te e Anna Milton mentre cantavate una nenia sdolcinata e strappalacrime, ma complimenti per la voce.
Non avrebbe mai espresso ad alta voce quel pensiero, per quanto l'idea lo stuzzicò per un singolo, terribile istante: scrollò le spalle e sbuffò.
«Da che mondo è mondo nei Glee Club è impossibile ascoltare la musica che piace a me. Il rock» aggiunse poi in risposta allo sguardo interrogativo di Castiel.
Questi annuì solennemente come se avesse detto chissà quale profonda verità. Dean rimase silenzioso, in attesa di una qualunque reazione: irritazione, scoramento o magari rassegnazione.
Tanto per trarsi d'impaccio e ciao ciao al Glee Club e a quei dannatissimi occhi blu.
«Oggi pomeriggio alle cinque ci sarà il primo incontro del club. In caso ti andasse di fare un salto» replicò a sorpresa Castiel «Non ti prometto rock and roll, ma magari potresti trovarti ad ascoltare qualcosa che sia più nelle tue corde».
Più di quanto appena enunciato dal ragazzo era stato il non detto a colpire Dean. Sospeso tra loro era infatti rimasto un muto “E cambiare idea” che poco gli piaceva, così come l'interesse quasi morboso che Castiel sembrava avere nei suoi confronti.
Non ebbe però il tempo di replicare in alcun modo perché Castiel gli sorrise e si allontanò verso la porta che dava sul corridoio.
«Ci vediamo, Dean».
La camminata lenta e misurata, il tono leggero e quel sorriso che gli illuminava ancor di più gli occhi indicavano che Castiel sapeva che si sarebbero rivisti, in un modo o nell'altro. E la cosa peggiore, rimuginò Dean, era che aveva ragione.
 
***


Dean odiava trattenersi a scuola più del dovuto, cosa accadutagli principalmente in seguito a punizioni ricevute gli anni precedenti – e quasi sempre per colpa di quella troia della Maddon –, ma quel venerdì aveva un'ottima ragione. Le selezioni per la squadra di basket erano state fissate per quel pomeriggio e un certo numero di aspiranti cestisti si era già radunato nella palestra.
Dean cercò di svuotare la mente e concentrarsi unicamente su quanto stava avvenendo, dall'ormai rituale discussione tra il coach Lindberg e Dorothy Baum fino all'esilarante scenetta di Chuck Shurley, l'anti-sport per eccellenza, che inciampava sul pallone e finiva lungo disteso per terra.
Poco più in là Sam – che già tutti consideravano parte della squadra, vista la sua altezza – mise a segno l'ultimo tiro libero e si affrettò ad aiutare Chuck a rialzarsi.
«Sto bene, sto bene...» borbottò quello accettando comunque l'aiuto dell'amico «Senza occhiali non vedo un accidente».
«Lenti a contatto, Chuck. Esistono, funzionano e non sono opera del demonio» scherzò Sam, lanciando un'occhiata divertita a Dean.
Lui rispose con un sorriso stentato e lanciò svogliatamente il pallone a canestro, colpendo l'anello di ferro. Maledizione. Se avesse continuato così si sarebbe giocato l'ingresso nel Glee Club...
Un momento.
No. Non poteva davvero aver pensato quella cosa. Era sbagliato, tremendamente e fottutamente sbagliato.
Tutt'a un tratto l'ampia palestra gli parve troppo affollata e soffocante. Il rumore dei palloni che impattavano col pavimento o col tabellone, le urla dei suoi compagni e i fischi sporadici del coach lo stavano assordando più del dovuto.
Abbandonò il pallone sul pavimento e si avvicinò a passo rapido al coach Lindberg, ancora intento a discutere con Dorothy e a urlare di tanto in tanto istruzioni agli aspiranti giocatori.
«Coach» esordì senza preamboli «Non mi sento bene. Credo di avere bisogno d'aria».
Dorothy, interrotta nel bel mezzo della sua tirata sul perché una donna potesse giocare in una squadra maschile, lo fulminò con un'occhiataccia: l'allenatore invece annuì con aria stanca.
«Vai pure, Winchester» borbottò, voltandosi poi verso Dorothy con l'aria di un condannato a morte.
Dean uscì in tutta fretta dalla palestra, i piedi che si muovevano come per inerzia verso chissà quale destinazione. Aveva solo voglia di tornare a casa, rubare un paio di birre dal frigorifero e chiudersi in camera sua senza alcun pensiero. Era però destino che ciò non accadesse.
Oltrepassò i bagni come in trance, dimentico dell'acqua fredda che voleva sentir scorrere sul suo volto e giù per la gola, dirigendosi verso un'aula libera. Quiete e solitudine, ecco ciò che contava di trovare.
Aprì la porta e stava già per tirare un sospiro di sollievo quando una voce lo fece quasi sobbalzare.
«Winchester? Che ci fai qui?».
Voltatosi si trovò di fronte Anna, un plico di fogli tra le mani e l'espressione sommamente stupita. Su alcune sedie alle sue spalle stavano una ragazza dal viso tondo e dai lunghi capelli castani che lo osservava con aria interessata, un ragazzino asiatico e un altro ragazzo che somigliava terribilmente all'Ichabod Crane della Disney. Fu proprio quest'ultimo a prendere la parola non appena ebbe udito il suo cognome.
«Winchester? Sei per caso il fratello di Sam?».
«Oh, quel Winchester!» esclamò beffarda la ragazza dai capelli castani «È vero quello che si dice sulle tue doti?».
Troppe domande, troppa confusione e l'orribile sensazione che qualcosa – tutto – non quadrasse affatto. Ignorò i due che gli avevano appena rivolto la parola e si appellò ad Anna, ancora basita.
«Milton... Credevo di trovare l'aula vuota».
Lei inarcò le sopracciglia e lanciò un'occhiata alle spalle di Dean, come se si aspettasse di veder sbucare qualcuno.
«Non vedo ragazze con te» osservò con una punta di freddezza, strappandogli uno sbuffo esasperato.
«Avevo bisogno di stare un po' da solo,» dichiarò con altrettanto distacco «non credevo di trovare una setta riunita in quest'aula».
Ciò detto si voltò e fece per uscire dalla stanza ma la porta venne aperta da qualcuno che si trovava all'esterno. Dean si sarebbe volentieri gettato dal tetto della scuola piuttosto che incontrare proprio lui.
Arretrò istintivamente biascicando un sommesso “Spazio personale” e si guardò attorno con fare guardingo mentre un orribile sospetto si faceva spazio nella sua mente.
Castiel fece un paio di passi in avanti, stando ben attento a non invadere il prezioso spazio personale di Dean e sorrise incredulo.
«Sei venuto».
Due parole, due semplicissime parole e Dean si sentì sprofondare. In un angolo, coperto da un telo di plastica liso e consumato, c'era una forma massiccia che ricordava un pianoforte. Appeso sopra la porta stava un semplice orologio. Le lancette segnavano le cinque in punto.
«Porca puttana...» sibilò. Si era fregato con le sue mani. Non gli restava altro che fingere un malore e uscire di lì in tutta fretta, così...
«Mi fa davvero piacere».
Il sorriso di Castiel, che sembrava donare nuova luce ai suoi occhi, lasciava intendere quanto quella frase corrispondesse al vero. Era felice che Dean si trovasse lì. Era convinto che avesse messo da parte i suoi sciocchi dubbi.
Dean deglutì e lanciò un'occhiata disperata alle sue spalle: Anna lo fissava con un sorrisetto divertito che mai le aveva visto sul volto, il resto del Glee Club – porca puttana in che guaio si era andato a cacciare – lo osservava con curiosità.
Un rumoroso sospiro, un secco cenno del capo e la sensazione di aver appena firmato la propria condanna alla morte sociale.
«Mi avevi incuriosito» si giustificò a bassa voce.
Il sorriso di Castiel divenne se possibile ancora più ampio mentre gli indicava le sedie rimaste libere. Rigido come un automa, Dean si avvicinò a esse e scelse quella più isolata e lontana dal resto dei ragazzi che lo guardavano chi con invadente curiosità, chi con moderato interesse.
Una volta che si fu accomodato, Castiel si affiancò ad Anna e sorrise a tutti i presenti, soffermandosi un paio di secondi in più su Dean.
«Dunque,» esordì con sicurezza «benvenuti a alla prima riunione ufficiale del Glee Club. Non potete immaginare quanto mi renda felice vedervi qui, non più firme su un foglio ma volti e, ovviamente, voci».
Ci sa fare, pensò Dean che non essendo tipo da discorsi profondi, considerava tali tutti quelli che oltrepassavano certi suoi standard. Era però innegabile, Castiel sapeva come parlare a un gruppo di persone.
«Spero che la vostra permanenza qui sia piacevole e vi permetta di esprimere al meglio la vostra passione e le vostre emozioni» fece una pausa e si scambiò un sorriso complice con Anna: vedendo questo, Dean inarcò le sopracciglia «Ho pensato che oggi potremmo conoscerci un po' meglio, non solo come persone ma anche come voci...»
«Aspetta,» lo interruppe il sosia di Ichabod «dobbiamo cantare adesso?».
La ragazza seduta al suo fianco roteò gli occhi.
«È un Glee Club, genio, ti aspettavi che ci saremmo raccontati barzellette?».
Castiel batté le mani un paio di volte per riportare i due all'ordine, ma non parve affatto irritato dalle interruzioni né dall'atteggiamento sgradevole della ragazza – che, per inciso, aveva cominciato a lanciargli occhiate sensuali –.
«Canterete solo quando ve la sentirete» dichiarò con fare rassicurante «Comunque, anche se dovreste averlo già letto sul foglio iscrizioni, io sono Castiel Novak».
«E io Anna Milton» gli fece eco la ragazza al suo fianco «Onorata di conoscervi».
«Meg Masters» si presentò l'unica altra ragazza «Da che secolo esci fuori, Milton?».
Dean dovette soffocare una risatina mentre il volto di Anna assumeva una tonalità affatto dissimile da quella della sua chioma.
«Garth Fitzgerald IV» annunciò fiero il vicino di posto di Meg. Dean si domandò se anche i tre precedenti fossero brutti come lui.
«Kevin Tran,» si presentò infine il ragazzo asiatico, parlando per la prima volta «e non credo che canterò, ma potrei accompagnarvi con la chitarra o il pianoforte».
Castiel lo ringraziò e poi calò il silenzio. Dean non ne comprese il motivo finché non realizzò che gli sguardi di tutti erano – di nuovo – puntati su di lui. Spalancò gli occhi e prima di poterselo impedire il suo sguardo guizzò verso Castiel che gli fece un sorriso incoraggiante. In altre circostanze si sarebbe rifiutato di sottostare a quello stupido giro di nomi, ma come si poteva dire di no agli occhi inquietanti di Castiel?
«Dean Winchester. E non sono iscritto al Glee Club» puntualizzò, attirandosi un'occhiataccia da parte di Anna. Castiel, dal canto suo, ridacchiò.
«Certo, Dean è... Mio ospite, potremmo dire, sperando che poi decida di unirsi a noi».
Su queste note affatto gradite al Winchester, il ragazzo fece un cenno del capo e Anna avanzò, consegnando un foglio a ciascuno e sistemandosi poi al centro dell'aula.
«In quei fogli troverete alcune proposte per l'esibizione di lunedì, quando ci presenteremo ufficialmente durante l'assemblea scolastica».
A quelle parole una certa agitazione serpeggiò tra gli altri membri del club ma la ragazza alzò le mani e, al pari di Castiel, sorrise con fare tranquillizzante.
«Non vi preoccupate, non è nostra intenzione mettere insieme un numero da musical o un'esibizione da opera lirica» rise con leggerezza «Dovremo semplicemente “farci sentire” dal resto degli studenti con un'esibizione piacevole e sbarazzina».
Prima che Meg potesse acidamente commentare le scelte lessicali di Anna, Castiel accese uno stereo impolverato sistemato accanto al pianoforte e, collegatovi un I-pod, fece partire una melodia lenta. Anna prese un profondo respiro e cominciò a cantare.
«I don't know how to love him... What to do, how to move him... I've been changed... Yes really changed...».
La voce di Anna, per quanto delicata, ridusse tutti al silenzio. La ragazza cantava con gli occhi chiusi, come persa in un sogno fatto di note e parole che sembrava coinvolgerla completamente. Dean l'aveva già sentita cantare e, nuovamente, dovette riconoscere la sua bravura: eppure, si ritrovò a pensare, se al suo posto ci fosse stato Castiel forse le singole note della canzone sarebbero divenute in qualche modo assurdo vere e tangibili. La voce del ragazzo riecheggiò nella sua mente e Dean si sentì come colpito con la forza di un maglio e con la freschezza della pioggia estiva...
Si riscosse giusto in tempo per assistere all'impennata vocale di Anna e per domandarsi cosa cazzo significassero quei pensieri. Non erano da lui, non lo erano mai stati!
«Should I speak of love? Let my feelings out? I never thought I'd come to this... What's it all about?».
Decise di concentrarsi unicamente sulla melensa esibizione di Anna in religioso – e, se aveva individuato la canzone, la parola era perfetta – silenzio. Poco più in là, Garth e Kevin fissavano la ragazza a bocca aperta mentre Meg ostentava una totale indifferenza.
«I wouldn't want to know, he scares me so... I want him so... I... Love... Him... So...».
Sull'eco dell'ultima nota tutti cominciarono ad applaudire, strappando un sorriso soddisfatto ad Anna che abbozzò anche un inchino.
«Meravigliosa» commentò Kevin: Garth si limitò ad annuire, gli occhi sospettosamente lucidi. Meg si strinse nelle spalle ma fu a Dean che si rivolse Castiel.
«Cosa te ne è sembrato?».
Il ragazzo avrebbe preferito rimanere in silenzio e limitarsi a un neutro cenno di approvazione ma a quanto pareva la sua opinione era importante. La cosa, almeno in parte, gli diede uno strano senso di soddisfazione.
«La Milton sa come si canta, non c'è dubbio. Il fatto è...» esitò un attimo, ma ormai era in ballo e tanto valeva ballare «Il fatto è che un'esibizione del genere manca di energia».
Anna fece un versetto sarcastico.
«Manca di energia?» ripeté sbalordita «Parla di un amore proibito, sacro e profano allo stesso tempo, della disperazione di una donna che sa che non potrà essere amata!».
Dean ghignò prima di poterselo impedire.
«Certo, vallo a spiegare a un'orda di studenti che ascoltano Katy Perry!».
Prima che la situazione potesse degenerare, Castiel si piazzò davanti a una Anna sempre più paonazza: le mise le mani sulle spalle e, posata la fronte sulla sua, tentò di tranquillizzarla.
«Sei stata splendida. Hai espresso alla perfezione le emozioni e i sentimenti della canzone».
Dean seguì l'opera di Castiel con vago cipiglio, domandandosi che senso avesse chiedere la sua opinione e poi doverla confutare pochi istanti dopo. Credeva forse che si sarebbe sciolto in lacrime davanti all'esibizione della Milton e l'avrebbe osannata?
Una volta che Anna parve essersi calmata, a sorpresa Meg si alzò in piedi: sorrise con fare svenevole a Castiel e gli porse un lettore mp3 rosso.
«Credo sia il mio turno di parlare di sacro e profano,» dichiarò lanciando un'occhiata divertita all'indirizzo di Anna che si incupì «o forse più di profano. Seleziona la terza canzone, Clarence».
Il ragazzo eseguì senza commentare la storpiatura del suo nome: non appena ebbe premuto il tasto “play” il suono distorto di una chitarra elettrica si diffuse nell'aula, accendendo l'interesse di Dean e facendolo raddrizzare sulla sedia.
Meg ammiccò a Castiel e si mise le mani sui fianchi.
«Let's go girls».
La ragazza cominciò ad ancheggiare a tempo con la musica, lanciando occhiate allusive a tutti i ragazzi nella stanza.
«I'm going out tonight, I'm feelin' alright, gonna let it all hang out! Wanna make some noise, really raise my voice, yeah I wanna scream and shout!».
Non era rock ma, dovette riconoscere Dean, era decisamente meglio della canzone proposta da Anna. Perlomeno c'era qualche chitarra elettrica e Meg, per quanto fin troppo provocatoria, dava un'idea dell'energia che Dean non aveva sentito prima.
«The best thing about being a woman, is the prerogative to have a little fun!».
Di colpo la ragazza si avvicinò a Castiel e, afferratolo per la cravatta, lo trasse più vicino a sé. Anna spalancò la bocca scandalizzata e Garth diede di gomito a Kevin.
«La prossima volta mi metto anch'io una cravatta!»
Kevin sbuffò e roteò gli occhi prima di riportarli su Meg.
«Certo, farai furore».
Intanto Castiel aveva il volto cremisi e non sapeva dove puntare lo sguardo, se sul resto del club o sugli occhi ammiccanti di Meg che continuava a cantare e a flirtare quasi violentemente con lui.
«Oh, oh, oh, I wanna be free yeah to feel the way I feel! Man! I feel like a woman!».
Finalmente Meg spinse via Castiel, che quasi cadde sul pavimento, e riguadagnò il centro dell'aula.
«I get totally crazy! Can you feel it? Come, come, come on baby! I feel like a woman!».
Il silenzio che seguì la scatenata esibizione della ragazza fu infranto dopo qualche istante dai lenti applausi di Dean, cui si unirono pian piano tutti gli altri, anche se Anna unì le mani solo un paio di volte. Meg si riavviò i capelli e con un ampio sorriso tornò al suo posto: Castiel, ancora un po' imbarazzato, si schiarì la voce.
«Wow, davvero... Brava, Meg!».
Lei gli dedicò un sorriso svenevole e Dean alzò gli occhi al cielo: così facendo sfiorò con lo sguardo l'orologio appeso alla parete e, tornato a guardarlo con più attenzione, si accorse che erano già le cinque e mezza.
Scattò in piedi sotto gli sguardi stupiti di tutti e indicò la porta.
«Ho un impegno urgente, devo scappare!».
Scappare. Parola perfetta. Di lì a poco sarebbero finite le selezioni per la squadra di basket e lui non voleva assolutamente che qualcuno lo vedesse in quell'aula e lo collegasse al Glee Club. Per quanto non fosse considerato un club da sfigati, non figurava neanche ai primi posti nella lista dei più popolari, quindi...
Castiel balbettò, preso in contropiede.
«Oh, ehm, ok. Ah, verrai domani...?».
Inutile. Dean era già uscito in fretta e furia dall'aula, lasciando quella domanda incompleta e sospesa nell'aria.
 
***


Riuscì a infilarsi negli spogliatoi della palestra poco prima che il resto dei suoi compagni facesse il suo ingresso: Sam non appena lo notò gli si avvicinò preoccupato.
«Ehi, tutto bene? Sei sparito e il coach ha detto che stavi poco bene!».
Dean sorrise e finì di infilarsi i jeans.
«Un po' di stanchezza, sono uscito a prendere una boccata d'aria».
Sam inarcò un sopracciglio e osservò con attenzione Dean che si costrinse a ostentare un'espressione tranquilla e rilassata. Gli occhi verdi del fratello, appena più scuri dei suoi, scivolavano senza fretta sul suo volto come se potessero cogliere chissà quale segnale di verità o menzogna, cosa in cui Sam pareva essere molto esperto.
«Non me la racconti giusta».
Ecco, come volevasi dimostrare. Dean non perse la sua faccia di bronzo e sogghignò dando un paio di buffetti sulla guancia del fratello.
«Stai perdendo colpi, Sam».
Sam sbuffò e incrociò le braccia, ben deciso a non lasciar perdere.
«Dean,» abbassò la voce mentre un paio di ragazzi passavano loro accanto «ti conosco. So che preferisci tenerti le cose dentro fino a esplodere, ma non funziona così! Puoi parlarne con me, lo sai».
La maschera di noncuranza di Dean si incrinò per un istante, lasciando intravedere a Sam un'espressione dubbiosa, preoccupata, smarrita. Fu solo un attimo, però, e Dean tornò a sorridere.
«Lo so, Sammy, ma non devi preoccuparti per me. Sto bene, va tutto bene».
Si odiò per aver mentito per l'ennesima volta al fratello, specie ora che stava mostrandosi così preoccupato e pronto ad aiutarlo, e desiderò potergli raccontare ogni cosa. Come poteva, però, se neanche lui sapeva cosa stesse accadendogli?
Aveva innanzitutto bisogno di mettere ordine nella sua testa: poi, si ripromise, avrebbe detto tutto a Sam, dal primo all'ultimo dettaglio.
Raccolse lo zaino da terra e uscì dallo spogliatoio seguito dal fratello. Si voltò di tre quarti senza smettere di camminare e lanciò un'occhiata al fratello al di sopra della propria spalla.
«Sammy?».
Quello alzò appena lo sguardo e Dean sorrise.
«Grazie».
Sam sorrise a sua volta e, affiancatosi al fratello, gli diede un leggero pugno sulla spalla.
«Prego, Deanna».
I due uscirono dalla scuola spintonandosi, momentaneamente dimentichi di ogni loro problema ma consci che la cosa non sarebbe durata. Per il momento, fu il loro comune pensiero, meglio godersela.
«Se ti senti stanco posso guidare io fino a casa».
«Non pensarci nemmeno».








Angolo ottuso dell'autore
Ciao piccoli cuccioli di foca (?!?).
Chiedo venia per l'attesa per il capitolo, ma tra una (meritata u.u) vacanza, l'ansia da tesi e la follia di revisionare (leggasi “sistemare in toto”) questo capitolo... Vabbè, l'importante è che infine è giunto! Non mi convince del tutto, ma mi serviva, ecco u_u”
Passiamo al musical corner!
Le canzoni presenti nel capitolo sono “I don't know how to love him” dallo spettacolare musical Jesus Christ Superstar e “Man! I feel like a woman” della meravigliosa Shania Twain.
Grazie come sempre a recensori, seguaci (?) eccetera, vi amo spassionatamente :3
   
 
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