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Autore: Zeeta_    09/08/2014    7 recensioni
{Questa fanfiction partecipa al contest "Problem", tribute to Iggy Azalea and Ariana Grande, indetto da I r i s sul forum di EFP}
Ma chi è questa bella personcina, che, dopo un paio di mesetti, pubblica una fic sul suo account? Ovviamente, è Alle /ex Little Holly/, la ritardataria che ama postare alle 3:00 di notte.
A parte questo-- credo che sia il caso di spendere due parole a proposito della fic.
Questa è una KyouTaku, ispirata un po' dall'aria di montagna, un po' dagli -insopportabili- acquazzoni che stanno coinvolgendomi in questa bella estate 2014. Si tratta di una one-shot malinconica, in cui nel rapporto tra Shindou e Tsurugi non è tutto rosa e fiori, anzi. Un felice lunedì mattina (?), i due litigano e Takuto, per sfogarsi/consolarsi contatta Akane -che è in una palese "friendzone"- e le chiede di parlare un po'. La fic ruota tutta intorno al personaggio di Akane e al dialogo che lei ha con Shin-sama. Se vi interessa, non ci sono moltissimi accenni a Tsurugi-- avrei superato di certo le 3000 parole. :'D
... È un'introduzione piuttosto confusa -ecco che succede a pubblicare di notte .u.-, ma spero comunque di avervi incuriositi.
Grazie a chi entrerà!
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akane Yamana, Shindou Takuto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore -forum e Efp-: Little H (forum), Sugar Cube_ (EFP)
Titolo: Di temporali estivi e salici piangenti
Fandom: Inazuma Eleven
Pairing: KyouTaku, ma se qualcuno ci vuole vedere anche della ShinAkane, faccia pure (?)
Canzone e frase: Problem {Iggy Azalea}; Understand, my life is easy when I ain’t around you
Genere: Sentimentale, Malinconico
Avvertimenti: Shounen-ai e basta credo
NdA: 
{ Se non volete spoiler, leggete dopo aver letto la shot~}
Vado un po’ di fretta, perché non so per quanto tempo durerà la mia connessione- Allora. Parto col ringraziare davvero tanto Iris, per avermi dato l’opportunità di partecipare al suo contest e per avermi ripetuto all’imbecillità che non avrei mai avuto proroghe. Senza i suoi promemoria, starei ancora lì a chiedermi “Ma sarà il caso di iniziare a scrivere?”. Ringrazio anche Rossella, a cui ho vietato di leggere questa fic prima della pubblicazione (?), ma che mi è sempre di aiuto e che mi costringe sprona a scrivere. Uhm-uhm, che dire? Scrivere questa fic è stato più difficile di quanto mi aspettassi. Non appena Iris mi ha inviato la frase, nella mia testa è esplosa una grande parola: KYOUTAKU. Tuttavia, ripensandoci, mi era venuta un’idea piuttosto carina per una Haymitch/Effie, nel fandom di HG. Idea scartata a causa di una totale mancanza di finale. Anche dopo aver scelto fandom e pairing, comunque, la scelta è stata dura. Avevo in mente di descrivere una litigata furiosa tra Kyousuke e Shindou. Scartata perché Tsurugi era troppo OOC. Volevo quindi scrivere una flash fic fatta di soli pensieri di Shin, ma diventava davvero insopportabile. Era una cosa davvero davvero davveeeero troppo lagnosa. Mi è passato per la testa anche di scrivere una raccoltina su più pairing, ma non era una buona idea: non sarei mai riuscita a sviluppare la frase più di una volta. Alla fine, ho riciclato un’ideuzza (?) che mi passava per la testa da maggio, in cui Akane –palesemente in friendzone-, si sorbisce una delle tirate di Takuto. Quindi, BOOM, due in uno! *orgogliosa di stessa* Anche quando ho deciso l’idea che avrei sviluppato, i problemi sono continuati, però—Giuro, non avevo idea di che finale potesse andare bene. Ne ho provati 5 o 6 e nessuno mi convinceva. Mi sembravano tutti così superflui –senza contare che con qualsiasi di quei finali avrei superato il numero limite di 3000 parole .u.-. Alla fine, ho optato per un finale aperto, perché sono cattiva---- e quindi lascio il resto alla vostra immaginazione e ai vostri feels. Oltre ai finali scartati, ci sono altre 700 parole di scarti. 700 PAROLE ECCHEDDIAMINE, potrei  scriverci un’altra shot! Aaaargh, non vi immaginate come sia stata dura dover scegliere le parti da tenere e quelle da eliminare--- Era come scegliere i gusti del gelato ;A; E poi, la panna montata la prendo o no? Anyway, sinceramente, sono piuttosto soddisfatta di come è uscita questa shot. Davvero. E i personaggi non mi sembrano neppure OOC! Mi sento realizzata come non mai :’D non è vero, io mi auto compiaccio sempre ma shh dettagli. In questa fic, ho sperimentato un po’ un nuovo stile, forse. Ma in fondo, io sperimento sempre nuovi stili--- In questo caso, ho provato a soffermarmi sulle descrizioni, utilizzando un linguaggio adatto ma non troppo complesso (capite che intendo?) e tentando di descrivere al meglio situazioni semplici in maniera un po’ surreale. Non sono certa di esserci riuscita, ma va beh- Per quanto riguarda i dialoghi, credo di avere fatto dei passi avanti. I discorsi diretti sono sempre stati uno dei miei punti deboli, ma, grazie a i libri che sto divorando ultimamente, credo di averli resi più scorrevoli e più veritieri. Spero davvero che sia così--
Se ci fosse qualcosa che vi è piaciuto particolarmente, o che non vi è piaciuto particolarmente, vi invito a recensire. I commenti sono sempre ben accetti Uhmuhm, altro da aggiungere? Non credo- Se avete domande, mi trovate sempre qui! Oppure a gongolare in mezzo ai feels Malec nella speranza che nessuno dei due muoia.
Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui!

Sugar Cube_ / Alle ♥

P.S. Quasi dimenticavo! La fic è ambientata non nel Go, ma qualche anno più avanti. I personaggi non sono ragazzini, ma ragazzi sui vent’anni~
P.P.S. Io giuro che ho ricontrollato millemila volta, quindi spero non ci siano errori- sigh. Se ci fossero, comunque, non è colpa mia, bensì dei feels scatenati da Shadowhunters. Ho finito oggi Città di Vetro e i feels Malec di certo non aiutano a concentrarsi--- senza contare gli amv che sto guardando--- ODDIO, QUEI DUE SONO TIPO LA DROGA, LA GIOIAAAAA *le tirano qualcosa*
• ~
 
Di temporali estivi e salici piangenti

 
Understand, my life is easy when I ain’t around you
Era stato tutto incredibilmente rapido.
Un attimo prima, il cielo era terso e solo in lontananza si poteva vedere qualche nube bianco latte; un secondo più tardi, il cielo era passato da un azzurro sfavillante a una tinta triste e plumbea, lo splendore del sole era stato oscurato da cumoli di nuvole grigie e, alla fine, in un batter d’occhio, aveva iniziato a piovere. Cadde prima qualche goccia solitaria, poi la pioggia si fece fitta, rapida, violenta; il vento aumentò d’intensità ed infine arrivarono anche i lampi e i fulmini, seguiti a ruota da fragorosi tuoni. In men che non si dica, le persone per strada iniziarono a correre e muoversi freneticamente, nel tentativo di cercare riparo in un negozio, nella propria macchina o sotto i portici, mentre negli appartamenti si faceva di tutto per “salvare” la biancheria stesa sui balconi o gli arredi da esterni più delicati. Per qualche minuto, sembrò che nell’intera Inazuma-cho fosse divagato il più assurdo, totale panico.
Dopo una ventina di –lunghi- minuti di pioggia, le nubi si dileguarono e l’acquazzone terminò nello stesso modo in cui era iniziato: quasi istantaneamente.
Ora, a distanza di un paio d’ore, di quel violento temporale rimaneva il fango nei parchi giochi e nelle aiuole e le pozzanghere che si erano formate nelle buche dell’asfalto o nelle irregolarità dei marciapiedi.
Akane inspirò profondamente, calpestando coi graziosi stivaletti rossi di gomma un ammasso di foglie rese appiccicose dalla pioggia. Aveva sempre amato l’odore della pioggia, l’aria frizzantina del dopo-temporale e, al contrario di molti, apprezzava anche l’umidità. La sensazione di umido sulla palle e in mezzo ai capelli la faceva sentire leggere, libera, silenziosa, aggraziata, silenziosa: come una piuma. Era un particolare piuttosto bizzarro, visto che la maggior parte delle donne vedeva l’umidità solo come un’arma anti-messa in piega, ma non se n’era mai vergognata. In fondo, che cosa c’era di male?
Dopo essersi concessa qualche altro secondo di immobilità per godersi appieno la fragranza della pioggia, riprese a camminare, con calma, giocherellando un po’ con l’ombrello, un po’ con la punta dello stivale in una pozzanghera. Il luogo dell’appuntamento distava circa cinque minuti di passeggiata e l’orario era fissato per le quattro e mezza del pomeriggio; contando che il suo orologio segnava le quattro e sette minuti, era decisamente in anticipo e poteva permettersi di gironzolare tranquilla per il parco. Si soffermò a fotografare diversi soggetti naturali: un arbusto reso quasi argenteo dalle gocce di pioggia e dei raggi di sole che filtravano tra le fronde degli alberi, creando uno spettacolare gioco di luce. Purtroppo, nessuno degli scatti le pareva soddisfacente: se la cavava piuttosto bene, come fotografa, ma la natura era decisamente troppo magica per essere catturata da un’immagine digitale. Akane sospirò, vagamente sconsolata, e decise di riprendere a camminare, sebbene a passo molto lento.
Quando giunse al luogo fissato per l’incontro, erano le quattro e trentatré minuti. Si guardò intorno, togliendo qualche goccia d’acqua sporca dal suo impermeabile vermiglio. « Shin-sama non si vede ancora. È strano, lui di solito è molto puntuale » mugugnò appena, a voce bassissima, assalita improvvisamente da uno strano senso di preoccupazione. Si disse che la sua reazione era esagerata, perché tre minuti di ritardo non significavano assolutamente nulla, ma in cuor suo sentiva che c’era qualcosa che non andava. Per la mente le passarono le situazioni più assurde –e orrende- che si potessero immaginare: Takuto investito –sulle strisce pedonali, perché lui non avrebbe mai commesso alcun tipo di imprudenza- da un’auto che andava ai cento all’ora, ucciso durante una rapina in banca, o colto da un malore in casa sua, mentre stava abbassando la maniglia per uscire.
Un’onda di dubbi travolse inaspettatamente Akane: dell’orario era sicura al cento per cento –non era molto organizzata, ma le era sempre riuscito facile ricordare date e ore-, ma se quello non fosse stato il luogo esatto? Le parve un’idea abbastanza insensata, perché era da quando avevano dodici anni che si incontravano davanti a quel solitario salice piangente, piantato da chissà chi in una collinetta del parco pubblico, perché mai quel giorno a Shin-sama sarebbe dovuto saltare in mente di incontrarsi da un’altra parte? La ragazza fece un respiro profondo e si convinse che ricontrollare il messaggio non poteva nuocerle alla salute. Prese il telefonino dalla borsetta e subito aprì la cartella degli SMS. Trovò immediatamente l’elemento che le interessava e lesse: “Ho bisogno di te. Alle 16:30 al solito posto, ok? Grazie.” Dunque, l’orario era giusto e il luogo era esattamente quello in cui si trovava. Allora perché Takuto era in ritardo di quindici minuti?
Proprio mentre la giovane stava per telefonargli, Shindou apparve dall’altro lato della collinetta. Akane fece un sospiro di sollievo, abbozzando un sorriso, ma la sua tranquillità svanì in fretta: il ragazzo non aveva affatto un bell’aspetto. Camminava strascicando i piedi per terra, aveva i capelli castani ridotti a un groviglio di nodi, ciondolava stancamente le mani e faceva profondi e lenti respiri. La ragazza gli osservò il viso: aveva il naso e le guance paonazze e gli occhi erano lucidi e arrossati –segno che aveva pianto da poco-, la fronte era imperlata dal sudore e appena sotto le palpebre inferiori c’erano delle profonde occhiaie, segni di una notte passata in bianco. Indossava dei vecchi pantaloni di una tuta, diventati tanto corti da essere ridicoli, una felpa di un triste color grigio topo, un po’ troppo larga e usurata da tempo, e le scarpe da ginnastica che calzava avevano i lacci che strisciavano a terra. Quando le si avvicinò, Akane notò anche che non aveva esattamente un buon odore, ma cercò di non darlo a vedere. Shin-sama sembrava stare davvero male.
« Grazie per essere venuta con così poco preavviso » esordì lui. Dalla voce, non sembrava essere triste, solo molto stanco. « Tu ci sei sempre, quando ne ho bisogno » mugugnò, per poi concludere con un sommesso: « Grazie davvero. »
Akane rimase spiazzata per qualche secondo, poi sfoggiò un sorriso cordiale. « Lo sai che io sono sempre libera » disse lei. «E, poi, esiste un posto migliore del parco per fare fotografie? » ridacchiò, indicando la macchina fotografica che teneva al collo. Takuto la guardò un po’, con gli occhi assenti, poi inclinò la testa e abbozzò un sorriso di cortesia.  
La bocca della ragazza si curvò in un’espressione preoccupata. « Shin-san, che t’è successo? » si decise a chiedere infine, visto che l’altro non sembrava avere intenzione di iniziare la discussione. Shindou mosse qualche passo in avanti, seguito a ruota da Akane, fino ad accostarsi al salice piangente che regnava solitario sulla collinetta. Posò una mano sulla corteccia e con tono vago, come se non stesse parlando a nessuno in particolare, disse: « Kyousuke mi ha lasciato. » La ragazza appoggiò una mano sulla sua spalla, ma lui non sembrò neanche accorgersene, tant’è che continuò a parlare: « Pensavo che sarebbe durata. Ci siamo messi insieme quattro anni fa, quindi io avevo sedici anni e lui quindici: eravamo solo dei bambini. Siamo cresciuti insieme, siamo maturati insieme e abbiamo sempre vissuto i cambiamenti in maniera ottima. O almeno, così credevo. » Shindou aveva parlato velocemente, mangiandosi le parole e gesticolando quasi convulsamente, ma Akane riuscì a capirlo bene. Mentre lui si asciugava gli occhi per non piangere –ora che aveva vent’anni, non gli piaceva che altre persone lo vedessero frignare come un bambinetto-, lei pensava a delle parole adeguate e più articolare di un banale “Mi spiace tanto” o di un lapidario “Le cose accadono”. Akane non era mai stata così male per amore. Ovviamente, le era capitato di rimanerci male per una rottura –e, poi, Dio solo sapeva quante lacrime aveva versato per via dell’amore non corrisposto che provava per Takuto-, ma non si era mia ridotta nelle condizioni in cui versava Shin-sama. Vederlo così le creava un nodo all’altezza della gola e le stringeva lo stomaco in una morsa tremenda.
« Non me lo aspettavo » proferì il ragazzo, dopo qualche minuto di assoluto silenzio.
« Neanche io » mormorò piano l’altra. « Sembravate sempre così felici » aggiunse poi, con voce tremante.
Shindou non ribatté e, con fare noncurante, riappoggiò le mani sulla corteccia del vecchio salice piangente. Aspettò alcuni secondi, immobile, poi prese a tracciare con le dita disegni invisibili su tutto il tronco dell’altro. Akane lo osservava attentamente: le sembrava una scena di un film. L’espressione di Takuto era intensa e pareva che volesse trasmettere a tutto il mondo il vuoto che stava sentendo, la sua fiacchezza e la sua delusione; il posto in cui si trovavano, da sempre il loro “rifugio”, aveva assunto, dopo il temporale, un’aurea magica, col sole che faceva timidamente capolino da dietro le nubi e con le pozzanghere che risplendevano dei suoi flebili raggi. È tutto così surreale, pensò la ragazza, quasi dimenticandosi del fatto che anche lei faceva parte di quella triste scena onirica.
« Avete litigato, Shin? » chiese. Era una domanda idiota –dubitava davvero che Tsurugi-kun si fosse alzato la mattina e avesse deciso di lasciare Shin-sama su due piedi- e comportava, per Takuto, una risposta dolorosa, ma cos’altro avrebbe potuto dire?
Il ragazzo ridacchiò vagamente; era una risata triste e piena di autocommiserazione. « Sì » disse, lasciando il salice e avvicinandosi ad Akane, strisciando i piedi nel fango. « È un po’ bisticciamo. Scaramucce, pensavo. Poi, però, questa lunedì la litigata è diventata più seria. Kyousuke parlava e io non riuscivo a proferire neppure una sillaba per ribattere » spiegò, con la voce chiaramente rotta dal pianto –e, forse, anche dalla rabbia-.
« Shin-san, siamo già venuti qui a parlare delle vostre litigate e si è sempre risolto tutto, no? » gli sussurrò vicino all’orecchio, con voce dolce e melodiosa. « Tsurugi-kun è un ragazzo maturo ed intelligente, magari era solo stanco, non so » azzardò.
«No, Akane. Non era stanco, anzi, mi pareva fin troppo sveglio. »
« Be’, forse era nervoso per un’altra questione e ha scaricato tutta la sua rabbia su di te. Capita, sai, anche alle persone più calme » gli disse lei, mantenendo il suo solito tono calmo.
« No » ribatté Shindou, secco.
« Non lo puoi sapere, Shin-san. Può essere che lui abbia litigato col fratello, o coi genitori… » mormorò.
« No » fu di nuovo la risposta. « Con Yuuichi-kun ha parlato tranquillamente ieri sera e anche coi suoi genitori è tutto regolare. »
« Problemi con gli studi? Sai, è possibile. Anche io sono parecchio stressata in periodo di esami… »
« No; non ha esami in questo periodo. »
« Mh. Allora, forse… » Akane venne interrotta bruscamente da Takuto. « No, Akane, no! Non ha problemi con altri. Ha problemi con me. Sono io il problema. Io. Io. Io. Ha taciuto tutti i  fastdidi che gli provoco e che gli ho provocato per tutto questo tempo e lunedì una goccia ha fatto traboccare il vaso. Quella gocciolina, però, non è caduta nel “vaso” per colpa di Yuuichi-kun o per colpa dei suoi genitori, ma per colpa mia. Solo mia. È colpa solo ed esclusivamente mia. Mia. Mia. Mia. » La ragazza si allontanò di un passo da Shindou. Le lacrime avevano preso a rigargli il viso, le guance si erano fatte paonazze  e le sue urla erano uscite confuse e spezzate, inframmezzate da qualche singhiozzo.
Il ragazzo guardò la Yamana negli occhi per qualche secondo. « Scusami, Akane-chan. Non avrei dovuto urlarti contro. Tu stai solo cercando di aiutarmi, come hai sempre fatto. Sei stata gentilissima anche questa volta e… Non avrei dovuto, scusa. » Dal suo sguardo, lucido per via delle lacrime, la ragazza capì che era seriamente pentito –non che ci fosse possibilità che Takuto potesse mentirle-.
« Che ne dici di sederci, Shin? » gli domandò, posandogli una mano sulla spalla. « Poco lontano da qui ci sono delle panchine. Le ho viste prima. »
Shindou scosse lentamente il capo. « No. Voglio restare qui, al nostro salice » bofonchiò, asciugandosi con la manica della giacca le lacrime.
« Allora sediamoci qui » propose lei, sorridente e noncurante del fatto che il fango non avrebbe giovato al suo nuovo impermeabile rosso. Questa volta, il ragazzo annuì ed entrambi si sedettero proprio sopra le radici del salice, l’uno vicino all’altra.
Takuto si schiarì la voce. « Scusa ancora, per poco fa. È che, davvero, da Kyou non me lo sarei mai aspettato. » Akane era incerta se parlare o meno. Alla fine, decise che starsene zitta a sorridere e annuire non avrebbe di certo aiutato Shindou. « Ti va di dirmi cosa ti ha detto esattamente Tsurugi-kun? » chiese, guardando l’altro negli occhi.
La bocca di Shindou si incurvò in sorriso triste. « Ha detto che sono sempre più insopportabile. Mi ha detto che ho i complessi da “prima donna”, che sono sempre più isterica e che non so che cosa voglia dire relax o divertimento. Ha aggiunto anche che non avrei mai potuto dare la colpa agli studi o ad altre condizioni attuali, perché sono sempre stato così. Capisci? Sono sempre stato insopportabile. Sono sempre stato una cozza lagnosa. Sono sempre stato una prima donna isterica, di quelle che non fanno altro che proferire ordini a destra e a sinistra e che sanno solo sputare sentenze. » Alle parole del ragazzo, seguì un’altra sua risata di commiserazione.
« Takuto, tu non sei una prima donna isterica! » esclamò Akane. « Sei un ragazzo intelligente, brillante, con grandi ambizioni e una grande sensibilità. »
« Ma non l’hai visto? Anche prima ho cominciato ad urlarti contro. Sono isterica. »
La ragazza increspò le labbra. « Prima mi hai sbraitato contro perché eri nervoso. Sono certa che sia andata così anche con Kyousuke, anche se tu non conosci il motivo del suo nervosismo. »
Shindou fissò la ragazza negli occhi. Le lacrime avevano ripreso a scivolargli lungo le guance. Quando parlò, però, la sua voce risultò stranamente chiara, limpida. « Akane, lui mi ha urlato di sparire dalla sua realtà. Kyou mi ha detto che la sua vita è molto più semplice, quando non mi sta intorno. »
La ragazza rimase per un attimo senza parole. « Ha detto proprio così? » chiese.
« Sì » fu la risposta, stranamente decisa.
« Shin… Davvero io non so che dire… » bofonchiò Akane, visibilmente in imbarazzo.
« Non importa. Avevo solo bisogno di sfogarmi. L’avevo capito anche da solo che, ormai, tra noi è finita. » Per un paio di minuti, Shindou riuscì a proferire solo singhiozzi e suoni strozzati. Ad un certo punto, riuscì a formulare qualche parola: « Purtroppo, è finita. Anche se io non lo accetterò mai. Mai, neanche con tutta la volontà che possiedo. »
Akane sospirò, si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e si mise a riflettere. Non poteva certo dirgli di accettarlo e basta, perché sapeva che non era possibile. Erano anni che cercava di ripetersi che era impossibile che lui si innamorasse di lei e non era mai riuscita a convincersi, sebbene ci fossero una sfilza di motivi per i quali avrebbe dovuto smettere di sperare da tempo –Shindou non l’aveva mai vista diversamente da un’amica, era gay e fidanzato; come poteva ancora credere che tra di loro sarebbe nato un amore reciproco?-.
« Shin, ascoltami bene. Tutto ha una fine. Hanno una fine sia le cose brevi e passionali, sia le cose durature. Il temporale di oggi, per esempio. È stato impetuoso e forte fino all’ultima goccia; pareva inarrestabile, ma è finito e tutto ciò che rimane solo le foglie umide, il fango e qualche pozzanghera. Vuoi un altro esempio? Questo salice a cui siamo appoggiati, chissà da quanto tempo è qui. Un sacco di persone l’avranno scelto, come noi, come il loro luogo segreto, qualche coppia l’avrà designato come luogo romantico e moltissimi bambini avranno giocato qui. Nonostante tutto, la sua esistenza finirà. Diventerà legna da ardere, o materiale da costruzione, oppure si trasformerà in carta. Ad ogni modo, alla fine resterà solo cenere. Perché tutto ha una fine, anche se nessuno vuole che questa arrivi. » Akane non ci aveva fatto caso, ma, mentre parlava, i suoi occhi si erano riempiti di lacrime che premevano per uscire. Ciò che aveva detto era sorprendentemente triste. Tuttavia, pensò, parlare per metafore è sempre meno doloroso.
Takuto non si rese conto delle lacrime che scendevano, inesorabilmente lente, sulle guance della ragazza –o forse, preferì non dire nulla-. « E quando qualcosa finisce, che cosa accade? Si dimentica tutto? » Shindou fece una piccola pausa. « Io non posso dimenticare Kyou » biascicò.
« No, non si dimentica tutto. Si inizia qualcosa di nuovo. Dopo il temporale, esce il sole, e dove c’è questo salice, un giorno, verrà piantato un altro albero. Anche tu dovresti iniziare qualcosa di nuovo. »
« Quindi, tu credi che dovrei trovarmi qualcun altro? » chiese il ragazzo, con voce fioca.
«Penso che… Penso che dovresti provarci » gli rispose Akane, piuttosto incerta. Non le sembrava molto giusto dare a Shin-sama dei consigli che lei non sarebbe mai riuscita a seguire.
Per parecchio tempo, nessuno dei due parlò e l’unico rumore udibile fu il fruscio delle fronde degli alberi, scosse dal vento.
« Grazie ancora per essere venuta » disse infine Shindou, alzandosi in piedi e porgendole una mano. « Ti accompagno a casa. »

 
   
 
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