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Autore: Angelauri    09/08/2014    10 recensioni
A Miami è una splendida giornata estiva. Fa molto caldo e il team Austin e Ally si deve riunire. Il programma sarebbe quello di andare in spiaggia dopo aver discusso del nuovo video di Austin. Ma purtroppo succede qualcosa di inaspettato che trasformerà una bella giornata di sole e divertimento in un incubo per Austin, Ally, Trish e Dez. Come reagiranno i nostri protagonisti?
Dal testo:
"Pensai che al mondo ci sono diversi tipi di persone.
I simili, che vivono cercandosi a vicenda.
Gli opposti, che si attraggono come calamite.
Le anime gemelle, che si trovano sempre, anche se lontane.
E, infine, le persone come me ed Ally, che si cercano, si attraggono e si trovano nello stesso momento. Che sono simili, ma che sono anche agli opposti.
Quelle persone che sono complementari, fondamentali, indispensabili l'uno per l'altra.
Che da sole sono forti, ma che insieme sono indistruttibili, eccezionali.
E non importava se Ally non mi amava come l'amavo io, perché noi due eravamo quell'ultimo genere di persone.
Ci appartenevamo e nessuno avrebbe mai potuto cambiare questo."
Spero di avervi incuriosito e che leggiate questa mia prima fanfiction :-D
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ally Dawson, Austin Moon, Dez, Trish
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Persone come noi

Ally

Mi svegliai diverse volte quella notte, ma, non riuscendo mai a trovare un senso a quello che sentivo o vedevo, ogni volta mi addormentavo di nuovo. I miei sensi erano meno reattivi del solito : era come se avessi ovatta nelle orecchie, un velo sugli occhi e il naso tappato. Ovviamente non era così, ma percepivo tutto quello che mi circondava in quel modo. Anche perché non ero mai del tutto sveglia, direi piuttosto che ero in uno di stato di dormiveglia.

Per la prima volta dopo quasi una settimana riuscii a dormire senza fare incubi. Anzi, sognai. Vorrei dirvi che i miei sogni furono popolati da immense praterie dove correvano unicorni alati, mari di gelatina rosa, nuvole di zucchero filato, delfini acrobati, principi azzurri che mi venivano a salvare sui loro cavalli bianchi al tramonto e altre cose così...

Vorrei dirvelo, ma non posso, perché sarebbe come mentire a me stessa.

Nei miei sogni, che erano come ricordi, immaginavo Austin che mi cantava canzoni romantiche, Austin e io al nostro primo appuntamento, Austin che mi aiutava a superare la mia paura, noi due al pianoforte, noi due che cantavamo, che ridevamo. Davvero bei sogni, anche se non sapevo bene come interpretarli, o meglio, non lo sapevo ancora...

Dei momenti in cui aprivo gli occhi ricordo poche cose : che ero distesa su un letto morbido, una donna dal camice bianco che mi infilava un ago nel braccio e qualcuno, seduto vicino a me, che mi teneva per mano.

Per il resto solo buio, immagini sfuocate e suoni indecifrabili.

Mi sembrò passare un'eternità, ma in realtà erano solo poche ore.

La quinta volta che tornai cosciente fu anche l'ultima.

Non avevo ancora aperto gli occhi, ma sentivo al contatto con la pelle una coperta ruvida, che doveva essere stata lavata da poco, e che profumava di lavanda. Era un odore buono, delicato, che inebriava l'aria. Non sapevo dove fossi, ma una cosa era sicura : non mi trovavo in camera mia, che profumava sempre di vaniglia e burrocacao alla fragola.

Decisi di tenere gli occhi chiusi, giusto per far allenare un po' i miei sensi.

Da qualche parte, lontano da me, udivo numerosi passi rimbombare in quello che doveva essere un corridoio.

A parte il profumo alla lavanda delle lenzuola, c'era anche odore di pulito e di fresco. Poi, quando il mio olfatto si affinò ulteriormente, mi arrivò al naso anche un forte mix di alcol e disinfettante, che mi diede alla nausea.

Cercai di concentrarmi su qualcos'altro.

Nessuno adesso mi stava stringendo la mano e ciò mi fece sentire più sola. E se quel qualcuno mi avesse lasciato lì? Non sapevo chi fosse, ma l'idea di stare da sola in un posto sconosciuto non mi piaceva.

Poi udii dei respiri regolari provenire da vicino al mio letto e mi tranquillizzai. La persona che era stata con me mentre riposavo doveva essersi addormentata.

La mia bocca era secca, come se non bevessi da molto tempo, ma in realtà non avevo per niente sete.

Una debole luce cominciò a illuminare la stanza e io la vidi da sotto le palpebre.

Decisi di aprire gli occhi.

All'iniziò tutto mi sembrò sfocato, ma poi quelle immagini indistinte cominciarono ad avere sempre più senso.

Mi trovavo in una stanza piuttosto piccola, del tutto bianca e scarsamente decorata. Sulla parete alla mia sinistra c'era una finestra socchiusa, ornata da due tendine color azzurro cielo. Oltre il vetro tutto era nella penombra.

Continuai a guardare per qualche minuto.

Piano piano il buio stava lasciando il posto alla luce, che permetteva di osservare un grande giardino con tanti alberi, delimitato da un parcheggio.

Era l'alba.

Il sole stava nascendo per affrontare quella nuova giornata ed io insieme a lui.

Con i suoi raggi abbelliva quel posto oltre alla finestra, che prima sembrava così tetro. Rimasi incantata da quello spettacolo. Improvvisamente mi sentii meno frastornata, come se la luce donasse forza al mio corpo e tranquillità alla mia mente.

Voltandomi leggermente vidi mio padre seduto su un piccolo divano, in fondo alla stanza, che dormiva e russava. La sua espressione era preoccupata e ogni tanto si agitava nel sonno. Doveva essere stato lì con me tutto il tempo. Aveva addosso ancora i vestiti di ieri : una camicia bianca e un paio di pantaloni scuri.

Sulla parete alla mia destra c'era una porta che dava su un lungo corridoio, sempre bianco, dove camminavano alcune persone in camice bianco e altre con divise celesti o verdi. Erano medici, infermieri. E quindi io non potevo che trovarmi in un'ospedale.

Infatti addosso avevo una camicia da notte rosa con i cuoricini. Era mia, ma non la mettevo più da anni.

Presa dall'ansia cominciai a guardarmi intorno e vidi che il mio braccio era collegato a una flebo piena d'acqua. Alla sola vista dell'ago nel mio braccio mi mancò il fiato : detestavo le punture e ancora di più gli aghi!

Cercai ancora una volta di calmarmi e chiusi gli occhi.

Come mai ero in ospedale?

Mi sforzai di ricordare e mi tornò alla mente il pomeriggio precedente, la sensazione di non riuscire a respirare, la nausea, il caldo... Tutti ricordi terribili.

L'ultima cosa che ricordavo era di essere caduta poi... solo il vuoto. A testimonianza di ciò avevo un grosso livido violaceo sul gomito destro e probabilmente ne avevo uno anche sul ginocchio.

Cosa mi era successo esattamente?

Aprii gli occhi di nuovo e cercai di mettermi seduta, ma il movimento mi causò una forte fitta alle tempie.

- Ci mancava solo il mal di testa! - borbottai a bassa voce.

Dolorante, portai una mano alla fronte. La vista mi si annebbiò leggermente ma poi tornò tutto normale.

- Ally! - disse mio padre svegliandosi (probabilmente mi aveva sentito).

Si alzò e mi corse incontro, abbracciandomi.

- Oh Ally, ero così preoccupato per te... - mi sussurrò con la voce tremante, segno che era sul punto di piangere.

Mi strinse ancora di più e io ricambiai il gesto, con le poche forze che avevo in corpo.

Non mi ero ancora accorta di quanto fossi debole.

Poi papà si sciolse dall'abbraccio e mi diede un delicato bacio in fronte.

- Come stai tesoro? - mi chiese sedendosi su una sedia accanto al letto.

- Abbastanza bene... Sono solo un po' stanca e intontita. - risposi cercando di sorridere. Non volevo farlo preoccupare ulteriormente.

Lui mi sorrise a sua volta. Mi comunicò che, durante la notte, mia mamma aveva chiamato dall'Africa per sapere come stavo e che mi avrebbe richiamato per mezzogiorno.

Poi entrò nella stanza una donna sulla trentina, con un camice bianco addosso, un paio di occhiali sul naso e i capelli biondi elegantemente legati in un ordinato chignon. In mano aveva una cartella clinica, la mia.

- Vedo che ti sei svegliata Ally. - notò con voce gentile.

Io annui velocemente e lei si avvicinò.

- Io sono la dottoressa Anderson e mi sto occupando di te. - continuò stringendomi la mano, con un sorriso tranquillo in volto. - Dimmi, come ti senti? -

Io le ripetei la stessa cosa che avevo detto a mio padre.

- Mi può spiegare cosa ho avuto? - chiesi nella speranza di poter capire finalmente tutto.

- Ecco, vedi Ally, noi ti abbiamo fatto alcune analisi, tra cui quelle del sangue e della pressione. Abbiamo un'ipotesi su quello che potresti avere avuto, ma ho bisogno che tu mi dica come ti sei sentita ieri. -

Le raccontai tutto : delle notti insonni, della stanchezza, di quello che mi ricordavo del giorno precedente. Lei annuiva e ogni tanto si appuntava qualcosa su un foglio. Quando finii di parlare, lesse qualcosa sulla cartella clinica per alcuni secondi, molto attentamente, e poi alzò lo sguardo su di me e mio padre.

- Allora, le analisi fatte in ambulanza hanno dimostrato un forte abbassamento della pressione e un battito cardiaco irregolare e troppo veloce. Dalle analisi del sangue è risultata anche una forte carenza di ossigeno. Quello che mi racconti e ciò che i tuoi amici hanno riferito, inoltre conferma la nostra iniziale ipotesi, ovvero che tu abbia avuto una sincope (svenimento). - disse - Tuttavia sei rimasta priva di coscienza per molto più tempo rispetto ad una normale sincope. E poi questa diagnosi non spiegherebbe la carenza di ossigeno nel sangue. Perciò credo che sia necessario fare altri esami. -

Annuii distrattamente. Non sapevo per quanto tempo ero rimasta incosciente : quella notte mi era sembrata un'eternità.

La dottoressa, mentre io cercavo di non guardare l'ago e di controllare l'impulso che mi urlava di scappare, mi prelevò altro sangue.

Evitai di guardare la provetta ora piena di liquido rosso, la cui vista sicuramente avrebbe aumentato il senso di nausea che provavo, e strinsi la mano a mio padre. Sembrava più tranquillo adesso.

- Hai mai sofferto di asma? - mi chiese la dottoressa.

- Sì, quando ero più piccola... - risposi - Ma ormai sono anni che non ho crisi asmatiche. -

Mi tornarono in mente alcuni ricordi della mia infanzia e in ognuno di quelli io avevo con me lo spray per l'asma (adesso non so neanche che fine abbia fatto). Quando correvo o facevo educazione fisica lo dovevo tenere sempre a portata di mano, nel caso avessi avuto difficoltà a respirare. Il mio primo attacco d'asma è stato terribile e anche il più forte che io abbia mai avuto : avevo solo 6 anni ed ero a scuola. I miei genitori non erano con me, io non sapevo cosa mi stava succedendo e i maestri non furono di grande aiuto. Per fortuna c'era Trish con me, che mi diede conforto e mi aiutò a controllare la respirazione. Anche suo padre era asmatico, per questo lei sapeva più o meno cosa fare. Da quel giorno fummo più amiche che mai.

- Entro le undici dovrei essere in grado di dirti i risultati. - sentenziò con sguardo tranquillizzante - Mi raccomando non fare sforzi inutili. -

Dopodiché la dottoressa uscì dalla stanza e si allontanò per il corridoio.

Mio padre mi accarezzò delicatamente i capelli.

- Che ore sono papà? - gli chiesi.

Era una domanda stupida, lo so, ma avevo perso completamente la cognizione del tempo. E poi distrarmi un po' mi avrebbe fatto bene.

- Le sei e mezzo. - mi disse con voce assonnata - Vuoi che ti prendo qualcosa da mangiare? -

Annuii gentilmente, anche se non avevo fame.

- Posso accompagnarti? - chiesi speranzosa. Non avevo voglia di restare a letto.

- Non credo sia una buona idea... - rispose papà.

- Ok, allora ti aspetto qui. -

Mi sorrise ed io ricambiai il gesto. Poi quando oltrepassò la porta, mi sdraiai di nuovo. Ero ancora molto stanca.

Nell'attesa di fare colazione, tornai ad osservare il piccolo mondo oltre la finestra.

Ora il sole delineava i contorni degli edifici, che si ergevano per piani e piani, in lontananza. Le fronde degli alberi nel giardino, illuminate dalla luce, disegnavano il terreno, mostrando in alcuni punti dei graziosi fiori variopinti. Nel parcheggio adesso c'erano molte più macchine e per strada alcune persone camminavano allegre, pronte per andare al mare, equipaggiate di ombrelloni, asciugamani e tavole da surf. Nel cielo neanche una nuvola ostacolava la visuale.

Stava cominciando una nuova giornata e, alla fine, tutto sarebbe andato bene, me lo sentivo.

Mi chiesi che cosa stesse facendo in quel momento Austin. Se anche lui mi stava pensando, come io stavo pensando a lui.

Quando tornai ad osservare il soffitto monocromatico, il sonno prese di nuovo il sopravvento.

 

Austin

Quella mattina mi svegliai più presto del solito. Avevo dormito poche ore, perciò decisi di scendere a far colazione anziché rimanere a letto.

In casa tutti dormivano ancora, infatti regnava il silenzio assoluto. Evitando di far rumore andai in cucina e mi preparai dei pancakes. Ne mangiai solo la metà.

Decisi di farmi una doccia. Andando in bagno mi guardai allo specchio.

I capelli erano tutti schiacciati su un lato, quello su cui mi ero addormentato, e gli occhi erano gonfi, a causa dei pianti che mi avevano scosso durante la notte. Noncurante mi misi sotto il getto d'acqua tiepida, nella doccia. Restai così per un po', circa mezz'ora, poi tornai in camera mia e mi cambiai. Indossai una maglietta rossa, un paio di pantaloni neri e le sneakers rosse. Mi sistemai i capelli.

Dopodiché mi sedetti sul letto e guardai l'orologio : segnava le sette e cinque.

Il telefono squillò e lo schermo si illuminò : mi era appena arrivato un messaggio.

Da Trish a Austin

- Ciao Austin. Io e Dez pensavamo di andare a trovare Ally stamattina. Ti va se ci andiamo tutti insieme? L'orario delle visite è tra le 10:30 e le 12:30. Ci incontriamo lì per le 10:00? -

Da Austin a Trish

- Certo, verrò con voi. Hai avuto notizie di Ally? -

Da Trish a Austin

- No, purtroppo. Il signor Dawson non risponde. Forse non ha con se il telefono... -

E così nessuno mi poteva dare notizie di Ally...

Era così stressante essere ignari di quel che le succedeva.

Non avrei resistito ancora per molto.

Da Austin a Trish

- Okay... -

Il resto della mattina passò molto lentamente. Ogni minuto mi sembrava durare ore. Non feci niente di particolare. Per le dieci meno un quarto cominciai ad incamminarmi verso l'ospedale che si trovava a un km da casa mia. Il cielo era limpido e il sole splendeva, illuminando il paesaggio urbano.

Di li a poco avrei rivisto Ally.

Al solo pensiero mi sentii meglio.

Ogni passo che facevo allontanava i pensieri negativi e quel peso sul petto, così opprimente.

Ogni incrocio che svoltavo cacciava via la paura di non poterla più abbracciare.

Ogni metro che percorrevo riduceva la distanza tra noi, tra i nostri corpi, tra i nostri cuori.

Pensai che al mondo ci sono diversi tipi di persone.

I simili, che si cercano a vicenda.

Gli opposti, che si attraggono come calamite.

Le anime gemelle, che si trovano sempre, anche se lontane.

E, infine, le persone come me ed Ally, che si cercano, si attraggono e si trovano nello stesso momento. Che sono simili, ma che sono anche agli opposti.

Quelle persone che sono complementari, fondamentali, indispensabili l'uno per l'altra. Che da sole sono forti, ma che insieme sono indistruttibili, eccezionali.

Che vivono felici solo grazie all'altro.

E non importava se Ally non mi amava come l'amavo io, perché noi due eravamo quell'ultimo genere di persone.

Ci appartenevamo e nessuno avrebbe mai potuto cambiare questo.

 

Angolo Autrice

Eccomi qui con un nuovo capitolo :-D Scusate il ritardo.

Prima di tutto desidero ringraziare tutti i lettori e chi recensisce. Siete fantastici!

Il vostro supporto mi riempie di gioia!

Spero di non aver deluso le vostre aspettative con questo capitolo. Pubblicherò il prossimo appena posso :-)

 

   
 
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