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Autore: Cassie98    09/08/2014    0 recensioni
Sto per perdere i sensi e sono vagamente cosciente delle sue dita tra i miei capelli e della sua bocca che mi sfiora l’orecchio. Questa volta sento nitida la sua voce –trovami Sam- dice. Suona come una supplica rassegnata, una litania ormai conosciuta. Vorrei chiederle, parlarle ma sono così stanco che non trovo le parole per risponderle, le mie palpebre si chiudono e lei ripete ancora singhiozzando –trovami Sam, trovami!-. La sto lasciando di nuovo, apro gli occhi in quel groviglio di capelli e braccia per l’ultima volta, voglio guardare i suoi occhi un'altra volta prima di andarmene, voglio respirare ancora quell’aria e sentire la voce del mare, della mia terra.
Genere: Fantasy, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
Sto sognando, ancora. Non riesco più a stabilire la differenza tra sonno e veglia, sogno e realtà. E’ tutto estremamente confuso, fosco. Me ne accorgo perché ho solcato la superficie di questa terra per troppo tempo,più tempo di quello che mi è concesso. ogni notte ho visto queste stelle, queste alte montagne. Ogni notte ho respirato quest’aria piena di promesse e vera, come nessun’altra. E ogni notte la paura si è insinuata dentro di me, strisciando ancora e ancora. Corro, i polmoni mi fanno male, ma non cedo. Non mi fermerò adesso, so fin troppo bene dove devo arrivare. Sento l’erba alta che mi frusta i fianchi e la luce delle stelle mi guida. Riconosco ogni sentiero come se facesse parte del mondo a cui appartengo. Sembrano passate ore, ma finalmente mi fermo. Ogni muscolo pulsa sotto la mia pelle, respiro forte ed è come venire al mondo di nuovo. Stupito, come se lo vedessi ancora per la prima volta, mi beo di quello che trovo davanti ai miei occhi: un ampia, pacifica scogliera a strapiombo sul mare. Distinguo nel buoi la linea dura delle rocce immerse nel flebile chiarore della luce emanata dalle stelle, mentre l’odore del mare mi inebria. Sento il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli, metri e metri più in basso di me. C’è un punto, il più alto e il più distante, che sembra quasi un trampolino di lancio. Distolgo lo sguardo ancora una volta, è tutto così dolorosamente famigliare che non oso guardare ancora. Cado in ginocchio sfinito, con il cuore che mi martella in petto senza pietà. Ogni notte arrivo fin qui, ogni notte aspetto ma è come se avessi perso tutte le forze; non so cosa ci faccio qui. Sento solo una languida disperazione farsi largo tra le mie membra, e sono così stanco che potrei abbandonarmi ad essa, cadere tra l’erba soffice e dormire per sempre  nell’unico posto in cui mi sento a casa, con il rumore del mare a cullarmi e le alte montagne a vegliare su di me. Alzo lo sguardo esasperato in cerca di un qualsiasi segno, so che c’è qualcosa che dovrei cercare in quel cielo così buio, in quelle stelle che mi hanno guidato fin qui e perfino in quel vento pieno di voci che viene dal mare. Ma per quanto mi siano famigliari mi sfugge il loro significato. Ho perso la chiave, la chiave per capire e decifrare questo mondo che mi è così caro, ed è una consapevolezza così crudele che resto senza fiato. Quando abbasso lo sguardo sulle mie mani impotenti mi accorgo che sono ricoperte di qualcosa di caldo, viscido e scuro. Sangue. Tasto il mio corpo freneticamente e mi accorgo che un largo squarcio attraversa il mio fianco sinistro. Quando le mie mani ci passano sopra, il dolore è talmente forte che mi accorgo di singhiozzare. Mi piego in avanti per reprime un urlo, ma non funziona. Il panico si impossessa della mia mente, chiudo gli occhi, non c’è nulla da fare morirò. Vorrei urlare di nuovo, di rabbia, frustrazione ma tutto ciò che esce dalla mia bocca è un rantolo soffocato. Morirò, e accolgo questa consapevolezza come una liberazione: da quel dolore, da quella disperazione e da quella sconfinata solitudine che provi nel momento in cui capisci di non poter appartenere più a nulla, a nessun mondo terreno. Scivolo pian piano in avanti accogliendo la solidità della terra sotto di me: voglio morire disteso, guardando le stelle, e aspetto che la mia testa batta a terra. Ma non succede. Due mani forti mi afferrano per le braccia, mi sento chiamare con un nome che non mi appartiene. Quando apro gli occhi, tra le lacrime distinguo un azzurro talmente intenso che sembra quasi brillante, e per un momento rimango abbagliato. Vedo solo quello, un paio di occhi azzurri che mi fissano, incastonati come zaffiri tra una fronte corrugata e degli zigomi alti. Mi soffermo sulla linea dritta del naso e la bocca piena, ed è come se la vedessi per la prima volta. Il suo viso è incorniciato da ciocche di capelli rossi come il fuoco, una fiaccola nell’oscurità. Piange e mi scuote con forza, come se volesse costringermi a riprendermi, ma non ce la faccio. Scivolo ancora verso terra perché il dolore è troppo forte, non sono in grado di pensare e di parlare, sento solo i vestiti pesanti, inzuppati del mio stesso sangue. Lei mi afferra ancora e sento la mia coscienza che va e viene, sono tra le sue braccia e respiro la sua pelle, sento i suoi capelli che mi solleticano il viso, sono incredibilmente lunghi, vorrei toccarli ma non ci riesco. So che mi sta parlando ma non riesco a capirla: dal modo in cui mi culla, dalla delicatezza con cui mi tocca, capisco che mi vuole bene. È buffo, perché adesso l’unica cosa che mi interessa è scusarmi, farle capire che  mi dispiace, che starò bene. Vorrei parlarle per dirle di smettere di piangere ma non conosco la sua lingua, non più. Cerco i suoi occhi con lo sguardo, le sue mani con le mie ma si muove velocemente e nei suoi occhi c’è già la scintilla determinata di chi sa cosa fare. A malapena mi accorgo che mi sta sollevando la casacca, sussulta quando vede la ferita e mi guarda in viso fissandomi negli occhi mentre il vento le scompiglia i capelli. So di conoscerla, ma non so chi sia. Riconosco il fuoco tra i suoi capelli e il mare nei suoi occhi, un nome affiora alla mia mente ma non riesco ad afferrarlo. Lei mi sta ancora fissando con gli occhi pieni di tristezza e io non riesco a smettere di guardare dentro quell’azzurro, vagamente mi accorgo che  con una mano mi accarezza la testa, mentre l’altra si insinua sotto i vestiti fino al mio braccio sinistro. Mi parla ancora ma non posso sentirla, sussurra qualcosa ma non riesco a respirare e le mie palpebre si stanno chiudendo di nuovo, allora la sento stringere forte il mio braccio. Là dove mi tocca sento il fuoco, un dolore fortissimo, remoto mi fa spalancare gli occhi e vedo il cielo stellato sopra di me, tutti i miei muscoli si flettono e la mia schiena si inarca. Grido tanto forte da non sentire più la mia voce, scalcio cercando di liberarmi ma mi tiene fermo, le urlo di lasciarmi andare, la supplico singhiozzando ma lei continua ad inchiodarmi a terra con metodo, con forza sorprendente, come se avesse compiuto quell’operazione più e più volte. Quando finalmente lascia il braccio, riesco a respirare di nuovo. Ansimo cercando di muovermi ma il mio corpo trema tanto che non riesco nemmeno ad alzare le braccia. Lei non mi tocca più, tiene le sue mani alzate e mi guarda distrutta. Ho paura che  possa farmi ancora male eppure mi accorgo che la sua presenza è l’unica cosa che mi conforta, mi giro verso di lei e le affondo la testa in grembo gemendo. Sussulta, ma non mi aspetto che faccia niente, voglio solo che resti lì, che aspetti con me il sonno e l’oblio verso il quale tutto questo sfinimento mi sta portando. Lentamente, abbassa le mani su di me e con le braccia mi cinge la testa e le spalle. Sto per perdere i sensi e sono vagamente cosciente delle sue dita tra i miei capelli e della sua bocca che mi sfiora l’orecchio ma questa volta sento nitida la sua voce –trovami Sam- dice. Suona come una supplica rassegnata, una litania ormai conosciuta. Vorrei chiederle, parlarle ma sono così stanco che non trovo le parole per risponderle, le mie palpebre si chiudono e lei ripete ancora singhiozzando –trovami Sam, trovami!-. La sto lasciando di nuovo, apro gli occhi in quel groviglio di capelli e braccia per l’ultima volta, voglio guardare i suoi occhi un'altra volta prima di andarmene, voglio respirare ancora quell’aria e sentire la voce del mare, della mia terra. Ma la mia testa è troppo pensante, il dolore mi ha intorpidito e prima dell’oscurità il mio sguardo si posa sul mio braccio. Un piccola, lucida cicatrice rossa è comparsa poco sopra  il gomito. Stringo gli occhi per vedere meglio e mi accorgo che non è una semplice cicatrice ma ha una forma ben distinta, la forma di una lettera: la lettera A.
   
 
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