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Autore: _Takkun_    10/08/2014    3 recensioni
Storia partecipante al contest "Gli opposti si attraggono" di Red Wind sul forum di Efp.
Dal testo:
“Sei proprio lo Yin sputato, Marco.” Affermò con sicurezza il cuoco, venendo volutamente ignorato dal biondo che non sapeva se prenderlo come un complimento o meno, il suo.
“Fratellino.” Lo chiamò, facendolo fermare ma non voltare. “Pensala come ti pare, ma se Ace decidesse di unirsi alla ciurma voi due fareste davvero un’ottima accoppiata, te lo assicuro. Forse grazie a lui impareresti a farti coinvolgere di più dalle tue emozioni, a vivere la vita in modo più attivo e diverso. [...]"
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Ciurma di Barbabianca, Marco, Portuguese D. Ace, Satch
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Like Yin and Yang
 


Marco passò lo sguardo dalla figura di Ace, rannicchiato su se stesso, alla ciotola con all’interno della minestra fumante per il ragazzino suicida citato prima. Perché Satch avesse incaricato proprio lui per portargli la cena sarebbe rimasto un mistero, probabilmente.
Liberò un sospiro prima di fare qualche passo in sua direzione per consegnargli la pietanza. Arrivato davanti a lui, rimase ad osservarlo per svariati secondi con attenzione.
“Sembra che qualcuno stia perdendo le speranze.”  Pensò, posandogli di lato la ciotola, con l’intenzione di andarsene subito dopo. Il ragazzo di fuoco non sembrava di certo in vena per una conversazione, con uno della ciurma, poi. Compiuto il suo dovere, voltò le spalle al corvino, allontanandosi.
Ace alzò di poco la testa, individuando il pasto con la coda dell’occhio. Perché erano così gentili con lui? Aveva provato più e più volte a far fuori il loro Capitano, eppure i componenti della ciurma non mancavano mai di dargli un pasto caldo, di venirlo a salvare da un sicuro annegamento quando finiva in mare, oppure di dedicargli un semplice sorriso per poter instaurare una conversazione, naturalmente invano. Forse i pirati di Barbabianca non avevano chiaro il significato del termine “nemico”, ecco la spiegazione più plausibile che era riuscito a dare a tutta la premura che rivolgevano nei suoi confronti. E, ora che ci pensava, anche il vecchio non era tanto normale.
 

“Vuoi diventare mio figlio?”
 

Perché poi si era fissato con questa cosa? E la ciurma gli dava pure corda con questa storia.
“Ehi.” Con sorpresa, il comandante in prima si sentì chiamare dal minore. Si fermò, rimanendo in silenzio in attesa di sentire che cosa volesse.
 “Mi spieghi perché lo chiamate tutti padre?” Domandò, voltando lo sguardo altrove. Doveva sembrare patetico in quell’istante.  Marco non esitò un secondo a rispondere, volendo colmare l’interesse del ragazzino.
“Semplice. Perché lui ci considera tutti suoi figli.” Rispose, increspando le proprie labbra in un leggero sorriso. “Il resto del mondo ci ha sempre emarginato, quindi fa piacere anche se è un semplice legame a parole.” Concluse, ampliando maggiormente il suo sorriso.
Ace strinse i pugni, irrigidendo maggiormente ogni muscolo del suo corpo, ritornando con gli occhi puntati verso il basso. Quelle parole, per quanto volesse negarlo, gli facevano troppo male. L’amore di qualcuno, di una famiglia, ecco ciò di cui aveva bisogno, ma non lo avrebbe mai ammesso.
Marco poté intuire quali pensieri stessero passando per la testa del ragazzo. Ognuno di loro, all’interno della ciurma, ci era passato. Ritornando da lui, si abbassò alla sua altezza, decidendo di mettere in chiaro una volta per tutte quale fosse la situazione.
“Ascolta, Ace. Per quanto tempo ancora hai intenzione di rischiare la tua vita in questo modo? Penso tu abbia capito di non essere abbastanza forte per poter nuocere a nostro padre. Quindi le possibilità sono due: o te ne vai definitivamente dalla Moby Dick, oppure rimani qui con noi e accetti il marchio di Barbabianca! Lascio a te la scelta.” Si rialzò, infilandosi le mani in tasca, diretto verso gli altri. “Ah, inizia a mangiare. A pancia piena si ragiona meglio.” Gli fece presente girato sempre di spalle, dedicandogli un saluto con la mano. Ace si accigliò all’istante. Credeva forse che fosse un bambino al quale si deve dire cosa fare? Beh, si sbagliava! Lui era libero di fare qualsiasi cosa volesse. Se il suo orgoglio diceva di non ascoltare la parole di quel biondino, così doveva essere! Anche se…
Afferrò la ciotola esaminandone il contenuto con attenzione. Sembrava davvero buona ed erano giorni ormai che non toccava cibo. Il brontolio proveniente dal suo stomaco sembrò ricordarglielo maggiormente. Diede varie occhiate in giro e, dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno, portò il bordo della ciotola alle labbra, iniziando a gustarsela sorso dopo sorso, fino a finirla. Si trattenne dal rilasciare qualsiasi tipo di apprezzamento, temendo che qualcuno potesse sentirlo. Si lasciò andare ad un sospiro, appoggiandosi di schiena al parapetto della nave. Chiudendo gli occhi ripensò al discorso che gli era stato fatto pochi istanti prima dal comandante, soffermandosi anche su quest’ultimo.
“Marco la Fenice.” Mormorò. “È la prima volta che mi rivolge la parola e, inoltre, è la prima volta che lo vedo sorridere. Di solito mi dedica sempre delle occhiatacce.” Pensò, mentre l’immagine delle labbra del biondo incurvate in un sorriso si faceva nitida nella sua mente.
Arrossì inconsapevolmente come un idiota, scuotendo poi la testa con vigore, decidendo di dare la precedenza a cose più importanti di questa. Che cosa avrebbe scelto tra la prima e la seconda opzione?
 
Se ne sarebbe andato per sempre… o sarebbe rimasto con questa bizzarra famiglia?
 
****
 
“Quel ragazzino.” Sogghignò il biondo, dopo essere stato spettatore, seppur di nascosto, alla scena di prima. Stava davvero morendo di fame se era stato capace di scolarsi tutto d’un fiato quella minestra bollente. Non capiva perché, ma da quando Ace aveva messo piede sulla Moby Dick, questo pirata testardo e pieno di energie era riuscito ad attirare man mano la sua attenzione e, ora come ora,  voleva solo sapere quale sarebbe stata la decisione del corvino. “Mi regalerai altre sorprese, Ace?” Si chiese, mettendosi in un angolo all’ombra, mentre osservava in silenzio il resto della ciurma scherzare, cantare a squarciagola –stonando la maggior parte delle volte-  e ubriacarsi.
Potevano pure definirlo un asociale, ma a lui stava bene così. Adorava restarsene lontano da tutti, nella più totale tranquillità dei suoi pensieri.
“Ecco il mio fratellino preferito!”
E puntualmente una certa persona di sua conoscenza veniva a disturbarlo.
“Satch.” Lo salutò scoccandogli un’occhiata glaciale. Il cuoco di bordo sorrise ancora di più, ormai fin troppo abituato al suo carattere introverso.
“Freddi come al solito, eh?” Gli tirò una serie di leggere gomitate sul braccio, senza ricevere la minima reazione dal compagno. “Va bene, va bene, arrivo subito al dunque: sei riuscito a parlare civilmente con Ace?” Chiese con uno strano sorrisino in volto che non piacque per niente a Marco.
“Sì, ho chiarito alcune cose con lui. Dovrebbe essere questione di tempo prima di sapere che cosa deciderà di fare.” Incrociò le braccia al petto, appoggiandosi di schiena contro la parete.
“Lo sapevo!” Esclamò, suscitando un’espressione perplessa sul volto del biondo.
“Sapevi cosa, di preciso?” Chiese, alzando quel suo solito sopracciglio indagatore.
Il castano annuì con se stesso, col sorriso di uno che la sa lunga.
“Sapevo che con te avrebbe voluto parlare, sei il suo Yin, dopotutto.”
Sapeva che se ne sarebbe pentito, ma una spiegazione con un minimo di logica doveva averla per capirci qualcosa.
“Che cosa significa questo?”
“Non sai cosa sono Yin e Yang?” Rispose a sua volta con una domanda, inclinando il capo di lato, sorpreso.
“Certo che so cosa sono. Non capisco che cosa centri con la questione di Ace.”
Satch si morse il labbro inferiore, cercando di trattenere la sua contentezza alla perplessità del fratello. Era arrivato il momento di uno dei suoi discorsi profondi e, specialmente, intelligenti. “Marco, conosci il detto:  gli opposti si attraggono?”
“Oddio.” Si portò una mano sul volto, temendo quale tipo di piega avrebbe preso il discorso. Perché glielo aveva chiesto? Perché non si era limitato ad annuire, facendo finta di ascoltarlo?
“Lo prendo per un sì.” Continuò il castano, ignorando del tutto l’espressione da ti prego risparmiami qualsiasi cosa tu abbia in mente di Marco. “Per me tu ed Ace siete come i due principi opposti Yin e Yang. Hai visto com’è Ace, no? Fuoco puro, sempre propenso all’azione, agisce con impulso ed irruenza, senza pensare alle possibili conseguenze. Basta contare le volte in cui ha cercato di far fuori il vecchio, rischiando di perdere la vita un’infinità di volte. Lui è lo Yang, mentre tu sei sicuramente lo Yin. Al contrario di Ace sei pacato, freddo e razionale,  prima di entrare in gioco esamini sempre la situazione a sangue freddo, tenendo in considerazione i pro e i contro di ogni tua scelta. Tu pensi davvero troppo, Marco.” Sbuffò gonfiando le guance.  “E ci sarebbero tanti altri aspetti del vostro carattere così diversi eppure così complementari da non poter essere elencati tutti! Poi-“ Marco fermò il fiume in piena di parole del compagno con un gesto della mano, zittendolo all’istante.
“Sei asfissiante quando diventi logorroico, lo sai?” Sospirò, premendosi le palpebre degli occhi con le dita. “Questa cosa poi è davvero stupida, infatti non mi sorprende che tu ne vada così entusiasta. Ragionaci su un attimo, per favore: se due persone sono così diverse tra loro caratterialmente il costante conflitto di opinioni è inevitabile. Che si tratti di semplice amicizia o di qualcosa di più profondo a quest’ultima, non avrà lunga durata. Ora, se permetti, credo che me ne ritornerò nella mia stanza.” Si staccò dal muro, diretto verso il luogo più tranquillo dell’imbarcazione, nonché uno dei suoi preferiti.
“Sei proprio lo Yin sputato, Marco.” Affermò con sicurezza il cuoco, venendo volutamente ignorato dal biondo che non sapeva se prenderlo come un complimento o meno, il suo.
“Fratellino.” Lo chiamò, facendolo fermare ma non voltare. “Pensala come ti pare, ma se Ace decidesse di unirsi alla ciurma voi due fareste davvero un’ottima accoppiata, te lo assicuro. Forse grazie a lui impareresti a farti coinvolgere di più dalle tue emozioni, a vivere la vita in modo più attivo e diverso. E beh, per quanto riguarda Ace, non so di preciso di cosa abbia bisogno, quel ragazzo è ancora un mistero, ma so che anche le fiamme più divampanti non possono rimanere forti in eterno. Sei uno di poche parole e questo ti rende un ottimo ascoltatore, volendo sapresti anche dargli saggi consigli di cui un ragazzo giovane come lui farebbe tesoro. Lo dico perché ti conosco, sei un ananas scorbutica a volte, ma anche molto in gamba.” Rise divertito il castano, potendosi immaginare l’espressione infastidita di Marco al nomignolo ananas. “Se il detto ha del veritiero un’attrazione nei suoi confronti, seppur piccola, la dovesti sentire.” Terminò ghignando, augurando la buonanotte al compagno, dirigendosi poi dagli altri con la vana speranza che il biondo avesse ascoltato le sue parole… anche perché il suo era stato un buon discorso, non aveva nemmeno avuto modo di segnarselo.
“Peccato, ero stato piuttosto convincente.” Pensò dispiaciuto.
 
 

Marco raggiunse la porta della propria cabina, mise la mano sulla maniglia e vi entrò. Si avvicinò alla scrivania in legno e accese la lampada a olio su di essa per fare luce. Levò la camicia viola, sistemandola sopra la sedia, come suo solito, e si diresse verso il letto, sdraiandosi su di esso senza togliersi i sandali, troppo impegnato a pensare.
 
“E beh, per quanto riguarda Ace, non so di preciso di cosa abbia bisogno, quel ragazzo è ancora un mistero, ma so che anche le fiamme più divampanti non possono rimanere forti in eterno.”
 
Quella frase non era campata lì per aria, anche Satch era riuscito ad intuirlo. C’era qualcosa che tormentava quel ragazzino, ne era quasi certo.
Il biondo si girò su un fianco, chiudendo gli occhi.
 
“Se il detto ha del veritiero un’attrazione nei suoi confronti, seppur piccola, la dovesti sentire.”
 
“Attrazione, huh?” Mormorò. “Un termine davvero interessante, proprio come Ace. Interessante e complicato.” Disse, venendo accolto quasi subito tra le braccia del buon Morfeo.
 
 ****
 
Passò un giorno intero dalla sua conversazione con Ace e del suddetto ragazzino nessuno della ciurma ne intravide nemmeno l’ombra in quelle ventiquattr’ore. Cominciarono a girare voci sul fatto che si fosse arreso e che se ne fosse andato, in un modo o nell’altro, o che addirittura fosse finito in mare, annegando.
“Idiozie.”  Si ritrovava a pensare il biondo ogni qualvolta queste ipotesi gli arrivassero alle sue orecchie.  
Ace non era di certo il tipo che si arrendeva facilmente, era riuscito a dimostrarlo molte volte da quando aveva messo piede sulla nave, quindi potevano anche escludere che se ne fosse andato.
“Che fosse davvero annegato?” Fece dubbioso, scuotendo poi il capo. Impossibile. Non potevano esserci delle persone così stupide e irresponsabili allo stesso tempo, però…
“Conoscendo Satch questo genere di persone esistono, sarebbe logico non scartare questa ipotesi.” Rifletté coscienziosamente, dovendosi ricredere il secondo giorno dalla “scomparsa” del ragazzino, all’ora di pranzo.
La mensa era rumorosa come al solito vista la presenza dell’intera ciurma, ma un silenzio generale pervase la sala quando la porta d’entrata si aprì d’un tratto seguito da un ehi che riecheggiò tra i presenti, facendo inevitabilmente sorridere il vecchio Barbabianca.
“Scusate se ci ho messo un po’ a prendere la mia decisione.” Fece il giovane con un ghigno in volto, girandosi di schiena con ancora addosso la camicia gialla. “Non mi dispiacerebbe far parte di questa ciurma, quindi se siete d’accordo…” Lentamente si levò l’indumento di dosso rivelando, con stupore di tutti, il tatuaggio del Jolly Roger della ciurma. “…vorrei che tutti voi mi accettaste.” Concluse scatenando una serie di urla gioviali e ritrovandosi addosso la maggior parte dei comandanti delle rispettive flotte.
“Era ora, Ace!” Gli tirò un amichevole pacca sulla spalla il cuoco, sorridendogli raggiante. “Tutto merito dello Yin.” Annuì poi con se stesso, come al solito del resto.
“Sarà un piacere averti con noi.” Disse Izou con un sorriso amabile, lanciando poi un’occhiataccia al castano che intanto aveva cominciato a farneticare qualcosa comprensibile solo alla sua mente disturbata.
“Sono sicura che ci divertiremo molto insieme!” Esclamò entusiasta Halta, felice di potersi avvicinare maggiormente al nuovo arrivato.
“Concordo pienamente. Forse questa volta riuscirò a fare quattro chiacchere con te senza ricevere in risposta occhiate omicide.” Scherzò lo spadaccino, facendo inevitabilmente imbarazzare il corvino.
“Già, e a proposito di questo, volevo chiedere scusa per, insomma, tutti i problemi che vi ho causato.” Fece mortificato, grattandosi la nuca.
“Oh! Sembra che conosca persino un briciolo di educazione!” Fece nuovamente Vista buttandola sul ridere.
“Ahh, tranquillo, tranquillo! Nessun problema!” Disse Satch, arruffandogli i capelli corvini. “Sapevamo benissimo che una mezza calzetta come te non avrebbe potuto fare nemmeno un graffio a nostro padre! Giusto, papà!?” Rise, venendo immediatamente afferrato dal minore per la collottola della divisa da cuoco.
“A chi hai dato della mezza calzetta?!”
“Ohi! Guarda che adesso siamo una famiglia! Non puoi mica far del male a tuo fratello!”
“Se il fratello in questione se lo merita, allora…! Aspetta, h-hai detto che… siamo una famiglia?”
Il comandante in quarta annuì con ovvietà. Non gli sembrava di aver detto qualcosa di così strano.
“Una famiglia…” Mormorò il corvino rimanendo con lo sguardo perso nel vuoto, lasciando andare la presa sul compagno.
“Peccato. Non mi sarebbe dispiaciuto se ti avesse tirato un cazzotto.”
“I-Izou?!”
“Ace.” La voce forte e possente del vecchio Barbabianca lo distolse dai suoi pensieri.
Era lui l’uomo che doveva veramente accettarlo, la vera decisione spettava al Capitano, lo stesso che pochi giorni prima aveva tentato di assassinare nei modi più disparati.
“Vecchio, io…” Deglutì. Che cosa gli avrebbe dovuto dire?
“Benvenuto tra noi, figlio mio.” Lo interruppe l’Imperatore Bianco, regalandogli un caldo e paterno sorriso che mai gli era capitato di ricevere durante la sua vita.
Strinse pugni e denti con tutte le sue forze. Perché erano tutti così… spiazzanti? Quei sorrisi, quelle pacche, lui non si meritava nulla di tutto ciò, eppure… era felice, dannatamente felice. Per una volta avrebbe fatto anche lui la parte dell’egoista e se ne sarebbe infischiato di qualsiasi cosa. Ora solo la sua famiglia era la cosa più importante. Faceva strano pensarlo ma avrebbe dovuto farci l’abitudine: quella era la sua famiglia, adesso.
“Grazie di tutto.” Disse soltanto, suscitando le risa della sua nuova figura paterna.
“Gurararara! Ragazzi, facciamo un bel brindisi in onore del vostro nuovo fratello!” Urlò contento come un bambino alzando in alto il proprio boccale seguito a ruota da tutta la ciurma.
“Ad Ace!” Urlarono in coro i pirati, ridendo a loro volta sguaiatamente.
Il corvino passò lo sguardo su tutti quei calici alzati solo per lui e sulle espressioni allegre dei suoi nuovi compagni. Sembrava che tutti l’avessero accettato come un nuovo componente… o quasi. La sua attenzione si posò sull’uomo dai capelli biondi seduto di fianco al vecchio Barbabianca, lo stesso che due giorni prima gli aveva parlato, convincendolo a ragionare su cosa fare. Non pareva essere poi così entusiasta della notizia, la sua impressione era rimasta impassibile e le sue braccia costantemente incrociate al petto.
“Non devo stargli simpatico, a quanto pare…” Pensò Ace, assottigliando gli occhi in sua direzione. “Quello lì sembra sempre di cattivo umore, pensare che se sorridesse di più non sarebbe nemmeno tanto male…” Constatò dandosi mentalmente dell’idiota. Ma a che cavolo stava pensando? Su quel tipo, poi! Che importanza aveva se non gli stava simpatico, in un modo o nell’altro avrebbe dovuto accettarlo. A partire da adesso…
“Ehi! Tu con i capelli strani!” Urlò il ragazzo, facendo voltare praticamente tutti verso Marco, compreso Barbabianca, e questo non poté far altro che infastidire il biondo. Tra più di mille uomini, lui era quello con i capelli più strani?! Ma per favore!
“Avevi ragione! Quando si ha la pancia piena si ragiona meglio!” Sorrise smagliante, lasciandolo sorpreso e con l’ombra di un lieve sorriso in volto.
“Solo un ragazzino può fare certe cose.” Pensò divertito, rianimando lo spirito di Ace.
Il maggiore dei fratelli D. l’aveva visto anche se per un breve istante, il biondo gli aveva sorriso ancora! Quindi, in fondo, c’era ancora una speranza per farsi piacere da lui.
“Una sfida che vincerò sicuramente.” Pensò convinto il corvino, venendo trascinato subito dopo dagli altri a festeggiare.
 
****
 
Passarono svariate settimane dall’entrata ufficiale di Ace nella ciurma. Il ventenne era riuscito ad integrarsi perfettamente tra i pirati di Barbabianca, soprattutto con le relazioni di amicizia con questi ultimi, escludendo però la Fenice. Il comandante della prima flotta sembrava pressoché inavvicinabile, sempre serio e incredibilmente distaccato. Era come se interponesse un muro tra lui e gli altri, soprattutto con Ace.  Era vero che anche il pirata di fuoco, agli inizi, non era stato una delle persone più socievoli a questo mondo e che forse era riuscito a dare una cattiva impressione al biondo, ma le cose erano cambiate. Ora era più solare, sempre pronto a ridere e scherzare con tutti e ben disposto nel dare una mano quando ce ne fosse bisogno. Aveva provato più di un approccio per legare con il braccio destro di papà, ma tutto ciò che finiva per ottenere erano sguardi spenti e inespressivi e qualche “buongiorno, buon pomeriggio, buonanotte” se finiva per incontrarlo casualmente per la nave durante le varie parti della giornata. Oltre a ciò nient’altro, e questo non poteva far altro che infastidirlo. Cosa gli aveva fatto per ricevere una simile freddezza? Okay che quando lo aveva visto per la prima volta il suo primo pensiero era stato che lui sarebbe stato il secondo a venire ucciso, dopo il vecchio, ma lo aveva solo pensato… Che sapesse leggere nella mente, e che quindi si fosse offeso? Beh, non sembrava nemmeno il tipo che si offende facilmente, anche se era capace di fare espressioni piuttosto strane e buffe quando lo si chiamava “Testa d’ananas” o “Pennuto”, cosa che lui per adesso non si era azzardato a fare vista la già precaria situazione in fatto di simpatia, anche se doveva ammettere di aver avuto la forte tentazione di farlo, più di una volta.
Problema “Marco e il suo muro di ghiaccio” a parte, quando aveva del tempo libero –ovvero la maggior parte delle volte- Ace si divertiva in particolar modo a sfidare chiunque fosse disposto a combattere contro di lui. Voleva dimostrare il suo valore, far vedere che non era un ragazzino –come spesso solevano chiamarlo i pirati più anziani ed esperti di lui- e che ci sapeva fare.
Oggi era toccato a un certo Doma con la sua ciurma al completo.
“Tu sei Doma, giusto?” Chiese Ace increspando le proprie labbra in quel suo solito ghigno strafottente, infuocando subito dopo la propria mano, scagliandosi contro di lui e  i suoi uomini, sconfiggendoli.
“Wow! Ace ce l’ha fatta ancora!” Urlava euforico uno che aveva assistito allo scontro.
“È riuscito a costringere la ciurma di Doma ad arrendersi!” Lo seguì un altro.
Il giovane ragazzo non poteva sospettare a che tipo di svolta avrebbe portato quell’ennesima vittoria.
 
 
“Cosa? Io a comando della seconda flotta?” Fece sorpreso Pugno di fuoco a due dei suoi compagni.
“È da un po’ che non ha un capitano e se ci vai tu, di sicuro nessuno avrà da ridire.” Assicurarono i due.
“…”
 
“Eppure tu sei qui da più tempo di me, vero Teach? Sei sicuro che a te stia bene?” Domandò Ace all’uomo, addentando un pezzo di pane.
“Zeahahahah! Puoi stare tranquillo, a me non interessano questo genere di cose. Vacci tu, comandante Ace!” Gli sorrise smagliante Teach a suo modo, sebbene gli mancasse qualche dente.
Anche così dicendo il corvino non sembrava del tutto convinto di questa decisione. Sapeva bene che se le ombre riguardanti le sue origini fossero venute allo scoperto, avrebbe anche potuto sognarsi di stare a bordo della Moby Dick, figurarsi diventare comandante di una delle sedici flotte. Ma non poteva andare avanti così, avrebbe detto la verità al vecchio e avrebbe accettato le future conseguenze perché così doveva andare. Si era goduto il sogno di una famiglia tutta sua abbastanza, ora era arrivato il momento di svegliarsi e di andare avanti.
 
****
 
Si mise davanti alla porta della cabina di Barbabianca, tentennando un poco prima di bussare alla porta.
“Padre, posso entrare?” Chiese, rilasciando un profondo respiro quando sentì la voce del vecchio acconsentire alla sua richiesta. Si avvicinò al letto dell’Imperatore e subito dopo si sedette su di esso, fissando un punto davanti a sé, incapace di incrociare il suo sguardo.
“C’è una cosa importante di cui dovrei parlarti.” Disse, incuriosendo l’uomo e al contempo preoccupandolo a causa dell’espressione seria sul suo volto.
 
 
“Gurararara! Ma guarda un po’! Non me l’aspettavo proprio! Hai un carattere completamente diverso da quello di tuo padre!” Rise di gusto Barbabianca, al contrario di Ace, che rimase rigido per tutto il tempo.
“Era un tuo nemico, no? Ora che lo sai, mi vuoi cacciare?” Chiese retoricamente, rassegnandosi. Sapeva già la risposta a quella domanda.
Il vecchio gli sorrise maggiormente. “Quando hai detto che mi dovevi parlare mi aspettavo che volessi dirmi chissà che cosa, e poi te ne esci con questa bazzecola! Non importa chi ti abbia dato la vita, alla fine noi tutti siamo figli del mare! Gurararara!”
“…”
Non poteva davvero aver detto quello che aveva appena sentito. Perché non lo odiava? Perché non lo disprezzava come avrebbero fatto tutti? Perché anche lui accettava la sua esistenza? Lui che come minimo avrebbe dovuto buttarlo in mare, disgustato dal sangue che scorreva nelle sue vene.
Davvero, non capiva.
Si rimise in piedi, dando la buonanotte a quell’uomo fin troppo straordinario per lui, diretto verso la porta.
“Ah, Ace, che mi dici della tua nomina a comandante?”
Il corvino rimase in silenzio per svariati secondi, improvvisando poi un sorriso. “A dire il vero ci sto ancora pensando. Ti farò sapere il prima possibile, non preoccuparti. Buonanotte.” Augurò nuovamente, uscendo.
Barbabianca si rilassò ancora di più sul proprio letto, rimanendo a contemplare il soffitto con attenzione.
“Tu un figlio? Non me lo sarei mai aspettato da te, Roger ! Gurararara!”
 
****
 
Era inutile, per quanto si rigirasse nel letto, per quanto provasse a tenere gli occhi chiusi con forza, per quella notte non sarebbe riuscito a prendere sonno. Marco si levò di dosso il lenzuolo, volgendo uno sguardo all’orologio appeso ad una parete della sua cabina, notando che ormai si erano fatte le due del mattino. Sospirò, grattandosi la nuca e iniziando a infilarsi ai piedi i sandali, intenzionato a prendersi una boccata d’aria sul ponte. Vista l’ora, sicuramente non avrebbe trovato nessuno, ma se proprio doveva aspettarsi la presenza di qualcuno si sarebbe ritrovato sparsi qua e là corpi di uomini collassati dal troppo alcool, quindi, in ogni caso, sarebbe riuscito a godersi un briciolo di tranquillità. Una volta in piedi si stiracchiò a dovere, indossando la camicia viola prima di uscire dalla cabina e ritrovandosi in faccia un pugno sul naso che, seppur debole, non fece mancare il dolore.
“Oh, porca- Scusami! Non volevo farti male!”
Sentì dire dal ragazzo di fronte a lui che, preoccupato, aveva afferrato il volto del biondo, esaminandolo attentamente.
“Non esce sangue, quindi non ti ho fatto nulla. Meno male.” Sospirò con ancora le mani appoggiate sulle sue guance e lo sguardo del maggiore puntato addosso, con un sopracciglio alzato. Solo dopo aver incrociato i suoi occhi Ace si accorse della breve distanza che separava i loro volti e, con le gote imporporate di un leggero rosso, staccò le mani dal suo viso, iniziando a grattarsi la nuca, impacciato. Ancora quel dannato calore e non era di certo dovuto al suo frutto.
“I-io, insomma…”
“Cosa ci fai sveglio a quest’ora?” Lo interruppe la Fenice, facendo poco caso al suo atteggiamento, appoggiandosi allo stipite della porta e dandosi un’ultima massaggiata al naso.
“Avrei bisogno di parlarti.” Disse, guardando Marco ritornare in cabina.
“Forza.” Fece il maggiore, intimandogli con un cenno del capo di entrare.
 
 

“Allora? È forse successo qualcosa?” Chiese il biondo, sedendosi sul letto con i gomiti delle braccia appoggiati sulle gambe, le mani congiunte sotto il mento.
Ace chiuse la porta dietro di sé e, appoggiato ad essa, rimase in piedi. “Ho parlato con papà, poco fa.” Confessò, scaturendo del leggero stupore sul viso del compagno, che ritornò subito ad ascoltarlo con attenzione, senza proferir parola.
“Ma non è questo l’importante. Piuttosto, volevo porti una domanda.” Abbassò lo sguardo, incrociando le braccia al petto e pressando con forza la schiena contro il legno della porta. “Se-“
“Sei davvero sicuro di volermi fare questa domanda?” Lo interruppe per la seconda volta Marco, chiudendo gli occhi. Il linguaggio del corpo di Ace parlava chiaro.
“C-certo che sono sicuro! Non sarei qui, altrimenti!”
“Abbassa il tono di voce, ci sono persone che stanno dormendo.” Lo riprese con quella solita dannata calma che non mancava mai di contraddistinguerlo.
Ace strinse i denti.
“Evita di trattarmi come se fossi solo un bambino.”
“Bambino mi sembra esagerato. Diciamo un ragazzino immaturo.”
Lo stava provocando, era palese. Pensandoci gli avrebbe rifilato volentieri un pugno in faccia, zittendo una volta per tutte quella dannata voce, così calma e profonda da farlo impazzire. “Possiamo ritornare al perché sono qui?” Chiese, volendo evitare alcun tipo di lite. Non era il momento adatto.
Marco sviò lo sguardo di Ace per un attimo, concentrato a levarsi nuovamente la camicia di dosso. “Giusto, la tua domanda. Se proprio devi, dimmi.” Disse tranquillo, incrociando ancora gli occhi color nero pece del suo interlocutore.
“Conosci il pirata Gol D. Roger, no?” Storse il naso al solo pronunciare quel nome e questo, da acuto osservatore, non sfuggì al biondo.
“Naturalmente. Ho avuto l’onore di conoscerlo di persona, ai tempi.”
“E se ti dicessi che ha avuto un figlio? Cosa penseresti di lui?” Chiese, l’espressione incredibilmente seria.
Queste ultime due domande furono come un’illuminazione per Marco. Probabilmente era riuscito a intuire cosa turbasse Ace, e ogni movimento del suo corpo, in quel momento, anche il più piccolo tremore labiale stava dando conferma alla Fenice che la sua idea fosse corretta.
“Cosa penserei del figlio di Roger, dici? Credo che prima dovrei incontrarlo per farmi un’idea. “ Rispose incrociando le braccia al petto. “Era solo questo ciò che volevi-“
“Incontrarlo? Farti un’idea? Non ti basta sapere quali siano le sue origini?” A furia di tenere i denti stretti in quel modo la mascella stava cominciando man mano a fargli male, ma non gli importava.
“No, non mi basta. Quale idiota si baserebbe solo su questa informazione per giudicare qualcuno?” Si accigliò il biondo. “Si ereditano tratti del viso oppure del carattere dalle persone che ci mettono al mondo, ma non possiamo condannare una persona innocente per ciò che hanno fatto i loro genitori, si finirebbe nel pregiudizio in caso contrario. Tralasciando ciò, se Roger avesse davvero avuto un figlio, quest’ultimo dovrebbe andare orgoglioso di suo padre. È stato non solo un grande pirata, ma anche un uomo corretto, con dei giusti idea-“
“Smettila!” Urlò Ace, tirando un calcio contro la porta, infiammando un pugno.
“Di fare cosa?” Marco si alzò dal letto, iniziando a fare pochi passi in sua direzione. “Cos’è che ti fa innervosire, Ace?” Gli chiese, avvicinandosi sempre di più.
“Il fatto che sia tu che papà perdoniate la mia esistenza! Hai cominciato persino a giustificare le azioni di quel maledetto!” Ringhiò, avvertendo un groppo in gola. Voleva, doveva sfogarsi.
“Che ragazzo problematico.” Sospirò il biondo, ricoprendo a sua volta una mano con delle fiamme azzurre. “Ace.” Lo chiamò, afferrando la sua mano, intrecciando le dita con quelle del moro, facendolo sobbalzare per la sorpresa. Non solo perché si era accorto solo adesso di quanto Marco avesse ridotto la vicinanza che c’era tra loro, ma anche perché il potere del frutto del biondo stava cominciando a fargli uno strano effetto.
Il battito cardiaco, prima irregolare a causa della rabbia, stava lentamente cominciando a stabilizzarsi e, inoltre, osservare l’azzurro delle sue fiamme avvolgere il rosso delle proprie lo stava aiutando a ritrovare non solo la pacatezza di cui il suo carattere emotivamente instabile aveva bisogno, ma anche quella sicurezza che sentiva di poter trovare con Marco, pur non capendone il perché. Il rosso e l’azzurro delle loro fiamme, insieme, erano uno spettacolo meraviglioso e ipnotizzante. Era incredibile vedere quanto due colori così diversi sembrassero così perfetti l’uno per l’altro.
“Ehi.” Lo chiamò ancora la Fenice, ridestandolo. “Vedo che ti sei calmato.” Gli sorrise appena, lasciando andare la presa sulla mano di Ace, con dispiacere velato da parte di quest’ultimo.
“Immagino che papà ti abbia detto lo stesso che ti ho detto io, non è così?”
Il corvino annuì impercettibilmente, voltando lo sguardo su qualsiasi altra cosa ci fosse nella stanza che non fosse Marco.
“Allora mi chiedo, perché hai voluto parlarne anche con me?”
Il pirata di fuoco scrollò le spalle. “Non lo so, forse perché sento di potermi fidare di te. Sciocco, no? L’unico a cui credo di stare antipatico sulla nave è anche l’unico con cui sento di potermi confidare, nonostante tu mi abbia rivolto la parola pochissime volte.”
“Antipatico? Tu non mi stai antipatico, Ace.” Chiarì Marco, rimasto leggermente perplesso alle sue parole.
Ace alzò un sopracciglio, scettico. “Come no. Sai anche io faccio così, con i miei amici cerco di non parlare mai, ma con i miei nemici faccio volentieri quattro chiacchere in un combattimento, meglio se c’è anche del cibo di mezzo!” Fece ironico, facendolo sorridere.
“Questa è la terza volta in cui riesco a vedere il suo sorriso.” Pensò soddisfatto, cercando di godersi il più possibile quel momento che durò giusto un attimo, sfortunatamente.
“Sul serio, anzi, non mi dispiaci affatto, ragazzino.” Assicurò convinto, appoggiando il palmo della mano destra contro la porta, bloccandolo tra essa e il suo corpo. “Dovresti affinare il tuo spirito di osservazione, Ace. Se fossi stato più attento avresti potuto notare che, nonostante non ti parlassi molto, quando ne avevo l’opportunità, avevo sempre un occhio di riguardo per te.” Confessò, notando con divertimento che queste sue parole furono la causa del rossore che si fece largo tra le lentiggini del corvino.
“C-che cavolo sei? Uno stalker?” Balbettò mettendola sul ridere, così da poter sviare l’attenzione sul suo imbarazzo. Maledizione a lui!
“Ascoltami.” Riacquistò un’aria seria il biondo, picchiettando ripetutamente l’indice sulla fronte di Ace. “Levati dalla testa ogni pensiero inutile. Tu sei tu e basta. Qui davanti ho Portuguese D. Ace, un ragazzino irruento, testardo, folle, simpatico e altruista. Non sarai mai giudicato come il figlio di qualcuno, non qui, ma credevo che questo l’avessi capito dopo averci conosciuti. Quindi cerca solo di continuare a vivere con la tua solita energia e quel grande sorriso luminoso che possiedi. Non ti sembra un’alternativa migliore alla sofferenza?” Concluse, incapace di vedere il volto del minore a causa dello sguardo abbassato. Poté solo notare le sue spalle sobbalzare impercettibilmente e qualche lacrima cadere verso il pavimento.
Il biondo si grattò la nuca, non sapendo più che fare.
“Ace.”
“Non guardarmi!” Fece sulla difensiva il moro, portando l’avambraccio sinistro sulla fronte, tentando invano di coprirsi. “Sono patetico, vero? Quando ero piccolo riprendevo spesso mio fratello minore se piangeva, gli dicevo che i veri uomini non piangono. Forse se adesso mi vedesse mi rinfaccerebbe le mie stesse parole.” Mormorò tirando su col naso, tentando di asciugarsi le guance umide con il dorso dell’altra mano.
“L’ho già detto che sei un ragazzino problematico?” Sospirò, avvolgendo le proprie braccia attorno alle sue spalle, così da poterlo avvicinare a sé, abbracciandolo. “Sfogarsi è un bene, non c’è nulla di cui vergognarsi se a volte si piange. Anche gli uomini più forti hanno bisogno di lasciarsi andare alle proprie emozioni.” Provò a tranquillizzarlo, iniziando ad accarezzare con movimenti lenti e delicati la capigliatura morbida del corvino.
“Lo stai facendo ancora.” Bofonchiò Ace contro il suo petto, staccandosi per poi tirare ancora su col naso.
“Cosa?”
“Mi tratti come un marmocchio.”
Marco sogghignò, scompigliandogli i capelli. “Beh, lo sei.” Lo provocò.
Ace gli tirò un amichevole pugno sulla spalla. “Non ero un ragazzino immaturo?” Gli ricordò quello che lui stesso gli aveva detto prima.
“Sembra tu sia regredito maggiormente.” Disse, ricevendo un’occhiataccia da parte del minore. “Sto scherzando.”
“I tuoi scherzi non fanno ridere.”
Istintivamente, senza pensarci due volte, tornò ad appoggiare la testa  sulla spalla di Marco, inebriandosi dell’odore della salsedine sulla sua pelle.
“Quindi, per ringraziarti a dovere, credo che mi darò come missione farti sorridere il più possibile. È uno spreco vederti sempre così serio quando sei capace di fare dei sorrisi bellissimi, Pennuto…” Mormorò, addormentandosi beatamente su di lui.
Il biondo sorrise ancora.
“Solo uno come lui può riuscire a cadere nel mondo dei sogni in piedi.” Sospirò sorvolando sul fatto che anche lui avesse cominciato a chiamarlo con uno di quegli stupidi nomignoli.
Portandogli un braccio attorno al collo, lo accompagnò fino al letto, facendolo sdraiare su di esso. Si sedette al suo fianco, accavallando le gambe, osservando l'espressione serena del ragazzo. Avvicinò una mano sul suo viso, scostandogli dagli occhi alcuni ciuffi.
"Che Satch ci avesse azzeccato con la storia dello Yin e dello Yang?"
 
****
 
La mattina seguente, Ace si risvegliò avvolto da un lenzuolo, in un letto e in una cabina che, da come poté notare dopo essersi strofinato gli occhi, non erano i suoi. Alzò il busto di scatto, scoprendosi. La domanda che cavolo ci faccio io nella cabina di Marco? gli venne subito in mente, ma altrettanto in mente gli vennero i ricordi di ciò di cui aveva parlato con il biondo, ore fa. Si portò le mani sul volto, dandosi dell’idiota.
“Perché mi sono dimostrato così debole?! Altro che marmocchio, tra poco finirà per mettermi un ciuccio in bocca!”
Mise i piedi a terra e, infilandosi gli anfibi che molto probabilmente gli erano stati tolti dalla Fenice, uscì dalla cabina, diretto sul ponte.
“Oh, ecco il nostro nuovo comandante!” Esclamò Satch, afferrandolo da dietro per le spalle.
“Nuovo che…?” Fece in tempo a dire, venendo portato a forza dal cuoco chissà dove. “Oi, Satch!”
“Su, su, guarda che bella sorpresa abbiamo preparato!” Sorrise raggiante, girando l’angolo, così da potergli mostrare la festa organizzata in suo onore. C’era la ciurma al completo, persino papà, e al suo fianco vi era il comandante in prima con un boccale in mano.
“Finalmente ti sei svegliato.” Fece Marco, indicando con un cenno del capo a Satch di farlo sedere. “Come puoi ben vedere ci siamo tutti e, dopo averlo messo ai voti, posso dirti che sei diventato ufficialmente il comandante della seconda flotta!” Alzò in alto il proprio boccale, seguito a ruota dagli altri.
Il corvino rimase per un attimo spaesato, ma ci pensò subito il biondo a metterlo a suo agio.
“Hei, questa festa è per te! Cosa ci fai con le mani in mano? Tieni!” Disse, ficcando nella sua bocca un cosciotto di carne, che il nuovo comandante in seconda si gustò in pochi bocconi, iniziando poi a rimpinzarsi a tal punto dall’arrivare a strozzarsi.
“Tieni qua.” Gli passò da bere il castano, salvandolo. “Guarda che il cibo non scappa mica, e visto che la festa è per te puoi-“
Un sonoro russare lo interruppe. Ace era caduto vittima di uno dei suoi attacchi narcolettici.
“Non può essersi addormentato!” Urlarono scandalizzati i pirati, scoppiando poi a ridere gioiosamente.
Quel giovane ragazzo dall’aria pestifera sarebbe riuscito a portare sicuramente un’aria nuova sulla Moby Dick e nella vita di un certo biondino dalla capigliatura bizzarra.
Perché Marco, in fondo, avrebbe dovuto dar ragione a Satch:
“Gli opposti si attraggono, si cercano, si completano perché si donano reciprocamente quello che individualmente non hanno e rappresentano anche un'attrattiva di reciproca curiosità.”
 
 
 
 Angolo autrice:

Okay, boh. Sto diventando schifosamente monotona con questi due, lo so.
Per chi ha letto la raccolta incentrata sulla Marco/Ace, saprà che avevo accennato ad una scena in cui Ace confida a Marco di essere figlio dell’Innominabile e… basta. Spero possa essere piaciuta anche se un po’ lunghetta, e spero non me ne vogliate se ho reso Marco fin troppo distaccato con Ace all’inizio, come in realtà non è nell’anime. Chiunque voglia recensire per farmi sapere la propria opinione è sempre ben accetto! ^^
Un bacione! :3
  
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