Pioveva, e anche tanto. Non era tempo di quelle giornate perfette, non lo erano affatto. Era estate, ma un estate diversa,  era il mese di Luglio, nell’ anno 2034, e pioveva. Finora so dirvi solo che pioveva talmente tanto che la luce era saltata, e le persiane sbattevano contro le finestre, avevo la torcia sotto braccio, naturalmente accesa, dovevo leggere un libro a mia scelta, come compito di scuola, solo che a casa non avevo la voglia di leggere, quindi presi una matita e mi misi vicino la finestra a disegnare quello che vedevo, piccole gocce che sbattevano contro il barbecue che papà aveva costruito da poco.
Non vedevo il sole da molti giorni, le auto oramai non potevano camminare, la gente era costretta ad uscire a piedi o con delle piccole barche meccaniche chiamate  barcopoli. Non ne avevo mai avuta una, era per i nobili, non per persone semplici come i miei genitori. A loro piaceva cucinare, non comprare il cibo disidratato per poi metterlo nel forno e mangiarlo. A loro piaceva uscire a piedi, non con la macchina. A loro piaceva scrivere a mano, non al computer. A loro piaceva leggere un libro di carta, non un e-book.
Le famiglie dei miei amici non venivano mai a cena da noi, avevano paura che mamma lì avvelenasse con il cibo fatto in casa. Se non fosse per mia cugina Charly che mi fece integrare in classe io non avrei amici. Veramente anche lei in questi ultimi tempi mi evitava, aveva conosciuto un ragazzo del quinto superiore. Perché per quanto sia proibito fare i fidanzati in pubblico, a Ghirty, puoi stare con un amico in posti limitati ed accessibili solo se si è in due.
Mamma diceva di uscire, prendere aria, magari con qualche amica.. ma mamma era rimasta indietro, ora se uscivi con un amica e scherzavi ti mandavano al riformatorio. A volte mi chiedo com’era la vita dieci anni fa. Se mi sarei divertita davvero o se sarei stata sola come sto in questi giorni.
-Driin, driin- era il telefono, squillava di rado, perché i miei preferivano spedire lettere. -Alease, vai al telefono perfavore!- disse una voce tranquilla, quella di mia madre, loro non erano severi con me, erano solo antichi.-Va bene mamma.-
Stavo disegnando, e non c’è cosa peggiore del disturbarmi mentre disegno. Scesi le scale in fretta, e alzai la cornetta:-Pronto?-dissi io.
Una voce maschile dall’altro lato del telefono:-Pa-pa-parlo con la famiglia Pa-palmer?-era un ragazzo sicuramente timido.
-Sì, chi sei e chi cerchi?- dissi fredda.
-La signora è in casa? So-sono il ragazzo che dovreste prendere in famiglia, de-dell’ orfanatrofio Berkinson, a ve-venti chilometri da-da Londra.-Era uno scherzo telefonico sicuramente, ma decisi di fare un dispetto a mia madre per l’avermi fatto perdere la concentrazione mentre disegnavo.
-Un secondo che gliela passo- Allontanai la bocca della cornetta e urlai il nome di mia madre, che corse subito.
-Pronto?- disse mia madre sicura di se e con un sorriso a 32 denti stampato in faccia. 
Si senti parlare dall’altro lato del telefono, ma non capivo cosa diceva, forse non pensava che gliel’avessi passata ed ora era in panico.-Sìsì, allora per le 17:00 vieni qui, saremo felicissimi di ospitarti Theo-.
THEO?SAREMO FELICISSIMI DI OSPITARTI?MA CHE RAZZA DI SHERZO E’ QUESTO?
-Mamma, mi devi delle spiegazioni!- dissi arrabiata.-Certo Alease, mettiti a sedere-.