Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: thyandra    10/08/2014    1 recensioni
"Quegli occhi fieri continuano a guardarmi, gli occhi di qualcuno che sa di dover morire, di qualcuno consapevole della propria impotenza, di qualcuno che non gli si è arreso. Il riflesso dello scherno sta già velocemente impallidendo, sbiadendo il nero profondo di queste pupille. Alla fine, c'è solo morte. Anche su quelle mani.
Mi biasimi per la mia esitazione, non è vero? Mi disprezzi per il potere che ho avuto sulla tua gente inerme. L'attizzatoio rimane stretto tra le dita serrate, mentre queste perdono gradualmente calore, avvinte dal gelo della neve, prima che di quello della morte stessa.
"Hai già fatto, Itachi-san?" mi chiede una voce con una punta di sarcasmo alle mie spalle. Sento il rumore di un altro affondo, il lacerarsi della carne e un ultimo gemito. Non rispondo, continuando a guardare le esili mani del ragazzino, mentre lui continua a giacere immobile in quel gelido sudario, indisturbato dalla mia scortesia.
La neve ha cambiato colore anche in questo villaggio.
"
[Itachi POV]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Kisame Hoshigaki, Shisui Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Orme sporche sulla neve,
noi siamo

 




La vedi, la neve?

 

Mi sveglio al sentore di una scia umida sulla guancia. Apro di scatto gli occhi, restando momentaneamente cieco per l'oscurità che mi avvolge, prima di riprendere padronanza di me e ricordarmi dove mi trovo. Un respiro regolare e pesante a poca distanza mi rammenta di non essere solo. Porto una mano al viso, cancellando la traccia del sogno appena passato, ritirandola più umida di quanto mi aspettassi. Comincio a sentire freddo e solo allora mi rendo conto di essere madido di sudore.

Chiudo di nuovo gli occhi, senza sperare di riuscire a riprendere sonno. Il gusto amaro che ho in bocca non è dovuto al sangue che già macchia la mia branda, lì dove fino a poco prima giacevo addormentato.

La vedi, la neve?

Quella frase continua a ronzarmi in testa, un ricordo che credevo perduto. Che invece permane nella mia memoria, ripresentandosi, inaspettato.

Chiudere gli occhi è stato un errore.

Prima che possa rendermene conto, il suo viso compare davanti alle mie palpebre chiuse, una lunga fila di denti bianchi e scoperti in un ampio sorriso familiare; la mano protesa, un piccolo involto colorato, rozzamente circondato da nastro lucido. Mi vedo sorridere a mia volta.

All'improvviso quel sorriso fa male. Quel pacchetto regalo scotta tra le mie mani, mentre mi vedo rigirarlo e scuoterlo, tentando di indovinarne il contenuto.

La vedi, la neve?

No, a quel tempo non la vedevo.

 

 

***

 

 

Il paesaggio del Paese del ferro è monotono e immobile, avvolto sotto una coltre di biancore persistente. Il freddo si insinua sotto i vestiti pesanti, dentro le calzature ninja e tra le fessure dei bottoni, pungolando la pelle fredda fino a sottometterla, intorpidendola.

Il sole è alto all'orizzonte, quando arriviamo alla baita dove il nostro cliente ci attende. Un lavoretto facile e veloce, aveva annunciato Pain, qualche giorno prima, affidandoci l'incarico. Una missione da svolgere in poche ore.

La pigrizia dei miei muscoli passa inosservata nel gelo, mentre le nostre orme sulla neve vengono cancellate da uno strato fresco. Piccoli fiocchi mi si depositano tra i capelli e sui vestiti, mentre avanziamo verso la nostra meta. Non ho chiuso occhio, stanotte. Avrei dovuto aspettarmelo, col suo sorriso a ricordarmi che giorno è oggi, a far la veglia con me. Oggi che sarebbe stato il suo compleanno.

Kisame non sembra infastidito da tutto quel ghiaccio, anzi direi quasi che si sente a suo agio. L'acqua è il suo elemento, d'altronde. Eppure il suo ghigno non sembra dovuto alle condizioni climatiche.

Un lavoretto da niente, penso. Probabilmente un massacro di civili.

Un uomo sulla quarantina ci attende davanti a un camino acceso. Le mani guantate reggono un bastone da passeggio col manico ricurvo, un artiglio da predatore. Ci offre delle tazze fumanti che entrambi rifiutiamo, desiderando sbrigarci il più in fretta possibile. Possibilmente prima che smettano di emettere vapore.

Ci spiega il nostro compito con poche parole affettate, raccomandandoci la massima discrezione. Annuisco, è come pensavo. Un massacro. Una faida di potere.

 

 

***

 

 

 

Appartengono ad un ragazzino, quegli occhi pieni di terrore che scrutano dritto dentro i miei, senza fondo. Non smette di brandirmi contro l'attizzatoio del caminetto, combattivo. Hanno voglia di vivere, quelle iridi color carbone, non vogliono sottomettersi ad una muta disperazione. Non vogliono credere a ciò che riflettono.

Per un attimo che ferma la mia mano ad un soffio dalla sua pelle, negli occhi di quell'estraneo, di quel ragazzino, scorgo un ricordo. Doloroso quanto una felicità perduta, mi fa mancare il respiro. Sono occhi mai dimenticati, eppure sepolti sotto la mia coscienza, quelli. Ma è solo un istante, e la mia mano deve muoversi silenziosa ed agile. Il ragazzino scivola sulla neve candida con un fruscio lieve, colorandola di un rosso scuro e denso, mentre la morte giunge all'istante, senza dolore. Senza battito di ciglia. Quegli occhi fieri continuano a guardarmi, gli occhi di qualcuno che sa di dover morire, di qualcuno consapevole della propria impotenza, di qualcuno che non gli si è arreso. Il riflesso dello scherno sta già velocemente impallidendo, sbiadendo il nero profondo di queste pupille. Alla fine, c'è solo morte. Anche su quelle mani.

Mi biasimi per la mia esitazione, non è vero? Mi disprezzi per il potere che ho avuto sulla tua gente inerme. L'attizzatoio rimane stretto tra le dita serrate, mentre queste perdono gradualmente calore, avvinte dal gelo della neve, prima che di quello della morte stessa.

"Hai già fatto, Itachi-san?" mi chiede una voce con una punta di sarcasmo alle mie spalle. Sento il rumore di un altro affondo, il lacerarsi della carne e un ultimo gemito. Non rispondo, continuando a guardare le esili mani del ragazzino, mentre lui continua a giacere immobile in quel gelido sudario, indisturbato dalla mia scortesia.

La neve ha cambiato colore anche in questo villaggio.

Distolgo lo sguardo da quelle pupille mentre il suono ovattato dei passi del mio compagno mi raggiunge lentamente. "La mia Samehada non si è divertita neanche un po'", dice, e la spada freme tra le sue squame umide di rosso, quasi a conferma delle sue parole.

Non faccio commenti, ma per un istante lo guardo negli occhi. Scorgo l'accenno di un sentimento estraneo alla freddezza, in quelle iridi animalesche. "Un lavoro troppo facile," aggiunge con un ghigno enigmatico. Se non conoscessi bene il luccichio di sangue che gli illumina quegli occhi da predatore quando combatte, direi che quel riflesso opaco che ho intravisto fosse biasimo.

Si rimette l'enorme spada in spalla, precedendomi sulla via del ritorno, come tagliando sul nascere quella strana conversazione.

Se non ci fossero i nostri coprifronte sfregiati a ricordarmi che siamo mostri avidi di questo sangue, direi quasi che sia la colpa a guidare le nostre orme sporche su questo manto bianco d'oblio, in questo momento.

 

***

 

Nevica anche qui, ai confini della terra del fuoco.

Alzo il viso ad incontrare quella gelida carezza. Alcuni fiocchi di brina si incastrano ancora tra i miei capelli, bagnano i miei vestiti da nukenin, continuano a volteggiare lievi in piccoli mulinelli che si beffano del mondo circostante. Cade, la neve, ancora e ancora; ricopre tutto.

All'improvviso sono ancora lì, tra quella neve indifferente, quei due volti ora compagni del gelo. Mi scrutano, e i loro occhi d'ossidiana sono solo per me. L'opacità di quelle pupille è il loro benvenuto.

Sbatto le palpebre, cercando di focalizzarli meglio. Ma loro non sono più lì. Sono nella mia memoria, adesso, sono un unico ricordo che sfuma agli angoli.

Occhi neri, combattivi, grandi e dal taglio giovane si sovrappongono ad un sorriso caldo, maturo, una piega gentile formata da una fila di denti bianchissimi. Occhi spenti, morti, accusatori, mi fissano da dietro un paio di labbra ancora piegate all'insù, che puzzano adesso di scusa, di addio e parole non dette. Una mano protesa e un piccolo oggettino colorato. Un attizzatoio nell'altra, stretta a pugno. Morte, su entrambi. Sangue, su di me.

Neve. Neve, ora bianchissima, ora non più.

Neve che copre ogni cosa, eccetto il sangue.

Non mi accorgo di aver allungato il palmo davanti a me, di aver raccolto quei piccoli cristalli di ghiaccio sulla mia mano protesa. Il freddo mi ha fatto perdere la sensibilità dell'arto, quindi me ne accorgo solo quando riapro gli occhi. Non ricordavo di aver chiuso neanche quelli.

"La vedi, la neve?"

Con le occhiaie pesanti, da assassino, che incorniciano queste iridi peccatrici, così ingannevolmente simili a quelle del ricordo, abbraccio il paesaggio per un'ultima volta. Domani ripartiremo all'alba, lasciandoci dietro questo clima inospitale. Ma quel sorriso ormai freddo continuerà a seguirmi, accarezzerà ancora il mio volto con mani di rimpianto, di dolore, con la freddezza della neve che perdura nel ricordo.

Fiocchi di memoria si depositano sulle mie palpebre chiuse, scivolando giù come lacrime, mentre riporto alla coscienza quel giorno.

 

 

"Che aspetti? Aprilo." Mi incitò una voce pacata, una punta di allegria sotto il suo solito tono tranquillo. Presi tempo guardando Shisui negli occhi, ringraziandolo tacitamente per quel pensiero. Mi sorrise, tra noi non servivano parole superflue. Il suo sorriso era caldo.

Volsi allora lo sguardo al piccolo involto colorato tra le mie mani, scartandolo senza fretta. Lo vidi irrigidirsi d'attesa, aspettando il mio giudizio.

Tolsi i residui di nastro adesivo e ciò che accolse il mio sguardo mi lasciò un attimo perplesso. Era una palla di vetro con dentro una minuscola riproduzione del paese del Ferro. Non avevo mai visto souvenir simili.

"Scuotila" suggerì Shisui. Obbedii, dubbioso. Era proprio un regalo inusuale. "La vedi, la neve?" mi chiese, e io posai nuovamente lo sguardo sulla pallina di vetro. Piccoli coriandoli bianchi turbinavano dentro l'oggettino, riproducendo in modo un po' approssimativo il fenomeno atmosferico. Non avevo mai visto prima la neve, ma da come era descritta nei libri doveva essere molto più bella di quella lì. Ma annuii, sorridendo a mia volta, ringraziando di nuovo Shisui per quel piccolo dono. Doveva essersene ricordato anche lui, che non avevo mai visto la neve, mentre era in missione in quella terra straniera.

 

A quel tempo non potevamo presagire cosa sarebbe accaduto di lì a qualche anno. A quel tempo il sorriso di Shisui era un sorriso vero.

Sento una familiare stretta all'altezza del cuore, continuando a contemplare quel viso familiare abbracciato dai confini sfumati del tempo, della colpa. I suoi occhi neri ancora vispi, sotto un'apparenza mite e riservata. La sua ironia pacata, sottile. Il suono della sua risata, breve e sommessa. Le lunghe discussioni nella radura delle querce, poco fuori il villaggio. Il modo in cui i suoi occhi carbone si illuminavano d'interesse, quando per caso toccavamo un particolare argomento. La piega che assumevano le sue braccia, tese e all'erta, durante i nostri allenamenti. I nostri incontri sempre meno frequenti, l'amarezza in agguato dietro l'angolo, subito dissimulata con un sorriso.

 

Lo vidi rabbrividire appena sotto la brezza leggera di quella sera estiva, sollevando una mano in un gesto di saluto. Mi voltai. I sottoposti di mio padre risposero al saluto, entrando dentro la sala delle riunioni del clan.

Fissò il punto dietro il quale erano scomparsi con un'espressione imperscrutabile, prima di rivolgersi di nuovo verso di me. "Fa freddo, ultimamente, non è vero? Quasi come nevicasse. Un freddo che entra nelle ossa, che non fa dormire di notte." scherzò per mascherare quel tremore, un po' troppo serio per quel sorriso che adesso incorniciava le sue labbra. Era il primo sorriso amaro che gli vedevo fare. Per qualche motivo che ancora ignoravo, mi faceva diventare inquieto. "La neve copre qualsiasi cosa, sai? Non importa cosa stia sotto."

"Shisui..." incominciai, un po' incerto. Avevo una brutta sensazione. Non tentò più di sorridere, mentre sussurrava: "Spero che tu non debba vederla mai."

Lo sguardo d'apprensione che gli lanciai dovette essere abbastanza palese, perché fece subito dietrofront, scusandosi goffamente.

"Sai, io la neve la odio."

Il sorriso con cui accompagnò quelle parole non mi rassicurò affatto.

 

Rivedo quel tuo ultimo sorriso spento, così poco familiare, quel sorriso che mi conferma che non ci sono più speranze; le tue orbite vuote, chiuse e coperte di sangue rappreso.

E ripenso a come, poco prima della fine, la neve avesse assunto un significato diverso, il messaggio in codice che non avevo saputo cogliere. Tu sapevi già, a quel tempo; volevi prepararmi al peso della verità.

I tuoi occhi erano illuminati di scusa, quando il nostro sguardo si era incrociato, quella volta.

 

Aveva la divisa del corpo di polizia, Shisui.

Mi tolsi la maschera per incontrare i suoi occhi, assicurarmi che quel lampo di dolore fosse solo un mia svista. Non lo era.

Era in piedi sul tetto della panetteria, una mano appoggiata al caminetto fumante, l'altra stretta in un pugno impotente, rabbioso, stesa lungo il suo fianco. Non disse nulla, Shisui, ma quel solo incontro parlava da sé.

Io ero di ritorno dal palazzo dell'hokage e lui lo sapeva. Lo aveva saputo per tutti questi giorni, mentre mi seguiva senza una parola ovunque andassi, aspettando una meta precisa.

Non avevamo incrociato gli occhi neanche una volta, in tutto quel tempo, quasi un tacito accordo, quando tra le ombre alle mie spalle scorgevo la sua sagoma familiare sparire rapidamente. Sapevamo già entrambi che era inevitabile, solo una questione di tempo.

Eravamo entrambi in missione segreta. Eravamo nemici, per la prima volta.

"Ehi, Itachi" dicesti. "La vedi, adesso, la neve?"

 

 

 

Riapro gli occhi.

Quella fu la prima notte in cui la vidi davvero, la neve che la guerra aveva fatto cadere sull'intero clan, un manto di ambizione che schiaccia qualsiasi altro pensiero, coprendolo con l'oblio gelido di una morte candida, mai combattuta.

Avrei voluto che nessuno di noi la vedesse mai una neve così, Shisui. Avrei voluto far qualcosa per te, ma non ho fatto in tempo.

 

 












Angolino di thyandra:
Non ci posso credere che sto postando davvero questa storia, devo essere impazzita D: L'avevo scritta mesi fa in un tentativo di approfondire il legame tra Shisui e Itachi, poi successivamente messa da parte con l'uscita dei filler sull'arco ANBU perché... beh, quelle puntate, seppure filler, mi hanno sgretolato la storia: Shisui non avrebbe taciuto di fronte al suo migliore amico, cavoli, non l'avrei fatto neanche io, al posto suo XD 
Quindi perché la sto postando adesso, direte voi? Eh, bella domanda XD Diciamo che a parte quel dettaglio (manco tanto indifferente) la storia mi piaciucchia (sarà perché c'è anche Kisame). E diciamo che piaceva di più a chi mi ha chiesto di postarla
Siate buoni, fatemi sapere cosa ne avete pensato, se siete arrivati a leggere fin qui!
thyandra ^.^

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: thyandra