Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    11/08/2014    5 recensioni
"Kuroko Tetsuya, giovane promessa del basket conosciuto come: "Il sesto uomo fantasma della Generazione dei Miracoli", trovato impiccato nel suo piccolo appartamento di periferia.”: questo è ciò che i giornali riportano in una fredda mattina di febbraio.
Tuttavia basta una più attenta osservazione per capire che non si tratta di suicidio e, fin da subito, il cerchio dei presunti colpevoli si restringe attorno ai grandi talenti del basket, a coloro che più sono stati vicini a Kuroko. Adesso che il nodo di congiunzione si è sciolto, gli ingranaggi si romperanno di nuovo.
«Il nodo di congiunzione che li aveva tenuti uniti si era sciolto, distrutto in una piovosa giornata di febbraio: le anime che si erano ritrovate grazie a Kuroko sarebbero ricadute molto presto nella malattia, si sarebbero allontanate e non avrebbero più avuto occasione di riavvicinarsi.
Da quel giorno in avanti, la spaccatura che Kuroko era riuscito a riparare si sarebbe tramutata in una voragine nera che li avrebbe risucchiati tutti, li avrebbe consumati e distrutti, dal primo all'ultimo.»

Accenni: KagaKuro; KuroMomo (altri, leggeri leggeri)
Coppie: AoKise
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiseki No Sedai, Satsuki Momoi, Taiga Kagami
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo IV



«Non ce la faccio più, mi stanno tutti addosso.»

Forse perché il viaggio verso casa gli sembrò più noioso del solito, forse perché l'ennesimo interrogatorio passato sotto le pressioni di un Aomine ormai al limite della nevrosi lo aveva avvilito, Murasakibara inviò quell'sms e si rifiutò di scostare i propri occhi dallo screensaver del cellulare fino a quando non ricevette risposta.

«Sta calmo, Atsushi. Vedrai che andrà tutto bene.»

Murasakibara, però, non era così sicuro, soprattutto perché, nonostante provenissero da Hinuro, quelle parole erano troppo fredde: erano semplici caratteri digitali che non avrebbe mai sentito pronunciare realmente dalla sua voce, a meno che non lo avesse chiamato.


Kise ci metteva sempre un'eternità per prepararsi ad uscire, così capitava spesso che Aomine si ritrovasse seduto sul suo divano ad osservare ogni angolo della casa nel tentativo di distrarsi ed ammazzare il tempo.
Quella sera iniziò come una delle tante, ma si concluse in un modo differente.
La morte di Kuroko aveva sortito effetti differenti su ognuno degli ex membri della Generazione dei Miracoli: c'era chi aveva risentito relativamente poco di quella notizia e chi, come lui, molto, e questo perché gli sembrava di ritrovarsi schiacciato tra due forze di egual misura ed impossibili da respingere o anche solo da ignorare.
Aomine passava le giornate a cercare di districare un intreccio troppo stretto e ingarbugliato nel quale, oltre tutto, giocava anche una buona dose di vita personale: a volte, quando si coricava a letto dopo un lungo pomeriggio passato a fare domande e pressione sui sospettati, si sentiva in colpa verso di loro, si chiedeva cosa fosse successo, ripeteva fra sé e sé che non era vero, che Kuroko non era morto.
Perché era morto? Qualcuno l'aveva ucciso? No, impossibile: nessuno avrebbe mai potuto uccidere una persona come Kuroko.
Daiki faceva ancora fatica ad accettare la realtà, come faceva fatica a convivere con l'idea che Kise non avesse un alibi e che quindi fosse uno dei più papabili al ruolo di assassino.
Nel caso Kise fosse stato il colpevole, Aomine aveva già deciso: aveva scelto lui, a discapito del lavoro, a costo di diventare un poliziotto corrotto, al servizio delle ingiustizie. Nonostante avesse già le idee chiare su come agire, Daiki non riusciva davvero ad immaginarsi mentre prendeva le parti di un assassino e voltava le spalle al posto che gli era costato così tanta fatica, e allora pensò che per capire quale sarebbe stata la vera cosa giusta da fare avrebbe dovuto trovarsi nella situazione incriminante che tanto temeva.
Daiki decise di sfruttare la sua indecisione e quei pensieri troppo intricati a suo favore, come giustificazione per cominciare un piccolo e segreto sopraluogo a casa Kise.
Non era in servizio in quel momento, dunque la cosa si sarebbe potuta risolvere fra loro o, visto che Kise era ancora chiuso in bagno - o in camera? -, non avrebbe detto nulla e si sarebbe concesso ancora un po' di tempo per ragionare sul da farsi.
Così, quella sera, Aomine si alzò dal divano e decise di ammazzare il tempo impiegando non solo gli occhi, ma anche le mani e i piedi, aggirandosi per il salotto per guardarsi meglio intorno e aprire i cassetti, frugare al loro interno nella speranza di non trovare nulla di compromettente.
Dopo aver aperto tre cassetti, Aomine si disse che forse avrebbe dovuto smettere, che era impensabile che proprio Kise potesse aver ucciso Kuroko e che, soprattutto, avrebbe dovuto fidarsi di lui, ma si sentiva così vicino dallo scoprire la verità - e qualsiasi cosa fosse successa, avesse trovato tutti i cassetti vuoti oppure colmi di prove, lo avrebbe aiutato a stare meglio - che si fece coraggio e decise di continuare quella ricerca silenziosa.
Aprì il quarto cassetto e le cose più interessanti che vi trovò furono un paio di cartoline provenienti da Londra e che quindi pensò essere dei genitori - sospetto confermato non appena diede un'occhiata al retro - ed una rubrica che, però, richiedeva tempo per essere letta e che decise di lasciare al suo posto per paura che Kise potesse accorgersi del suo sopraluogo.
Dopotutto pensò che la rubrica avrebbe potuto leggerla con calma durante la notte, sempre che Kise lo invitasse a fermarsi da lui: cosa molto probabile, visto che lo supplicava di rimanere ogni volta che poteva.
Quando le dita si strinsero attorno al pomello dell'ultimo cassetto e lo tirarono appena, aprendo uno spiraglio, un'altra mano lo richiuse subito, senza dargli il tempo di vedere oltre l'oscurità della fessura.
Quando Aomine si voltò verso di lui, rimase senza fiato: Kise non era una persona irascibile e aveva sempre dimostrato una certa dote nel lagnarsi, piuttosto che nell'arrabbiarsi, per cui, nelle rare volte in cui si adirava, riusciva sempre ad incutergli una certa soggezione.
Lo stava guardando male, malissimo, e continuò a tenere la mano salda sul cassetto anche quando Aomine ritirò la propria.
Kise era deluso e amareggiato, lo vedeva dal ripiegamento tremolante delle labbra; lo sguardo era volutamente minaccioso e quel silenzio stava cominciando a mettergli i brividi: chi reagisce così perché trova il suo ragazzo a frugare nei suoi cassetti - per una ragione più che ovvia -, non può avere la coscienza pulita.
«Sei venuto qui per stare con me o per frugare nei cassetti?»
Aomine avrebbe voluto rispondergli che era venuto per stare con lui e che, stufatosi di aspettarlo, aveva poi cambiato idea e aveva optato per i cassetti, ma il tono di voce di Kise era già abbastanza tagliente e preferì restare in silenzio.
«Tu non ti fidi di me.» finalmente la mano di Kise si scostò dal cassetto e il corpo del ragazzo si allontanò un poco da quello dell'altro.
Aomine, dal canto suo, inspirò e si decise a rispondere, preparandosi per un controattacco che sicuramente sarebbe stato respinto immediatamente.
«Non hai un alibi, quin–»
«E allora? Perché dico di essere rimasto a casa a riposare tutto il giorno e non ho nessuno che può testimoniarlo, devo essere per forza un assassino?!»
«Kise, non ho detto questo.»
«Nessuno può confermarlo, è vero, ma nessuno ha mai testimoniato il contrario.»
«Certo, ma l'alibi è–»
«L'alibi è quello che rovinerà la nostra relazione. Te lo dico io, cos'è.»
Aomine si zittì e si morse il labbro inferiore in uno spasmo di stizza: Kise era davvero arrabbiato, e dopotutto non poteva biasimarlo.
«Scusami tanto, ma non ho piacere di trovarti mentre frughi nei miei cassetti perché non ti fidi di me.»
«Sto solo cercando qualcosa che possa confermare la tua innocenza! Vuoi calmarti o no?»
«Sei sicuro?» Kise gli diede le spalle e sembrò trattenere una risata nervosa «vieni qui a frugarmi nei cassetti, proprio tu che come alibi hai uno scontrino del supermercato.»
«Si tratta pur sempre di un alibi.»
«Chissà quanti ve ne create, voi poliziotti.»
Aomine rabbrividì: Kise non aveva mai toccato quell'argomento, non aveva mai mostrato disprezzo verso il suo lavoro, e ora, spinto da chissà quale furia, iniziava ad inveire sul suo mestiere e ad alludere al fatto che essendo un poliziotto avrebbe potuto occultare prove o chissà cos'altro, un po' come avevano fatto altri.
«Non ho più voglia di uscire.»
«Bene, tolgo il disturbo.»
Fanculo la rubrica, fanculo tutto.
Fino a poco prima Aomine era riuscito a capire - e a giustificare - la rabbia di Kise, ma le sue ultime parole erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Kise dubitava di lui - o forse gli aveva detto così di proposito -, e ora capiva quanto fosse orribile quella sensazione, ma non riuscì neppure a guardarlo in faccia per quanto era deluso da quelle parole: i ruoli sembravano essersi invertiti, ora era Aomine quello arrabbiato, e Kise quello in silenzio.
Quando Aomine lasciò la casa e salì in auto decise che avrebbe lasciato il caso nelle mani di qualcun altro, che lui si sarebbe limitato a ricoprire il ruolo del sospettato come tutti gli altri, e non tanto perché volesse mostrare la sua correttezza, ma semplicemente perché era stufo di ricevere accuse infondate.
Kuroko era morto, ma se ne rese conto solo in quel preciso istante, quando una tristezza lontana cominciò a stringergli il petto e bloccargli il respiro: senza di lui, gli ex miracoli erano come bestie, pronte a sbranarsi l'una con l'altra.



Non era mai stata una di quelle persone che teneva il muso solo per attirare l'attenzione su di sé, anzi, in quelle rare occasioni in cui le capitava di litigare con qualcuno cercava di mettere sempre un po' di distanza, si ritagliava del tempo per se stessa e, principalmente, per pensare a come risolvere la situazione; in quel momento, però, nonostante dietro a quel pesante silenzio non si nascondesse un battibecco, bensì la scoperta di una crudele verità, Momoi sembrava davvero offesa, arrabbiata, delusa, pareva aspettare con impazienza che l'altro notasse il suo sconforto e le parlasse.
Bastava guardarla in faccia per un paio di secondi per capire che qualcosa non andava, e Kagami, effettivamente, aveva notato gli occhi acquosi, le palpebre abbassate, le labbra corrugate in un ghigno sconsolato, ma era rimasto in silenzio, aveva continuato a camminarle accanto senza sapere cosa dire e continuando a fissare i metri d'asfalto che divoravano con i loro passi.
Cosa sapeva, lui, di Momoi?
E lei cosa sapeva di Kagami?
Per Kagami, Momoi era la fidanzata piagnucolona di Kuroko; per Momoi, Kagami era quello con cui mi tradiva il mio fidanzato.
Quando Aomine gli aveva detto che aveva raccontato tutto a Momoi, Kagami si era arrabbiato, ma al contrario di ogni aspettativa era riuscito a frenare la sua impulsività e si era fermato a ragionare: aveva capito che era la cosa giusta da fare, nonostante fosse difficile accettare che fra loro, chi aveva agito nel modo più corretto, era stato sicuramente Daiki.
Non c'era niente che potesse dirle, Taiga lo sapeva.
Fra loro era calato il velo del disagio fin da quando si erano incontrati e si erano salutati con il più vago e silenzioso dei cenni, e lei era arrabbiata. Non era mai stato bravo a capire i sentimenti delle donne - ma anche delle persone in generale -, ma che Momoi lo odiasse non c'era dubbio: lo aveva capito dal suo sguardo, per un attimo, ma solo per un attimo, gli era sembrato di scorgere in lei gli occhi del vero assassino e aveva sentito un brivido percorrergli velocemente la spina dorsale e scuotergli le viscere.
Kagami sentiva di dover solo resistere, perché presto avrebbe svoltato l'angolo e si sarebbe diretto verso casa, allontanandosi da lei, ma la tentazione di parlare era grande, anche se non riusciva a comprenderne il motivo.
Era strano pensare ad una cosa simile, ma forse Momoi gli aveva fatto paura, e poi era pericoloso farsi dei nemici in una situazione simile - quell'idiota di Aomine era già sufficiente -.
«Mi dispiace.» senza dubbio non era la cosa più saggia da dire, sopratutto perché la sua bocca era quella dell'amante e non quella dell'amico, però, in seno alla propria coscienza, sapeva di essere sincero, gli dispiaceva davvero che lei avesse dovuto scoprire una cosa simile in un modo tanto squallido, e lui, dal canto suo, non aveva mai tratto godimento da quella condizione.
A Kagami non piaceva essere l'amante, avrebbe voluto avere Kuroko tutto per sé e per questo gli aveva messo pressione, gli aveva chiesto più volte di lasciare Momoi perché riteneva che una storia simile non potesse stare in piedi e non fosse sana.
Momoi rallentò appena e si morse il labbro inferiore, chiuse gli occhi e tornò a concentrarsi sul silenzio che li circondava, nella speranza che la voce di Kagami fosse solo frutto della sua immaginazione.
«Momoi?»
Ovviamente, però, la sua riflessione fu spezzata di nuovo da quella voce.
Il canino affondò ulteriormente nel labbro inferiore, fino a privarlo del solito colore rosato e vivo.
«Non preoccuparti, Kagamin.» ma lei era buona, e forse non avrebbe avuto la forza di affossare una persona che pensava innocente e che, alla fine, era una brava persona.
Kagami colse il tremolio nella sua voce e inspirò appena, indeciso sul da farsi.
«Kuroko ...» anche la sua voce, senza volere, tremò appena: pronunciare il suo nome gli faceva ancora male, perché ogni volta si illudeva di vederlo mentre si voltava verso di lui e gli sorrideva in silenzio, ma non era così.
«Lui non ti ha mentito, ci teneva a te.»
Momoi sollevò il proprio sguardo verso l'altro solo per un attimo, poi tornò ad osservare l'asfalto scuro, trasudante di pioggia: forse Kuroko aveva tenuto davvero a lei, ma lo aveva fatto molto tempo fa, prima che si innamorasse di Kagami.
«Tetsu-kun parlava bene di me?» le labbra di Momoi tremarono appena, boccheggiò timidamente, per poi ritrovarsi a frugare velocemente nella propria borsa.
«Certo. Non l'ho mai sentito parlare male di te.» quando Momoi estrasse l'ombrello dalla borsa, Kagami sollevò appena il viso e rivolse i propri occhi alle nuvole scure e turgide di pioggia, socchiudendoli in uno spasmo di fastidio non appena una goccia fredda gli colpì lo zigomo.
«Sai ...» le dita di Momoi arrancarono lungo il telaio colorato dell'ombrello, ancora chiuso «mi sento in colpa.»
Un momento prima voleva affossarlo, e ora aveva deciso di confessargli i suoi tormenti: Momoi era fatta così, non sarebbe riuscita a fare del male ad una persona che non lo meritava e aveva un disperato bisogno di alleggerire il carico che da giorni le pesava sul cuore.
«Per cosa?»
«Da quando l'ho scoperto, sono terribilmente arrabbiata con Tetsu-kun.» fece una piccola pausa, poi sospirò flebilmente «dovrei essere triste, non arrabbiata.»
«Anche io mi sento in colpa.» fu questo che Kagami sussurrò, attirando l'attenzione dell'altra su di sé.
«In colpa? E perché?» che anche lui fosse arrabbiato con Kuroko? Ma com'era possibile? Kagami sapeva di essere l'amante, non era lui quello che era stato tenuto all'oscuro di tutto e tradito.
«Io amavo Kuroko, non gli avrei mai fatto del male.» Taiga deglutì per l'imbarazzo, poi boccheggiò appena e riuscì a procedere anche se con un po' di fatica «ma credo di avergli messo fretta, in qualche modo ho fatto troppa pressione su di lui.»
«In che senso?»
«Beh, non mi piaceva quella situazione. Ho forzato Kuroko a scegliere, gli ho detto che lo avrei lasciato se non si fosse deciso e avesse continuato a vivere una doppia vita.»
Momoi ascoltò in silenzio e aprì l'ombrello, rimanendo ad osservare le prime goccie di pioggia precipitare davanti a loro e frantumarsi contro l'asfalto.
«Ho paura che Kuroko si sia ... suicidato davvero, e che sia stato questo a–»
«Ma lui aveva già scelto, Kagamin.» Momoi gli porse l'ombrello e gli ricordò che Kuroko, proprio prima di morire, aveva accontentato le richieste di Kagami e l'aveva lasciata.
Kagami sentì un pizzicore diffuso alle guance ed ebbe la tentazione di rifiutare l'offerta silenziosa della ragazza, ma la pioggia fredda aveva già cominciato a divorargli le spalle e i capelli e così ingorò la tradizione e afferrò l'ombrello, in modo che potesse tenerlo in alto e riparare entrambi dai capricci atmosferici del mese di febbraio.
«E poi rimane la questione del computer, del telefono e del cellulare.»
«E se li avesse fatti sparire Kuroko? È una teoria semplice, però spiegherebbe perché non ci sono segni di violenza e perché l'appartamento era chiuso, ma le chiavi si trovavano al suo interno.»
Momoi restò in silenzio, assorta nei propri pensieri: si trovava in una posizione orribile, probabilmente era la principale dei sospettati; Kuroko non aveva ragione di suicidarsi; presto lei e Kagami avrebbero preso strade diverse, ma non poteva privarlo dell'ombrello con un acquazzone simile in corso, quindi, forse, avrebbe fatto meglio ad accompagnarlo fino a casa e poi tornare indietro.
Nella sua mente si erano accavallati così tanti pensieri tutti insieme, veloci e alla rinfusa, che aveva finito per gemere sommessamente e strizzare gli occhi a causa di un bruciore diffuso alle tempie.
«Casa mia è da questa parte, ti ringrazio.» fu la voce di Kagami a interrompere momentaneamente i pensieri di Momoi.
«Non preoccuparti, ti accompagno.»
«M-ma no, davvero, faccio una corsa!» era imbarazzante: lui, l'amante, che si faceva accompagnare fino a casa propria dalla fidanzata della vittima perché aveva dimenticato l'ombrello - chissà dove, poi. Forse in caserma? -.
«Non c'è problema, non ho nulla da fare.» Momoi insistette e Kagami restò in silenzio, di fatto dandogliela vinta: dopotutto non avevano ancora finito di parlare, e fra quei pensieri ce n'era uno più vivido di altri, a cui Satsuki sentiva il bisogno di dar voce.
«Kagamin, sono più che sicura che Tetsu-kun sia stato ucciso.»
Kagami continuò a guardare davanti a sé ed inspirò appena, assaporando l'odore fresco di pioggia.
«Per quale ragione, secondo te?»
«Questo non lo so, ma ho davvero la sensazione che sia stato ucciso.» e, soprattutto, era quasi certa che l'assassino fosse fra loro.


«Porca puttana.» Aomine brontolò e spinse il cellulare al centro del tavolo, con un gesto stizzito: sembrava quasi che le situazioni si fossero invertire, perché ora era lui il fidanzatino in pensiero che chiamava in continuazione l'altro, e Kise non rispondeva, lo ignorava completamente.
Inizialmente aveva pensato di inviargli un sms, ma si era quasi subito arreso all'idea e aveva continuato a chiamarlo.
Non aveva tanta fretta di chiarire, piuttosto era preoccupato che Kise non rispondesse, perché ciò significava che stava ignorando il cellulare - il che era improbabile per un modello continuamente tempestato dall'ammirazione delle fan e dalle proposte di lavoro -. Possibile che Kise stesse fingendo? Era così tanto arrabbiato con lui?
Arrivato alla settima telefonata in poco meno di due ore, Aomine si decise a lasciargli un messagio vocale.
«Ohi, senti, se sei lì ti conviene rispondere: mi stai facendo preoccupare, idiota. Io e te dobbiamo parlare, avvisami non appena ricevi il messaggio.»
Non aveva intenzione - almeno non ancora - di dirgli che gli dispiaceva per quello che era successo, e in più gli bastava pensare all'insinuazione che Kise aveva fatto sul suo lavoro perché il nervoso tornasse integro e la voglia di vederlo o anche solo sentirlo si azzerasse.
Aomine restò in attesa, una lunga attesa nella quale la mente cominciò a divagare fino ad elaborare un pensiero che gli mise i brividi: e se fra loro ci fosse stato un pazzo? Un pazzo che pianificava di ucciderli tutti, dal primo all'ultimo? Magari Kise era il prossimo e lo aveva già ucciso, e lui, invece, se ne stava chiuso nel suo ufficio, con le mani incollate al cellulare e la testa pulsante.
Aomine diede un'occhiata all'orologio: mancava ancora un'ora alla fine del suo turno, appena uscito di lì sarebbe andato subito da Kise per controllare la situazione.
Dopotutto non chiedeva molto: voleva solo che l'innocenza di Kise fosse provata in modo da tirarlo fuori dai guai, in modo da proteggerlo.


Kagami aveva avuto appena il tempo di recuperare un grosso asciugamano e passarlo più volte fra i capelli, cercando di asciugarli il più possibile dalla pioggia, prima che il suono del campanello facesse vibrare l'aria densa e tiepida della casa.
Aperta la porta, sobbalzò appena e rimase imbambolato sulla soglia.
«Tatsuya?» che brutta coincidenza che si trovasse a Tokyo proprio in quel periodo: aveva fatto male ad abbandonare Los Angeles per .. perché si trovava lì? Kagami si augurò che non fosse solo per venirlo a trovare, perché sarebbe stata un'occasione sprecata, visto che non era al massino delle forze - soprattutto mentali - e le ore che non trascorreva in caserma le passava a subire interrogatori su interrogatori.
«Ciao, Taiga.» Himuro accennò un piccolo sorriso «posso entrare?»
«Certo, entra pure.» Kagami si fece velocemente da parte e diede ad Himuro il tempo di chiudere l'ombrello e varcare la soglia, per poi serrare la porta e impedire al freddo di entrare.
«Sei arrivato oggi?» Kagami gli diede le spalle e si diresse verso la cucina, intenzionato a offrirgli qualcosa da mangiare, ma il silenzio che seguì a quella domanda lo fece rallentare, fino a frenare completamente il suo passo.
«Taiga, c'è una cosa che devo dirti.»
C'era qualcosa di strano nella voce di Himuro.
Kagami trattenne il fiato e si voltò lentamente, e li vide di nuovo: gli occhi dell'assassino.
Le parole che Himuro pronunciò si mescolarono al suono ovattato della pioggia e parvero riecheggiare lontane, quasi fossero frutto di uno scherzo dell'immaginazione: eppure Taiga sapeva che erano state articolate per davvero da quella voce, e gli avevano fatto male, molto male.


«L'ho ucciso io.»




Angolo invisibile dell'autrice:
Questo capitolo doveva essere molto più lungo, ma alla fine ho deciso di dividerlo in due per allungare un po' e per darvi più tempo (?).
Non saltate a conclusioni affrettate, perché comununque manca ancora un po' alla vera fine della storia.
Alla fine sono riuscita a far litigare Aomine e Kise ancor prima di inserire qualsiasi bacio, questo perché ... beh, il rapporto fra loro è molto complicato in questo momento (e presto toccherà il suo apice, anzi, il fondo).
Sembra che Kagami e Momoi si siano alleati e francamente non ho idea se la cosa possa durare o meno (secondo il mio parere, però, ci sono buone probabilità, visto che hanno entrambi caratteri buoni).
Credo che prima della prossima rubrica scriverò altri due capitoli (anche se ora come ora voglio tornare a concentrarmi su Hall of Fame).
Attualmente ci sono alleanze davvero strane: Akashi ne ha create due, una con Midorima e una con Aomine, Kagami e Momoi sembrano aver trovato l'intesa e Kise e Murasakibara sono completamente isolati. E Himuro?
A presto! (sono stronza, sì, e vi lascio con la domanda: "E Himuro?")

   
 
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