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Autore: disconnected    11/08/2014    2 recensioni
Kora era più concentrata sul foglio che aveva davanti. Ci aveva scribacchiato sopra delle frasi e poi le aveva cancellate con l’inchiostro nero della sua penna, facendo attenzione a non lasciare intravedere nulla di quello che aveva scritto.
Non volevo essere così.
_________
Potresti bruciarti, se giochi con il fuoco
Quelle parole rigiravano nella testa di Ashton e non trovavano pace. Ricominciò a guardare fuori dalla finestra e si perse ad osservare le persone che camminavano tranquille lungo la strada, ignare di quello che stava succedendo dentro di lui.
_________
Si era innamorato solo una volta, Isaac, e gli era bastato.
“Niente più cuori spezzati” era il suo motto.
_________
«Bene, Hayley, ti va di annoiarti con me?»
«Nemmeno nei tuoi sogni.» e così, silenziosa com’era arrivata, Hayley se ne andò.
Genere: Drammatico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Sometimes when I close my eyes
I pretend I’m alright,
but it’s never enough.”

- Jason Walker, Echo.
 

Kora odiava gli ospedali; riusciva a sentire l’odore della paura, della tristezza, della morte, in quei posti, nonostante le tonnellate di disinfettante che usavano ogni giorno. Odiava le pareti bianche e il pavimento grigio. Tutto così spoglio, tutto troppo vero. Era come se la sofferenza delle persone si materializzasse e andasse a creare uno stato d’angoscia in tutti quelli che ci entravano, o almeno era così che si sentiva Kora. Grazie a Dio, lei non aveva mai avuto una salute cagionevole o incidenti, quindi non era mai entrata come paziente, ma ci era entrata come visitatore, e vedere una persona a cui tieni stare così male da dover andare all’ospedale era probabilmente una delle peggiori sensazioni che una persona potesse provare.
Hayley era stata portata in terapia intensiva: questo significava niente visite, a meno che non fossi un familiare, cosa che Kora, ovviamente non era. Amber e Thomas, i genitori di Hayley, erano già all’interno con la loro figlia, che non aveva ancora ripreso conoscenza.
Kora era seduta su una di quelle scomodissime sedie in plastica dura nella sala d’attesa. I medici le avevano detto che non poteva andare oltre. Isaac era seduto a terra con le mani tra i capelli; i genitori di Hayley non sapevano nulla, e la stessa Kora aveva cominciato a dubitare del fatto che fosse stato lui a drogarla.
Ashton si era seduto vicino a lei e le carezzava la schiena mentre lei si stringeva nella sua giacca.
Si sentiva male anche per Isaac. Vederlo così era dura, perfino per lei.
«Ashton, portalo a casa. Vi chiamo io quando ho notizie. Voi andate, non gli fa bene stare qui.» gli sussurrò in modo da non farsi sentire dal diretto interessato.
«Certo, forse è meglio, magari lo porto a casa e poi torno qui a farti compagnia.»
«No, ascolta, è meglio se vai. Non è che non ti voglia qui, è solo che..»
«Tranquilla, ho capito. Scrivimi quando sai qualcosa.»
«Certo e, Ashton, mi faresti un piccolo favore? Ho dimenticato la giacca al Wolfbane, non è che l’andresti a prendere, tieni la tua..» cominciò a sfilarsi la giacca di Ashton, riluttante. Avrebbe voluto tenerla ancora.
«Tienila, me la torni domani, e io ti porto la tua, okay?»
«Okay.»
Il ragazzo le sorrise e si diresse verso Isaac.
«Andiamo, Isaac.»
«Io voglio restare, voglio.. è tutta colpa mia.»
«Ma che dici? Non è colpa tua. Andiamo, Kora ci chiamerà appena avrà notizie.»
Kora vide Ashton tendere una mano verso l’amico, che l’afferrò. Quando fu in piedi poté osservarlo meglio: aveva il volto arrossato, come i suoi occhi del resto, gli tremavano le mani e aveva i capelli arruffati. Stava visibilmente male per Hayley, se fosse stato lui a drogarla di certo non starebbe così.
Poi Isaac sussurrò qualcosa, un nome, che Kora non riuscì ad afferrare, i ragazzi si abbracciarono e poi uscirono.
 
«Iris? Quella Iris?»
Ashton si chiuse la portiera alle spalle e fissò l’amico.
«Sì, quella.»
«Era per questo che stavi così, non è vero? Per lei.»
«Sì, ma.. È colpa mia, Ashton, quello che è successo a Hayley è colpa mia, e non mi perdonerò mai.»
«Vuoi dire che tu l’hai drogata?»
«No, ma è una storia lunga.»
«Ti sembra il momento? Non mi interessa se la storia è lunga o corta o imbarazzante o stupida, dimmi cosa è successo.»
«Okay, la farò più breve possibile.»
Ashton avviò il motore della sua Jeep e cominciò a guidare verso il locale. Guardò l’ora: 2:34 am.
Isaac cominciò a raccontare.
«Due giorni fa Iris mi ha contattato per dirmi che era tornata, che si fermava quattro giorni, che aveva delle cose da dirmi e che mi voleva vedere, così sono andato al parco nel momento stesso in cui mi ha detto dov’era mi ero già avviato. L’ho incontrata e mi ha detto che non aveva mai smesso di amarmi e che gli ero mancato e mi ha abbracciato e.. – Ashton sentiva il dolore nella sua voce, ma non lo interruppe – e mi ha chiesto: “Tornerai mai da me?”. Io le ho detto che avevo bisogno di pensarci. Ieri a scuola ho trattato male Hayley perché stavo pensando seriamente di tornare da Iris, volevo allontanarla da me prima che le cose diventassero troppo serie tra noi due. Non m’importava se io stavo male, m’importava di lei. Dopo scuola, quando ho detto che andavo da Taki’s ero diretto, invece, da Iris. Poi non lo so, ho avuto un flashback, devo essere svenuto, e mi sono risvegliato nel bosco. Poi ho capito che stavo facendo la scelta sbagliata. Sono andato da Iris e le ho detto che non volevo tornare con lei, che non l’avevo scelta. E poi..»
Si bloccò, quasi non volesse continuare. Ashton continuava a guidare pensando a quale potesse essere il seguito di quella strana storia in cui si trovavano. Fissava la luce pallida che i lampioni emettevano sulla strada. Sotto quella luce i fiocchi di neve sembravano molto più numerosi. Improvvisamente pensò a Kora, al modo in cui i fiocchi di neve cadevano sui suoi capelli e tra le sue ciglia.
«E poi?» lo incoraggiò. Per quanto male gli facesse, e per quanto male facesse ad Ashton vederlo così, voleva, doveva, sapere perché lui si incolpasse di quello che era successo.
«Poi siamo andati al Wolfbane, io e Hayley abbiamo parlato e ballato, poi sono andato a prenderle da bere e Iris si è avvicinata a me, mi ha fatto delle domande su quello che bevevo, ha accennato a Hayley, ha cominciato a strusciarsi su di me, chiedendomi se mi mancava, mi ha abbracciato e..»
«E? Diamine, Isaac, finisci la frase!»
«E credo che quello sia stato il momento in cui ha drogato il drink.»
«Sei sicuro di quello che stai dicendo? È tentato omicidio, è grave e..»
Il ragazzo non rispose, e rimasero in silenzio fino a che Ashton non scese a prendere il giubbotto di Kora. Quando tornò di Isaac non c’era traccia. O meglio, solo una scia di impronte sui pochi centimetri di neve che erano caduti quella sera. Li seguii. Questa volta, per quanto male stesse, e, ovviamente, stava molto male, non poteva permettergli di mettersi in pericolo, fare cose come passare giorni nel bosco d’inverno o girovagare in mezzo alle strade.
Era una specie di contratto non scritto, quello tra loro: erano come fratelli e avrebbero fatto qualsiasi cosa per l’altro. L’uno doveva proteggere l’altro quando questo non era in grado di farlo da solo.
Quello era uno di quei momenti.
 
Kora aveva deciso di evitare le scomodissime sedie e si era seduta a terra, aspettando notizie confortanti. Hayley era la persona più importante della sua vita, dopo sua madre, e l’idea di perderla non era contemplata.
Si toccò il collo e si ricordò della collanina che stava indossando. Gliel’aveva regalata proprio la sua amica. Era un filo d’argento con un ciondolo molto particolare. Era una ‘gabbia rotonda’ fatta d’argento che racchiudeva una piccola pallina verde. Quando veniva scossa produceva un rumore simile a dei campanellini. Si chiamava “Chiama Angeli”, le aveva detto Hayley. La storia diceva che, ogni volta che scuotevi il ciondolo il tuo angelo custode veniva ad aiutarti, se ce n’era bisogno.
Prese il ciondolo con due dita e lo scosse leggermente. In quel momento c’era veramente bisogno di un angelo.
 
Kora aveva cinque anni quando andò per la prima volta nel bosco da sola. Non aveva paura, non ne aveva mai. Era scappata di casa mentre il padre era al lavoro e la madre impegnata a preparare la cena. Probabilmente i suoi genitori si sarebbero infuriati se l’avessero scoperto. Seguì per un centinaio di metri un sentiero che poi, però, non era più distinguibile dal resto della vegetazione. Lei continuò a camminare, fiduciosa nel suo senso dell’orientamento e affascinata da quello che aveva davanti, dietro, sopra e sotto.
Il terreno ricoperto di aghi di pino e abete aveva quel colore marrone tipico di quel periodo. In alto le chiome degli alberi lasciavano intravedere il cielo che cominciava a scurirsi. Davanti e dietro di lei una distesa d’alberi. Già da piccola era affascinata dalle foreste, totalmente rapita da quello che vedeva e da quello che sentiva. Riusciva a sentire il vento che muoveva i rami più alti degli alberi, lo scricchiolio dei rametti spezzati sotto al peso di qualche scoiattolo, sentiva il battere d’ali degli uccelli che volavano sopra al bosco.
Cercò per un po’ di tempo la strada di casa, troppo sicura del suo senso dell’orientamento per ammettere di essersi persa. Aveva bisogno di sicurezze, in quel momento, e l’unica sicurezza che aveva era la sua famiglia, che non sapeva nemmeno dov’era. Cominciò a piangere ma poi sentì una voce familiare, quella di suo padre, che chiamava il suo nome. Poi, dopo averla trovata ed abbracciata, le sussurrò poche parole.
«Sapevo che saresti stata qui.»
Tornando verso casa, Kora scoprì di non essersi allontanata di molto dal sentiero, soltanto una ventina di metri.
 
Dopo un’ora e mezza di attesa (in cui più di un’infermiera passò a chiederle se stesse bene) i genitori di Hayley uscirono dalla stanza dov’erano entrati. Erano insieme a un medico. Kora si alzò di scatto, cosa che le provocò un giramento di testa non indifferente, e si diresse lentamente, e una volta passate le vertigini più velocemente, verso di loro.
«Amber, Thomas, come sta Hayley?»
Amber l’abbracciò. Entrambi erano visibilmente sconvolti, più pallidi di quanto ricordasse, ma forse era solo la luce al neon dell’ospedale. Abbracciò anche Thomas, che era stato come un padre per lei, da quando il suo se n’era andato. Poi fissò il dottore, che cominciò a dire una serie di termini tecnici che Kora non comprese.
«In parole povere cosa vorrebbe dire, dottor Smith?»
Sapeva il suo nome perché lo aveva letto sul cartellino che aveva sul camice. Si chiama come il mio professore di storia, pensò.
«Oh, scusami. In pratica ho detto che la tua amica è stabile, anche se quella droga ha provocato dei danni al suo cervello. Non gravi, ma comunque danni. Non sappiamo quando si risveglierà.»
«Ma si risveglierà, non è vero? – il dottore non rispondeva, continuava a rileggere la cartella clinica di qualcuno, probabilmente di Hayley, senza dare risposte – Non è vero?»
A quel punto il dottor Smith alzò lo sguardo su di lei, evitando quello dei genitori che probabilmente sapevano già cosa stava per dire. Thomas e Amber avevano entrambi una mano sulle spalle di Kora, che cominciò a scuotere la testa.
«La prego, mi dica che..»
«Non lo sappiamo, per ora le probabilità che si risvegli sono circa del 45%, ma dovrebbero alzarsi con il passare di alcuni giorni. Se però passa troppo tempo…»
Non aveva bisogno di finire la frase, quindi la lasciò in sospeso, scusandosi con lo sguardo per la notizia che aveva appena dato. Era come un masso di trecento chili, e Kora li aveva ricevuti addosso tutti insieme, e senza preavviso. All’improvviso si sentì di nuovo come quella bambina di cinque anni bisognosa di sicurezze e cominciò a piangere. L’ipotesi peggiore cominciò farsi strada nella sua testa.
E se non si svegliasse più?
  
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