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Autore: Lilith9312    12/08/2014    1 recensioni
“Io non sono pazza!”
“Stai parlando con me, che sono te, quindi sì, pazza lo sei. Ma fidati mia cara…è tutto apposto. Non c’è ragione nella follia. Adesso che hai eliminato il tuo problema sei libera di essere come vuoi essere. Non hai più nessun vincolo, mia cara.”
“Sono…”
“…folle. Una psicopatica. Sì, esattamente. Almeno adesso ne hai coscienza.”
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è facile. Non è mai stato facile.

Ogni notte quando chiudo gli occhi rivedo ogni singola scena, come una triste pellicola che scorre anche se nessuno la sta guardando. Sento il male, come se lo stessi subendo di nuovo, ogni parola, ogni sguardo, ogni carezza che ho imparato a temere più di uno schiaffo.

Io, la debole. Io, quella che non è mai riuscita a chiudere una storia che la stava uccidendo, a tagliare quel legame che la stava corrodendo lentamente e costantemente. Io che sono sempre stata zitta, per paura di prenderle, perché amavo quell’uomo, lo amavo con tutta me stessa.
Non importava quanti schiaffi, quante botte potevo prendere, io lo amavo. Avevo paura ma allo stesso tempo dipendevo da lui.

“Ti sta facendo solo del male, lascialo.”

Non ho mai ascoltato nessuno, ho sempre fatto di testa mia, lasciandomi ferire senza mai lamentarmi.

“Ma io lo amo.”

Può l’amore essere così doloroso? Può essere così insano?
Sentivo il male crescere dentro di me, giorno dopo giorno, notte dopo notte. La testa cominciava a farmi male come non mai. Io non volevo essere la debole. Io ero la donna forte e sicura di sé che tutti conoscevano…come avevo fatto a cadere così in basso? Come avevo potuto permettere a quell’uomo di distruggere la mia vita?

“Guardati, sei qui che piangi, invece di rialzarti e fare a pugni con qualcuno, preferisci prenderle e piangere…”
Mi strinsi la testa tra le mani chiudendo gli occhi e accasciandomi a terra.

“Lasciami in pace. Io sono forte, solo che adesso…”
“Adesso cosa? Adesso non ce la fai? Adesso non è il momento? Adesso hai paura? Sei inutile, guardati…vali meno di niente. Come può qualcuno trattarmi bene se sei così?”
“Vattene. Tu non sai chi sono io!”
“Come no? Sei me! E io sono te. Guardati!”

Fissavo lo specchio per ore tutte le sere prima di coricarmi. Fissavo quel volto, senza conoscerlo, senza riconoscerlo.  
Anche quella sera l’avevo fatto, prima di andare a trovare lui.

“Fai schifo, non vali più di una donna di strada qualsiasi, dovresti andartene.”, le sue ultime parole prima di darmi le spalle e rimettersi a lavorare al computer. Come niente fosse. Nemmeno un abbraccio, nemmeno un cenno di affetto. Io ero andata lì solo per lui e a lui non gli importava niente.
Non gli era mai importato nulla. Era sempre stato capace di usarmi per poi insultarmi, picchiarmi, farmi credere di essere un incapace, mentre lui, lui no, lui era un essere supremo. Era sempre stato capace di usare le mani e le sue parole contro di me, invece che per me.

Strinsi i pugni. Avvertii in me uno strano impulso, qualcosa che mai fino a quel momento mi aveva così sfiorato. Ora sentivo agitarsi in me una forza nuova.

“Hai ancora una dignità, reagisci.”
Mollai la mia borsa lasciandola cadere sul pavimento, e gli saltai addosso afferrandolo per le spalle e ribaltando sul letto. Ero sopra di lui, e gli tenevo bloccate le mani sopra la testa.

“Che cosa credi di fare? Sei patetica, sei debole.” Il suo volto era sorpreso ma nascondeva qualcosa di malefico, un sorriso di sfida.
Le lacrime mi stavano offuscando la vista, mentre sentivo la mia testa pulsare sempre di più, il cuore a mille.

“Scendi subito.”
Scoppiai in una risata.
“Non sono debole, meno che meno patetica, hai finito per sempre di farmi male, stronzo!”

Afferrai il tagliacarte che era lì vicino a me, lo stesso tagliacarte a coccinella che gli avevo regalato l’anno prima. Certe volte il destino gioca strani scherzi, non trovate?
Lui si dimenava per liberarsi dalla presa ma io ero troppo determinata per lasciarlo andare. Avevo scoperto una forza fisica che fino a quel momento ignoravo completamente di possedere. I ruoli si erano invertiti, finalmente.

Riuscì a spingermi di lato, ma io avevo già il tagliacarte in mano, e glielo conficcai sulla spalla. Un urlo si alzò nella stanza.
“Maledetta...” Non fece in tempo a dire altro, perché un secondo colpo, dritto al cuore, gli strappò la voce. Il sangue schizzava fuori impazzito.
Si accasciò cadendo di fianco a me, una macchia di sangue che sembrava aprirsi a macchia d’olio sulle lenzuola.

“Che hai fatto?”
“Io…non so…”
“Dovevi andartene, dovevi andartene via.”
Afferrai il suo volto, il sangue che sgorgava dalla sua bocca,  le lacrime che sgorgavano dai miei occhi.

“Che ho fatto?”
“Te l’ho detto io, sei pazza!”
“No non lo sono!”
Mi voltai di lato. Riflessa nello specchio,  la mia immagine mi stava parlando.

“Adesso ti senti meglio?”
“Forse…”
“In qualche modo hai spezzato le catene di un legame che ti stava uccidendo...”
“Già.”
“La pazzia serve a qualcosa allora!”
“Io non sono pazza!”
“Stai parlando con me, che sono te, quindi sì, pazza lo sei. Ma fidati mia cara…è tutto apposto. Non c’è ragione nella follia. Adesso che hai eliminato il tuo problema sei libera di essere come vuoi essere. Non hai più nessun vincolo, mia cara.”
“Sono…”
“…folle. Una psicopatica. Sì, esattamente. Almeno adesso ne hai coscienza.”

Mi voltai a guardare quel macello di sangue che avevo intorno e scoppiai in un misto tra urla e pianto. Mi sentivo morire. Cominciai a dondolare la testa avanti e indietro, pulsava sempre di più, fino a scoppiare. Chiusi gli occhi. Non mi sarei mai voltata di nuovo verso lo specchio, perché lo sapevo, sapevo che avrei visto di nuovo me stessa, e ci avrei parlato assieme. Sapevo che la mia mente mi stava giocando brutti scherzi, che forse ero veramente pazza.

Mi trovarono così, in ginocchio ai piedi del letto, con il tagliacarte sporco di sangue ancora in mano. I vicini avevano sentito dei rumori e delle urla e spaventati avevano chiamato la polizia. Naturalmente ogni cosa faceva intuire che ero stata io, non c’era alcun dubbio. Io sapevo di essere stata io.

Così adesso sono qui, a fissare il soffitto di questa cella tanto piccola da togliere il fiato. Ogni notte rimango qui, come ora, mentre rivivo sotto le palpebre ogni singolo momento di quella fatidica notte, e penso, penso tanto.
Volgo lo sguardo verso il mobiletto di ferro alla mia sinistra, nella direzione dove si trova il mio specchietto.
Io sono lì a guardarmi.

“Sono con te.”

Potete non credere a queste mie parole, ma credetemi: la follia esiste, io lo so.
‘Comincerete a prendere in seria considerazione la follia quando per la prima volta essa vi tornerà utile per risolvere i vostri problemi da persona normale.’

Io l’ho fatto, e voi?
   
 
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