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Autore: SparklingLetters    12/08/2014    1 recensioni
[Stable Queen]
Regina non ha vita facile, tra il complicato rapporto con la madre e l’isolamento dal resto del mondo. Poi, un giorno, fa amicizia con un ragazzino di nome Daniel…
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cora, Daniel, Henry (Padre), Regina Mills
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell’Autrice: Credo che questo capitolo abbia un po’ di tutto: sia angst che fluff. I miei feels erano iper-attivi mentre scrivevo, quindi sentitevi liberi di venire da me se avete bisogno di fazzoletti o cioccolato o di un abbraccio. ;)

Capitolo 19
Take Me Home

Non è Daniel che corre a staccare i cavalli quando la carrozza si arresta di fronte alla casa. Lo stomaco di Regina si contrae dolorosamente. Daniel non perderebbe mai un’occasione di vederla, di darle il benvenuto a casa, anche se solo con un breve sguardo in tralice sotto l’occhio attento di Cora mentre procede a fare il proprio lavoro. Eppure questa volta è uno dei valletti, e tutto ciò che lei può fare è fermare le lacrime che le premono contro le palpebre. Qualcosa non va. L’ha sentito nelle proprie ossa, ne ha avuto il terrore per giorni, vi ha perso il sonno le notti – e adesso le sue paure sono state confermate.
«Vado a controllare Ronzinante. Mi è mancato così tanto» dice d’impulso, senza fiato, ed è sparita prima che qualcuno possa fermarla.
La porta delle stalle si spalanca mentre lei si scaglia contro di essa e si guarda attorno freneticamente. «Daniel!»
Silenzio.
«Daniel…» La sua voce si rompe in un singhiozzo.
Un nitrito.
«Ronzinante» sussurra lei e va automaticamente verso di lui. La sua criniera le solletica il viso rigato di lacrime mentre lei sfrega la guancia contro la sua testa. Ci vuole un po’ prima che lo strano odore venga registrato, ed un altro po’ prima che il suo cervello in attività frenetica lo collochi: aceto. «Ronzinante!» ansima lei e lo guarda da capo a piedi. Tutto sembra normale; deve essersi sbagliata. Facendo correre la mano attraverso la sua criniera, lei sta iniziando a rilassarsi appena quando gli occhi le cadono sul petto bendato del cavallo. Le sfugge un lieve gemito. «Cosa ti è successo? Dov’è Daniel?»
Quando realizza che lì dentro non otterrà alcuna risposta, scappa fuori tutta agitata, solo per andare a sbattere contro il papà che si avvicina.
«Dov’è Daniel?» singhiozza istericamente. Non le importa se qualcuno la vedrà, non le importa cosa potrebbero pensare – il suo mondo intero minaccia di crollarle attorno e di spingerla in un abisso oscuro. Le sue nocche sbiancano per la forza con cui sta stringendo i risvolti del mantello di lui e la sua voce diventa aspra per l’angoscia. «Dov’è, papà?»
«Calmati, bambina…» Lui allunga una mano verso di lei. Non sa niente. Non capisce? Lei non vuole conforto; non da lui, non da nessun altro – nessuno a parte Daniel, che, per quel che sa, potrebbe essere… No! No, non può pensarlo, non lo penserà!
«Dimmelo!» grida, spingendo via le sue braccia con un fervore che gli porta un’espressione scioccata sul volto. «È stato il lupo, non è vero?» farfuglia. I lineamenti del papà si ammorbidiscono di nuovo, le sue spalle si afflosciano, e i suoi occhi parlano di dolore, compassione, ed impotenza. No… Questo non può essere. Lui non può essere…
«È…?» Si ferma, il suo cuore, quando la sua voce si blocca sulla parola indicibile, e per un breve momento che sembra un’eternità lei sente che è una buona cosa, una cosa deliziosa, una cosa liberatoria.
«È vivo» si affretta a dire lui.
Un brivido strano le corre lungo la spina dorsale. Ci vuole un po’ perché le parole vengano recepite, e solo allora lei sente finalmente il sollievo – e crolla sotto il suo peso.
«Cosa c’è che non va?» sussurra. È vivo. Starà bene. È vivo.
«Il lupo è arrivato, ma non era solo. Il gruppo dei cacciatori era alla ricerca del branco ma quelle maledette bestie erano intelligenti – una di loro si è separata dal resto ed è riuscita a avvicinarsi furtivamente. È venuta per i cavalli».
Regina non ha bisogno che lui dica altro. Daniel proteggerebbe gli animali affidati alle sue cure a qualsiasi costo, persino con la sua stessa vita, anche se Ronzinante non fosse stato in pericolo – ed ancora più accanitamente dato che lo era.
«Dov’è?»
«Potrebbe essere meglio non vederlo…» tenta lui flebilmente.
«Papà!» Come può dirlo? Come può anche solo essere in grado di pensare che lei potrebbe fare qualcos’altro, sopportare di essere in qualunque altro posto che al suo fianco?
«È nella stanza degli ospiti sotto la libreria. Ho chiamato il dottore; ora viene ogni giorno. Se Cora dirà qualcosa le dirò che le sue azioni gli hanno fatto guadagnare il trattamento migliore che possiamo fornirgli».
Forse in un altro momento lei sarebbe lieta, persino impressionata da lui per aver preso il coraggio a due mani per fare una simile cosa. Adesso le sue parole sembrano ridondanti, la sua preoccupazione verso la mamma triviale. Tutto sembra triviale.
Cora non si vede da nessuna parte mentre Regina si precipita attraverso la casa ma comunque lei non si ferma neanche a pensarci. A un pelo dalla bramata – e temuta – porta, si ferma bruscamente. Non andrebbe bene irrompere con passione selvaggia quando lui ha bisogno di riposare, si dice mentre trae un respiro calmante. Un brivido tradisce la sua ansia. Tende la mano verso la maniglia. Cosa troverà dall’altra parte?
È buio dietro le tende tirate, e tutto è silenzioso. La figura curva del dottore che Regina si aspettava di vedere piegata sul letto non è lì. Con le ginocchia deboli, lei si avvicina silenziosamente al letto, respirando a stento.
«Daniel» sospira sommessamente, e le lacrime le rigano il viso alla vista del volto pallido contro il cuscino – un volto bianco come il gesso con la fronte imperlata di sudore e un infiammato squarcio rosso che va da dietro il suo orecchio al lato del suo collo. Una crosta di sangue macchia il lino bianco delle bende avvolte strettamente attorno al suo braccio. La sua mano brucia al tocco delle dita tremanti di lei.
«Sono tornata» sussurra lei con un sorriso a metà. «Adesso non andrò da nessuna parte. Starò con te, Daniel. Lo prometto».

Il dottore viene a mezzogiorno per pulire la ferita e cambiare le bende. Non è il vecchio dottore che Regina conosce e di cui si fida.
«Non potete fare niente di più?» domanda mentre lui si gira per andarsene. «Posso fare qualcosa io
Lui le dà uno sguardo strano. «Bagnategli la testa con acqua tiepida per lenire la febbre. Ci sono delle erbe sul caminetto, se conoscete il loro uso. E se potete sopportare le circostanze, certo».
«Quali circostanze?»
«Vedrete. Le notti sono sempre il peggio».

La stanchezza è a malapena subentrata quando succede. Rannicchiata sulla poltrona accanto al letto, Regina si raddrizza. È stato lui, o stava semplicemente sognando?
Si tende su di lui e si tira appena indietro, sorpresa: i suoi occhi sono aperti, larghi e febbricitanti, e gli sfugge un lieve gemito, simile a quello che lei ha sentito prima.
«Daniel» dice sommessamente lei. «Puoi vedermi?» Poiché il suo sguardo è sfocato e vitreo e, francamente, l’effetto è piuttosto spaventoso. Regina non sente alcuna paura, alcun disagio. Lui la riconoscerà col tempo.
«Sono io… Regina». Appoggia la mano sul suo collo e fa scorrere il pollice lungo la sua guancia. «Ricordi?»
Lui trasale al suo tocco ma lei non si ritrae. Poi i suoi occhi la colgono. Tutto il sentimento che si può esprimere con uno sguardo lei glielo elargisce. Lui ammicca lentamente.
«La tua ranocchia degli alberi… ricordi?» sorride lei mentre una lacrima cade sul cuscino.
Le labbra di Daniel si muovono. Se stia effettivamente dicendo qualcosa lei non può esserne sicura. Forse è qualcos’altro.
«Hai sete?» Il fazzoletto sulla sua fronte è di nuovo caldo. Occorrono solo pochi e brevi minuti perché lo sia. Regina combatte la preoccupazione crescente a quel pensiero. Ne prende uno pulito dalla pila e lo inzuppa nella bacinella. Goccia dopo goccia l’acqua stilla mentre lei lo strizza sulle sue labbra.
Il movimento improvviso la prende alla sprovvista, ma solo per una frazione di secondo; poi sente le sue dita chiudersi attorno al suo polso. Subito dopo il fazzoletto giace in pieghe sul lenzuolo mentre Daniel deposita un bacio tremante sulle sue dita.
«Sei a casa. Sapevo saresti venuta» dice rocamente.
«Certo che sì. Oh, Daniel…» La sua voce si spezza. Questo sembra svegliare qualcosa in lui, poiché fa per spingersi in su sopra il cuscino sinché il suo braccio ferito lo tradisce e lui geme di dolore. «No, ti prego, non farlo! Rimettiti giù, hai bisogno di riposare. Non vado da nessuna parte, va bene?»
«Fa male» confessa lui con la mano di lei premuta sul proprio cuore. «Ma ne vale la pena».
«Cos’hai fatto?» chiede lei in lacrime.
«Ho protetto la mia famiglia». Subito lei non nota niente di strano a proposito della sua affermazione. Dopo un momento un piccolo cipiglio le si sistema sulla fronte, e lei cerca i suoi occhi coi propri. Il calore emana dalla sua pelle, bruciando quando le loro mani si toccano. Allora le appare chiaro.
«Hai protetto i cavalli dal lupo, non è così?» Se lui la riconosce, forse lei può anche tirarlo fuori dalla trappola della sua mente febbricitante, e riportarlo alla realtà.
Daniel scuote la testa. «Le bambine. Avrebbe potuto arrivare alle bambine. Dovevo fermarlo».
«Le bambine?» Forse è lei che dopotutto non ha chiari i fatti.
«Bambine con gli occhi marroni. Le nostre bambine con gli occhi marroni, che cavalcano col vento». Parla con tale affetto che strattona il cuore di Regina. «Stanno bene? Le ho tenute al sicuro».
La mente di Regina lavora freneticamente mentre lei si sforza di ignorare la stretta crescente in fondo al suo stomaco.
«Sono proprio come te», Daniel fa uscire le parole lentamente, con difficoltà, ma anche con una nota di orgoglio nella voce, «solo Lainie ha i miei capelli e il mio naso». Ride sommessamente e le stringe la mano. Gli occhi di lei si allargano.
«Daniel, chi sono io?» Lo guarda attentamente adesso, a metà con preoccupazione, a metà con aspettativa.
«Sei Regina». Un sorriso beato si posa sul suo viso. «Mia moglie».
Regina lascia andare il respiro che stava trattenendo e con esso arriva un piccolo singhiozzo.
«Non piangere» dice lui con fervore, sollevando la mano per accarezzarla; non può, tuttavia, poiché la ferita lo priva di quel piacere. Vedendo il disappunto attraversargli il viso, Regina si china su di lui e preme il suo palmo contro le proprie labbra.
«Sono così stanco» si lamenta lui, eppure continua a cospargere le sue dita di piccoli baci.
«Dovresti riposare, Daniel, dormi un po’» riesce a dire lei con le spalle che si sollevano. È difficile non piangere. Perché ha voglia di piangere?
«Resta con me».
Regina capisce. Quando scivola sotto la coperta e si rannicchia cautamente contro di lui, lui sorride felicemente e chiude gli occhi.
Lei, d’altra parte, tiene gli occhi aperti, guardandogli il petto che si alza e si abbassa, e sentendolo, anche. La sua vicinanza la calma proprio come calma lui; le lacrime non minacciano più di traboccare. Forse è questo che il dottore intendeva – la febbre di Daniel gli causa delle allucinazioni. Questo avrebbe dovuto spaventarla? Be’, non è spaventata affatto. Cosa prova, però? Non riesce a dirlo. Lui la sta stringendo, e questo è bello – sembra giusto, come sempre. C’è caldo nel suo abbraccio – più caldo di quanto dovrebbe, e nuvole di preoccupazione minacciano di coprire il sole. E poi ci sono le cose che ha detto…
Lei lo crede addormentato, ed ha un piccolo sussulto quando lui parla nell’oscurità.
«Pensi che dovremmo permettere loro di prendere il cane?»
Regina rimane in silenzio per un po’. Adesso Daniel sembra rilassato. Forse sarebbe meglio assecondarlo. Forse non le dispiace. Forse dovrebbe solo ammettere che c’è una bella dose di felicità mescolata al caos in cui si ritrova.
La sua voce è piana quando alla fine lei parla, calma come quella di lui, e risponde in tutta serietà. «Penso che prima dovremmo fare un’altra chiacchierata con loro, su quali sarebbero le loro responsabilità».
«Mi piace. Ammetto di essere parziale all’idea, però».
Regina ride sommessamente – lui lo sarebbe.
«Daniel?»
«Mmm?»
Non dovrebbe farlo, non dovrebbe incoraggiare il suo delirio. E se lo facesse agitare di nuovo? Ma adesso lui sembra così tranquillo, e semplicemente lei non riesce a trattenersi. «Parlami della nostra vita. Com’è?»
«Quieta e caotica – dipende se le bambine stanno avendo una buona o una cattiva giornata. Sempre piena d’amore. A volte ci uniamo e ci facciamo scherzi a vicenda, ma per la maggior parte delle volte loro fanno scherzi a noi. Amo come i loro occhi brillano quando partiamo per una passeggiata a cavallo, ed amo come brillano i tuoi quando poi sediamo tutti insieme vicino al fuoco e ci raccontiamo delle storie».
Allora gli occhi di Regina brillano davvero, ma di lacrime. Lei tira su col naso mentre Daniel continua a dipingere un’immagine della propria realtà.
«La nostra casa è al limitare di un bosco, domina la vallata, e vicino c’è una radura ed un ruscello dove i cavalli hanno un bel pascolo. Ci occupiamo di loro insieme, solo noi quattro. Lainie ha il suo pezzo di terra per le verdure e la sua pianta preferita è un’erbaccia». Regina ride sommessamente e si rannicchia più vicina nel suo abbraccio.
«A volte tu perdi la pazienza con me – quel tuo adorabile carattere – ma non mi dispiace perché alla fine ne vale sempre la pena quando cerchi di riaggiustare le cose». È possibile sentire un sorriso invece di vederlo? In ogni modo, è sicura che lui stia sorridendo anche prima di guardarlo. «Amo il tuo sorriso…» sussurra lui con soddisfazione, e lei realizza che deve essere effettivamente intenta a sorridere. «E tu ami quando faccio questo». Le sue mani scivolano sino al collo di lei senza fretta, e lui le prende gentilmente il volto tra le mani e fa scorrere lentamente il pollice lungo la sua mascella e sulle sue guance.
Un gemito a lungo represso le sfugge alla fine. Non potrebbe aver sognato di meglio.

La stanza sotto alla libreria è la camera per gli ospiti più piccola, ed anche la più remota. Regina si domanda per la prima volta se il papà avesse qualcos’altro in mente oltre al passare inosservati quando l’ha scelta.
La febbre di Daniel inizia a scendere dopo quella notte persa nei sogni. Regina si sveglia tenendogli la mano, e questa non è più calda e sudata. Lui dorme per così tanto, così profondamente, che lei sta iniziando ad andare nel panico, quando finalmente, la sera successiva, lui si sveglia, la guarda  rannicchiata sulla poltrona con Sull’equitazione in grembo, e semplicemente dice: «Buonasera».
«Come ti senti?» prova a chiedere cautamente lei. È ancora febbricitante?
«Molto meglio. Regina…»
Lei si sposta per sedersi sul letto, e lui le afferra la mano senza esitazione.
«Mi sei mancata». Continua con urgenza disperata: «Mi dispiace di non essere riuscito a mandarti una risposta, e mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi così. So come devi esserti sentita».
«Per favore, smettila» protesta immediatamente lei. Il pensiero di lui che si affligge per lei persino in una simile situazione è quasi insopportabile. «Non hai fatto niente di male. E adesso starai bene». È chiaro mentre lo guarda come si deve, allora, fissandolo col proprio sguardo. «Sei davvero tu» sospira in modo contento.
«Quando non lo ero?»
«Non ti ricordi? Più tardi ti dirò tutto. Ora dovresti mangiare qualcosa. C’è del brodo in cucina, lascia che te ne porti un po’». Scivola via dal letto ma lui non fa altro che stringere la presa sulle sue mani.
«Non può farlo qualcun altro? Ti voglio con me». Le parole arrivano così sinceramente, così senza pensiero, che il cuore di Regina si scioglie. «Mi dispiace» offre lui con un ripensamento. «Sono un disturbo?»
«Come potresti mai esserlo?»
Dopo tutto lei fa un viaggio sino alla cucina – un viaggio breve e frettoloso – e ritorna senza fiato e con una scodella di brodo fumante con pezzi di carne.
«Riesci a sederti?»
Lui ci prova. Ci vuole qualche aiuto, che lei fornisce più che volentieri, prima che sieda sostenuto dal cuscino attentamente sprimacciato. Nessuno dei due parla mentre lei gli serve cucchiaiata dopo cucchiaiata, e si fa radiosa mentre lui finisce per mangiare tutto. Non può andare troppo male se il suo appetito è tornato.
Lo sforzo di mettersi seduto e mangiare sembra avere la meglio su di lui, però, e nonostante i suoi migliori sforzi, la sua testa inizia a ciondolare.
«Puoi chiudere gli occhi» dice lei. «Non vado da nessuna parte».
Per un momento si limita a star seduta lì a guardarlo, ancora debole ma di nuovo se stesso, e si permette semplicemente di assaporare la consapevolezza che il peggio è passato. Semplicemente, è grata.
Allo stesso tempo, vuole di più. Quando si fa strada strisciando sotto la coperta e gli avvolge attorno le braccia, tutto con rapidità sorprendente, Daniel si muove. Lei pensa di vedere un cipiglio sul suo volto ma c’è anche il suo braccio attorno alle spalle di lei, che la attira più vicina.
«Regina, questo è sicuro?»
Quindi è preoccupato, dopotutto. «Sì». Pensare è così scomodo, così fastidioso; lei vuole solo appoggiare la testa contro di lui e non pensare a niente per un po’. Poi il volto di sua madre le fluttua davanti, severo e spietato. «Credo». Si tira indietro per guardarlo. «Daniel, io voglio stare qui. Rischierò e basta».
Discutere non servirebbe a niente ma lei è comunque lieta che lui non cerchi nemmeno di farlo. Invece, si limita ad annuire e le accarezza la guancia col pollice.
Poi si lascia sfuggire una risata quieta e sommessa. «Ranocchi che trascorrono notti da amici» dice a mo’ di spiegazione, ed una frase da una delle sue lettere a lui arriva alla mente. Eccoli, rannicchiati insieme, e beandosi della sua felicità il lato malizioso di lei parla senza reticenze.
«Ricordi l’altra cosa a proposito dei ranocchi?» dice lei con perfetta innocenza ma gli occhi le brillano con malizia.
Daniel finge di lambiccarsi il cervello. «No, non posso dire che sia così. A parte forse… gracidare? Nuotare in acquitrini puzzolenti? Tirare sfacciatamente fuori la lingua?»
«Ci sei quasi» dice lei con un ampio sorriso. Il cuore le batte più velocemente mentre gira leggermente la testa e strofina il naso contro il suo collo. Daniel sussulta appena al contatto. Le sue dita le scorrono attraverso i capelli e le mandano brividi lungo la spina dorsale.
«Ancora nessun ricordo?» chiede lei a bassa voce.
«La mia memoria è penosa» grugnisce lui. «Dovrai rinfrescarmela».
Regina è più che felice di farlo: le sue braccia si chiudono dietro il collo di lui e i loro volti sono ad un mero centimetro l’uno dall’altro – e quando annullano anche quella piccola distanza, è chiaro che la memoria di lui è subito ristabilita perché il modo in cui risponde al suo bacio le fa girare la testa.

«Pensavi che io fossi tua moglie» borbotta più tardi lei contro il suo collo.
«Davvero?» Fa un po’ il solletico mentre lui le accarezza i capelli.
Regina annuisce. «Era la febbre. Hai detto… delle cose. Su di noi. Sulla nostra vita». E scopre di poter a stento portarsi a dirlo, anche se da allora ha a malapena pensato ad altro. «Avevamo due figlie, ed una casa vicino ad un bosco, e le nostre stalle». Cosa dirà lui? Cosa potrebbe dire? Era solo un sogno, un’illusione, portata dalla febbre… o no?
Quando lui non parla affatto, lei azzarda un’occhiata. «Non sembri sorpreso» nota.
«No, suppongo di no». Lo sbigottimento di lei deve mostrarsi, poiché lui aggiunge quietamente: «Non mi è nuova».
«Ma hai detto che non ricordavi di cosa avevi parlato». Di certo non l’avrebbe negato.
«Non lo ricordo». C’è una pausa prima che lui parli di nuovo. «Questo non significa che io non abbia mai pensato simili pensieri».
Regina gli afferra la maglia senza realizzarlo davvero. «Daniel… io… tu davvero… davvero pensi a quelle cose? Con me?»
«Regina…» Lui le copre gentilmente le mani con le proprie. «Sì, è così. Ci penso tutto il tempo. È da un po’ che ce l’ho fisso nella mente, è solo che non sono sicuro se è troppo presto, quindi forse tu non vuoi ancora parlare di cose simili».
«Ma io lo voglio!»
«Lo vuoi?»
Lei si gira sulla pancia e appoggia il mento sul petto di lui, guardandolo negli occhi. «Io voglio avere una famiglia con te. Bambine con gli occhi marroni, o bambini con gli occhi azzurri, o qualsiasi variante di questi – non ha importanza. Io ti amo».
«Ti amo, Regina».
È soffice e caldo e sicuro, e se rimanesse così per sempre lei sarebbe per sempre felice.
«Non possiamo tenere questo – noi – un segreto per sempre. Lo sai, non è vero?» Lo stomaco di lei si annoda spiacevolmente alle sue parole. La sua voce è sommessa e le sue parole gentili ma lui non cede come lei spera che gli farà fare il suo silenzio. «Regina. Dovrai dirlo ai tuoi genitori».
«Non ancora. Daniel… Abbracciami».
Il suono del battito di lui la culla lentamente verso il sonno. Appena prima che si addormentino, il suo sussurro insonnolito la raggiunge.
«Bambine con gli occhi marroni sia. Proprio come te».











Nota della traduttrice:
Okay, mentre traducevo ho avuto la brillante idea di ascoltare questo fanmix dedicato a Neal. Vi lascio quindi intuire in che stato mi sono ritrovata, considerato anche che ero scossa per conto mio ed avevo gli ormoni in attività extra. Resta comunque uno dei miei capitoli preferiti :')
In quanto al prossimo… Cercherò di averlo pronto per sabato 16, va bene?
Alla prossima, bellissimi!
  
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