..Ed
anche il suicidio.
Prefazione.
Veniamo messi
al mondo con il mero fine di camminare lungo il percorso di quella che sarà la
nostra vita. Vivere: è quello che sappiamo di dover fare.
Ci viene data la possibilità di
scegliere se vivere o meno? Ovviamente, no. Pensandoci bene, ci viene imposto.
Che schifo.
Penso a questo ogni giorno,
sistematicamente.
Quello che mi riesce facile, è
desiderare di morire. Non uccidermi. Non suicidarmi. Morire.
Al suicidio in realtà ci penso
loscamente. Un pensiero che ammorbidisce quelli acuminati derivati da
depressione, esaurimento, problemi fisici ed anche mentali.
Il suicidio,
o solamente l’idea di questo, allevia tutto il resto. E’ un po’ la mia morfina
personale. Se immagino me stessa tagliarsi le vene comincio ad auto compatirmi
e non c’è più spazio per il “dolore di vivere”.
Da malata mentale insomma. Me lo sono sentita dire spesso. Che sia vero
o no, sono certa di non essere l’unica.
Non che
questo mi dia conforto.
PARAGRAFO 1
Ho da poco acquistato un appartamento
in centro. Il centro di un piccolo paese, perché la confusione non fa al caso
mio. E’ un bell’appartamento, al quinto piano di un palazzo costruito da poco.
Il quinto piano... no, non è un caso; do a me stessa svariate possibilità di
trovare la pace un giorno, l’ammetto.
E’ stata dura decidere di lasciare
casa e fare migliaia di chilometri per raggiungere un posto dove non ho
nessuno. Nessuno che mi conosce, nessuno che sa come mi chiamo; nessuno che sa
che esisto. Sono morta, per questa città. E’ una sensazione che mi fa sorridere
e mi riempie di tristezza allo stesso tempo. A questa gente probabilmente non
interessa conoscermi. Ed è quello che voglio no? Infondo ho solo 27 anni.
Perché dovrei preoccuparmi di questo? Devo solo stringere i denti e sperare di
restare anonima.
Il fattorino dalle mani tozze mi
chiede una firma e io l’osservo per qualche istante contenta che finalmente
questi estranei possano andare fuori da casa mia. Casa mia. E’ strano dirlo.
Lui riceve la sua firma e io, dopo aver chiuso la porta a chiave, m’incammino
fino a raggiungere il sofà. Mi getto letteralmente sul divano in modo alquanto
goffo e resto ferma a fissare il soffitto per qualche minuto. Che silenzio.
PARAGRAFO 2
Mi sono alzata questa mattina con un
leggero senso di nausea… e malinconia. Non voglio ammettere a me stessa che
casa mi manca. Eppure è così. Vorrei sentire le voci dei miei familiari che
tanto ho odiato. Qua c’è solo un continuo silenzio, tranne quando ho la
televisione accesa; ma dopotutto, capisco l’ottante percento di quello che
dicono..quaranta quando sono distratta. Sono uscita sul balcone quando il sole
ancora picchiava e ho visto della gente passeggiare felice per le vie immense,
qualcuno faceva jogging, qualcuna la babysitter a dei mocciosi in passeggino.
Questo mi ricorda che devo mettermi a cercare un lavoro e che devo comprarmi un
portatile il prima possibile. I soldi che ho messo da parte per partire non mi
basteranno ancora per molto. Chissà cosa succede oltre oceano. Mia madre ha
chiamato una volta ma l’ho subito ammonita dicendole che così mi prosciuga la
scheda del cellulare, visto che sono io quella che paga di più. Adesso vorrei richiamarla
ma prima voglio procurarmi una di quelle schede internazionali che ti permettono
di parlare per un bel po’ con pochi dollari; ne ho sentito parlare in aeroporto,
ma il dovermi vestire per scendere a fare un giro mi scoccia. Un leggero senso
del dovere mi fa scuotere il capo. Devo. E’ per me. E’ questo che mi ha fatta
arrivare fin qua. Solo me stessa. Devo pensare solo a me stessa.
So che posso ricominciare da zero. So
che posso farlo.
PARAGRAFO 3
Il primo tentativo è andato. Non c’è
verso di far funzionare questo aggeggio senza che mi salga il nervoso? Ho
cercato di farmi spiegare dalla commessa del negozio come funziona questa stramaledetta
scheda e ci ho riprovato. Poi c’ha provato lei e, poi mi ha riferito che non sa
perché non funzioni. A quanto pare le chiamate verso il mio paese si bloccano
in automatico. Figurarsi. Per oggi lascio stare.
Torno a casa a piedi attraversando il
centro; ormai ho capito che le due strade più importanti sono collegate ad
altre quattro più piccole e che, se ci fai il giro una volta, hai già imparato
ogni metro a memoria. Su una di queste si trova il mio appartamento. Qui le
cittadine sono piccole ma fornite di tutto; i negozi sono aperti 24 ore su 24,
e se si fa qualche decina di chilometri si arriva in città. Ti viene voglia di viverci. E’
caldo oggi, nonostante le 7 di sera. Mi hanno detto che in inverno si arrivano
a sfiorare i 60 gradi Fahrenheit. Vorrà dire che non dovrò mai indossare un
piumino o un giubbotto pesante. Tutti i passanti che incontro mi sorridono. Mi
tocco il viso per capire se ho qualcosa che non va. Prendo lo specchio, ma
sembra tutto normale, tranne le occhiaie post jet leg. Evidentemente le
abitudini da queste parti non sono cambiate.
PARAGRAFO 4
Quando sono venuta qui la prima volta
è stato per un motivo simile. Cambiare aria. Allora, non avrei mai immaginato che sarei
venuta a viverci dopo alcuni anni, anche se ricordo di averlo sempre sperato.
Ho passato un mese abitando con persone che non avevo mai visto in vita mia;
una famiglia davvero piacevole. Peccato che io non lo sia stata per loro. Me ne
stavo spesso per i fatti miei, mentre probabilmente loro avrebbero voluto che raccontassi
storielle sul mio paese, le mie abitudini, la lingua. Adorano l’italiano. Io
parlavo e dietro le loro scapole comparivano delle alette bianche mentre gli
occhi diventavano a forma di cuore. Per fortuna in giro nessuno capiva che non
ero americana, anzi sia per via del mio accento, che per il mio aspetto fisico,
erano certi fossi una loro concittadina. Ricordo ancora i loro visi contorti
nell’espressioni più assurde nello scoprire che invece ero europea. Spesso mi
limitavo a dire il continente di appartenenza perché se no poi partiva
l’interrogatorio.
Una cosa che ho imparato è che gli
americani adorano l’Italia, anche se non ci vivrebbero mai. Come dargli torto. Anche
durante quella vacanza mi succedeva spesso che, camminando per strada, tutte le
persone che incrociavo mi sorridevano e mi salutavano. Un’usanza certamente
sconosciuta nel mio paese natale. Adesso me ne sono ricordata.
PARAGRAFO 5
Squilla. E’ mezzanotte, quindi da
loro sono le tre di pomeriggio. “Ciao!” Sono più eccitata di quello che credevo.
“Finalmente! Sono stata in pensiero, non hai chiamato. Io devo sapere se stai
bene.” La solita paranoica. “Mamma, va tutto bene, lo sai che non posso
spendere soldi, soprattutto in chiamate.” Adesso mi dice che non devo
preoccuparmi per i soldi, che me li manda lei ecc. ecc., meglio non lasciarle
il tempo di parlare. “E’ meglio sentirci una volta ogni due giorni” per ora,
poi diventeranno settimane spero. “Qui fa caldo e mi sono ripresa dal fuso orario.
Voi?” Niente da fare, è come se non avessi detto niente. “Hai messo a posto
tutto? Io e papà stavamo pensando di venire a trovarti il mese prossimo, così
vediamo dove stai, come ti sei sistemata.” Cosa? Cosa? “Il mese prossimo?”
Comincia a mancarmi l’aria, meglio sedersi. “Si, così se tuo padre è d’accordo
invece di andare in vacanza in crociera veniamo in California e stiamo da te.”
Da me. Un attimo. Da me? “Mamma, l’appartamento è piccolo, in tre non ci
stiamo.” Incrocio le dita, mentre alzandomi mi avvicino al frigo e riempio un
bicchiere d’acqua ghiacciata. “Non vuoi che veniamo, vero?” Non faccio in tempo
ad ingoiare che l’acqua mi va di traverso e di conseguenza mi fa tossire
bruscamente. Abbasso il cellulare finché non mi riprendo del tutto, ma il suono
della voce di mia madre continua ad uscire dall’auricolare e con tono sempre
più preoccupato. “No. No.” Riesco a dire tossendo un altro poco. “Non è che non
voglio, solo che…” sono venuta per starmene tranquilla per i fattacci miei e la
vostra presenza non mi farebbe proprio saltare di gioia. “Non vuoi… capisco.” Di
questo, prima di partire non avevamo mai discusso. Nemmeno accennato. Infame,
mi ha tirato un colpo basso dicendomelo per telefono. “Mamma?” Silenzio.
“Mamma?” Tu tu tu tu.
Bene.
PARAGRAFO 6
Tra tutti i vicini che potevano
capitarmi, proprio uno che ascolta musica country doveva abitare al piano di
sotto? La giornata è cominciata male. La musica a tutto volume mi ha svegliata
presto e, come se non bastasse mia madre ha provato a chiamarmi 6 volte, ogni
ora dopo l’una. Evidentemente non le frega molto che ci siano nove ore di fuso
orario. Alla fine si è arresa e mi ha mandato un messaggio a cui ho risposto
dicendo che la chiamavo in serata. Maledico la telecomunicazione. Mi manca
l’aria. Cosa devo fare per un po’ di pace? Ho sentito la mancanza di casa per
cinque minuti e come una maledizione ecco mia madre che comincia ad
asfissiarmi. Una doccia ghiacciata mi ha fatta calmare. Non ho ancora l’acqua
calda, dicono che prima devo pagare un anticipo e poi me l’allacciano.
Americani… non si fidano della mia buona parola? Comunque non ne faccio un
dramma, dopotutto è ancora piena estate, posso stare qualche mese senza.
Inoltre l’affitto mi succhia già troppi soldi. Fortuna che i primi tre mesi
sono stati già pagati da mio padre, a patto che me li lascia restituire appena
trovo un lavoro. Ecco. Oggi ho quel colloquio alle 5.00. Devo andare a Los
Angeles e, visto che in casa non ho nulla da mangiare pranzerò a Downtown.
Sembra che questa sarà una giornata piacevole. Forse riuscirò a dimenticare la
morsa in cui sento stretti i polmoni.
PARAGRAFO 7
La cosa bella di questa città è che
non sembra per nulla americana. Non sono mai stata in altri stati per la
verità, non posso fare un paragone, ma Los Angeles è fuori dal mondo. Americano
ovvio; e questo è risaputo. Sarà per questo che non sono mai andata altrove.
Dopo aver vissuto qua per un mese, ho desiderato di tornarci tante volte. Solo
qua. Dopotutto è simile al posto in cui sono nata e cresciuta, solo dieci anni
più avanti. C’è il mare, la collina. Clima temperato. E c’è il frappuccino. Una
delle poche cose per cui vale la pena vivere, dopo i pancakes. Manca un’ora al
colloquio ma io non posso prendermela comoda.
PARAGRAFO 8
Inizialmente i miei non hanno preso
bene la notizia del mio trasferimento. A dire il vero, era una cosa che
temevano visto che ho sempre detto loro di voler andare negli Stati Uniti e che
presto o tardi l’avrei fatto. Ma non mi avrebbero mai aiutata a realizzare il
mio sogno se non avessi detto che era per trovare la mia dimensione. Per
cercare un lavoro e soprattutto sfruttare la mia abilità con la lingua inglese
evitando la fase tecnica dello studio. Ho sempre odiato la grammatica. Ho
sempre odiato studiarla nel mio paese. Avrei fatto uno sforzo solo stando sul
luogo. In realtà conosco l’inglese e non so il perché. Non credo di averlo
imparato a scuola. Qui gli stranieri sono numerosi e molti lavorano nelle
università. E’ un ottimo modo per integrarsi. Ovviamente io non voglio
integrarmi, ma ho bisogno di soldi e questo lavoro me li darà. Mi sono sforzata
per 27 anni facendo qualcosa che non mi piaceva per niente. Non vedo dove sia
il problema adesso. Infatti non c’è. E’ solo nella mia testa. Hanno fatto il
mio nome. E’ ora di dimostrare che voglio davvero questo posto. Dimostrare di
essere un semplice essere umano che cerca solo la sua nicchia.
Speriamo di saper fingere bene. “Good
Morning.”
PARAGRAFO 9
Un’ altro ragazzo non avrebbe avuto
problemi a controbattere in modo sicuro alle stesse patetiche domande che mi
sono state rivolte in meno di mezzora. Avrebbe detto deciso di “si” nel momento
in cui gli è stato chiesto se è felice della sua vita attuale. Non come ho fatto io. La biondina che è entrata dopo di me
certamente non lascerà che il silenzio divida in due l’aria gelida della stanza,
nel momento in cui le verrà posta la fatidica domanda: perché vuole questo
lavoro?
Ho mentito spudoratamente. Ho dovuto,
altrimenti non mi avrebbero nemmeno presa in considerazione. E sicuramente è
quello che faranno nonostante le bugie e il sorrisetto stampato in faccia. Anche
se non mi dispero se non otterrò questo posto. Ho mirato in alto lo so; avrei
dovuto gettarmi subito tra piatti e lavelli. Oppure a servire pizze come una
sguattera in un ristorante italiano che di italiano non ha niente. Invece ho
sempre queste aspettative, illudendomi di poter ancora valere qualcosa. Ho
bisogno di soldi. Dannazione!
PARAGRAFO 10
La giornata di ieri mi ha sfinita del
tutto. Restare fuori casa per un giorno non è stata un’ottima idea, soprattutto
se penso a quanto ho camminato. Sono pigra. L’ho sempre saputo. Oggi pomeriggio
mi concedo un po’ di relax. Voglio andare in un internet cafè e bazzicare un
po’ in rete sorseggiando un bicchierone di cappuccino. Niente di più. Durante
l’interminabile viaggio in aereo ho pensato molto e mi sono ripromessa di non
attaccarmi al pc così in fretta. Comprerò un portatile, ma prima voglio
disintossicarmi: dal computer e tutto ciò che gli gira intorno. Purtroppo non
sarà facile; è come una droga e non riesco più a farne a meno. Ed io non voglio
questo. Non più. Sono qua per la mia indipendenza ed avere un contatto con la
mia vecchia vita mi fa stare male e, mi fa ricordare che infondo non era così
brutta. E’ la solita storia: quando ottieni quello che hai sempre desiderato
non è mai come te l’aspettavi, e subito
senti la mancanza di ciò che hai perduto. Ma io sono forte. Non voglio ricadere
nel baratro. Non di nuovo.
PARAGRAFO 11
Quella giornata la ricordo come la
più nera di tutta la mia vita. Nera
perché a un certo punto vidi il buio e quando riaprii gli occhi mi trovai in
ospedale. Avevo ingerito una dose di troppo di calmanti. Volevo solo un po’ di
sollievo. Sollievo da quel dolore che mi
premeva il petto e non mi faceva respirare. Avevo solo 24 anni, ma al suicidio
ci avevo pensato già tante volte. Quella volta però non volevo ammazzarmi. Pensai
che avrei attenuato la sofferenza se avessi assunto qualche pillola, invece la
dose massiccia di caffè che avevo nello stomaco, trasformò le pillole in una
droga che causò una crisi epilettica. Almeno questo è ciò che è stato detto ai
miei e che loro mi hanno riferito al mio risveglio.
E’ stato pressoché imbarazzante
spiegare in seguito il motivo del mio gesto; difatti non l’ho mai fatto e sono
finita in terapia da uno psichiatra. Clinicamente ero stata definita “una
psicotica con tendenza al suicidio”. Alle prime sedute mi recavo riluttante e
colma di odio, ma poi ho cominciato a stare meglio e quindi ho pensato che
forse vedevo le cose da una prospettiva sbagliata. Ci sono voluti mesi, ma gli
appuntamenti si sono diradati, fino a che ho smesso del tutto. Non ho più
ingerito un calmante e i miei hanno archiviato questa storia senza ulteriori
ripercussioni. Anche se ho capito che il trasferimento negli Stati Uniti li ha
allarmati e non poco. Ho dovuto dar prova di essere cambiata e maturata a tal
punto da concedermi una possibilità. Loro lo hanno fatto, ma io non so ancora
se sono pronta a fare lo stesso con me stessa.
PARAGRAFO 12
Oggi mentre uscivo ho conosciuto una
ragazza che abita nell’appartamento accanto al mio. Sono già alcune settimane
che sono qua, ma lei non l’avevo mai vista. Strano. E’ entrata in ascensore con
me; una trappola da cui difficilmente puoi sfuggire. Si è presentata ed io ho
ricambiato.
E’ strano averla trovata immobile
nello stesso punto dove l’ho lasciata. Cammino silenziosa. Non voglio che mi
veda, anche perché considerando che i convenevoli sono belli che superati, se
entro con lei dovremo parlare di qualcosa. L’idea mi dà la nausea. Preferisco
fare le scale. Non ho niente contro di lei, ma non ho fatto
PARAGRAFO 13
Oggi ho l’umore a pezzi.
E’ sempre stato così per me; un continuo
di alti e bassi.
Fino a due giorni fa era almeno
decente: avevo un leggero sorriso in viso e una discreta voglia di vivere. Oggi
avrei voglia di non alzarmi dal letto. E non credo che lo farò. La cosa bella è
che non c’è nessuno a cui dover dare spiegazioni se non lo faccio. Se non
mangio o bevo. Se non vado in bagno o se non assolvo i miei compiti di brava
figlia.
A dire il vero non ne ho uno al
momento, tolto quello di trovare un lavoro. Voglio prima aspettare la chiamata
dall’università, anche se l’attesa è inutile; so già quello che mi diranno.
Non ho neanche bevuto del caffè e
questo è grave. Ho lo stomaco aggrovigliato come quando ti prendi una cotta per
qualcuno, senza però l’ansia che accompagna quel momento idilliaco. Mi sento
uno schifo. Ecco tutto.
PARAGRAFO 14
La speranza è l’ultima a morire. Diceva qualcuno. Ho sempre pensato che questo
qualcuno non avesse mai vissuto nella vita reale ed oggi l’ho sperimentato in
prima persona, di nuovo. Ero così contenta di poter stare sul letto a fare
niente per tutto il giorno… Dove sono le mie speranze? Nel cesso insieme alle
mie aspettative.
Ho chiuso gli occhi per qualche ora e
poi ho sentito un flebile suono provenire dalla cucina. Il primo l’ho ignorato.
Al secondo ho aperto gli occhi sperando che svanisse nel nulla. Al terzo mi
sono sollevata e ho capito che il suono era il campanello di casa. Non sapevo
nemmeno di averlo, tanto nessuno l’aveva mai usato. Quando ho aperto ho trovato
semplicemente un biglietto con su scritto “Ti va di venire da me stasera? 22A”
PARAGRAFO 15
Che cosa c’è
in me che non va? Tutto e niente. Non ha importanza alla fine. Ne ha solo
quando mi accorgo di stare ferendo qualcuno che non sia io. Solo in quel
caso. L’egoismo: ne sono la
personificazione. Non è sempre facile accettare di essere egoisti ed io non
credo di esserci ancora riuscita.
Ho sempre
tentato di isolarmi da tutti ancor prima di occupare un posto importante nei
loro cuori. Isolarmi da chi mi ha voluto bene e poi mi ha odiata.
Da chi ho
volutamente ferito.
Da chi mi ha
ferita.
Estraniata
dal resto del mondo perché è stata meno dolorosa la separazione.
A volte,
ancora oggi, quando penso a quelle persone a cui ho voluto molto bene, persone
che hanno respirato la mia stessa aria, sorriso e pianto insieme a me… vederle
felici vivere le loro vite mi intristisce terribilmente. Avrei potuto far parte
anche io della loro vita, ma ho scelto la solitudine. E provo rabbia. Rabbia
che nascondo infondo al cuore per paura che qualcuno veda quello che sono
diventata. Vittima del mio stesso egoismo.
Ho dovuto
fare migliaia di chilometri per attuare il mio piano, per isolarmi, eppure
sembra che i tentativi siano sempre vani. Forse non sono semplicemente
destinata a soffrire per la mia solitudine, ma a patire pene per la mancanza di
essa.
PARAGRAFO 16
Ho bussato solo una volta sperando di
sfuggire a quel confronto, ma i tonfi pesanti sul pavimento mi stanno facendo
chiaramente capire che invece mi ha sentita al primo colpo.
Mentre la
porta si apre a scatti vedo comparire allo stesso modo anche il suo volto
sorridente. Tra le mani ho il biglietto che lei mi ha lasciato qualche ora
prima, quasi a convincermi che non è tutto frutto della mia immaginazione. Dopo
avermi invitata ad entrare, indica le mie scarpe. Le chiedo se vuole che le
levi. Lei mi sorride facendomi un cenno ed io alquanto goffamente mi abbasso
per levarle e lasciarle accanto alla porta.
Mi sollevo di
nuovo e lei è sempre là in posizione eretta, immobile. Faccio alcuni passi
facendomi largo attraverso la stanza per arrivare subito in cucina: piccola e
confortevole. Mi volto e mi accorgo che lei è proprio dietro di me con i suoi capelli
nero corvino raccolti in una coda e mi guarda senza dire nulla. Gli occhi di
questa ragazza sono bellissimi e rassicuranti. Mi chiede, facendo dei gesti, se
ho sete. Io annuisco sollevata che abbia rotto il ghiaccio.
L’osservo
mentre si avvicina ad un mobile aprendo l’anta in alto a sinistra, prende un
bicchiere e poi si dirige verso il frigo. Versa l’acqua nel bicchiere e me lo
porge sorridendo. La ringrazio e ne bevo un sorso. E’ ghiacciata, ma
rinfrescante. Lei non smette di
osservarmi ed io imbarazzata abbasso il capo per poi voltarmi e sedermi sul
divano a qualche passo da noi. Il silenzio comincia ad innervosirmi e lei non
accenna a dire una parola. Sembra muta. Comincio a pensare che lo sia davvero.
PARAGRAFO 17
C’era una
volta alle scuole medie inferiori, una ragazza che non parlava mai a meno che
non fosse stato un professore a chiederglielo. Ricordo anche che quando
qualcuno le si avvicinava per domandarle in prestito una matita o una penna,
lei porgeva l’oggetto senza rispondere.
Un giorno non
so come, finii per sedermi accanto a lei ed io che ero una grande chiacchierona
non riuscivo a sopportare di starle così vicina e non poter dire mai nulla.
Un giorno, stufa, decisi di cambiare
posto, ma d’un tratto, mentre raccoglievo la mia roba dal banco, lei mi rivolse
una domanda.
Da quella
volta, non so bene come, diventammo migliori amiche e passavamo tanto tempo
insieme. Quando eravamo sole, lei
parlava davvero tanto, ma poi a scuola diventava improvvisamente muta, forse
più che altro disciplinata... al mio contrario.
Questa amica
mi ricorda molto la ragazza che adesso si è seduta di fronte a me e continua a
non dire nulla.
Sorride e non
dice nulla…
Mi alzo,
perché sono stufa di continuare questa commedia ma ad un tratto la vedo. Una foto
incorniciata, poggiata sul tavolino accanto alla tv. Poso il bicchiere e mi
avvicino lentamente. La prendo tra le mani: perché diamine io e questa ragazza
siamo nella stessa foto e, perché diamine stiamo sorridendo?
PARAGRAFO 18
“E’ stato
molto tempo fa. Questo, tutto questo.
E adesso tu
non sei più quella persona. Sei diversa, sei vuota.
Non sei tu. E
questo mi fa male. E so che non posso fare assolutamente nulla per cambiare il
presente, né il passato.
Sono inutile,
lo sono sempre stata. Non sono riuscita a salvarti: era il mio compito ricordi?
Me lo dicevi sempre ed io ho fallito anche in questo.”
Le parole fuoriescono
lente dalla sua bocca e io resto inebetita ad osservare quello che sta succedendo.
Tutt’intorno comincia a sciogliersi come se le pareti fossero fatte di cera e
qualcuno avesse acceso un grande fuoco.
Lei mi
osserva e poi sorride, prima che una lacrima le righi la guancia bianca. Perché
sta piangendo?
E perché non
sono più seduta sul divano?
Che cos’è
quest’odore?
E’ tutto
bianco. Vuoto.
Dove mi trovo?
PARAGRAFO 19
Quando ieri
ho aperto gli occhi credevo davvero di stare sognando. Tutto quello che mi
circondava, per quanto familiare potesse sembrare, non era reale.
Mi ci sono
voluti alcuni minuti per convincermi che invece lo era.
Questa
mattina sono stata tutto il tempo affacciata alla finestra, fissando le
rigature del metallo arrugginito, metallo che disegnava una rete spessa
tutt’attorno ad essa.
Nel
pomeriggio ho chiesto di poter vedere i miei genitori. Ho parlato con loro e
sono stati felici di vedermi sveglia; ma li sentivo distanti, quasi schifati da
quello che stavano guardano. Durante la nostra breve conversazione ho scoperto
di aver dormito per due giorni di seguito. Sono andati via ed io da quel
momento mi sono sentita triste e abbandonata.
Sono qua che
guardo la luna piena attraverso i vetri sudici della finestra della mia stanza.
Sono
rinchiusa in un manicomio.
E sono pazza.
PARAGRAFO 20
Oggi è un bel giorno. Lei sta venendo a
trovarmi. Il cigolio della porta che si apre
mi avverte che è già qui. Mi volto e la guardo, mentre lei guarda me. I capelli
raccolti in una coda alta, come al solito. Io, con questa veste bianca, sono
messa male invece. “Sei venuta.” Le dico facendo qualche passo verso di lei,
abbracciandola. Che buon profumo. “Me
l’hai chiesto tu..” mi risponde con la voce che le si blocca in gola. “Sei
l’unica, che lo sa.” Continuo stringendola di più a me. “Ieri, ho fatto un
sogno. Un sogno bellissimo.. Non sapevo di stare sognando. Credevo che quello
che vedevo fosse tutto reale…ero in America, avevo un appartamento, ero sola,
libera. Ero felice e.. c’eri anche tu, solo che non sapevo fossi tu. ” Mi fermo e mentre riprendo fiato
lei mi dice con gentilezza: “Capita, nei sogni.”
“Non era un
sogno.” Le dico decisa mentre mi volto e mi siedo irritata sul letto. “O forse
lo era fin troppo. Lo è sempre stato, e ora invece sono rinchiusa qui.”
Continuo abbassando il capo. “Perché vuoi farlo?” mi accorgo che è già accanto
a me. “Perché me lo chiedi?” le domando stizzita. “Non lo so. Ma è strano
trovarsi dall’altra parte.” Mi risponde scrollando le spalle. “Dopo essermi
svegliata ieri, accorgendomi di non essere in America, ma in un ospedale
psichiatrico, ho pianto. Ho pianto per tutta la notte. E il giorno dopo ho
fissato le altre che passavano il tempo in giardino a giocare a carte, a
scacchi, a fare passeggiate.. io ero in America capisci?” Le rivolgo lo
sguardo. “Credo di si”
“E ora questa
realtà non posso accettarla. Quella. Voglio vivere per sempre in quella realtà.
Voglio solo chiudere gli occhi e illudermi per sempre di essere riuscita a
realizzare quello che ho sempre voluto. E non posso farlo senza di te.”
E’ scoppiata
a piangere, ma la sua mano è stretta nella mia. Tanto stretta da non sentirne
più la sensibilità.
EPILOGO
“Certe volte,
quello che vuoi ce l’hai davanti agli occhi, e ti basta così poco per allungare
la mano e raggiungerlo.
Altre volte
sei consapevole quanto solo sollevare il braccio sia estremamente difficile.
E nella vita
più passano gli anni e più si fa fatica a credere di potersi prendere quello
che si vuole. Quello che si è sempre desiderato.
La vita.
Ci può fare
schifo a tal punto da volerla vomitare, nella speranza che si espella tutto
quello che di marcio ti lascia?
Ho vissuto la
mia, nell’illusione che il dolore sarebbe andato via, che le lacrime si
sarebbero asciugate, che le mani avrebbero finalmente smesso di tremare, che la
testa avrebbe smesso di fare male, che il petto avrebbe smesso di bruciare, che
i brividi sarebbero svaniti, che la gola si sarebbe liberata un giorno dalla
morsa in cui è stretta e che il cuore avrebbe smesso di saltare nel petto.
Ho vissuto la
mia vita nell’illusione che la sofferenza avrebbe un giorno lasciato il posto
alla felicità. Felicità che quando si
affacciava alla mia porta riusciva, qualche volta, a scacciare dalla testa
quelle parole: fallo, non ha senso continuare a vivere.
Ho vissuto la
mia vita.
L’ho fatto
per te, per lui, per lei. Per tutti coloro che quando hanno saputo, la prima
volta, che avevo tentato il suicidio hanno provato compassione per me. Tutti
coloro per cui IO ho rinunciato ai miei sogni, pur di non deluderli. Ho
lasciato cadere in silenzio me stessa in un pozzo senza fine. Per tutti voi.
Per te, per lui, per lei.
Quando hanno saputo
che ho tentato il suicidio la seconda volta hanno cominciato ad odiarmi. E la
terza, non ho visto nemmeno più le loro facce.
Ora, sono
sola. Lo sono sempre stata, ma forse sarei dovuta finire prima in un manicomio
per rendermi conto che sono lo sono davvero.
I miei
genitori mi guardano schifati. Io stessa mi faccio schifo, come è sempre stato
d’altronde, e l’unica persona che davvero mi mancherà di questo mondo è colei
che in questo momento vi sta leggendo questa lettera. E so che io mancherò a
lei.
Ma lei, è
cosciente di quanto questa liberazione valga per me.
Sa benissimo
quello che otterrò quando avrò allungato il braccio per raggiungere quello che
ho sempre desiderato.
Oltre lei,
solo la morte è stata da sempre la mia unica amica.
L’ho bramata
così tante volte da essere stata rinchiusa in questo posto. L’ho desiderata al
punto di confessarlo a squarcia gola e sconvolgere per sempre la vita della mia
famiglia e di tutti quelli che ora, probabilmente, stanno ascoltando ancora più
sconvolti queste parole.
Ho desiderato
morire e ho sfidato la morte più volte, e quello che più mi lascia basita è la
paura che provo ora che mi rendo conto che sto per farlo davvero.
La prima
volta che ho capito quanto mi spaventava, quella volta in cui ho ingerito quei
tranquillanti sapendo che non mi avrebbero ammazzata.
L’ho fatto nella
speranza che subito dopo avrei apprezzato la vita.
Ma è successo
tutto il contrario.
E’ il tempo.
Il tempo che
passa, e che deve passare.
Il tempo che
devo vivere, qui o in qualunque altro posto in cui so che non posso avere
quello che ho sempre desiderato.
La morte è
spaventosa, ma ancor più spaventosa sarebbe la coscienza di vivere in eterno e
di non poter morire mai.
Ora lo so.
Per questo il
suicidio.
Sono consapevole
di quello che sto facendo. L’ho tentato più volte. E questa sarà quella
definitiva, perché vivere non è l’unica scelta che l’essere umano deve accettare.
C’è la morte,
ed anche il
suicidio.”
Ringraziamenti.
Ringrazio
Pheebe, Elena, Brody e Namida che come al solito mi hanno fatto da Beta-Reader
e hanno contribuito alla conclusione di questa storia. Ringrazio tutti coloro
che hanno letto EAIS in passato e l’hanno commentata e tutti coloro che la
leggeranno e la commenteranno.
Hypa
( http//endofthestory.forumfree.net )