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Autore: Hypa    13/09/2008    1 recensioni
"La morte è spaventosa, ma ancor più spaventosa sarebbe la coscienza di vivere in eterno e di non poter morire mai."
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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..Ed anche il suicidio.


Prefazione.

 

 

Veniamo messi al mondo con il mero fine di camminare lungo il percorso di quella che sarà la nostra vita. Vivere: è quello che sappiamo di dover fare.

Ci viene data la possibilità di scegliere se vivere o meno? Ovviamente, no. Pensandoci bene, ci viene imposto.

Che schifo.

Penso a questo ogni giorno, sistematicamente.

Quello che mi riesce facile, è desiderare di morire. Non uccidermi. Non suicidarmi. Morire.

Al suicidio in realtà ci penso loscamente. Un pensiero che ammorbidisce quelli acuminati derivati da depressione, esaurimento, problemi fisici ed anche mentali.

Il suicidio, o solamente l’idea di questo, allevia tutto il resto. E’ un po’ la mia morfina personale. Se immagino me stessa tagliarsi le vene comincio ad auto compatirmi e non c’è più spazio per il “dolore di vivere”.  Da malata mentale insomma. Me lo sono sentita dire spesso. Che sia vero o no, sono certa di non essere l’unica.

Non che questo mi dia conforto.  


PARAGRAFO 1

 

Ho da poco acquistato un appartamento in centro. Il centro di un piccolo paese, perché la confusione non fa al caso mio. E’ un bell’appartamento, al quinto piano di un palazzo costruito da poco. Il quinto piano... no, non è un caso; do a me stessa svariate possibilità di trovare la pace un giorno, l’ammetto.

E’ stata dura decidere di lasciare casa e fare migliaia di chilometri per raggiungere un posto dove non ho nessuno. Nessuno che mi conosce, nessuno che sa come mi chiamo; nessuno che sa che esisto. Sono morta, per questa città. E’ una sensazione che mi fa sorridere e mi riempie di tristezza allo stesso tempo. A questa gente probabilmente non interessa conoscermi. Ed è quello che voglio no? Infondo ho solo 27 anni. Perché dovrei preoccuparmi di questo? Devo solo stringere i denti e sperare di restare anonima.

Il fattorino dalle mani tozze mi chiede una firma e io l’osservo per qualche istante contenta che finalmente questi estranei possano andare fuori da casa mia. Casa mia. E’ strano dirlo. Lui riceve la sua firma e io, dopo aver chiuso la porta a chiave, m’incammino fino a raggiungere il sofà. Mi getto letteralmente sul divano in modo alquanto goffo e resto ferma a fissare il soffitto per qualche minuto. Che silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

PARAGRAFO 2

 

Mi sono alzata questa mattina con un leggero senso di nausea… e malinconia. Non voglio ammettere a me stessa che casa mi manca. Eppure è così. Vorrei sentire le voci dei miei familiari che tanto ho odiato. Qua c’è solo un continuo silenzio, tranne quando ho la televisione accesa; ma dopotutto, capisco l’ottante percento di quello che dicono..quaranta quando sono distratta. Sono uscita sul balcone quando il sole ancora picchiava e ho visto della gente passeggiare felice per le vie immense, qualcuno faceva jogging, qualcuna la babysitter a dei mocciosi in passeggino. Questo mi ricorda che devo mettermi a cercare un lavoro e che devo comprarmi un portatile il prima possibile. I soldi che ho messo da parte per partire non mi basteranno ancora per molto. Chissà cosa succede oltre oceano. Mia madre ha chiamato una volta ma l’ho subito ammonita dicendole che così mi prosciuga la scheda del cellulare, visto che sono io quella che paga di più. Adesso vorrei richiamarla ma prima voglio procurarmi una di quelle schede internazionali che ti permettono di parlare per un bel po’ con pochi dollari; ne ho sentito parlare in aeroporto, ma il dovermi vestire per scendere a fare un giro mi scoccia. Un leggero senso del dovere mi fa scuotere il capo. Devo. E’ per me. E’ questo che mi ha fatta arrivare fin qua. Solo me stessa. Devo pensare solo a me stessa.

So che posso ricominciare da zero. So che posso farlo.


PARAGRAFO 3

 

Il primo tentativo è andato. Non c’è verso di far funzionare questo aggeggio senza che mi salga il nervoso? Ho cercato di farmi spiegare dalla commessa del negozio come funziona questa stramaledetta scheda e ci ho riprovato. Poi c’ha provato lei e, poi mi ha riferito che non sa perché non funzioni. A quanto pare le chiamate verso il mio paese si bloccano in automatico. Figurarsi. Per oggi lascio stare.

Torno a casa a piedi attraversando il centro; ormai ho capito che le due strade più importanti sono collegate ad altre quattro più piccole e che, se ci fai il giro una volta, hai già imparato ogni metro a memoria. Su una di queste si trova il mio appartamento. Qui le cittadine sono piccole ma fornite di tutto; i negozi sono aperti 24 ore su 24, e se si fa qualche decina di chilometri si arriva in città. Ti viene voglia di viverci. E’ caldo oggi, nonostante le 7 di sera. Mi hanno detto che in inverno si arrivano a sfiorare i 60 gradi Fahrenheit. Vorrà dire che non dovrò mai indossare un piumino o un giubbotto pesante. Tutti i passanti che incontro mi sorridono. Mi tocco il viso per capire se ho qualcosa che non va. Prendo lo specchio, ma sembra tutto normale, tranne le occhiaie post jet leg. Evidentemente le abitudini da queste parti non sono cambiate.

 


PARAGRAFO 4

 

Quando sono venuta qui la prima volta è stato per un motivo simile. Cambiare aria.  Allora, non avrei mai immaginato che sarei venuta a viverci dopo alcuni anni, anche se ricordo di averlo sempre sperato. Ho passato un mese abitando con persone che non avevo mai visto in vita mia; una famiglia davvero piacevole. Peccato che io non lo sia stata per loro. Me ne stavo spesso per i fatti miei, mentre probabilmente loro avrebbero voluto che raccontassi storielle sul mio paese, le mie abitudini, la lingua. Adorano l’italiano. Io parlavo e dietro le loro scapole comparivano delle alette bianche mentre gli occhi diventavano a forma di cuore. Per fortuna in giro nessuno capiva che non ero americana, anzi sia per via del mio accento, che per il mio aspetto fisico, erano certi fossi una loro concittadina. Ricordo ancora i loro visi contorti nell’espressioni più assurde nello scoprire che invece ero europea. Spesso mi limitavo a dire il continente di appartenenza perché se no poi partiva l’interrogatorio.

Una cosa che ho imparato è che gli americani adorano l’Italia, anche se non ci vivrebbero mai. Come dargli torto. Anche durante quella vacanza mi succedeva spesso che, camminando per strada, tutte le persone che incrociavo mi sorridevano e mi salutavano. Un’usanza certamente sconosciuta nel mio paese natale. Adesso me ne sono ricordata.

 


PARAGRAFO 5

 

Squilla. E’ mezzanotte, quindi da loro sono le tre di pomeriggio. “Ciao!” Sono più eccitata di quello che credevo. “Finalmente! Sono stata in pensiero, non hai chiamato. Io devo sapere se stai bene.” La solita paranoica. “Mamma, va tutto bene, lo sai che non posso spendere soldi, soprattutto in chiamate.” Adesso mi dice che non devo preoccuparmi per i soldi, che me li manda lei ecc. ecc., meglio non lasciarle il tempo di parlare. “E’ meglio sentirci una volta ogni due giorni” per ora, poi diventeranno settimane spero. “Qui fa caldo e mi sono ripresa dal fuso orario. Voi?” Niente da fare, è come se non avessi detto niente. “Hai messo a posto tutto? Io e papà stavamo pensando di venire a trovarti il mese prossimo, così vediamo dove stai, come ti sei sistemata.” Cosa? Cosa? “Il mese prossimo?” Comincia a mancarmi l’aria, meglio sedersi. “Si, così se tuo padre è d’accordo invece di andare in vacanza in crociera veniamo in California e stiamo da te.” Da me. Un attimo. Da me? “Mamma, l’appartamento è piccolo, in tre non ci stiamo.” Incrocio le dita, mentre alzandomi mi avvicino al frigo e riempio un bicchiere d’acqua ghiacciata. “Non vuoi che veniamo, vero?” Non faccio in tempo ad ingoiare che l’acqua mi va di traverso e di conseguenza mi fa tossire bruscamente. Abbasso il cellulare finché non mi riprendo del tutto, ma il suono della voce di mia madre continua ad uscire dall’auricolare e con tono sempre più preoccupato. “No. No.” Riesco a dire tossendo un altro poco. “Non è che non voglio, solo che…” sono venuta per starmene tranquilla per i fattacci miei e la vostra presenza non mi farebbe proprio saltare di gioia. “Non vuoi… capisco.” Di questo, prima di partire non avevamo mai discusso. Nemmeno accennato. Infame, mi ha tirato un colpo basso dicendomelo per telefono. “Mamma?” Silenzio. “Mamma?” Tu tu tu tu.

Bene.


PARAGRAFO 6

 

Tra tutti i vicini che potevano capitarmi, proprio uno che ascolta musica country doveva abitare al piano di sotto? La giornata è cominciata male. La musica a tutto volume mi ha svegliata presto e, come se non bastasse mia madre ha provato a chiamarmi 6 volte, ogni ora dopo l’una. Evidentemente non le frega molto che ci siano nove ore di fuso orario. Alla fine si è arresa e mi ha mandato un messaggio a cui ho risposto dicendo che la chiamavo in serata. Maledico la telecomunicazione. Mi manca l’aria. Cosa devo fare per un po’ di pace? Ho sentito la mancanza di casa per cinque minuti e come una maledizione ecco mia madre che comincia ad asfissiarmi. Una doccia ghiacciata mi ha fatta calmare. Non ho ancora l’acqua calda, dicono che prima devo pagare un anticipo e poi me l’allacciano. Americani… non si fidano della mia buona parola? Comunque non ne faccio un dramma, dopotutto è ancora piena estate, posso stare qualche mese senza. Inoltre l’affitto mi succhia già troppi soldi. Fortuna che i primi tre mesi sono stati già pagati da mio padre, a patto che me li lascia restituire appena trovo un lavoro. Ecco. Oggi ho quel colloquio alle 5.00. Devo andare a Los Angeles e, visto che in casa non ho nulla da mangiare pranzerò a Downtown. Sembra che questa sarà una giornata piacevole. Forse riuscirò a dimenticare la morsa in cui sento stretti i polmoni.

 


PARAGRAFO 7

 

La cosa bella di questa città è che non sembra per nulla americana. Non sono mai stata in altri stati per la verità, non posso fare un paragone, ma Los Angeles è fuori dal mondo. Americano ovvio; e questo è risaputo. Sarà per questo che non sono mai andata altrove. Dopo aver vissuto qua per un mese, ho desiderato di tornarci tante volte. Solo qua. Dopotutto è simile al posto in cui sono nata e cresciuta, solo dieci anni più avanti. C’è il mare, la collina. Clima temperato. E c’è il frappuccino. Una delle poche cose per cui vale la pena vivere, dopo i pancakes. Manca un’ora al colloquio ma io non posso prendermela comoda. La Southern University è così grande che per attraversarla ci impiegherò mezz’ora. Se solo non fossi scesa alla prima fermata e avessi continuato in bus, non avrei certo avuto questo problema. Basta rimuginare, camminare non mi fa certo male. Inoltre è ora di buttare questo contenitore di plastica vuoto. L’autista mi ha già guardata male quando sono salita in bus. Non avevo terminato e ora il frappuccino è ancora qua, tanto vale gettarlo. Sono nervosa.

 


PARAGRAFO 8

 

Inizialmente i miei non hanno preso bene la notizia del mio trasferimento. A dire il vero, era una cosa che temevano visto che ho sempre detto loro di voler andare negli Stati Uniti e che presto o tardi l’avrei fatto. Ma non mi avrebbero mai aiutata a realizzare il mio sogno se non avessi detto che era per trovare la mia dimensione. Per cercare un lavoro e soprattutto sfruttare la mia abilità con la lingua inglese evitando la fase tecnica dello studio. Ho sempre odiato la grammatica. Ho sempre odiato studiarla nel mio paese. Avrei fatto uno sforzo solo stando sul luogo. In realtà conosco l’inglese e non so il perché. Non credo di averlo imparato a scuola. Qui gli stranieri sono numerosi e molti lavorano nelle università. E’ un ottimo modo per integrarsi. Ovviamente io non voglio integrarmi, ma ho bisogno di soldi e questo lavoro me li darà. Mi sono sforzata per 27 anni facendo qualcosa che non mi piaceva per niente. Non vedo dove sia il problema adesso. Infatti non c’è. E’ solo nella mia testa. Hanno fatto il mio nome. E’ ora di dimostrare che voglio davvero questo posto. Dimostrare di essere un semplice essere umano che cerca solo la sua nicchia.

Speriamo di saper fingere bene. “Good Morning.”


PARAGRAFO 9

 

Un’ altro ragazzo non avrebbe avuto problemi a controbattere in modo sicuro alle stesse patetiche domande che mi sono state rivolte in meno di mezzora. Avrebbe detto deciso di “si” nel momento in cui gli è stato chiesto se è felice della sua vita attuale.  Non come ho fatto io.  La biondina che è entrata dopo di me certamente non lascerà che il silenzio divida in due l’aria gelida della stanza, nel momento in cui le verrà posta la fatidica domanda: perché vuole questo lavoro?

Ho mentito spudoratamente. Ho dovuto, altrimenti non mi avrebbero nemmeno presa in considerazione. E sicuramente è quello che faranno nonostante le bugie e il sorrisetto stampato in faccia. Anche se non mi dispero se non otterrò questo posto. Ho mirato in alto lo so; avrei dovuto gettarmi subito tra piatti e lavelli. Oppure a servire pizze come una sguattera in un ristorante italiano che di italiano non ha niente. Invece ho sempre queste aspettative, illudendomi di poter ancora valere qualcosa. Ho bisogno di soldi. Dannazione!


PARAGRAFO 10

 

La giornata di ieri mi ha sfinita del tutto. Restare fuori casa per un giorno non è stata un’ottima idea, soprattutto se penso a quanto ho camminato. Sono pigra. L’ho sempre saputo. Oggi pomeriggio mi concedo un po’ di relax. Voglio andare in un internet cafè e bazzicare un po’ in rete sorseggiando un bicchierone di cappuccino. Niente di più. Durante l’interminabile viaggio in aereo ho pensato molto e mi sono ripromessa di non attaccarmi al pc così in fretta. Comprerò un portatile, ma prima voglio disintossicarmi: dal computer e tutto ciò che gli gira intorno. Purtroppo non sarà facile; è come una droga e non riesco più a farne a meno. Ed io non voglio questo. Non più. Sono qua per la mia indipendenza ed avere un contatto con la mia vecchia vita mi fa stare male e, mi fa ricordare che infondo non era così brutta. E’ la solita storia: quando ottieni quello che hai sempre desiderato non  è mai come te l’aspettavi, e subito senti la mancanza di ciò che hai perduto. Ma io sono forte. Non voglio ricadere nel baratro. Non di nuovo.


PARAGRAFO 11

 

Quella giornata la ricordo come la più nera di tutta la mia vita.  Nera perché a un certo punto vidi il buio e quando riaprii gli occhi mi trovai in ospedale. Avevo ingerito una dose di troppo di calmanti. Volevo solo un po’ di sollievo.  Sollievo da quel dolore che mi premeva il petto e non mi faceva respirare. Avevo solo 24 anni, ma al suicidio ci avevo pensato già tante volte. Quella volta però non volevo ammazzarmi. Pensai che avrei attenuato la sofferenza se avessi assunto qualche pillola, invece la dose massiccia di caffè che avevo nello stomaco, trasformò le pillole in una droga che causò una crisi epilettica. Almeno questo è ciò che è stato detto ai miei e che loro mi hanno riferito al mio risveglio.

E’ stato pressoché imbarazzante spiegare in seguito il motivo del mio gesto; difatti non l’ho mai fatto e sono finita in terapia da uno psichiatra. Clinicamente ero stata definita “una psicotica con tendenza al suicidio”. Alle prime sedute mi recavo riluttante e colma di odio, ma poi ho cominciato a stare meglio e quindi ho pensato che forse vedevo le cose da una prospettiva sbagliata. Ci sono voluti mesi, ma gli appuntamenti si sono diradati, fino a che ho smesso del tutto. Non ho più ingerito un calmante e i miei hanno archiviato questa storia senza ulteriori ripercussioni. Anche se ho capito che il trasferimento negli Stati Uniti li ha allarmati e non poco. Ho dovuto dar prova di essere cambiata e maturata a tal punto da concedermi una possibilità. Loro lo hanno fatto, ma io non so ancora se sono pronta a fare lo stesso con me stessa.

 


PARAGRAFO 12

 

Oggi mentre uscivo ho conosciuto una ragazza che abita nell’appartamento accanto al mio. Sono già alcune settimane che sono qua, ma lei non l’avevo mai vista. Strano. E’ entrata in ascensore con me; una trappola da cui difficilmente puoi sfuggire. Si è presentata ed io ho ricambiato.

E’ strano averla trovata immobile nello stesso punto dove l’ho lasciata. Cammino silenziosa. Non voglio che mi veda, anche perché considerando che i convenevoli sono belli che superati, se entro con lei dovremo parlare di qualcosa. L’idea mi dà la nausea. Preferisco fare le scale. Non ho niente contro di lei, ma non ho fatto 5,000 km per allacciare nuovi rapporti. Si è voltata e mi ha sorriso accennando un saluto con la mano. Ricambio e proseguo per la mia strada. Tanto lei non sa che abito al quinto piano; la stranezza della situazione la colgo solo io. Salgo le scale fino all’ultimo gradino mentre un leggero brivido mi percorre la schiena. Mi volto ma non vedo niente. Proseguo senza badarci più di tanto e arrivo alla porta del mio appartamento. Mi volto nuovamente prima di infilare la chiave. Una voce mi fa balzare all’indietro.  Mi volto atterrita: è lei. Da dove è sbucata? Mi guarda torva, ma io sfuggo al suo sguardo. Adesso sa che abito accanto a lei e che  mi sono fatta cinque piani a piedi e non è per tenermi in forma.  “Hi” le sorrido nervosa. Non risponde. Sta sbirciando nel mio appartamento invece. “Do you like it?” Idiota. Forse dovrei chiederle di entrare. Sta scuotendo il capo lentamente dall’alto verso il basso. Si è voltata e si è allontanata senza dire una parola. Questa qua, tanto normale non lo è.


PARAGRAFO 13

 

Oggi ho l’umore a pezzi.

E’ sempre stato così per me; un continuo di alti e bassi.

Fino a due giorni fa era almeno decente: avevo un leggero sorriso in viso e una discreta voglia di vivere. Oggi avrei voglia di non alzarmi dal letto. E non credo che lo farò. La cosa bella è che non c’è nessuno a cui dover dare spiegazioni se non lo faccio. Se non mangio o bevo. Se non vado in bagno o se non assolvo i miei compiti di brava figlia.

A dire il vero non ne ho uno al momento, tolto quello di trovare un lavoro. Voglio prima aspettare la chiamata dall’università, anche se l’attesa è inutile; so già quello che mi diranno.

Non ho neanche bevuto del caffè e questo è grave. Ho lo stomaco aggrovigliato come quando ti prendi una cotta per qualcuno, senza però l’ansia che accompagna quel momento idilliaco. Mi sento uno schifo. Ecco tutto.

 


PARAGRAFO 14


La speranza è l’ultima a morire. Diceva qualcuno. Ho sempre pensato che questo qualcuno non avesse mai vissuto nella vita reale ed oggi l’ho sperimentato in prima persona, di nuovo. Ero così contenta di poter stare sul letto a fare niente per tutto il giorno… Dove sono le mie speranze? Nel cesso insieme alle mie aspettative.

Ho chiuso gli occhi per qualche ora e poi ho sentito un flebile suono provenire dalla cucina. Il primo l’ho ignorato. Al secondo ho aperto gli occhi sperando che svanisse nel nulla. Al terzo mi sono sollevata e ho capito che il suono era il campanello di casa. Non sapevo nemmeno di averlo, tanto nessuno l’aveva mai usato. Quando ho aperto ho trovato semplicemente un biglietto con su scritto “Ti va di venire da me stasera? 22A”

 


PARAGRAFO 15

 

Che cosa c’è in me che non va? Tutto e niente. Non ha importanza alla fine. Ne ha solo quando mi accorgo di stare ferendo qualcuno che non sia io. Solo in quel caso.  L’egoismo: ne sono la personificazione. Non è sempre facile accettare di essere egoisti ed io non credo di esserci ancora riuscita.

Ho sempre tentato di isolarmi da tutti ancor prima di occupare un posto importante nei loro cuori. Isolarmi da chi mi ha voluto bene e poi mi ha odiata.

Da chi ho volutamente ferito.

Da chi mi ha ferita.

Estraniata dal resto del mondo perché è stata meno dolorosa la separazione.

A volte, ancora oggi, quando penso a quelle persone a cui ho voluto molto bene, persone che hanno respirato la mia stessa aria, sorriso e pianto insieme a me… vederle felici vivere le loro vite mi intristisce terribilmente. Avrei potuto far parte anche io della loro vita, ma ho scelto la solitudine. E provo rabbia. Rabbia che nascondo infondo al cuore per paura che qualcuno veda quello che sono diventata. Vittima del mio stesso egoismo.

Ho dovuto fare migliaia di chilometri per attuare il mio piano, per isolarmi, eppure sembra che i tentativi siano sempre vani. Forse non sono semplicemente destinata a soffrire per la mia solitudine, ma a patire pene per la mancanza di essa.


PARAGRAFO 16

 

Ho bussato solo una volta sperando di sfuggire a quel confronto, ma i tonfi pesanti sul pavimento mi stanno facendo chiaramente capire che invece mi ha sentita al primo colpo.

Mentre la porta si apre a scatti vedo comparire allo stesso modo anche il suo volto sorridente. Tra le mani ho il biglietto che lei mi ha lasciato qualche ora prima, quasi a convincermi che non è tutto frutto della mia immaginazione. Dopo avermi invitata ad entrare, indica le mie scarpe. Le chiedo se vuole che le levi. Lei mi sorride facendomi un cenno ed io alquanto goffamente mi abbasso per levarle e lasciarle accanto alla porta.  

Mi sollevo di nuovo e lei è sempre là in posizione eretta, immobile. Faccio alcuni passi facendomi largo attraverso la stanza per arrivare subito in cucina: piccola e confortevole. Mi volto e mi accorgo che lei è proprio dietro di me con i suoi capelli nero corvino raccolti in una coda e mi guarda senza dire nulla. Gli occhi di questa ragazza sono bellissimi e rassicuranti. Mi chiede, facendo dei gesti, se ho sete. Io annuisco sollevata che abbia rotto il ghiaccio.

L’osservo mentre si avvicina ad un mobile aprendo l’anta in alto a sinistra, prende un bicchiere e poi si dirige verso il frigo. Versa l’acqua nel bicchiere e me lo porge sorridendo. La ringrazio e ne bevo un sorso. E’ ghiacciata, ma rinfrescante.  Lei non smette di osservarmi ed io imbarazzata abbasso il capo per poi voltarmi e sedermi sul divano a qualche passo da noi. Il silenzio comincia ad innervosirmi e lei non accenna a dire una parola. Sembra muta. Comincio a pensare che lo sia davvero.

 


PARAGRAFO 17

 

C’era una volta alle scuole medie inferiori, una ragazza che non parlava mai a meno che non fosse stato un professore a chiederglielo. Ricordo anche che quando qualcuno le si avvicinava per domandarle in prestito una matita o una penna, lei porgeva l’oggetto senza rispondere.

Un giorno non so come, finii per sedermi accanto a lei ed io che ero una grande chiacchierona non riuscivo a sopportare di starle così vicina e non poter dire mai nulla. Un  giorno, stufa, decisi di cambiare posto, ma d’un tratto, mentre raccoglievo la mia roba dal banco, lei mi rivolse una domanda.

Da quella volta, non so bene come, diventammo migliori amiche e passavamo tanto tempo insieme.  Quando eravamo sole, lei parlava davvero tanto, ma poi a scuola diventava improvvisamente muta, forse più che altro disciplinata... al mio contrario.

Questa amica mi ricorda molto la ragazza che adesso si è seduta di fronte a me e continua a non dire nulla.

Sorride e non dice nulla…

Mi alzo, perché sono stufa di continuare questa commedia ma ad un tratto la vedo. Una foto incorniciata, poggiata sul tavolino accanto alla tv. Poso il bicchiere e mi avvicino lentamente. La prendo tra le mani: perché diamine io e questa ragazza siamo nella stessa foto e, perché diamine stiamo sorridendo?


PARAGRAFO 18

 

“E’ stato molto tempo fa. Questo, tutto questo.

E adesso tu non sei più quella persona. Sei diversa, sei vuota.

Non sei tu. E questo mi fa male. E so che non posso fare assolutamente nulla per cambiare il presente, né il passato.

Sono inutile, lo sono sempre stata. Non sono riuscita a salvarti: era il mio compito ricordi? Me lo dicevi sempre ed io ho fallito anche in questo.”

Le parole fuoriescono lente dalla sua bocca e io resto inebetita ad osservare quello che sta succedendo. Tutt’intorno comincia a sciogliersi come se le pareti fossero fatte di cera e qualcuno avesse acceso un grande fuoco.

Lei mi osserva e poi sorride, prima che una lacrima le righi la guancia bianca. Perché sta piangendo?

E perché non sono più seduta sul divano?

Che cos’è quest’odore?

E’ tutto bianco. Vuoto.

 

Dove mi trovo?

 

 

 

 

 

 

PARAGRAFO 19

 

Quando ieri ho aperto gli occhi credevo davvero di stare sognando. Tutto quello che mi circondava, per quanto familiare potesse sembrare, non era reale.

Mi ci sono voluti alcuni minuti per convincermi che invece lo era.

Questa mattina sono stata tutto il tempo affacciata alla finestra, fissando le rigature del metallo arrugginito, metallo che disegnava una rete spessa tutt’attorno ad essa. 

Nel pomeriggio ho chiesto di poter vedere i miei genitori. Ho parlato con loro e sono stati felici di vedermi sveglia; ma li sentivo distanti, quasi schifati da quello che stavano guardano. Durante la nostra breve conversazione ho scoperto di aver dormito per due giorni di seguito. Sono andati via ed io da quel momento mi sono sentita triste e abbandonata.

Sono qua che guardo la luna piena attraverso i vetri sudici della finestra della mia stanza.

Sono rinchiusa in un manicomio.

E sono pazza.

 

 

 

 

 

 

 

 

PARAGRAFO 20


Oggi è un bel giorno.  Lei sta venendo a trovarmi.  Il cigolio della porta che si apre mi avverte che è già qui. Mi volto e la guardo, mentre lei guarda me. I capelli raccolti in una coda alta, come al solito. Io, con questa veste bianca, sono messa male invece. “Sei venuta.” Le dico facendo qualche passo verso di lei, abbracciandola. Che buon profumo.  “Me l’hai chiesto tu..” mi risponde con la voce che le si blocca in gola. “Sei l’unica, che lo sa.” Continuo stringendola di più a me. “Ieri, ho fatto un sogno. Un sogno bellissimo.. Non sapevo di stare sognando. Credevo che quello che vedevo fosse tutto reale…ero in America, avevo un appartamento, ero sola, libera. Ero felice e.. c’eri anche tu, solo che non sapevo fossi tu. ” Mi fermo e mentre riprendo fiato lei mi dice con gentilezza: “Capita, nei sogni.”

“Non era un sogno.” Le dico decisa mentre mi volto e mi siedo irritata sul letto. “O forse lo era fin troppo. Lo è sempre stato, e ora invece sono rinchiusa qui.” Continuo abbassando il capo. “Perché vuoi farlo?” mi accorgo che è già accanto a me. “Perché me lo chiedi?” le domando stizzita. “Non lo so. Ma è strano trovarsi dall’altra parte.” Mi risponde scrollando le spalle. “Dopo essermi svegliata ieri, accorgendomi di non essere in America, ma in un ospedale psichiatrico, ho pianto. Ho pianto per tutta la notte. E il giorno dopo ho fissato le altre che passavano il tempo in giardino a giocare a carte, a scacchi, a fare passeggiate.. io ero in America capisci?” Le rivolgo lo sguardo. “Credo di si”

“E ora questa realtà non posso accettarla. Quella. Voglio vivere per sempre in quella realtà. Voglio solo chiudere gli occhi e illudermi per sempre di essere riuscita a realizzare quello che ho sempre voluto. E non posso farlo senza di te.”

E’ scoppiata a piangere, ma la sua mano è stretta nella mia. Tanto stretta da non sentirne più la sensibilità.

EPILOGO

 

“Certe volte, quello che vuoi ce l’hai davanti agli occhi, e ti basta così poco per allungare la mano e raggiungerlo.

Altre volte sei consapevole quanto solo sollevare il braccio sia estremamente difficile.

E nella vita più passano gli anni e più si fa fatica a credere di potersi prendere quello che si vuole. Quello che si è sempre desiderato.

La vita.

Ci può fare schifo a tal punto da volerla vomitare, nella speranza che si espella tutto quello che di marcio ti lascia?

Ho vissuto la mia, nell’illusione che il dolore sarebbe andato via, che le lacrime si sarebbero asciugate, che le mani avrebbero finalmente smesso di tremare, che la testa avrebbe smesso di fare male, che il petto avrebbe smesso di bruciare, che i brividi sarebbero svaniti, che la gola si sarebbe liberata un giorno dalla morsa in cui è stretta e che il cuore avrebbe smesso di saltare nel petto.  

 

Ho vissuto la mia vita nell’illusione che la sofferenza avrebbe un giorno lasciato il posto alla felicità.  Felicità che quando si affacciava alla mia porta riusciva, qualche volta, a scacciare dalla testa quelle parole: fallo, non ha senso continuare a vivere.

Ho vissuto la mia vita.

L’ho fatto per te, per lui, per lei. Per tutti coloro che quando hanno saputo, la prima volta, che avevo tentato il suicidio hanno provato compassione per me. Tutti coloro per cui IO ho rinunciato ai miei sogni, pur di non deluderli. Ho lasciato cadere in silenzio me stessa in un pozzo senza fine. Per tutti voi. Per te, per lui, per lei.

 

Quando hanno saputo che ho tentato il suicidio la seconda volta hanno cominciato ad odiarmi. E la terza, non ho visto nemmeno più le loro facce.

Ora, sono sola. Lo sono sempre stata, ma forse sarei dovuta finire prima in un manicomio per rendermi conto che sono lo sono davvero.

 

I miei genitori mi guardano schifati. Io stessa mi faccio schifo, come è sempre stato d’altronde, e l’unica persona che davvero mi mancherà di questo mondo è colei che in questo momento vi sta leggendo questa lettera. E so che io mancherò a lei.

Ma lei, è cosciente di quanto questa liberazione valga per me.

Sa benissimo quello che otterrò quando avrò allungato il braccio per raggiungere quello che ho sempre desiderato.

Oltre lei, solo la morte è stata da sempre la mia unica amica.

L’ho bramata così tante volte da essere stata rinchiusa in questo posto. L’ho desiderata al punto di confessarlo a squarcia gola e sconvolgere per sempre la vita della mia famiglia e di tutti quelli che ora, probabilmente, stanno ascoltando ancora più sconvolti queste parole.

Ho desiderato morire e ho sfidato la morte più volte, e quello che più mi lascia basita è la paura che provo ora che mi rendo conto che sto per farlo davvero. 

La prima volta che ho capito quanto mi spaventava, quella volta in cui ho ingerito quei tranquillanti sapendo che non mi avrebbero ammazzata.

 

L’ho fatto nella speranza che subito dopo avrei apprezzato la vita.

Ma è successo tutto il contrario.

 

E’ il tempo.

Il tempo che passa, e che deve passare.

Il tempo che devo vivere, qui o in qualunque altro posto in cui so che non posso avere quello che ho sempre desiderato.

La morte è spaventosa, ma ancor più spaventosa sarebbe la coscienza di vivere in eterno e di non poter morire mai.

 

Ora lo so.

Per questo il suicidio.

Sono consapevole di quello che sto facendo. L’ho tentato più volte. E questa sarà quella definitiva, perché vivere non è l’unica scelta che l’essere umano deve accettare.

 

C’è la morte,

 

ed anche il suicidio.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ringraziamenti.

 

Ringrazio Pheebe, Elena, Brody e Namida che come al solito mi hanno fatto da Beta-Reader e hanno contribuito alla conclusione di questa storia. Ringrazio tutti coloro che hanno letto EAIS in passato e l’hanno commentata e tutti coloro che la leggeranno e la commenteranno.

 

 

                                                                                                Hypa

 

( http//endofthestory.forumfree.net )

 

 

 

 

 

 

  
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