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Autore: gattapelosa    12/08/2014    4 recensioni
Il breve, tragico incontro di un soldato che sta per morire e di una bimba che ha visto la morte.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un soldato può avere paura




La bomba esplode ed è tutto cenere, sabbia e pietra. Ricordo un urlo, l’eco di un ruggito, l’edificio che crolla e poi il silenzio. Sento il pavimento cedere sotto i miei piedi, il vuoto e il dolore del primo colpo, con la schiena che s’incrina, le braccia contorte e il sangue. Poi tornano i rumori e sento il vento, forse un paio di sassi che rotolano, ma nessuno uomo più grida o piange. Sono morti tutti?
Apro gli occhi ed è luce - una luce forte, accecante, fa male. Allora cerco di voltare il capo a sinistra, verso le macerie, o a destra, in direzione del villaggio. Ma non riesco a muovermi. Il mio corpo è come bloccato, non c’è ossa che riesca a tendere, mi fa male anche solo respirare! E ora sento la paura. Sto morendo anch’io? Perché non riesco a muovermi? Cosa è successo?
Mi agito convulsamente, ma fuori ho il corpo pesante, immobile come il cadavere di un morto. La vista si appanna di lacrime, singhiozzo come un bambino, ma non provo vergogna, non ho più motivo di provare vergogna. Non c’è codardia nelle mie lacrime, solo paura. Un soldato può avere paura.
Ora mi sembra di sentire dei passi. Sarà il nemico, venuto ad uccidermi? Sarà un amico, qui per soccorrermi? Ho abbastanza paura da non cogliere la leggerezza di quei passi, troppo delicati per gli scarponi da militare.
Poi il cielo viene oscurato da un volto, non la faccia arcigna di un soldato, ma quello delicato e perplesso di una bambina del Quembam. Ha la pelle scura, i capelli raccolti e veste i panni sporchi e rozzi della povertà.
— Ciao— dice, nella sua lingua. — Sei vivo, vero? Ti ho visto sbattere gli occhi.
Io non rispondo solo perché non so cosa dire. Sono vivo? Quasi.
— Ehi, signore soldato, sei vivo o no?— ora mi scuote il braccio, ma non sento niente. Non sento le sue mani, il suo tocco, il vento, niente. Ecco perché ricomincio a piangere, a singhiozzare, senza potermi asciugare il volto.
— Ma allora sei vivo!— fa ancora lei.— Perché piangi, signor soldato?
Cerco di prendere un grosso respiro, ma ne ricavo solo un altro singhiozzo.
— Quando io piango, la mamma mi canta una canzone. Vuoi che ti canti una canzone?
Non attende nemmeno una risposta – che tra l’altro io non avrei potuto darle – e inizia a cantare. Si tratta di un’antica cantica del Quembam, la folle e romantica storia di un principe e della sua schiava. La bimba ci mette passione, con la voce bella e leggera, e io mi lascio cullare dalla sua ninna nanna. Quando termina, nel romantico suicidio di lui e di lei, io ho ormai smesso di piangere.
— Grazie— sussurro. Fatico anche a muovere la mascella. — Sei una bambina gentile.
— Il mio nome Nikrel. Tu come ti chiami?
— Ciro. Chiamami Ciro.
La vedo sorridere, mentre si mette più comoda, al mio fianco.
— Che cosa ci fai tu qui?— chiedo io.
— Io e i miei fratelli abbiamo sentito l’esplosione. Loro sono andati al villaggio, presto porteranno qui i soccorsi, vedrai, starai bene. Perché ora non stai bene, giusto?
— Giusto.
— Non riesci a muoverti.
— Già, io non riesco a muovermi.
Lei annuisce gentilmente e mi sorride. Vedo tanta maturità in quel sorriso.
— I miei fratelli sono molto veloci, sai? Soprattutto Brehmal. Brehmal è arrivato primo alla gara di corsa, perché è come un ghepardo. Infatti noi lo chiamiamo “il ghepardo”. E poi c’è Tyco, che non corre veloce come lui, ma è comunque molto bravo. Ecco perché loro sono voluti andare avanti, ma io non sarei mai riuscita a stargli dietro.
Ora si alza e porta le mani al cielo.
— Sai che Tyco è altissimo? È il più alto del villaggio. No, forse il più alto è Noram, ma anche lui è alto. Più di te. Quanto sei alto?
— Un metro e ottantacinque. — rispondo in un rantolo, ma con il sorriso.
— Tyco è alto quasi un metro e novantacinque. Più di papà! Però papà ha molti più muscoli, ecco perché lui è andato in guerra e Tyco no. Un giorno te lo presenterò, siete tutti e due soldati, potreste diventare amici.
Si siede di nuovo sulle ginocchia, sporgendosi verso di me. Sa che non posso muovere il volto e vuole farsi vedere in faccia, ma la dovrei ringraziare, perché il suo sorriso fa sorridere pure me.
— A papà piacciono sempre i miei amici, quindi gli piacerai anche tu. In realtà quando ti ho visto non sapevo se fossi uno dei buoni o uno dei cattivi, ma ora so che sei buono. I cattivi non piangono, i cattivi fanno piangere.
— Hai conosciuto molti soldati cattivi?— chiedo, in un sussurro forzato. Lei fa cenno di sì.
— Una volta dei soldati cattivi hanno attaccato il villaggio dei nonni. Io mi trovavo lì con Brehmal, Tyco e nostra sorella Rhila, perché c’erano le corse e Brehmal voleva partecipare. Poi però si è sentito un rumore fortissimo e tutti si sono messi a gridare: “Scappate! Mettetevi in salvo!”, dicevano. Ma quel rumore era troppo vicino e noi dovemmo nasconderci tutti nella casa dei nonni. Io ero piccola, quindi sono riuscita a nascondermi nella credenza, e Brehmal aveva trovato rifugio nell’armadio. Tyco e Rhila erano sotto il tavolo quando sono arrivati i soldati cattivi.— ora fa una pausa. — Io potevo vedere tutto dalla credenza. Loro si sono portati via Rhila. Tyco aveva provato a difenderla, ma quelli l’hanno colpito alla testa. Hanno detto che era morto, ma non era vero, era solo ferito! E così se ne sono andati e noi siamo potuti tornare a casa.
La sua voce si è fatta più triste, verso la fine, ma non ha mai abbandonato il sorriso. Ho come l’impressione che sorrida per me, perché sa che ne ho bisogno.
— I soldati cattivi sono orribili!— aggiunge poi. — Si sono portati via Rhila, e guarda cosa hanno combinato qui. Perché hanno messo una bomba?
— Perché noi siamo i loro nemici.
— E bisogna uccidere chi è tuo nemico? Sai quante persone potrei ammazzare io, allora? La mia vicina di casa, la madre della mia amica, mio cugino. — risponde. — Ma questa è la guerra, giusto? Papà dice che l’assassinio è legale, in guerra.
Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dalle parole di Nikrel. Ora comincia a raccontarmi del suo villaggio, di tutti gli uomini-soldato che se ne vanno a combattere, delle lezioni che prende da una donna sua amica, di come sta diventando brava a leggere. Poi mi racconta dei giochi con la sabbia – perché nel Quembam c’è un sacco di sabbia – del suo compleanno, della sua bambola e delle sue compagne di scuola.  
Ho come l’impressione di stare per addormentarmi. Lentamente la voce di Nikrel si fa più attutita, lenta, come se stesse ancora canticchiando la bella ninna nanna del principe e della sua schiava. Prima di cadere nel nulla, però, faccio in tempo a sentire dei carri, uomini che corrono nella nostra direzione, persone gridare il nome di Nikrel.
— Papà!— risponde lei, alzandosi in piedi.
— Nikrel, che cosa stai facendo qui?
— Faccio amicizia con Ciro. — risponde, e forse mi sta pure indicando, chissà.
— Nikrel! Ma non vedi che lui è un soldato cattivo, come quelli che hanno rapito Rhila?
— Non è vero, Ciro è buono! Anche io ho visto la stella sull'elmetto, ma ti giuro papà che lui è un soldato buono! 
— Ma come puoi…
A questo punto però la voce degli uomini è troppo bassa e troppo lontana per me. L’oscurità mi travolge, portandomi via, sempre più a fondo, non faccio nemmeno in tempo a ringraziare Nikrel.
E così, senza lacrime e senza paura, io smetto di esistere.
 
 

 
 


Bacheca dell'autrice

Per partecipare al "Meeting contest" di Io_me stessa, dovevo scrivere la storia di un incontro tra due persone che non si sono mai viste. Non ci ho pensato molto, a essere sincera: amo il rapporto soldato-bambina, un soldato è simbolo di violenza, la bimba è pura innocenza. E così è nata la storia di Ciro e Nikrel, nell'immaginario deserto del Quembam, un soldato che sta per morire e una bambina che lo aiuta ad andarsene. Non so se si capisce, ma tutta la storia gira intorno al sentimento della paura. Ciro ha paura, quando si rende conto di cosa sta succedendo. Ha pura di morire. Poi però arriva Nikrel, lei gli parla con gentilezza, nell'innocenza di una bambina, e tutta la sua paura scompare. Alla fine Ciro muore, senza lacrime e senza paura. 
Okay, come idea forse non spicca per originalità e magari è un po' noioso il dialogo tra i due, ma la coppia soldato-bambina rimane la mia preferita! 


un saluto dal gatto peloso!





 
 
 
 
 
  
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