[46. Stelle]
“Non erano un brutto presagio?”
“Skase. Non fare il
guastafeste.”
La baia di Garitsa è sfavillio di lanterne sul mare e
farandole di musica e danze lungo il molo in penombra. È due bicchieri di tsitsibira e una tzintzola divisa morso a morso, a cavalcioni di un parapetto.
“Kanon.”
“Mmh?”
“Hai un desiderio?” chiede Saga, gli occhi alla notte
incrostata di stelle.
“Molti” sorride Kanon, la testa gettata al cielo. “E li posso
prendere con le mie mani”, nel pugno il riverbero dell’universo. “E tu?”
“Qualcuno. Sì” sussurra Saga.“Ma avrò bisogno di un paio di
mani in più, per afferrarli.”
Due nel giro di
due settimane.
È un record,
inutile negarlo. Ma, signori, non si poteva mancare. E sì, lo so: sono comunque
in ritardo. Per la notte di San Lorenzo tradizionale; e per i giorni
aggiuntivi. Che ci volete fare: in questo agosto uggioso (ma anche luglio, e
giugno, lo erano. Uggiosi. Che bellezza!), con una luna che sembra un pugno in
occhio, o una gigantesca lampadina cui hanno dimenticato di installare l’interrutore,
a me, il dimenticato, è stata proprio la notte delle stelle cadenti.
Perché,
davvero, mi è passata senza nemmeno accorgermene. Troppo impegnata ad iniziare
il conto alla rovescia per il ritorno sui banchi di scuola.
E dunque.
Ma ai cari
gemellini, questa notte di stelle morenti che lasciano nel cielo una scia non è
passata senza colpo ferire. E benchè in Grecia la ricorrenza non sia avvertita
troppo, forse retaggio di quella cattiva nomea che le meteore si trascinano
dall’antichità, quando erano le lacrime
degli dei, versate per la morte di Fetonte nell’Eridano, c’è qualcuno che
la festeggia.
A Corfù, epiù
precisamente nella baia di Garitsa è
tradizione il 10 agosto spegnere tutti i lampioni e colorare la striscia di
cemento che è il lungomare con danze e canti (amo questa frase. Doveva essere
nella drabble; poi è sparita. Causa forze delle 100 parole), mentre sul mare
galleggiano tante lanterne con lumini. E vedere il cielo di Grecia specchiarsi
nel cielo del mare è uno spettacolo che, davvero, uno non vorrebbe perdersi.
Sempre, insomma, che i Greci abbiano una particolare predilezione per tutto ciò
che è carta oleosa e lucine tremolanti.
E il tutto ve
lo gustate di più se vi passano per le mani una tsitsibira e una tzintzola.
I nomi fanno schifo, sono d’accordo. Orribilmente cacofonici. Ma, parola di
Saga e Kanon, ne valgono davvero la pena: il primo è una particolare bevanda
tipica dell’isola, molto gustosa e dissetante e preparata con succo fresco di
limone, olio di limone, acqua, zucchero e zenzero tritato (i Greci hanno sempre
amato gli abbinamenti insoliti. Detto da una che ama mescolare i cibi e mette
il ribes nella carne e il limone nel riso. E vi assicuro che è super!), mentre
la seconda è un impasto a base di giuggole (sì: giuggiole. Avete letto bene;
esistono!) secche, uvetta e sesamo, anche questo un dolce titpico che si può
trovare solo a Corfù.
Forse può
sembrare presuntuoso da parte dei gemellini il loro atteggiamento. Ma insomma:
possono racchiudere in una mano un intero cosmo. Mi sembrava bello che quello
che desiderano non fosse tanto qualcosa fuori dalla loro portata, quanto
piuttosto qualcosa da raggiungere assieme.
Kanon ha i suoi
mezzi e qualche sassolino che vuole togliersi; e le mani vanno benissimo, per
quello. Saga ha qualche grattacapo in più, del tipo ricostruire un’infanzia che
non ricorda e raccattare qualche pezzo qua e là prima che la testa lo abbandoni
definitivamente. E in questo Kanon è un vero e proprio punto di riferimento.
Questa è la mia lettura, con Mare Greco dietro. Ma la drabble è a sé,
una nottata passata fra fratelli a guardare le stelle cadenti.
P.S.
Sono distrutta
e vado a letto.
Se non riesco a
rispondere subito alle recensioni della precedente drabble, scusatemi tutti.
Provvedero domani! Intanto: grazie mille!