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Autore: EffieSamadhi    13/08/2014    6 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=apvuVPBtiug}
Fingi di non avermi mai incontrato, fingi di non essere mai stato attratto da me, fingi di non avermi mai baciata, fingi che la mia presenza non abbia mai toccato la tua vita. [...] Addio, Daria
28 novembre 2013: a Parigi, in una stanza d'albergo, Shannon sente il proprio cuore cadere a pezzi; a Torino, in camera propria, Daria chiude i ricordi in una scatola e li spinge fuori dalla propria vita.
Due mesi più tardi: a Los Angeles, Shannon sta ancora cercando di ricomporsi; a Torino, Daria si sente pronta per ricominciare.
Ma il passato torna a morderti il didietro proprio quando meno te lo aspetti, e per quanto sia dettagliato il tuo piano, non c'è nulla che il destino non possa sovvertire.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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La lunga strada verso casa - 1
Nove recensioni, dieci inserimenti tra le storie preferite, uno tra le storie da ricordare, dieci tra le storie seguite... e tutto questo in soli quattro giorni! Le parole sono sempre state tutto, nella mia vita, eppure questa volta non riesco a trovare quelle più adatte per descrivere quello che provo. Nell'ultima settimana il contatore delle recensioni a “Portagioie di tristezza” è salito vertiginosamente, portando alla luce un sacco di ottimi pareri su quanto la mia mente (malata) ha partorito, e io davvero... non so, sarà mainstream dire così, ma io vi amo tutte. Veramente, vi voglio un bene dell'anima. Volevo aspettare un paio di giorni prima di regalarvi il secondo capitolo della storia, ma vi voglio così bene che ho deciso di anticipare, sperando di fare cosa gradita. Mi raccomando, continuate a farmi sentire il vostro appoggio... e se non volete appoggiare me, almeno appoggiate Daria e Shannon!
Spero che il trailer della storia, di cui ho lasciato il link dell'introduzione, vi sia piaciuto: a questo proposito, mi sono resa conto che il trailer non presenta uno dei personaggi più importanti della storia, ovvero Alice, migliore amica e voce della coscienza di Daria – ma ora conoscete anche lei.
EffieSamadhi






La lunga strada verso casa






Capitolo secondo
Siamo sotto lo stesso cielo, e la notte è vuota per me
tanto quanto lo è per te.1


Torino, 3 gennaio 2014


    Torno a casa, gentilmente accompagnata da Marco, e non appena mi ritrovo sola mi assale la solita sensazione di vuoto e solitudine che fa da colonna sonora ad ogni serata che passo sola. Eppure non dovrei sentirmi così, lo so: ho appena passato alcune delle ore più divertenti dell'ultimo periodo, ho scherzato e riso fino alle lacrime con una persona amica, ho avuto la bellissima notizia di un aumento e ho la certezza di non essere sola... eppure non riesco a rilassarmi. So di non essere più la stessa, da quando sono tornata – scappata – da Parigi, e nonostante sia ancora più che convinta di aver agito nell'interesse di tutti, mi sento come se in fondo sapessi di aver fatto un'enorme cazzata. Il guaio è che non si può tornare indietro.
    Seguo la routine di ogni sera: bagno, denti, pigiama, letto, impostare sveglia, libro... quando chiudo gli occhi non è ancora mezzanotte, e come ogni sera mi illudo che riuscirò a dormire fino al suono della sveglia, aprendo gli occhi sentendomi finalmente riposata. E invece, come ogni notte, alle due spalanco le palpebre e resto immobile a fissare il soffitto. Guardo verso la mia destra, ma è soltanto un attimo – un attimo che però vale quanto una vita. È il freddo a tenermi sveglia, a punzecchiarmi i fianchi fino a farmi svegliare – non il freddo fisico, ma il freddo di quello spazio vuoto accanto a me. Eppure quello spazio è stato occupato da qualcuno soltanto per due notti, come possono due sole notti tormentarmi così tanto? Eppure lo so, so che è quello spazio vuoto a tenermi sveglia, ricordandomi ancora una volta che potrei aver commesso un errore, che potrei aver fatto una stupidaggine, e che la decisione presa in un pugno di secondi potrebbe condizionare il resto della mia vita.
    Sono ormai quasi le tre quando mi convinco ad alzarmi e a scendere nella stanza degli ospiti, portando con me sveglia e cellulare. Mi sistemo tra le lenzuola, e mentre aspetto che il sonno torni a prendermi mi chiedo perché ogni notte debba ripetersi la stessa storia – perché non mi metto subito in questo letto, risparmiandomi l'incombenza di traslocare a metà della notte? Forse, mi rispondo mentre sento le palpebre chiudersi di nuovo, forse ogni notte mi illudo di essere diventata un po' più forte della notte precedente.



*



Los Angeles, 3 gennaio 2014


    Sto finendo di mettere le mie cose in valigia, quando sento bussare alla porta. Mi volto e mia madre è sulla soglia, con la stessa espressione che ha Jared quando si rende conto di aver esagerato con le sue paranoie. «Hai quasi finito, vedo» commenta, e la sua voce non è più di un sussurro.
    «Sì, ho quasi finito» rispondo, cercando di non dare alla frase alcuna sfumatura in particolare.
    «Shannon, se te ne stai andando per quello che ho detto ieri, io non...»
    «Mamma, non me ne sto andando soltanto perché hai detto che sono un idiota. Sono stato tuo ospite per qualche giorno, e adesso è ora che torni a casa mia. Ho delle cose da sistemare, e non posso più rimandare. La prossima settimana ripartiremo, e se non colgo la palla al balzo adesso...» Lascio la frase in sospeso, riponendo le ultime magliette. «E comunque ho pensato molto a quello che hai detto, e la conclusione cui sono giunto è che sono davvero un idiota. Non che la cosa mi stupisca particolarmente, in fondo lo dicono tutti che la mamma ha sempre ragione, no?» Tento un sorriso, ma tutto ciò che riesco a produrre è una smorfia.
    «Mi sono pentita subito di averlo detto, sai?» sorride lei, avvicinandosi per sedersi sul letto. «Appena me ne sono andata ho pensato di tornare, e ad un certo punto l'ho fatto sul serio. Sono tornata indietro.»
    «Davvero?»
    «Sì, davvero. Stavo per avvicinarmi, ma poi ti ho visto così concentrato che non ho avuto il coraggio di disturbarti. Credo di non averti mai visto così serio.»
    «Credo di non essere mai stato così serio. Ma forse ero ipnotizzato, più che concentrato. Lo sai che effetto mi fa l'oceano, no?»
    «Ti è sempre piaciuta da morire l'acqua. Anche quando abitavamo ancora in Louisiana, tu cercavi sempre il modo di convincermi a portarvi in riva al fiume. L'acqua ti ha sempre affascinato» ripete, accarezzando il bordo della valigia ancora aperta. «Sai cosa ho sempre pensato in proposito?» Scuoto la testa, senza riuscire a staccare gli occhi dal suo sguardo, fisso sui vestiti piegati. «Ho sempre pensato che fossi affascinato dall'acqua perché è la tua perfetta controparte. Tu sei fuoco, Shannon» aggiunge, tornando a guardarmi. «Sei sempre stato fuoco, fin da bambino, con tutto quello che ne consegue: amico finché ti si tratta con rispetto, ma pronto a diventare incendio non appena ti senti in pericolo. Non lo so, ho sempre creduto che fossi tanto attratto dall'acqua perché l'acqua è la sola cosa che possa dominare il fuoco. In fondo, non siamo spesso attratti da quello che ci è opposto?»
    Annuisco, pensando che forse era proprio questo ad attrarmi di Daria – il fatto che lei mi fosse opposta, diametralmente opposta. Mi attraeva la sua insicurezza, mi attraeva la sua continua sorpresa nei confronti del mondo, mi attraeva la sua normalità – vedevo in lei tutto ciò che non ero mai stato, vedevo in lei tutto ciò che mi ero sempre negato, vedevo in lei l'occasione di avere finalmente tutto ciò che qualunque uomo avrebbe potuto desiderare. Ma forse doveva davvero andare così, forse non sono mai stato destinato ad avere quel tipo di felicità – forse il nostro amore sarebbe stato impossibile come quello tra un pesce e un'aquila.
    «A che pensi? Se si può sapere, naturalmente.»
    Scuoto la testa, sorridendo. «Niente di importante. Solo... credo che tu abbia ragione. L'acqua mi ha sempre trasmesso come... non lo so, un senso di pace. L'oceano, in particolare. L'oceano trasmette stabilità, non credi? Insomma, l'acqua è in continuo movimento, ma alla fine è sempre sulla spiaggia che si infrangono le onde.»
    «Non ci avevo mai pensato, sai?» Mi sorride ancora una volta, forse felice di vedermi meno cupo di ieri. «Ti preparo qualcosa per colazione? Alla fine ieri sera non hai cenato.»
    «No, non ti preoccupare. Tanto passo da casa e poi mi vedo con Wayne. Mangerò con lui.»
    «Va bene. Mi raccomando, non ti trascurare. Dalla prossima settimana tuo fratello tornerà a torturarti con i suoi ritmi, e dovrai essere in forze.» Si alza, tendendo le braccia verso di me. «Avanti, adesso dammi un bell'abbraccio. Non sei troppo cresciuto per abbracciare tua madre, vero?»
    «Nemmeno a novant'anni» rispondo, restituendole la stretta. Respiro forte tra i suoi capelli, cercando di trattenere con me il suo profumo – il misto di sole, mare e pulito che ho sempre considerato casa, e che lo sarà sempre, anche tra un secolo. Ci separiamo e mi dà un buffetto sulla guancia, proprio come quando ero bambino, e poi se ne va, lasciandomi di nuovo solo. Chiudo la valigia, e nel sentire il rumore della zip che scorre Bruce arriva di corsa dall'altra stanza, portando in bocca il guinzaglio, quasi a ricordarmi di portarlo con lui.


*



Los Angeles, 3 gennaio 2014


    Jared è in studio, con i gomiti appoggiati sulla scrivania e le mani che vagano continuamente tra i capelli scompigliati, come se qualcosa stesse mangiando vivo anche lui. Più di una volta, nel volgere dell'ultima ora, lo ha attraversato l'idea di fare qualcosa per aiutare Shannon – la sera prima Constance gli ha raccontato del loro litigio sulla spiaggia, e da quel momento lo perseguita la convinzione che l'indifferenza non sia l'arma giusta per combattere quel mostro che non si vede, ma la cui presenza si percepisce chiaramente. Più di una volta ha pensato di fare qualcosa di eclatante come prendere il primo volo per l'Italia, prelevare Daria e portarla negli Stati Uniti, salvo poi pensare che non saprebbe dove andarla a pescare, e che il suo gesto potrebbe avere qualche piccola, trascurabile conseguenza legale. Così, tutto quello che può fare è limitarsi a starsene seduto davanti a fogli che nemmeno vede, seduto accanto ad una chitarra che nemmeno tocca, chiedendosi che cosa farà suo fratello quando si ricorderà che tra poco più di cinque mesi torneranno in Italia, e che, più precisamente, suoneranno nella città della donna che gli ha rubato il cuore.



*



Los Angeles, 3 gennaio 2014


    «Ehi!» mi saluta Wayne, venendomi incontro al centro del parco con il solito sorriso stampato sul volto, tenendo in braccio suo figlio, Ryder, che ha poco più di un anno ed è il bambino più buffo che abbia mai visto. Ci salutiamo con una breve stretta e poi restiamo a fissarci in silenzio per qualche secondo, come studiando le differenze rispetto all'ultima volta in cui ci siamo visti. «Scusa per Ryder, ma oggi tocca a me tenerlo.»
    «Ma figurati, nessun problema. Anch'io ho il mio daffare» replico, mostrando il guinzaglio. «Ti avevo parlato di Bruce, vero?» Guardo giù, scoprendo che l'interessato si è messo a sedere e sta guardando in alto, in direzione di Ryder, che ricambia lo sguardo con aria curiosa.
    «Oh, sembra sia nata una nuova storia d'amore» commenta Wayne. «Hai visto il cagnolino di Shannon? Ti piace? Si chiama Bruce. Prova a dirlo, amore. Bru-u-ce. Provaci, dai.»
    «Come fai a pretendere che dica Bruce? Ancora non ha iniziato a parlare.»
    «Beh, questo dimostra che è veramente troppo tempo che non ci vediamo.»
    «Vuoi dire che ha iniziato a parlare?» replico, sgranando gli occhi per la sorpresa.
    «Per il momento solo papà, mamma e cacca. Più che altro cacca, in effetti. Non è molto, ma è già qualcosa. Ha iniziato sei settimane fa, è un vero pigrone. E per fortuna ha detto qualcosa. Se avesse tardato ancora, probabilmente Ashley2 l'avrebbe portato da un esorcista. A volte è una madre davvero...»
    Ryder lo interrompe, piazzandogli le manine paffute sulle guance e costringendolo a guardare verso di lui. «Bu-u-ss» sillaba, estremamente convinto. Lo guardiamo entrambi con tanto d'occhi, senza capire, e a quel punto lui, resosi probabilmente conto di avere di fronte due enormi idioti, punta un indice grassoccio contro il mio cane, dicendo di nuovo «Bu-u-ss».
    «Cristo santo» è il commento di Wayne, trasformato in un colpo di tosse non appena gli do una leggera manata sul braccio, ricordandogli che è suo figlio quello che tiene in braccio, e che sarebbe meglio controllare il linguaggio, soprattutto visto il ritmo con cui sembra apprendere quel ragazzino. «Accidenti, Ryder, se tua madre scopre che hai imparato il nome di un cane prima di imparare a dire il tuo andrà su tutte le furie, lo sai?» Si accovaccia e lo mette a terra, sostenendolo per la vita. «Vuoi accarezzarlo? Non morde, vero?» mi domanda poi, alzando la testa verso di me.
    «Non è mai successo. È un cane molto tranquillo.»
    «Bu-u-ss» ripete all'infinito Ryder, puntando il dito contro il cane, forse cercando il coraggio di toccarlo. Quando finamente si decide, l'indice tocca il naso di Bruce, che si ritrae con un piccolo starnuto. Allo stesso tempo, sentendo una strana sensazione di umido sulla pelle, il bambino ritrae il dito, portandoselo davanti al viso con aria interessata. I cinque secondi che seguono sono i più lunghi della nostra vita: io sono pronto a tirare via Bruce in caso di attacco, e Wayne è pronto a schizzare di nuovo in piedi per portare Ryder in salvo. E invece succede una cosa strana, qualcosa che non mi sarei mai aspettato: Bruce si stende a terra, agitando la coda in maniera festosa, e punta il naso contro lo stomaco di Ryder, facendogli il solletico. «Bu-u-ss» ripete per l'ennesima volta Ryder, lanciando in avanti entrambe le mani per accarezzargli la testa pelosa.
    «Sì, direi proprio che è nato un nuovo amore» commento, sganciando il guinzaglio dal collare per poi piegarlo e infilarmelo in tasca.
    «A proposito di nuovi amori» replica Wayne, continuando a sostenere Ryder, impegnato nell'esplorazione dell'interno dell'orecchio destro di Bruce, «ho visto un video del concerto di Parigi. Sai, quello di novembre.»
    «Sì, e quindi?» domando, sedendomi sull'erba. Ho capito benissimo dove vuole andare a parare, ma non sono sicuro di essere pronto a ripetere per l'ennesima volta tutta la storia – per quanto Wayne sia un mio amico da anni, e abbia tutto il diritto di conoscere i dettagli della mia vita sentimentale.
    «E quindi mi stavo chiedendo chi sia questa persona speciale che è entrata nella vita della persona speciale di Jared, tutto qui. Se può consolarti, non è soltanto una mia curiosità. Se ti facessi un bel giro sul web, ti renderesti conto che c'è un sacco di gente che continua a chiedersi di chi si stesse parlando.»
    «Sono passati due mesi! La gente ancora ne parla?»
    «La gente ancora ne parla appunto perché sono passati due mesi. In due mesi ce n'è di tempo per formulare delle teorie, non credi?»
    «E la tua teoria quale sarebbe?»
    «Beh, la mia teoria è che tu abbia incontrato una ragazza bellissima, intelligente e incredibilmente sexy, e che la suddetta splendida creatura ti abbia colpito tanto da chiederti se non sia il caso di mettere la testa a posto, sposarti e mettere in cantiere una mezza dozzina di bambini.» Distolgo lo sguardo, fingendo di scansare un raggio di sole: la verità è che sapevo che con Wayne sarebbe finita così, perché è sempre così che finisce, con lui. A volte sembra conoscermi meglio di quanto io non conosca me stesso, al pari di mia madre – e forse è proprio per questo che spero di non trovarmi mai in una stanza alla presenza di entrambi, perché so che non ne uscirei vivo. «Direi che ho fatto centro» sorride, cogliendo il mio goffo tentativo di simulare indifferenza. «Se è così, io dico che dovresti sbrigarti a catturarla, perché tra non molto quella parte di te di cui vai tanto fiero inizierà a perdere colpi, e dovrai faticare il doppio per realizzare il tuo stupendo ideale di felicità.»
    «Stai parlando del mio splendido cervello, naturalmente» lo prendo in giro.
    «Naturalmente. Il cervello lo teniamo tutti nelle mutande, no?» replica con una risata. «Allora, chi è? Parlamene un po', dai.»
    «Scusa, ma chi ti dice che Jared si stesse riferendo proprio a me? Conosce un sacco di persone, ha un sacco di amici, non poteva trattarsi di... beh, di chiunque altro
    «Non prendermi per fesso, dai. Sai che non lo sono. Tuo fratello conoscerà anche un mucchio di persone, ma lo sanno anche i sassi che tu sei l'unica persona che davvero conta nella sua vita. Esclusa forse vostra madre. E Tomo, probabilmente. Non si sarebbe mai scomodato per un pinco pallino qualunque. Parlava di te, punto e basta. Ergo, tu hai incontrato una ragazza che ti ha fatto innamorare alla follia, e io pretendo di conoscere tutti i dettagli più sordidi.»
    «Con tuo figlio a dieci centimetri? Sei veramente un porco, sai?» lo prendo ancora in giro.
    «Sono sposato da cinque anni» replica, come se questo dovesse spiegare tutto. «Prova tu a fare sesso per cinque anni sempre alla stessa maniera, nella stessa posizione, sempre con la stessa donna... ho bisogno che gli amici scapoli mi raccontino qualche bella porcata.»
    «Poo-tata?» tenta Ryder, lasciando stare Bruce per una frazione di secondo.
    «No, tesoro, questa non la devi ripetere. No.» Mi lascio andare di schiena sull'erba, chiudendo gli occhi per godere della sensazione del sole che mi batte sulla faccia. Per la prima volta dopo tanto tempo mi sento tranquillo, rilassato, come se non avessi una sola preoccupazione al mondo, e quando finalmente sto per trovare la pace... «Avanti, racconta, racconta. Descrivi quello che vedi. Ti prego, ne ho un bisogno disperato.»
    «Wayne, sei un porco» rispondo, senza aprire gli occhi.
    «Poo-coo?» ripete Ryder, quasi in tono interrogativo.
    «Bravo, Ryder. Questo lo puoi ripetere.»
    «Shannon, ti proibisco di insegnare a mio figlio questo linguaggio scurrile» mi rimprovera Wayne, fingendosi offeso.
    «Non è una parolaccia. Porco è sinonimo di maiale, e maiale descrive esattamente quello che sei.»
    «Ma-a-lee. Poo-coo» ripete il bambino sorridendo, quasi felice di aver imparato due nuove parole. Ma è solo un attimo, poi ritorna alla sua cantilena preferita. «Bu-u-ss
    «Avanti, Wayne, che vuoi sapere?»
    «Tutto, naturalmente. Dal colore degli occhi alla taglia di reggiseno.»
    Sorrido, riaprendo gli occhi. «Azzurri. No, verdi» mi correggo subito dopo. «Non sono mai riuscito a capirlo, in realtà. Hai presente quegli occhi che sembrano cambiare colore a seconda della luce?»
    «Come i tuoi, vuoi dire?»
    «Sì, una cosa del genere. Non ho mai visto due occhi più belli.»
    «Mi stai dicendo che ti ha fregato con gli occhi e non con il culo? Di solito è quella la prima cosa che guardi» ribatte lui, sistemandosi meglio sul prato.
    «Beh, i suoi occhi sono la prima cosa che ho visto. L'ho incontrata alla signing session dopo il concerto di Milano, all'inizio di novembre. Un attimo prima stavo firmando autografi, un attimo dopo ho alzato la testa e l'ho vista davanti a me.»
    «Quindi è stato un vero e proprio colpo di fulmine.»
    «Una specie. Non è che mi sia subito innamorato di lei, solo... mi ha colpito, ecco tutto. Aveva qualcosa che nessun'altra sembrava avere.»
    «Un culo da favola? Scusa» si corregge subito, cogliendo la mia occhiataccia. «Però... non avrei mai detto che saresti caduto nel cliché della star della musica che si fa abbindolare da una fan. È così... banale
    «Forse vista da fuori, ma credimi... non c'è stato nulla di banale tra di noi.»
    «Dai, parlami di lei. Che cosa fa nella vita, che tipo è... sono proprio curioso di sapere come sia riuscita a metterti al tappeto.»
    «Si chiama Daria, è italiana. Vive a Torino, ha ventitré anni e...»
    «Ventitré anni? È una bambina!»
    «Ha ventitré anni» ripeto, riservandogli un'altra occhiataccia, «e fa la commessa in una libreria. Ha un fratello e una sorella più piccoli. Quando aveva otto anni sua madre se n'è andata di casa, e da allora non l'ha più vista. Ha l'hobby della scrittura. Le piacciono i vecchi film, specialmente quelli con Gene Kelly e Humphrey Bogart. Ha un tatuaggio sulla scapola sinistra.»
    «Non un tribale, spero. E non quelle stupide stelline che si fanno tatuare tutti.»
    «Niente tribali e niente stelle, tranquillo. Sono i glyphics. Quelli che io ho sull'avambraccio» aggiungo, anche se sono sicuro che sappia a che cosa mi sto riferendo. «Parlare con lei mi piaceva. Mi faceva sentire normale. Sai, non aveva alcuna soggezione, nessun timore... le piacevo in quanto Shannon, non perché sono famoso. Mi guardava negli occhi e... vedeva il mio cuore.»
    «Perché improvvisamente parli al passato?»
    «Perché è finita. Chiusa. È stato un piacere ma ora dobbiamo separarci, ciao, addio» rispondo, sperando che l'indifferenza lo convinca a lasciar perdere – o che almeno convinca me a lasciar perdere, e a rendermi conto che è arrivato il momento di andare avanti.
    «No, no, no, tu non te la cavi così. Adesso torni indietro e mi racconti tutto per filo e per segno.»
    «Wayne, è una bella giornata. Non ce la roviniamo parlando di una cosa morta e sepolta.»
    «Se fosse una cosa morta e sepolta lascerei perdere volentieri, ma non lo è. Te lo leggo in faccia che non lo è. Quindi ora riavvolgi, parti dal principio e mi spieghi tutto per filo e per segno. Altrimenti non ti posso aiutare.»
    «Chi dice che ho bisogno di essere aiutato?» Mi rivolge l'occhiata più eloquente del suo repertorio, uno di quegli sguardi che riescono a trapassarti pelle e vestiti e ti studiano l'anima meglio di quanto potrebbe fare una radiografia. Comprendendo di non poter sfuggire alla morsa della sua curiosità, prendo fiato e cerco di esporre gli eventi nel modo più chiaro e semplice possibile – per quanto tra me e Daria niente sia mai stato veramente chiaro, né tantomeno semplice.
    Quando finisco di parlare, lo sguardo di Wayne è spoglio di tutta l'allegria che di solito lo caratterizza. «Bella mazzata» è il suo unico commento. Contraggo la mascella, senza riuscire a rispondere. «Di certo non ci è andata leggera, la ragazza. E nonostante questo non stai facendo niente per dimenticarla?»
    «Credimi, ci sto provando. Ci sto provando con tutte le mie forze.»
    «Continuando a rileggere le sue lettere e a guardare le sue fotografie?» osserva, alzando un sopracciglio. «A proposito, fai un po' vedere una sua foto. Voglio vedere se è bella come dici o se come al solito esageri per farmi invidia.» Controvoglia, tiro fuori il cellulare dalla tasca e cerco la nostra prima foto insieme, quella scattata a Torino dai turisti giapponesi. Gli passo il telefono e lo sento fischiare. «Però, carina davvero. Guarda, Ryder, ti piace? È bella?»
    «Be... bella!» esclama Ryder, senza saltare nemmeno una lettera. «Bella! Bella! Bella!» ripete, battendo le manine grassocce ogni volta che lo dice.
    «Beh, lui è uno che di donne se ne intende» ride Wayne, restituendomi il cellulare. «Il buon gusto l'ha preso tutto da suo padre.»
    «Non da sua madre, poco ma sicuro» lo prendo in giro, trovando la forza di sorridere, anche se solo per un momento. Guardo ancora una volta la foto, chiedendomi perché non mi sia stato concesso di rimanere in quello stato di grazia – con tanta gente al mondo che riesce a superare le difficoltà, ad amarsi e ad essere felice per sempre... perché io no? Perché noi no?
    «Papà» interviene a quel punto Ryder, «cacca
    «Come volevasi dimostrare, sempre sul più bello. Mi dai una mano?»
    «Neanche morto. Il figlio è tuo, optional compresi.»
    «Gli amici si vedono nelle necessità, vero? Va beh... ho tutto in macchina. Vado, neutralizzo e torno» aggiunge, rimettendosi in piedi e prendendo in braccio il bambino, tenendolo però ad una certa distanza.
    Vedendoli andare via, Bruce si rizza sulle zampe, abbaiando un paio di volte. «Tranquillo, tornano subito» lo rassicuro, sollevandomi sui gomiti per accarezzargli la testa. «Credimi, ti sta soltanto facendo un favore.» Seguo per un po' la ritirata di Wayne e Ryder, poi mi rimetto giù, incrociando le braccia dietro la testa. La pioggia della notte non ha portato il freddo che temevo, e la sensazione del sole che mi picchia sulla faccia è piacevole – e deve piacere anche a Bruce, considerando che si stende accanto a me con un'espressione a dir poco beata.
    Un po' di tempo dopo – non so quantificarlo, ma di certo non più di dieci minuti – qualcosa mi colpisce al polpaccio, facendomi aprire gli occhi. Mi metto a sedere e mi rendo conto che si tratta di un frisbee. Lo prendo e mi alzo, guardandomi intorno per cercare di capire da quale direzione arrivi. «Ehi!» mi sento apostrofare. «Ehi, scusa, non era mia intenzione...» Mi volto, e la voce si blocca. «Mio Dio... Shannon? Shannon Leto? Sei veramente tu?»
    «Ci... ci conosciamo?» rispondo, dubbioso, guardando la donna che mi sta di fronte. Deve avere circa la mia età, lo capisco dalle piccole rughe attorno agli occhi e agli angoli della bocca. Ha un bel sorriso, e l'aria di una che è sicura di quello che sta dicendo.
    «Ma certo che ci conosciamo. Sono Christine.»
    Studio meglio quegli occhi scuri, quasi neri, analizzo la loro espressione, e in un attimo mi è tutto chiaro. «Oh, santo cielo... Christine?» Christine. Christine Sandoval. La mia prima ragazza, il mio primo amore, la prima donna che mi abbia mai spezzato il cuore. «Dio, io non... non ti avevo riconosciuta. Sei... sei diversa.»
    «Vorrai dire che sono vecchia» risponde con un sorriso. «Non mi stupisce che tu non mi abbia riconosciuta. Da quanto tempo non ci vediamo? Vent'anni, più o meno?»
    «Sì, credo che più o meno siano vent'anni. Sei... sei diversa» ripeto, come se la cosa mi stupisse. Come se in fondo non fossi cambiato anche io.
    «Sì, l'hai già detto» sorride ancora.
    «Hai... hai qualcosa di molto diverso» osservo ancora, senza capire che cosa sia.
    «Oh, forse è il naso. Me lo sono fatto mettere a posto una decina d'anni fa. Mi dava dei problemi. Apnee notturne» aggiunge, toccandosi la parte interessata. «Ammetto che il mio profilo è molto migliorato, ma non lo avrei mai fatto soltanto per bellezza. Lo sai, non ci ho mai tenuto.»
    «No... cioè, sì, lo so.» Non riesco a dire altro, sono come pietrificato: di certo non mi sarei mai aspettato che il mio passato tornasse a mordermi il didietro in questo modo. Non in questo momento. Accidenti, non me lo sarei aspettato in nessun momento della mia vita.
    In quel momento arriva di corsa una ragazzina – avrà undici anni, più o meno – che si accosta a Christine e mi guarda di sottecchi, come se avesse paura di venire morsa. «Oh, ti presento Eleanor, mia nipote. Ellie, per gli amici.»
    «Tua nipote?»
    «Sì, è la figlia di Rachel, mia sorella. Ti ricordi di mia sorella, vero?»
    «Rachel? La piccola Rachel, intendi? Si è sposata?»
    «Beh, ha soltanto tre anni meno di me, non direi che è tanto piccola. Ha tre figli, Ellie è la maggiore. Poi ci sono due maschietti, Alan e Samuel. Due autentici terremoti. Ellie, ti presento Shannon, un mio vecchio... compagno di scuola.»
    «Piacere di conoscerti» risponde lei, tendendomi la mano.
    «Il piacere è tutto mio. Ah, questo dev'essere tuo» aggiungo, porgendole il frisbee.
    «Grazie. Zia, io ti aspetto laggiù, ok?»
    «Va bene, arrivo subito. Beh, che dire?» sospira, tornando a rivolgersi a me. «Una bella sorpresa trovarti qui. Non qui a Los Angeles, intendo. So che ci vivi. Voglio dire, vederti... al parco, come...»
    «Come una persona normale?»
    «Suona male, eh?»
    «Solo se fossi la prima persona che me lo dice.» Non riesco a fare a meno di sorridere: non posso fingere che questo incontro mi faccia un certo effetto. Non posso fingere che Christine non mi faccia un certo effetto, anche a tanti anni di distanza dall'ultima volta che ci siamo visti. «Spero... spero che le cose ti vadano bene.»
    «Non mi lamento» risponde, facendo spallucce. «Non sono diventata una rockstar di fama internazionale, ma non c'è male.» Si volta per controllare che la nipote sia ancora a portata di sguardo, poi torna a guardare me. «Beh, adesso devo andare, ma... è stato un piacere rivederti.»
    «Aspetta!» la fermo. «Potremmo... potremmo vederci per un caffè, uno di questi giorni. Per... parlare un po'. Immagino che ne abbiamo, di cose da raccontarci.»
    «Beh, credo... credo di sì. Potremmo. Aspetta, ti lascio il mio numero» risponde, frugandosi le tasche alla ricerca del portafogli. Ne estrae un biglietto da visita, che mi porge con un sorriso. «Allora... ci sentiamo.»
    «Ci sentiamo.» Rimango in piedi mentre lei si allontana, e quando a metà percorso si volta per guardarmi, mi chiedo perché non abbia fatto lo stesso ventiquattro anni fa, quando mi ha frantumato il cuore in un milione di piccoli pezzi e ci ha ballato sopra il tip tap.
    «Ah, allora mentivi quando dicevi di essere ancora a terra per quella ragazzina.» Mi volto di scatto, scoprendo che Wayne ha seguito tutta la scena, restando a debita distanza. «Se ti sei già messo a rimorchiare sconosciute nei parchi, forse tanto male non stai.»
    «Non è una sconosciuta. Frequentava il mio stesso liceo. È una lunga storia» aggiungo con un sospiro. «Era l'ultima persona che mi sarei aspettato di incontrare, ad essere sincero. Allora, come te la sei cavato con la nostra piccola arma di distruzione di massa?» gli domando, alzando un braccio per solleticare il pancino di Ryder, appollaiato sulle spalle del padre come una piccola vedetta.
    «Non lo vuoi sapere davvero. Credimi, non lo vuoi. Allora, andiamo a mangiarci quel famoso boccone? Anche se non credevo avrei più avuto fame, dopo quello che ho visto.»



*



Torino, 3 gennaio 2014


    «Hai di nuovo avuto problemi a dormire, vero?» Anche se non la sto guardando, sento che lo sguardo di Alice è fisso su di me, pronto a cogliere ogni minima défaillance.
    «No, per niente. Ho dormito benissimo» rispondo, continuando a sistemare libri sullo scaffale.
    «Strano, mi sembra che tu non abbia mai avuto un'aria tanto stanca.»
    «Durante le feste c'è sempre più lavoro, forse sono solo un po' sotto stress per questo motivo.»
    «Daria...»
    «Che c'è?» ribatto, voltandomi a guardarla.
    «Non mentire. Lo sai che con me i tuoi giochetti non attaccano.» Prende un libro dallo scatolone più vicino e finge di essere interessata alla copertina, ma so che sta soltanto cercando un modo per esprimere quello che le passa per la testa. «Non ti vedevo così giù di morale da quando hai rotto con Andrea. Sono passati due anni, però me lo ricordo bene come stavi in quel periodo.»
    «Alice, lasciamo perdere. Per favore.»
    «E va bene, lasciamo perdere. Però lo sai anche tu che nascondere la polvere sotto il tappeto non la fa sparire.»
    «E va bene, allora parliamo. Di che cosa vuoi parlare?» sbotto, pentendomi all'istante del mio tono. Alice è la mia migliore amica, e non merita di essere trattata così duramente.
    «Non lo so. Potremmo iniziare dal fatto che non riesci a dormire.»
    «Ma sì che riesco a dormire. Sono solo un po' sotto stress per il lavoro. Forse qualche volta fatico a prendere sonno, ma è soltanto perché sono troppo stanca. Sai che a volte mi succede.»
    «Va bene, visto che non vuoi toccare questo argomento passiamo ad altro. Parliamo di quella scatola che sta sotto il mio letto da due mesi?»
    «Se ti dà fastidio te ne puoi liberare, non mi importa.»
    «Non mi dà alcun fastidio, sciocchina. Sai che sotto il letto ci terrei anche un cadavere, per te. È solo che... il passato non lo puoi cancellare solo togliendotelo da davanti agli occhi, lo sai.»
    «Alice, due mesi fa io ho preso una decisione. E sai meglio di me che quando si prende una decisione bisogna avere il fegato di seguirla.»
    «Sì, ma si può anche cambiare idea! Se hai dei dubbi, puoi sempre tornare indietro. Può capitare di commettere degli sbagli. Puoi tornare indietro in qualunque momento, e sono sicura che nessuno ti giudicherà per questo.»
    «Se avessi dei dubbi, ti assicuro che sarei la prima a riesaminare le mie posizioni. Però non ho alcun dubbio. Sono più che sicura di aver fatto la cosa giusta.»
    «E io sono la figlia illegittima di Schopenhauer.»
    «Non è cronologicamente possibile, lo sai» la prendo in giro, tornando alla mia occupazione.
    «Ho sempre saputo che avevi la testa dura, ma non credevo fino a questo punto» sospira, rimettendosi il cappotto. «Beh, io adesso devo andare, altrimenti faccio tardi dal dentista. Spero solo che sarai più convincente di me, se mai ti dovessi trovare al mio posto.»
    Esce senza dire altro, e seguo la sua ritirata con una punta di tristezza, consapevole che sto ferendo a morte quella che è una delle poche persone che mi sia sempre stata accanto senza chiedere nulla in cambio, tranne la sincerità. C'è una sola promessa che ci siamo fatte, anni fa: quella di essere sempre sincere l'una con l'altra, a qualunque costo – e in questo momento io sto venendo meno alla mia parte dell'accordo. Saremo sempre sincere e ci racconteremo sempre tutto, ci siamo dette tanti anni fa, in un pomeriggio simile a questo – ma quel sempre è finito il mese scorso, quando le ho taciuto un ritardo di tre settimane. È stato allora che ho iniziato ad avere difficoltà a dormire, è allora che ho iniziato a starmene sdraiata sulla schiena sul bordo di un letto enorme e gelido, tenendomi le mani sul ventre e chiedendomi se la decisione presa quell'ultima sera a Parigi non fosse stato lo sbaglio più grande della mia vita – o meglio, il secondo più grande sbaglio. Il primo, senza dubbio, è stato abbassare le difese e lasciare che Shannon mi facesse innamorare di sé.
    Non riesco a non pensare che qualcosa si sia rotto nella nostra amicizia, da quando le ho taciuto quel segreto, e se tento in tutti i modi di farle credere che vada tutto bene è soltanto perché voglio illudermi che tutto possa tornare come prima – com'era prima che tornassi a credere alle favole, anche se soltanto per un mese.



1Siamo sotto lo stesso cielo, e la notte è vuota per me tanto quanto lo è per te. | Il titolo del capitolo è ispirato ad un verso della canzone Kiss the rain di Billie Myers, contenuto nell'album di debutto della cantante, Growing Pains (1997).
2Ashley | Non so se la moglie di Wayne, amico di Shannon che abbiamo conosciuto proprio attraverso quest'ultimo, si chiami veramente Ashley. In mancanza di notizie di prima mano, mi attengo al nome usato da Love_in_London_night nella sua stupenda Beautiful disaster (che dovete assolutamente leggere, se ancora non lo avete fatto).
   
 
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