“Mi
dispiace..”
Mi
disse. Mi guardava negli
occhi con i suoi mortificati, di un verde che mi faceva girare la
testa. La
sensazione era strana, molto simile a quella che provai anni fa quando,
per la
prima volta, mi ubriacai. Malibu. 6 Agosto 2011. La data mi rimase
impressa
nella mente, per aver custodito la sensazione più strana,
brutta ma allo stesso
tempo eccitante che avessi mai provato.
“Di..Dello
spettacolino che
hai visto..intendo” continuò premendo le labbra
tra loro rendendole una linea
sottilissima, invisibile alla vista delle persone a distanza di qualche
centimetro da noi.
Deglutii
e inumidii alla
meglio il palato per evitare che le parole rimanessero, ancora,
attaccate lì,
facendomi prudere la gola e bruciare gli occhi.
Con Calma. Ti ha solo parlato.
“Figurati”
Sorrisi,
soddisfatta di come
il mio tono fosse fuoriuscito dalle mie labbra, in modo sicuro. Come
nel mio
solito, quando non avevo lui davanti agli occhi.
Ancora
non avevo capito il
perché di quelle strane sensazioni,
quell’agitazione e quella mancanza di
sicurezza che mi invadeva prendendo possesso di me e facendomi cambiare
completamente
da come ero solita a comportarmi.
Quella
era la terza volta che
lo incontravo, poteva mai essere un caso?
Non
avevo mai creduto nel
destino, e quindi mi convinsi che non poteva essere altro che una
coincidenza e
che, probabilmente, non sarebbe ricapitato vedere quegli occhi da
bambino furbo
e quel sorriso imbarazzato. Improvvisamente sentii la gola secca e il
bisogno
di bere qualcosa, qualunque cosa potesse annaffiare le mie pareti
disidratate.
Alzai
di nuovo gli occhi a
lui e lo scoprii sorridere, più tranquillo di quanto fosse
prima.
“Allora..bè..se
sei qui vuol
dire che vorrai qualcosa da bere”
Sorrisi
inconsciamente,
notando le fossette che si erano formate ai lati delle sue labbra,
mentre mi
sorrideva.
Strinsi
la mano attorno alla
gamba coperta dalla gonna marrone chiaro vellutata.
Cosa sto facendo? Pappamolla
Mi
ripetei in mente una, due,
tre volte.
“Perspicace”
Feci
un piccolo sorriso di
scherno cercando di reprimere all’interno del mio stomaco le
emozioni che avevo
provato fino a qualche secondo prima, nell’intento di far
ritornare la vera me.
La vera Violetta. L’acida e punzecchiante a cui non importava
di far rimanere
male qualcuno, perché quel male che avrebbero provato non
sarebbe mai stato
pari a quello che provava lei ogni singolo giorno.
Poggiai
il gomito sul tavolo,
portando il mento sulla mano chiusa a pugno e guardai che gli angoli
della sua
bocca erano ancora all’insù, non come mi aspettavo.
Sentivo
le interiora
attorcigliarsi e combattere tra di loro in due schiere. Una era
sollevata dal
fatto che il mio scherno non l’avesse toccato, e
l’altra era delusa del fatto
di non aver centrato il bersaglio.
“Allora,
cosa vuoi,
signorina…”
“Violetta”
Le
mie corde vocali vibrarono
prima che il mio cervello elaborasse a pieno quel che
l’enfasi nel suo tono
volesse significare. Solo in quel momento mi accorsi di aver detto il
mio nome
ad uno sconosciuto, o semplicemente a qualcun altro
all’infuori del mio datore
di lavoro e delle mie colleghe. Solitamente era Castillo
che mi chiamava la maggior parte della gente, non sono mai
stata tanto aperta e sentire il mio nome pronunciato da
labbra altrui all’infuori dei miei genitori
mi faceva ribrezzo.
“Va
bene Violetta. Allora
cosa vuoi?”
Lo
stomaco si fece vuoto e,
se non fossi stata seduta, probabilmente sarei finita in terra. Non
avevo
provato ribrezzo. Niente affatto. Era..strano. Non riuscivo a
spiegarlo. Era
come il cappuccino alla mattina, la vasca piena d’acqua calda
in inverno,
l’ombra delle tettoie dei negozi nei giorni caldi e afosi,
come un frappé dai
mille e dolci gusti diversi che scendeva lentamente lungo la tua gola
assaporando e godendoti ogni aroma presente, riconoscendone il frutto e
apprezzandolo
ancora di più in quello stato cremoso e freddo.
“Qualcosa
di freddo”
La
mia lingua aveva un piccolo
falò acceso sopra di essa che scendeva piano nello stomaco
facendomi andare a
fuoco anche quello. Ghiaccio. Avevo
bisogno solo di quello e sarei riuscita a superare altri dieci minuti
di
conversazione.
“Subito”
Ridacchiò
prendendo due
bottiglie in alto, nello scaffale. Una era di colore azzurrino e
riuscivo a
intravedere il liquido che si infrangeva contro il vetro come le onde
si
infrangevano contro il mare, mentre l’altro era di un nero
pece
impossibilitando la vista di quel che ci fosse all’interno.
I
muscoli delle braccia si
tendevano e rilassavano continuamente mentre, con movimenti esperti e
veloci,
miscelava in un bicchiere di vetro con all’interno due
cubetti di ghiaccio, i
due liquidi mettendone un po’ dalla bottiglia azzurra e un
po’ dalla nera.
Doveva fare quel lavoro da molto.
Si
riavvicinò a me porgendomi
il lungo bicchiere con dentro del liquido color giallastro.
“Ecco
a te”
Presi
il bicchiere con una
sola mano, facendo scontrare le mie unghie colorate con il vetro
creando un
piccolo suono che ricordava molto quando due persone facevano toccare i
loro
bicchieri per fare cin cin. Abbassai gli occhi al bicchiere mentre
inumidivo le
labbra di quel alcolico gelato e che sapeva di amaro e dolce insieme.
Quando
finii, pochi minuti
dopo, poggiai il bicchiere al tavolo, finalmente rinfrescata e
stranamente più
lucida di quel che ero prima.
“Quanto
ti devo?”
Mi
schiarii la gola mentre mi
asciugavo le mani umidicce di freddo sulle gambe coperte.
“Oh
niente. E’ gratis. Non lo
sapevi?”
Scossi
la testa.
Aggrottò
per un attimo la
fronte facendo incontrare la pelle sotto al sopracciglio sinistro con
quella
del sopracciglio destro. Mi stava…guardando in modo strano.
“C’è
qualcosa che non va?”
“Hai
un viso familiare..ci
conosciamo già?”
Una
leggera delusione mi
invase dentro, raggelandomi il cuore più di quanto
già fosse. Ci siamo visti due
volte, idiota! Quello
che avrei voluto dirgli. Ma scossi nuovamente la testa, negando quel
che era la
realtà. Se lui non si ricordava di me, neanche io mi sarei
ricordata di lui.
“In
effetti..ti avrò
scambiata per un’altra persona”
Alzò
le spalle per poi
prendere tra la sua grande mano il recipiente vuoto poggiato davanti a
me,
mettendolo in un lavello lì dietro, insieme ad
un’altra decina di bicchieri
perfettamente uguali.
Mi
alzai e con un leggero buona serata
a testa bassa, mi
allontanai al bancone, pronta per tornare seduta al mio posto, a
guardare le
persone volteggiare e volteggiare ancora.
Ero
sotto le coperte da ormai
un’ora e non ero riuscita ancora a prendere sonno.
Mi
giravo a destra e pensavo
ai suoi occhi, mi giravo a
sinistra e
vedevo le sue fossette, mi mettevo
dritta e sentivo di nuovo ci conosciamo
già? nelle orecchie.
Emisi
un verso nervoso e mi
portai il cuscino sulla faccia premendolo così forte da
rimanere senz’aria per
qualche secondo.
Quel
che mi infastidiva di
più non era il non riuscire a dormire ma il pensare
costantemente ad un ragazzo
che a malapena conoscevo. Non mi era mai capitata una cosa del genere.
Non mi
ero mai trovata in difficoltà con la gente, tantomeno con i
ragazzi… Allora
perché con lui riuscivo a malapena parlare?!
La
testa mi scoppiava e se
avessi potuto staccarmela dal collo e poggiarla sul comodino, lo avrei
fatto
con piacere. Lasciai cadere il cuscino di lato e mi alzai dal letto,
scuotendo
i capelli per far cessare il prurito che mi provocavano sulle spalle.
Schiacciai
con l’indice il
tasto al centro del telefono poggiato sulla base
dell’abatjour per scoprire che
erano le 5:04 del mattino e che avevo due messaggi non letti.
Sbadigliai per la
stanchezza e lessi velocemente il destinatario. Diego.
Dolcezza
eri bellissima questa sera con
quel vestito. Marotti è l’amico migliore che ho
mai avuto xX
Vediamoci
domani pomeriggio alle 17
davanti al Vicius? Devo parlarti Xx.
Avrei
dovuto andarci?
Probabilmente
no, avrei
dovuto ignorare ancora una volta i suoi messaggi e farmi i fatti miei,
passando
il pomeriggio a guardare vecchie sitcom. Invece avevo una strana voglia
di
vederlo, di..non sapevo cosa volevo farci ma qualsiasi cosa pur di
cessare il
rumore nella mia testa.
Rilessi
i messaggi dopo
essermi seduta al bordo del materasso e solo in quel momento realizzai
che
Marotti aveva aiutato ancora una volta quel depravato senza avvisarmi
di nulla.
A volte mi chiedevo come sarebbe stata la mia vita se i miei
genitori..fossero
stati con me..
Mi
grattai con le unghie la
radice dei capelli ancora profumati dalla splendida acconciatura fatta
da Zike,
ero sicura che sarebbe diventato il mio parrucchiere. Aveva decisamente
conquistato me e i miei capelli con le sue mani fatate.
Sbuffai
picchiettando le
unghie al volante. L’orologio al mio polso segnava le 16:56.
Entro
quattro minuti avrei
dovuto essere davanti al Vicius, per incontrare Diego, ma ero intasata
nel
traffico di quella caotica città.
Ero
ferma da più di dieci
minuti, le macchine avanti non intendevano muoversi di un solo
centimetro e la
voglia di schiacciare la mano contro il clacson fino a quando tutti non
si
fossero infastiditi era tanta. Il vento che entrava dal finestrino
spalancato
mi faceva oscillare i capelli raccolti in una coda sottile, fatta
velocemente
prima di scendere. Mi si appiccicavano per la faccia e ogni pochi
secondi
dovevo ritirarmeli dietro le spalle, per evitare - se nel caso i
veicoli
intorno a me avessero iniziato a muoversi - di provocare un incidente,
ed era
l’ultima cosa che volevo.
“Anche
tu bloccata qui eh”
Girai
il viso nella direzione
del finestrino, scorgendo una Fisker Karma nera, con il finestrino
abbassato e
un uomo con una leggera barbetta sul mento e il braccio penzolante
fuori. Leon.
1..2..3..
“Già”
sorrisi e sospirai
sollevata. Facevo progressi, ero riuscita a rispondergli quasi subito..
Look At Me
Ciao!
Scusate per il ritardo
ma questo, per me e credo anche un po’ per tutti,
è stato un periodo di vacanza
e non ho passato molto tempo al computer.
Spero
che il capitolo vi sia
piaciuto e come sempre ringrazio tutti quelli che la seguono e che la
recensiscono.
Volevo
avvisarvi che sto
scrivendo anche un’altra storia e se passate a leggerla e a
darmi un parere mi
farebbe molto piacere -anche se sono ancora solo al prologo-
Un
bacio a tutti!
Cielo
<3