Dai, questo aggiornamento è davvero rapido, sono fiera di me!
Allora...
C'è un po' di confusione ad un certo punto. Anche qui, voluta! Ma se per caso non si capisse qualcosa, non esistate a chiedermelo. Ci tengo a ricordarvi che Blaine quando è stessato balbetta (e voi malpensanti che credevate che mi si incantassero le dita su alcuni tasti!) E che una persona agitata non fa ragionamenti molto ben organizzati in italiano, quindi se a volte le frasi sono in sospeso o se non sono proprio lineari, quando parla Blaine è voluto. Altrove è proprio un errore dell'autrice invece!
Buona lettura!!!
Lascia decidere a me
Kurt si
sentiva terribilmente a disagio. Erano passati più di cinque
minuti da quando
lui e Blaine erano tornati a casa e il moro era rimasto a camminare per
la
stanza, le braccia incrociate al petto e lo sguardo perso.
“Blaine,
so
che non vuoi parlarne, ma-”
“Lo
so. Lo
so, probabilmente stai pensando che io abbia qualche rotella fuori
posto e non
hai tutti i torti,” Kurt provò a negare, ma Blaine
lo bloccò con un cenno della
mano e continuò a parlare, “Non è
facile avere a che fare con me e se ti ho
spaventato, se pensi di non voler stare con uno come me, va bene. Lo
capisco.”
“Blaine,
io
voglio soltanto capire.” Ad essere onesti, la parte razionale
di Kurt
continuava ad urlargli di farsi da parte, prima di farsi male. La
situazione di
Blaine era al di fuori dalla sua portata e questo Kurt lo aveva capito
da un
po’, avrebbe fatto meglio ad allontanarlo, prima di
affezionarsi e soffrire. O
peggio, fargli qualcosa di male in qualche modo. Eppure non riusciva ad
essergli indifferente, voleva capire, voleva aiutarlo.
“Cosa
c’è da
capire? Dovrebbero rinchiudermi in un manicomio. Lasciami
perdere.”
“EHI!”
Kurt
agì d’istinto, alzando la voce ed afferrando un
braccio di Blaine, bloccando
quel suo camminare ossessivo. “Non sei un pazzo, i pazzi si
chiudono in
manicomio. Sei soltanto una persona che ha difficoltà a far
capire agli altri
cosa gli passa per la testa. Avanti, parla.”
Però,
non
suonava poi tanto male! Sembrava quasi che Kurt sapesse cosa stava
dicendo.
“Kurt,
io
non penso che-”
“Non
penso
cosa, Blaine? Sei tu che mi hai baciato, quindi non puoi dire che ti
sto
costringendo a fare qualcosa. Spiega e lascia decidere a me se voglio o
meno
avere a che fare con te.”
Blaine
sospirò con una lentezza estenuante, strizzando gli occhi ed
organizzando
mentalmente il proprio discorso. “È solo che non
è facile. P-pe-per favore, non
farmelo di-dire a voce a-alta.”
“Non
voglio
costringerti. Non lo farei mai. È solo che voglio capire.
Per favore, Blaine.”
“O-okay,”
dopo un altro momento di silenzio, Blaine alzò lo sguardo
verso Kurt, “Cosa
vuoi sapere?”
Kurt fece
scivolare la mano che aveva stretta all’avambraccio di Blaine
verso il suo
polso e sfruttò la presa per guidare il più
piccolo fino al divano, sedendosi
accanto a lui a gambe incrociate. “Quale è il
problema coi tuoi genitori?”
“Non
ci giri
intorno, eh?” commentò Blaine, con una risatina
che metteva in mostra tutto il
suo imbarazzo. “Diciamo che non sono mai stati
particolarmente felici delle mie
scelte di vita.”
“Si,
questo
lo avevo immaginato.”
“K-K-Kurt-”
“Non
agitarti, Blaine. Con calma, però cerca di rispondermi. Se
ci stiamo
frequentando, devo iniziare a capire cosa si nasconde dietro questo bel
visino,
no?”
“Potrebbe
non piacerti.”
Blaine gli
sembrava così rassegnato che Kurt avrebbe voluto prenderlo a
schiaffi per
fargli capire quanto si sbagliava. Gli avevano insegnato che le cose
che
succedevano non potevano definire chi si era e Blaine era una splendida
persona, a prescindere dalle esperienze che aveva fatto e dalle
situazioni che
faticava ancora ad accettare. “Lascialo decidere a me, se mi
piace o no.”
“È-è
m-morta.”
“Chi?”
“Mi
hanno sbattuto
fuori casa e poi mia madre è morta.”
“Oh.”
Il
cuore di Kurt batteva all’impazzata contro il suo petto.
Capiva benissimo cosa
significasse perdere un genitore, immaginava che potesse essere
terribilmente
doloroso essere cacciati di casa. Ma continuava a non trovare il nesso
con la
conversazione di Blaine e Cooper poco prima.
“Sono
stato
io.”
Era stato
quasi un sussurro, Kurt ci mise un attimo a decifrare quelle parole, ma
poi
sgranò gli occhi. Non sapeva se avrebbe potuto accettare di
frequentare un
assassino. Per un attimo lo sfiorò l’idea di non poter neppure vivere in
casa con un
assassino. Non dovrebbe essere in prigione? Nel giro di pochi secondi
la mente
di Kurt vagliò tutte le possibili opzioni. Forse era stato
giudicato da un tribunale
minorile, forse aveva avuto una riduzione della pena perché
giudicato incapace
di intendere e di volere. Doveva dirlo a qualcuno.
“Avevamo
litigato. Perché io ero g-gay, perché ero stato
rimandato in letteratura,
perché ero un i-idio-idiota e loro non perdevano occasione
per farmelo notare.
St-sta-stavamo urlando e un attimo dopo eravamo in auto e lo-loro mi
avevano
lasciato alla fermata dell’autobus,” Kurt faticava
a tenere il passo con i
pensieri di Blaine, ma si sforzò, “Volevano che mi
trasferissi. D-da Cooper, da
un a-am-amico, non aveva importanza. Non
tornare più a casa. E avevo qu-quella ridicola
v-valigia blu e- e la
chitarra e lo-loro mi avevano lasciato lì e avevp il m-mio
c-ce-cellulare tra
le mani e non sapevo chi chiamare.”
“Blaine-”
“E-e
poi è
arrivata quella m-ma-macchina. E ti g-giuro, Kurt, io n-non
l’avevo proprio v-vista.
E neanche loro. E c’era polvere e silenzio. Non si m-muoveva
nessuno e-e-e io
non sapevo che fare e-”
“Blaine,
ehi, calmati!” Stava piangendo con una violenza che Kurt non
credeva possibile,
come se tutte le sue energie fossero concentrate nella produzione di
quelle
lacrime.
Kurt si
sentì un idiota. Come aveva fatto a pensare che Blaine fosse
un assassino? Era
soltanto un ragazzino, traumatizzato da qualcosa che non avrebbe dovuto
vedere
e che non sarebbe dovuta succedere. E per di più se ne
sentiva responsabile.
Si sorprese
quando Blaine gli saltò letteralmente addosso,
abbracciandolo forte, come se la
sua vita dipendesse da quello e continuando a piangere in quel modo
straziante.
Kurt restò interdetto per un attimo, poi ricambiò
il gesto, stringendo Blaine con
forza e ripetendogli che andava tutto bene e che doveva calmarsi. Gli
era
passata anche la voglia di sapere cosa era successo dopo.
Fu Blaine a
rompere l’abbraccio, sforzandosi per guardare Kurt ed
ingoiando un grumo di saliva
e muco, pulendosi contemporaneamente il viso con la manica della
maglietta. Kurt
avrebbe voluto avere un fazzoletto a portata di mano, perchè
non aveva il
coraggio di alzarsi per prenderlo.
“Scusa,
è
che non lo avevo mai detto a voce alta. Ma devo ammettere che
è andata meglio
di quel che avevo immaginato.”
Se quello
era meglio, Kurt non voleva sapere cosa Blaine avesse immaginato. Ma
almeno
sembrava più tranquillo in quel momento.
“E
beh, puoi
immaginare l’epilogo,” Blaine mimò con
le mani lo scontro tra le due vetture,
facendo raggelare il sangue nelle vene di Kurt, “La macchina
aveva colpito in
pieno il lato del passeggero e lei è morta sul colpo. E la
colpa è mia perchè-”
“Blaine,
non
c’è alcun motivo per cui questo potrebbe essere
colpa tua.”
“Me lo
ripetono in continuazione tutti,” mormorò Blaine,
abbozzando un sorriso, “E lo
so. La mia parte razionale lo sa, ci ho lavorato tanto con la
dottoressa, sai? Ma
per quanto mi sforzi non riesco a togliermi dalla testa
l’idea che se non fossi
stato tanto stupido da farmi rimandare in letteratura, non si sarebbero
mai
trovati su quella strada.”
“Ti
stavano
cacciando di casa,” gli fece notare prontamente Kurt. Poteva
anche essere
morta, ma non riusciva a provare compassione per la madre di Blaine.
“Oh,
sono
riusciti nel loro intento.” Quello che faceva più
male a Kurt era che nelle
parole di Blaine non c’era alcuna traccia di rabbia,
risentimento, odio. No,
lui era rassegnato. Triste. Sofferente. “Mio padre mi ha
fatto trasferire alla
Dalton, in modo che potessi restare lì praticamente sempre.
Lui non ha più
voluto vedere la mia faccia. Non sono andato al funerale, non ho
più visto mio
padre da quando arrivammo in ospedale.”
“Cooper-”
“Lui
si è
preso cura di me. Continua a farlo in realtà.”
Nei minuti
di silenzio che seguirono Kurt cercò di pensare alla cosa
più opportuna da
dire, ma alla fine fu Blaine a rompere il silenzio.
“Kurt?”
“Si?”
“Mi
scoppia
la testa.” Era stata una giornata pesante per Blaine e lo si
vedeva chiaramente
sul suo viso. A prescindere dalle guance ancora umide, aveva gli occhi
stanchi
e delle occhiaie piuttosto inquietanti, ma Kurt ebbe abbastanza tatto
da non
farglielo notare.
“Vuoi
riposare?”
Blaine
annuì
timido, “Puoi stare un po’ con me? Per favore, non
mi va di stare da solo e-”
“Non
mi devi
dare una spiegazione per tutto, Blaine,” gli
spiegò Kurt, accarezzandogli una
guancia e per essere certo che l’altro avesse capito cosa
intendeva, aggiunse,
“Si. Mi farebbe molto piacere restare con te per tutta la
notte.”
“Grazie.”
“Vuoi
vedere
un film?”
“Il
più
melenso e sdolcinato che riesci a trovare!” Gli occhi di
Blaine si illuminarono
a quella proposta e dalla sua risposta Kurt capì che
l’argomento era
ufficialmente chiuso e Blaine era tornato quello di sempre.
Il modo in
cui riusciva a mettere da parte le proprie emozioni, passando in un
attimo
dalla disperazione più totale alla sua abituale allegria,
poteva essere davvero
preoccupante, ma allo stesso tempo era in qualche modo adorabile.
Kurt scelse uno
tra i suoi DVD, rifiutandosi di rivelare il titolo a Blaine e
pescò una coperta
dalla propria camera. Si sistemò di nuovo sul divano,
permettendo a Blaine di
accoccolarsi accanto a lui, coprì entrambi con la coperta e
si appoggiò con la
testa su quella del più piccolo, premendo il tasto PLAY sul
telecomando.
A Blaine
bastò la prima nota per capire cosa stessero per guardare.
“Moulin Ruge. Lo
adoro.”
Kurt
sorrise, strofinando il naso tra i capelli di Blaine e nel giro di
pochi minuti
finirono entrambi addormentati.